Le fonti dell’Archivio di Stato di Napoli per la storia dell’emigrazione italiana

Il fenomeno migratorio che, con un carattere di massa, attraversò l’Italia a partire dagli ultimi decenni del secolo XIX ha distribuito significative testimonianze documentarie negli archivi di molte città italiane e dei paesi di destinazione di quel movimento demografico.
La sedimentazione dei documenti relativi a un “fatto” storico1 è legata innanzitutto all’attività dei soggetti che hanno avuto responsabilità sul suo sviluppo. Protagonisti di quella vicenda furono non solo famiglie e persone, ma anche istituzioni statali e pubbliche, enti e associazioni. La storia della trasmissione dei documenti, insieme con la ricostruzione della vita e dell’attività dei soggetti da cui provengono, fa parte del percorso che la ricerca deve compiere per identificare e per utilizzare le fonti documentarie.
I documenti di provenienza statale sull’emigrazione italiana sono di regola conservati presso gli Archivi di Stato, organi periferici del Ministero per i beni e le attività culturali, ai quali spetta il compito di rendere fruibili gli archivi delle istituzioni dello Stato che via via cessano di servire all’attività amministrativa. Benché regolato da norme di legge, il passaggio delle carte da queste agli Archivi di Stato è sempre stato soggetto a numerose condizioni di fatto ed è da considerare in effetti tutt’altro che scontato.
Deve verificarsi in primo luogo che l’ufficio conservi le carte che ha prodotto o ereditato e che, nel momento in cui esse dovrebbero essere trasferite all’amministrazione archivistica, sia in grado di individuarle e di organizzarne il versamento. È anche necessario che l’Archivio di Stato competente abbia una sufficiente disponibilità di spazio per ricevere la documentazione.
Non sempre poi gli archivi versati sono ordinati né il versamento è sempre accompagnato da strumenti di descrizione che rendano accessibile la documentazione e possibile la ricerca. In realtà in occasione del versamento l’ente versante compila elenchi che permettono di individuare il materiale trasferito. Questi, chiamati elenchi di consistenza, hanno soprattutto un valore fiscale e lo scopo appunto di attestare la consistenza del materiale consegnato. Essi pertanto non costituiscono propriamente strumenti di conoscenza dell’archivio, né chiavi di ricerca delle informazioni, la cui elaborazione invece rientra fra i compiti degli archivisti che, attraverso l’analisi del materiale pervenuto e del suo contesto di produzione, progettano e realizzano il riordinamento in modo da ricostruire le strutture formali che il complesso documentario ha avuto nel corso del suo processo di produzione e di sedimentazione. Per mancanza di risorse, si verifica spesso che gli elenchi di consistenza siano utilizzati a lungo come strumenti di ricerca, senza averne l’esaustività e la capacità di favorire l’orientamento dello studioso.
Accade a volte che fondi anche preziosi per la ricerca storica restino dimenticati e negletti presso l’ufficio che li conserva o che addirittura vengano distrutti, perché considerati ingombranti per l’attività amministrativa o che gli stessi Archivi di Stato, come si è detto, non dispongano delle risorse per valorizzarli e renderli effettivamente accessibili.
Per spiegare l’effettivo stato delle fonti archivistiche in Italia e progettare proficui itinerari di ricerca, bisogna tener conto tuttavia anche degli archivi di cui la normativa non prevede il versamento all’amministrazione archivistica, come quelli appartenenti al Ministero degli affari esteri, che ha un proprio Archivio storico in Roma.
Va sottolineato a questo proposito che la ricerca documentaria non si fa soltanto sulle presenze, ma anche sulle mancanze e sulle relazioni fra ciò che esiste e ciò che è andato perduto. Questo non significa soltanto che conoscere le fonti scomparse permette di orientarsi verso quelle disponibili, ma anche che, essendo gli archivi un bene relazionale, costituito appunto da relazioni fra le loro parti costitutive, i documenti sono compresi e collegati reciprocamente in un iter procedurale che, se ricostruito, offre la possibilità di ritrovare gli altri documenti relativi al medesimo affare, anche all’interno degli archivi di altri uffici. L’emigrazione italiana, fenomeno di portata nazionale e con forti legami interregionali e internazionali, ha disseminato tracce documentarie il cui senso sta anche nelle relazioni fra i molteplici archivi che parlano di quella storia. Una così ampia e utile prospettiva di ricerca non è stata però ancora sperimentata.
Una ricognizione delle fonti documentarie sulla storia dell’emigrazione italiana può partire dalla storia delle istituzioni a cui erano affidate le responsabilità politiche o amministrative per ritrovarne quindi gli archivi, oppure può cercare di individuare le tipologie documentarie pertinenti o anche i documenti riguardanti i diversi aspetti e problemi di quella storia2.
