Religione e società nelle Little Italies statunitensi (1876-1915). Una rassegna tra studi e fonti

  1. Premessa

L’emigrazione italiana negli Stati Uniti è un fenomeno che prende avvio già in età moderna. Tuttavia vi è una differenza qualitativa oltre che numerica tra l’emigrazione prima e dopo il 1876. L’emigrazione successiva a tale data, anche se in maniera graduale, assume nel suo insediamento in terra statunitense la forma particolare dell’enclave etnica, nota negli Stati Uniti e nei paesi anglosassoni in generale come Little Italy. Le esperienze di migranti e viaggiatori prima del 1876 sono invece esperienze per lo più isolate, legate a casi di dissidenza politica o eterodossia religiosa[1]. La produzione letteraria e le fonti storiche a cavallo tra le due epoche declinano questa differenza. Gli Italian-American (d’ora in poi IA) Studies, da intendersi come ambito di indagine e non come disciplina autonoma, nascono dall’interesse verso un’esperienza migratoria collettiva, e quindi politica, che storicamente si costruisce dopo la data del 1876.

Non volendo rendere conto della sterminata produzione in un contesto ampio come quello dell’emigrazione italiana negli USA, nella seguente rassegna di studi ho voluto dare attenzione alle ricerche e alle opere che, oltre a essere direttamente collegate con la questione religiosa italiana, toccano due altri punti chiave: l’organizzazione sociale delle comunità italiane negli USA e la questione etnica in rapporto al processo storico di assimilazione/americanizzazione degli immigrati. Per quanto riguarda il penultimo paragrafo (4.2), ho ritenuto utile far riferimento anche ad opere a carattere più generale sulle migrazioni italiane negli Stati Uniti, certo che alcune di queste rappresentino la base indispensabile rispetto a ricerche più specifiche di ambito religioso.

Nel redigere il seguente articolo mi sono avvalso della compilazione, ormai lontana nel tempo, di alcune importanti rassegne bibliografiche americane sugli IA Studies[2]. Il principale obiettivo di questo saggio è quello di aggiornare tali rassegne, sperando che possa risultarne uno strumento utile per future ricerche sul tema della religione e della società nelle Little Italies. Al tempo stesso una rassegna che riunisse insieme la storiografia statunitense e italiana non era stata ancora prodotta, nonostante ormai da tempo gli studiosi dei due continenti abbiano iniziato a confrontarsi. È sembrato il caso di ottemperare a tale mancanza, producendo tuttavia un saggio leggero, sintetico per la trattazione e tuttavia denso per la mole dei riferimenti.

 

  1. All’origine degli studi (1886-1921)

L’origine dell’interesse storico sull’esperienza migratoria italiana negli Stati Uniti può essere ricondotta ad ambiti distinti: l’ambito ufficiale dei primi documenti prodotti dalle agenzie del governo americano e da specifiche istituzioni statunitensi, esterno alla comunità italiana; l’ambito religioso che ha come protagonisti le congregazioni religiose cattoliche e le missioni protestanti, che attraversa le comunità; quello della prima letteratura italo-americana, che tramite generi letterari diversi indaga sul vissuto e sull’organizzazione delle Little Italies; quello di poco successivo delle opere apologetiche e dei primi studi commissionati dalle Chiese. Tutti gli ambiti fanno riferimento al bisogno in età contemporanea di comunicare, comprendere e intervenire sulla questione italiana in America.

 

2.1     La necessità di amministrare. Le indagini del governo americano

I documenti ufficiali del governo e delle amministrazioni statunitensi fanno riferimento fin da fine Ottocento alla cosiddetta questione italiana. Con questo termine si indicavano le problematiche collegate all’insediamento delle comunità migranti italiane nelle aree urbane degli Stati Uniti. Dove gli italiani ebbero modo di rendersi autosufficienti, è il caso soprattutto delle zone rurali e agricole, la questione italiana non arrivò quasi mai[3]. Al fine di dotare i propri funzionari e quelli delle municipalità di strumenti di intervento validi, furono prodotti numerosi dossier sugli italiani. Tali dossier furono prodotti anche in Italia (celebre ad esempio il lavoro del senatore Luigi Bodio), dove però l’attenzione dello Stato fu rivolta quasi esclusivamente alle analisi delle ripercussioni del fenomeno migratorio nell’Italia stessa[4].

