Intervista a Toni Ricciardi

Toni Ricciardi, che ha collaborato alla nostra rivista con un intervento sull’emigrazione dalla provincia di Avellino, ha conseguito un dottorato di ricerca in Storia dell’Europa moderna e contemporanea presso l’Università di Napoli L’Orientale e si è specializzato nella storia degli italiani in Svizzera durante il secondo dopoguerra, con particolare attenzione al mondo dell’associazionismo migratorio. Nel 2010 ha vinto una borsa di ricerca presso lo Schweizerisches Sozialarchiv di Zurigo  con un progetto su La Federazione delle Colonie Libere Italiane in Svizzera dans les années 1970 et 1980: Une analyse de ses stratégies face à la transformation socio-démographique de la migration italienne et le changement des politiques migratoires suisses. Dal 2011 è ricercatore presso l’Università di Ginevra, nel Dipartimento di scienze economiche e sociali, ed attualmente è impegnato nel progetto Mattmark 50 anni dopo. Il suo interesse per la Svizzera ha già prodotto alcune pubblicazioni: in particolare le schede per la Migrantes apparse su Rapporto Italiani nel Mondo 2009-2012 e il saggio sui bambini clandestini, figli di stagionali, pubblicati su “Studi Emigrazione”, 180 (2010).

 

La sua attenzione alla Svizzera e al mondo associativo in emigrazione è invece esemplificato dal recentemente apparso Associazionismo ed emigrazione. Storia delle Colonie Libere e degli italiani in Svizzera, Laterza, Roma-Bari, 2013. Il libro ha avuto un’accoglienza particolarmente favorevole (si vedano le recensioni a http://www.toniricciardi.it/) e ha identificato alcuni punti importanti della nuova ricerca sulla Svizzera. Gli chiediamo dunque si indicarci quali erano gli obiettivi della pubblicazione

Il mio lavoro aveva e ha un triplice obiettivo. In primo luogo, vuole raccontare e descrivere la nascita, lo sviluppo e l’evoluzione della lunghissima storia delle Colonie Libere italiane in Svizzera, che nel 2013 hanno compiuto 70 anni. In secondo luogo, vuole, attraverso questa chiave di lettura, di colmare il vuoto storiografico italiano, per quanto concerne la direttrice migratoria verso la Svizzera. Da questo punto di vista, se negli ultimi anni, soprattutto a partire dal 2000, si è vissuto un nuovo slancio per quanto riguarda gli studi e le ricerche sul fenomeno migratorio italiano, con una crescente attenzione per la fase a noi più vicina, quella del secondo dopoguerra, continua a persistere la lacuna nei confronti del fenomeno diretto in Svizzera. Di fatto, la storiografia nazionale, si è molto concentrata sia sui cosiddetti Paesi di vecchia emigrazione (USA, Argentina, Brasile e Francia) sia sulle direttici europee più recenti (Belgio, Francia e soprattutto Germania), ma attualmente non esiste una monografia sull’emigrazione italiana in Svizzera nel secondo dopoguerra. Nonostante la comunità di italiani presenti nella Confederazione elvetica (oltre 530mila) rappresenti la terza comunità di italiani nel mondo e, nonostante che, dal 1946 al 1976 la Svizzera abbia assorbito da sola quasi il 50% del flusso migratorio italiano. Infine vuole contribuire ad avviare il dibattito sull’associazionismo in emigrazione, che è caratteristica quasi unica nella storia dell’emigrazione. Nessun Paese, di quelli che nelle diverse epoche hanno contribuito alle migrazioni internazionali, come l’Italia, ha saputo sviluppare una rete associativa così ricca di storie e di specificità. In questo la storia delle Colonie Libere, rappresenta di per se un unicum senza precedenti nella storia dell’associazionismo in emigrazione. Di fatto, essa nasce e si sviluppa interamente all’estero ed è presente esclusivamente in Svizzera, e non viene, come in altri casi (emblematico quello delle ACLI) esportata dall’Italia.

 

Come hai proceduto nel tuo lavoro di ricerca?