Qui si cercherà invece di far il punto sulle fonti che oggi conserva l’Archivio di Stato di Napoli, presso il quale sono concentrati archivi di grande importanza per la storia dell’emigrazione italiana e non solo per quella di area napoletana o meridionale, a partire dagli ultimi decenni del secolo XIX e fino al 19323.
I principali nuclei documentari per questo tipo di ricerca sono sostanzialmente tre: la Questura, l’Ufficio provinciale di pubblica sicurezza presso la Prefettura e il Tribunale civile.
Il primo, certamente il più consistente e rilevante e dotato di numerosi e validi strumenti descrittivi, proviene da uno dei due principali fondi documentari del periodo postunitario. Gli archivi della Questura e della Prefettura infatti rappresentano fonti dalle quali difficilmente una ricerca sulla storia di Napoli dopo l’unità potrebbe prescindere. Della Prefettura, l’organo che rappresentava il governo nazionale in ciascuna provincia, non si conserva, per quegli anni, che il solo archivio di Gabinetto.
Per il suo ruolo di principale organo di pubblica sicurezza a livello circondariale e, dal 1927, provinciale, la Questura aveva competenza su tutto ciò che riguardava l’ordine e lo spirito pubblico e provvedeva alla vigilanza sugli avvenimenti e sui fattori di turbamento e di trasgressione delle disposizioni in materia di pubblica sicurezza. Suo referente gerarchico diretto era la Prefettura, che assicurava il costante raccordo con il Ministero dell’Interno. La parte più consistente della documentazione che si conserva in questo fondo è costituita infatti da corrispondenza con queste due istituzioni e con gli uffici dipendenti dalla Questura. Un ruolo particolarmente delicato svolgeva l’ufficio di polizia che operava presso lo Scalo marittimo di Napoli, accanto all’Ispettorato dell’emigrazione, con il quale i rapporti non furono sempre di semplice complementarità e di funzionale collaborazione.
Ad un’articolazione istituzionale in tre divisioni, il Gabinetto, competente sugli affari riservati e di carattere politico, la Polizia giudiziaria, incaricata delle indagini sui reati previsti dal codice penale, la Polizia amministrativa, a cui spettava la concessione di autorizzazioni, di licenze e di permessi, corrispondeva una bipartizione dell’archivio, prevista dalle istruzioni per gli archivi degli uffici di pubblica sicurezza emanate dal Ministero dell’Interno. L’archivio della Questura era diviso infatti in Archivio del Gabinetto e Archivio generale, quest’ultimo costituito dalle carte delle altre due divisioni. Fra le due articolazioni, questa seconda riveste un maggior interesse per la storia dell’emigrazione, perché rappresenta il sedimento di numerose attività riguardanti sia il rilascio delle autorizzazioni, sia il perseguimento dei reati commessi dai protagonisti delle vicende migratorie. Erano infatti di competenza della Polizia amministrativa la concessione dei passaporti agli emigranti, le informazioni necessarie per il rilascio o per il rinnovo delle licenze alle agenzie e alle subagenzie di emigrazione e alle compagnie di navigazione e ai loro rappresentanti. Questa documentazione costituisce, in mancanza di quella dell’Ispettorato dell’emigrazione operante nel porto di Napoli alle dipendenze del Ministero degli affari esteri e andata perduta4, una fonte per ricostruire le caratteristiche, i soggetti e le dimensioni del fenomeno migratorio, poiché permette di rilevare l’andamento delle richieste di espatrio e l’avvicendamento degli agenti che intendevano operare nel ramo dell’emigrazione e la rete dei loro rappresentanti che operavano nelle province.
I fascicoli dei passaporti contengono sia fonti di carattere qualitativo, istanze e lettere di emigranti, che cercavano di fornire, in genere nelle forme linguistiche dell’italiano popolare, motivazioni alla loro richiesta, sia fonti assoggettabili a un trattamento quantitativo, documenti che attestavano il numero delle persone a cui si riferiva il permesso di espatrio, la loro età e professione e le reciproche relazioni parentali. Organizzata in fascicoli personali, la documentazione è costituita da corrispondenza con gli stessi emigranti e con i comuni di loro provenienza, che dovevano rilasciare il necessario nulla osta all’espatrio. Questi fascicoli offrono in effetti la non frequente rappresentazione di un mondo di soggetti anonimi che, inconsapevoli protagonisti di un fenomeno di dimensioni planetarie, incontravano e attraversavano l’amministrazione dello Stato e le sue procedure burocratiche, lasciando tracce significative del loro modo di essere e di relazionarsi con l’autorità di polizia, alla quale chiedevano il rilascio del passaporto.
