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Nuovo Volume: “Faccia da italiano” di Matteo Sanfilippo

A tal scopo lo sviluppo cronologico dell’emigrazione italiana e della relativa xenofobia nel Vecchio come nel Nuovo Mondo è seguita nell’arco di più capitoli, dedicati rispettivamente all’età moderna, all’Ottocento, al primo Novecento e ai decenni più recenti. Se dunque l’Ottocento è il secolo delle violenze francesi, ma non si possono neanche trascurare quelle svizzere, statunitensi e argentine, nell’età moderna gli italiani sono vilipesi e cacciati in Francia e in Inghilterra e talvolta persino in Spagna, nonostante che con questa napoletani e siciliani condividano il re. Nel Novecento prosegue sia la tendenza a emarginare, anche con la forza gli immigrati italiani, mentre la nuova cultura di massa (romanzi popolari, cinema, radio) facilita la diffusione dei vecchi stereotipi denigratori.

Tuttavia si comincia a prospettare una situazione parzialmente nuova, quando in molti paesi cresce il turismo verso l’Italia e la fama negativa di quest’ultima cede il passo a una maggiore familiarità. Nel frattempo anche le seconde, le terze, le quarte generazioni dell’emigrazione otto-novecentesca ottengono l’accesso alla produzione culturale e riescono progressivamente a pilotare l’industria culturale, talvolta con esiti paradossali, basti pensare al successo del film Il padrino di Francis Ford Coppola o della serie televisiva I Soprano che ripropongono l’idea del gangster di origine italiana.

Conclusioni

Quando nel 1985 Günter Wallraff pubblica Ganz unten, il suo famoso reportage sui turchi nella Repubblica Federale Tedesca, segnala di aver giocato sui propri tratti fisiognomici e di aver finto scarsa padronanza della lingua per essere accettato quale lavoratore immigrato. La traduzione italiana del titolo, Faccia da turco, accentua tale aspetto e suggerisce che la discriminazione sia determinata dall’immediata riconoscibilità dello straniero. Identificato a vista per turco, a causa dell’aspetto e della lingua, sei subito trattato come tale e inserito al gradino più basso della catena lavorativa. Indubbiamente nelle venture degli italiani all’estero questo elemento ha avuto una sua importanza, come sempre nelle relazioni fra emigranti e paese di accoglienza.

Tuttavia è difficile definire un “aspetto italiano”, cioè una “faccia da italiano”, e quello che è oggi riconosciuto come tale sembra una indebita estrapolazione dello stereotipo fisico costruito sull’emigrante meridionale nel secondo Novecento: basso, ricciuto, scuro di capelli e di barba, gesticolante. Nella memorialistica non mancano invece i biondi friulani o i siciliani di discendenza normanna la cui provenienza non è riconosciuta. Inoltre molti emigranti insistono sulla propria capacità di non farsi incasellare quali italiani. Schiena di vetro di Raul Rossetti, emigrato nel triangolo minerario tra Belgio, Lorena e Lussemburgo alla fine degli anni 1940, sottolinea la possibilità di crearsi spazi autonomi grazie al proprio charme e al coraggio fisico.

Si potrebbe dunque concludere che sia meglio non scrivere un libro intitolato Faccia da italiano, ma è anche vero che un identikit del lavoratore italiano espatriato esiste, almeno per quelli del Centro-Sud, e che molti emigranti vi si sono riconosciuti. Una canzone del cantautore italo-belga Claude (vero nome Francesco) Barzotti recita: «C’est vrai je suis un étranger / On me l’a assez répété / J’ai les cheveux couleur corbeau / Mon nom à moi c’est Barzotti / Et j’ai l’accent de mon pays / Italien jusque dans la peau!» (Le rital, 1983). Per una riprova e contrario possiamo segnalare quanto la letteratura dell’emigrazione si attardi sul fenomeno del travestimento, del tentativo di non farsi etichettare cambiando magari il proprio nome, sia pure per poi arrivare alla palingenetica rinuncia a tali trucchi e alla rivendicazione delle proprie origini. L’italo-statunitense Maria Mazzotti Gilliam descrive i propri tentativi di mascherarsi e conclude: «This is my father, Arturo / And I am his daughter, Maria. / Do not call me Marie». Più umoristicamente, Nino Manfredi fa saltare il proprio travestimento da svizzero esultando per la rete di Fabio Capello in Inghilterra-Italia del 14 novembre 1973 (Pane e cioccolata, regia di Franco Brusati, 1974).