L’attività di ricerca è durata quasi cinque anni. Nei primi ho lavorato al dottorato e ho preparato la tesi Associazionismo ed emigrazione. L’esperienza della FCLIS e gli italiani in Svizzera (1945-1975). Poi grazie al sostegno dello Schweizerisches Sozialarchiv di Zurigo e dell’Università di Ginevra ho potuto estendere l’arco temporale. Alla fine ho potuto ripercorrere tutta la documentazione contenuta sia nel fondo delle Colonie Libere lo Schweizerisches Sozialarchiv, sia nell’archivio non versato della Federazione stessa, sempre a Zurigo.

 

Cosa hai desunto dalla tua ricerca a tappeto?

Sostanzialmente ho identificato tre periodi di sviluppo delle Colonie Libere (e di tutta l’emigrazione italiana in Svizzera). Il primo comincia nel 1925 – anno di fondazione della prima Colonia Libera a Ginevra, alla quale seguirà nel 1930 quella di Zurigo – e dura fino a tutto il fascismo in Italia. Questa fase è caratterizzata dalla forte presenza degli esuli e degli antifascisti presenti in Svizzera, i quali gettano le basi per la futura costruzione della Federazione. Il secondo inizia dalla fine del 1943, quando viene fondata la Federazione delle Colonie Libere Italiane in Svizzera, e si protrae sino alla seconda metà degli anni Sessanta. È utile sottolineare come, dopo l’8 settembre 1943, i dirigenti delle Colonie sono una delle prime aggregazioni all’estero dell’emigrazione italiana, la quale, riprende in maniera straordinariamente vivace di lì a qualche mese. Gli anni 1943-1965, analizzati in due capitoli consecutivi, costituiscono dunque il momento più significativo dell’azione della Federazione. Nata con l’esigenza di assicurare una rappresentanza unitaria di tutti gli italiani, si inserisce in un contesto associativo abbastanza sviluppato a partire da metà anni Venti. In questa fase la FCLIS si presenta già come l’organizzazione di massa capace di coinvolgere, inizialmente nel nome della lotta al fascismo, tutta l’emigrazione italiana in Svizzera. Inoltre, l’associazionismo, sviluppatosi nel territorio elvetico a partire dalla fine del conflitto mondiale, è una peculiarità dell’emigrazione italiana, le cui cifre raggiungono il loro apice storico negli anni Sessanta. Sono diverse le strutture che si ramificano nel territorio attraverso una rete ben articolata in ambito politico, sociale, religioso, ma anche ricreativo o sportivo. Per sottolineare il grado di strutturazione della Federazione, si tenga presente che nel 1968 comprende 116 colonie sparse sull’intero territorio elvetico, 17.000 iscritti, 63 biblioteche, 4 cineclub e 30 squadre di calcio. La terza e ultima fase, a mio avviso ancora in corso, parte contestualmente, da un lato, ai movimenti xenofobi del decennio 1965-1975 e, dall’altro, alla crisi economico-finanziaria della prima metà degli anni Settanta che porta progressivamente alla fine del fordismo, quale modello trainante del capitalismo occidentale. In questo periodo vediamo le prime forme di collaborazione tra le associazioni degli immigrati, i sindacati e le associazioni svizzere e contemporaneamente i cambiamenti nel tessuto sociale e associativo dell’emigrazione italiana in Svizzera dopo la crisi industriale degli anni 1970. Di fatto assistiamo e stiamo assistendo al progressivo passaggio da una politica di sindacalizzazione e rivendicazione diretta verso l’Italia a una essenzialmente mirata verso la Svizzera.

 

Quali sono i tuoi nuovi progetti di ricerca?

Sono impegnato nel progetto Mattmark 50 anni dopo per il quale sto coordinando un’analisi di tutte le maggiori tragedie minerarie dell’emigrazione italiana, non solo Mattmark (1965) dunque, ma anche Marcinelle (1956), per restare in Europa, nonché alcune di quelle americane (Monongah in Virginia, 1907, e Dawson nel Nuovo Messico, 1913). Inoltre ho appena finito un lavoro su Il Corriere degli Italiani. Cinquant’anni dalla parte dei migranti, che verrà pubblicato dalla casa editrice Tau di Roma