I fascicoli riguardanti agenti, subagenti e vettori, spesso non italiani, mettono a fuoco invece le vicende attraverso cui essi costituivano reti di operatori e di rappresentanti e sviluppavano strategie di espansione sul mercato dell’emigrazione, nonché l’andamento dei loro rapporti con gli emigranti, che tramite disperati ricorsi rappresentavano spesso la spregiudicatezza e la mancanza di scrupoli di faccendieri e di uomini d’affari.
Riflettono il grado di sostenibilità sociale del fenomeno migratorio i fascicoli relativi all’attività di conciliazione che la polizia svolgeva nei confronti di coloro fra i quali insorgevano divergenze o liti, prima che queste assumessero un rilievo penale. La polizia infatti aveva anche il compito di ricomporre “privati dissidi”, controversie familiari, scoppiate perché un coniuge tentava di emigrare all’insaputa dell’altro, o perché un figlio minorenne intendeva imbarcarsi senza il consenso paterno. La documentazione rivela quanto fosse ampio e variegato il mondo delle controversie, alimentato anche da sentimenti non ricambiati, debiti non saldati, inimicizie e rancori personali d’ogni sorta, che davano luogo a esposti e a segnalazioni all’autorità di polizia nella speranza di un rapido e risolutivo intervento. In questi numerosi fascicoli fra i quali si apre un significativo percorso di storia sociale, è testimoniato un complesso orizzonte di aspettativa popolare nei confronti dell’autorità di polizia, che cerca di misurarsi, con i propri margini d’intervento e con i propri strumenti culturali e cognitivi, con l’intricata rete del disagio sociale di un’area metropolitana.
Ampie erano anche le competenze in materia giudiziaria, che corrispondevano a tutta la vasta gamma di attività collegate al movimento migratorio, di cui l’organo di polizia doveva accertare la legittimità e la compatibilità con l’ordinamento giuridico. Le truffe e i raggiri rientravano a pieno titolo fra i fenomeni su cui la polizia era tenuta a indagare. Particolarmente documentata è l’attività di ricerca e di arresto di favoreggiatori dell’emigrazione clandestina e degli stessi clandestini che, se ripresi, erano poi denunciati e consegnati all’autorità giudiziaria per non aver pagato il biglietto d’imbarco alle compagnie di navigazione. Le indagini investivano però anche una vasta e variegata tipologia di attività criminose, che andavano dalla falsificazione di documenti all’uso di documenti appartenenti ad altre persone, dalla partenza di pregiudicati e renitenti agli obblighi di leva al mancato rispetto da parte delle agenzie o dei vettori di clausole contrattuali e di patti con gli emigranti, alla sincera o anche finta complicità, dimostrata da elementi locali o da membri degli stessi equipaggi delle navi in partenza da Napoli, con coloro che tentavano di imbarcarsi clandestinamente. Frequente motivo di denuncia nei confronti dei mediatori era l’inadeguata e approssimativa considerazione da parte di questi dei requisiti richiesti dalle autorità estere al momento dello sbarco, per cui gli emigranti erano respinti nei porti di destinazione e costretti a ritornare in Italia.
Alla polizia erano affidate anche complesse e delicate inchieste su problemi che potevano avere una portata non soltanto locale e che comportavano il collegamento con altri uffici di polizia italiani.
Nell’archivio della Questura si trovano interessanti lavori statistici periodici con i quali si tentava di monitorare il fenomeno dell’emigrazione che partiva dal porto di Napoli, raccogliendo i dati relativi alle sue dimensioni, alle sue caratteristiche, alle provenienze e alle destinazioni del movimento e ai soggetti che vi prendevano parte.
Appartengono invece all’Archivio di Gabinetto i fascicoli delle associazioni filantropiche e dei sodalizi che cercavano di praticare forme di assistenza agli emigranti, che andavano dall’ospitalità al ritiro dei biglietti d’imbarco, alla compilazione di lettere e alla spedizione di telegrammi, per gli analfabeti. Dello stesso archivio fanno parte le disposizioni di massima che, impartire dal Ministero dell’interno o direttamente dalla Prefettura, implicavano adempimenti e raccolta di informazioni da parte della Questura. Anche all’interno dello specifico titolario di questa delicata parte dell’archivio di Gabinetto particolari categorie erano riservate agli affari di emigrazione e alla materia dei passaporti.