Queste tre versioni dell’(auto)identificazione dell’immigrato riflettono momenti e percorsi diversi. Barzotti nasce in Belgio da genitori marchigiani, poi ritorna in Italia e va a scuola nelle Marche, infine opta per il paese dove è nato. La rivendicazione dell’italianità apre la sua carriera, ma non la caratterizza. Maria Mazzotti Gilliam è autrice di una dozzina di volumi e vincitrice nel 2008 di un American Book Award per l’autobiografia poetica All That Lies Between Us (2007). Pure per lei la rivendicazione della famiglia italiana è una mossa iniziale, ma poi rimane e sostanzia quasi tutta la sua opera. Pane e cioccolata è un film di italiani che si divertono agli aspetti strampalati delle migrazioni temporanee, delle quali comunque hanno intima conoscenza. In una intervista Manfredi asserisce di aver costruito il proprio personaggio attingendo ai ricordi del nonno e della madre vissuti una ventina d’anni negli Stati Uniti.

In queste distinte fasi dell’assunzione di una “faccia da italiano” gioca anche il reimpiego – di volta in volta rabbioso, ironico o addolorato − dello stereotipo appiccicato agli immigrati. Dopo essere stato sentito come offensivo e denigratorio, viene ripreso e capovolto, addirittura sfruttato quale compensazione, tanto che per molti italo-statunitensi vedere film di mafia è legato anche al piacere di sentire don Vito Corleone fare una offerta «che non si può rifiutare». Il ribaltamento è tuttavia un processo sempre in fieri perché nel tempo muta anche il modo nel quale una società ospite vede i propri immigrati.

Oggi è abbastanza evidente che nell’Occidente esiste una spinta generale al riconoscimento quanto meno della vecchia immigrazione, quella dei primi arrivati. Basti pensare al loro ruolo e a quello dei loro figli nelle squadre di calcio e nelle file dei tifosi di Belgio, Francia e Germania sin da anni ormai lontani: nel 1984 Vincenzo Scifo, giocatore dell’Anderlecht di origine italiana, debutta nella nazionale belga e in seguito gioca nell’Inter e in alcune squadre francesi, simboleggiando la nuova integrazione e la nuova mobilità dei figli di emigranti. Inoltre bisogna tener conto che ogni stereotipo non solo lavora ed è lavorato sui due fronti, ma ha origini molteplici ed è multi-focalizzato.

Nel corso dei capitoli precedenti abbiamo sottolineato come la valutazione dell’emigrante italiano risenta di quella dell’Italia da parte dei paesi d’immigrazione, ma dobbiamo notare come esista pure una svalutazione dell’emigrante da parte della Penisola. Diversi studi sulla letteratura italiana e sul cinema italiano relativi all’emigrazione rilevano come tanti stereotipi sugli espatriati trovino origine o conferma nei testi prodotti dalla stessa nazione da cui sono partiti. Sarebbe inoltre da tener conto di quanto i media italiani siano sorpresi quando gli emigrati o i loro discendenti non si conformano ai comportamenti aspettati. Basti pensare alla stupore dei nostri giornalisti quando, alle elezioni belghe del 2010, si sono trovati di fronte ad Elio Di Rupo, ad un tempo leader socialista e bandiera della francofonia vallone, orgoglioso delle proprie origini abruzzesi e delle proprie scelte sessuali. Al limite potremmo dire che l’emigrante o il suo discendente è oggi trattato peggio dagli antichi che dai nuovi compatrioti.

Insomma cercare di identificare i caratteri attribuiti a una “faccia da italiano” obbliga a tener conto di un’ampia gamma di comportamenti (e di attori) pronti a (ri)definire od usare gli stereotipi relativi. Significa anche aver sempre presente che alcuni di questi ultimi hanno una vita lunghissima e quindi hanno subito continue trasformazioni e hanno dato vita a veri e propri topos letterari: si pensi all’immagine dell’italiano rinascimentale pronto a tradire il proprio paese o i propri alleati, che abbiamo citato in ciascuno dei capitoli precedenti. Ovviamente la ricostruzione di queste figure letterarie non deve essere disgiunta dalle forme di discriminazione e persino di persecuzione concreta, pur se i due fenomeni solo a volte collimano. Il disprezzo francese verso Caterina de’ Medici e Concino Concini acquista un peso notevole non solo nel suo contesto originario, ma anche nelle riprese otto-novecentesche in genere legate ai picchi dell’ostilità verso gli immigrati.

Infine nel raccontare come nei secoli è reinventata la “faccia da italiano” bisogna ricordare il sovrapporsi delle ondate migratorie e il contrapporsi delle scelte degli immigrati. Nel capitolo precedente abbiamo menzionato il dibattito sulla sottocoltura dei Guido/Guidette e ricordato le osservazioni di Joseph Sciorra contro la leadership associazionistica italo-statunitense, nonché la contrapposizione fra italiani di nuova emigrazione negli Stati Uniti e il vecchio gruppo. Oggi Sciorra e gli altri blogger impegnati nel sostenere un nuovo modo di essere italo-statunitensi hanno un punto di riferimento consolidato nel progetto digitale i-italy (http://www.i-italy.org/), che espone le opinioni e i legami con l’Italia di una generazione fortemente scolarizzata. Lo stesso gruppo si riconosce in genere nella versione digitale del quotidiano “America oggi” (http://www.americaoggi.info/), divenuta una sorta di portale, mentre nascono studi sulle scelte politiche di chi non segue il vecchio associazionismo e i vecchi media della comunità nella loro deriva reazionaria. Le stesse divisioni sono leggibili in controluce nelle polemiche relative al voto all’estero delle ultime tornate elettorali.

Nel recupero odierno delle comunità italiane in nazioni quali la Svizzera, la Germania, la Francia, gli Stati Uniti e il Canada possiamo dunque avvertire la migliore opinione dell’Italia in quanto luogo di vacanze, di cultura, di ristorazione, la nuova familiarità con i nostri costumi, per esempio quelli culinari, ma anche una maggiore facilità di rapporti grazie a una recentissima migrazione che si pone a un livello più alto della precedente e che sfrutta gli attuali meccanismi d’inserimento per il lavoro mobile, soprattutto se specializzato. Il nuovo emigrante non ha più tanti problemi di discriminazione, quanto piuttosto la possibilità di essere truffato, come fosse un ricco turista. Lo dimostra il dibattito sui tassisti che sovraccaricano il prezzo delle corse dall’aeroporto nel sito degli italiani a Barcellona (http://vivereabarcellona.com/).

Matteo Sanfilippo, Faccia da italiano, Roma, Salerno Editrice, 2011, 146 pp., isbn 978-88-8402-715-3

Indice

Introduzione

Capitolo I: Pidocchi e sanguisughe: le radici di antico regime della discriminazione

Capitolo II: Dall’anti-italianismo ai pogrom: il lungo Ottocento

Capitolo III: Brutti sporchi e cattivi: gli italiani nel primo Novecento

Capitolo IV: Dalla discriminazione all’accettazione?

Conclusione (l’integrazione tardo novecentesca in quanto europei)