Unità elementari di questa documentazione sono, come si è già detto, in genere fascicoli, comprendenti corrispondenza con il Ministero dell’interno, con la Prefettura di Napoli e con gli ispettorati o commissariati di pubblica sicurezza dislocati nei quartieri della città e nel porto e sul territorio della giurisdizione di competenza. Dagli organi dipendenti, la Questura esigeva infatti indagini, informazioni e interventi sulle situazioni pertinenti l’ordine pubblico e il controllo della pubblica sicurezza. Tutto questo materiale era organizzato nelle forme di un titolario, schema logico di titoli o categorie, con eventuali articolazioni, corrispondenti alle competenze e alle attività della Questura. All’interno del titolario dovevano trovar posto tutti i fascicoli via via creati per raccogliere i documenti relativi agli affari. I titolari emanati dal Ministero dell’interno nel 1887 e nel 1903 per tutti gli uffici di pubblica sicurezza prevedevano una specifica categoria per gli affari di polizia amministrativa riguardanti l’emigrazione e i passaporti. A ciascun fascicolo era attribuita quindi una classificazione che, identificando la categoria di appartenenza, stabiliva la posizione dell’unità documentaria all’interno dell’archivio. La successione dei fascicoli seguiva invece generalmente l’ordine alfabetico delle rispettive denominazioni. Il fascicolo era raccolto in una camicia che riportava gli estremi dei documenti.
Anche l’Ufficio provinciale di pubblica sicurezza istituito presso la Prefettura di Napoli svolgeva una complessa attività di vigilanza e di indagine. In particolare compilava statistiche mensili del movimento migratorio, che trasmetteva al Ministero di agricoltura, industria e commercio, a scopo di analisi e di monitoraggio del fenomeno. Un ruolo di rilievo svolse l’ufficio nell’ambito di un’ampia inchiesta condotta nel 1886 a Napoli e a Genova sulle “frodi in danno di emigranti” di cui si ritenevano responsabili alcune agenzie di emigrazione. Purtroppo la documentazione di questo ufficio risulta limitata agli anni 1883-1893.
Il terzo nucleo documentario è costituito da “Contratti e altri atti di società” dell’archivio del Tribunale civile di Napoli. È costituito dai documenti che agenzie di emigrazione e compagnie di navigazione erano tenute a depositare presso il Tribunale di commercio o presso il Tribunale civile per disposizione del Codice di commercio del 1882. Da questi documenti si possono ricostruire sia la fondazione, il settore di intervento, il regolamento interno e le attività di queste organizzazioni, non soltanto napoletane, insieme con i mezzi di cui disponevano, sia anche la loro struttura interna, i loro componenti e rappresentanti, la loro strategia aziendale e commerciale e l’andamento societario.
I fondi di cui si è illustrato il rapporto con la storia dell’emigrazione non esauriscono certamente le fonti conservate presso l’istituto napoletano. Essi rappresentano, in virtù della natura relazionale degli archivi, utili e sicuri punti di partenza per nuovi percorsi di ricerca attraverso archivi di altri soggetti, organizzazioni pubbliche o private, famiglie o persone, che avendo svolto un ruolo significativo, possono aver prodotto altre preziose testimonianze documentarie. La ricerca archivistica fa entrare in sempre nuovi e più vasti reticolati in cui, per non disorientarsi e per trovare invece le strade giuste, guadagnando posizioni più vantaggiose, occorre possedere validi punti di partenza e servirsi di funzionali metodi di analisi.
Note
[Torna] 1 Utilizzo questo concetto in tutta la polisemia e criticità con cui viene illustrato in Scipione. Guarracino e Dario Ragazzini, Storia e insegnamento della storia, Milano, Feltrinelli, 1982, pp. 54-60.
[Torna] 2 Cfr. Paolo Franzese, Emigranti e emigrazione a Napoli fra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale. Fonti documentarie, figure sociali e istituzioni, “Archivio storico dell’emigrazione italiana”, 2 (2006), pp. 125-141, e L’emigrazione negli Stati Uniti d’America ai primi del ‘900 attraverso i documenti della Questura di Napoli conservati nell’Archivio di Stato, in Stati Uniti a Napoli, Rapporti consolari (1796-1996), a cura di Daniel Spikes, Napoli, Filema, 1996, pp. 129-157.
[Torna] 3 In questo anno infatti si interrompono le grandi serie documentarie di cui è costituito l’Archivio generale della Questura di Napoli. Per il periodo successivo si conserva solo una parte dell’Archivio di Gabinetto. Relativamente al secondo dopoguerra le fonti per la storia dell’emigrazione italiana si riducono sensibilmente. Una segnalazione merita l’archivio del Centro di emigrazione di Napoli che, istituito nel 1948 e alle dipendenze del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, svolgeva funzioni di assistenza degli emigranti italiani e di coloro che rimpatriavano.
[Torna] 4 Le liste d’imbarco, presumibilmente conservate nell’archivio dell’Ispettorato, sono andate perdute con il resto di quell’importante documentazione. Significative testimonianze dell’attività dell’Ispettorato di Napoli si trovano nell’archivio del Commissariato generale per l’emigrazione, l’ente di cui quell’ufficio era un organo periferico. Le carte del Commissariato si conservano in Roma presso l’Archivio storico del Ministero degli affari esteri.