The Italian in America è forse uno dei primi di tali dossier[5]. Curato da esponenti di spicco dell’amministrazione del tempo, è parte di una serie di studi governativi sulle etnie e nazionalità che a inizio secolo stavano riscrivendo il profilo razziale degli USA. Presenta statistiche dettagliate sulla presenza e la condizione italiana nelle metropoli e nelle campagne americane, oltre che una analisi circa le sfide che la riguardavano. Il Dictionary of Races and People invece è uno dei volumi del rapporto della Immigration Commission of the Senate of the United States of America guidata dal senatore William Dillingham. È un dizionario comparativo delle razze e dei popoli presenti negli USA, compilato secondo gli standard scientifici del tempo ma per un utilizzo pratico, destinato alla pubblica amministrazione americana. È uno strumento chiave per comprendere l’analisi razzista dominante a quel tempo, e la modellizzazione dei pregiudizi razziali (pseudoscientifici) legati agli italiani:

 

 

Indeed, the foremost Italian ethnologist, Sergi, traces their origin [inteso degli italiani] to the Ilamitic stock (see Semitic- IIamitic) of North Africa. It must be remembered that the Hamites are not Negritic or true African, although there may be some traces of an infusion of African blood in this stock in certain communities of Sicily and Sardinia, as well as in northern Africa[6].

 

Tali studi assunsero l’obiettivo a lungo termine di promuovere l’americanizzazione degli immigrati. D’altronde l’idea di una coesistenza pacifica tra identità etniche forti era considerata impossibile e pericolosa. Il paradigma del melting pot rappresentava invece un percorso di fusione e di abbandono dei precedenti retaggi culturali. The Italian in Chicago, indagine portata avanti dal Bureau of Surveys of the Department of Public Welfare e pubblicata nel 1919, esplicita tale funzione dei dossier:

 

The Commissioner believes that in no way can the Department render greater or more intelligent service to the people of Chicago, and especially the foreign population, than by such Surveys. The study, interpretation and presentation of accurate and scientific fact and figures pertaining to the environment, home and economic life of these groups give to the city and intelligent background for its various programs of community service and stimulates and aids the many groups in their efforts to become more intelligent and loyal American citizens[7].

 

 

2.2     La questione religiosa: assistenza cattolica e proselitismo evangelico

Nelle Little Italies statunitensi si incrociarono opere e congregazioni cattoliche e Chiese e missioni protestanti. I loro sforzi iniziali furono quelli di aprire nuove parrocchie, fondare scuole domenicali e tenere le statistiche delle proprie missioni. Abbiamo a disposizione diverse fonti relative ad entrambe le parti: memorie e biografie di pastori o preti, registri delle parrocchie, corrispondenze interne alle gerarchie ecclesiastiche. Sono documenti e fonti legate direttamente all’attività ecclesiastica. Queste testimoniano una prima fase del lavoro dominata dalla percezione di uno “stato di emergenza” dovuto all’emigrazione italiana e priva di una prospettiva a lungo termine nonché di una analisi compiuta.

Da parte cattolica vi è da segnalare prima di tutto le opere del fondatore dei missionari di San Carlo, Giovanni Battista Scalabrini[8]. Vi sono poi le fonti relative alla Saint Raphael’s Society di New York e Boston, disponibili presso il Center for Migration Studies di New York. Tra queste spiccano i reports annuali dal 1892 al 1922, le lettere di Scalabrini al vescovo Corrigan, la corrispondenza di quest’ultimo relativa agli italiani e quella della società con Propaganda Fide. Vi sono poi i reports delle singole parrocchie nella arcidiocesi di New York, disponibili presso gli archivi della stessa. Una ottima guida allo studio delle fonti ecclesiastiche disponibili a Roma è apparsa in due numeri monografici di “Studi Emigrazione” curati da Matteo Sanfilippo e Giovanni Pizzorusso[9]. Infine la carta stampata cattolica documenta la percezione di emergenza e la paura per la conversione dei propri immigrati. Ad esempio una serie di editoriali apparsi su “The Catholic Citizen of Milwaukee”, tra l’ottobre e il novembre 1913, ammoniva circa l’abbandono della fede cattolica da parte di almeno uno su tre milioni di italiani giunti negli Stati Uniti nei precedenti quindici anni[10].

Fare una rassegna completa delle fonti e della documentazione in ambito protestante sarebbe più difficile, perché significherebbe riconnettersi a vicende distinte, a strutture storicamente separate e indipendenti tra loro. Una catalogazione del genere non è ancora stata fatta. Qui mi limiterò a un breve resoconto delle fonti in ambito metodista episcopale, ambito di cui mi sono già occupato in passato. A tal proposito vi sono da segnalare prima di tutto i rapporti e i verbali delle missioni di assistenza ed evangelizzazione degli italiani[11]. Utili sono anche i resoconti e le statistiche presenti nei volumi delle riunioni annuali dei distretti della Methodist Episcopal Church e quelle generali a cadenza quadriennale[12]. Tra i periodici sono da segnalare: “La Rivista Evangelica”, il settimanale “La Fiaccola”, “The Christian City” e “The Christian Advocate”. La Church File Collection della General Commission on Archives and History, (d’ora in poi GCAH) curata da Jocelyne Rubinetti e Chrstopher J. Anderson contiene il materiale documentario relativo alle singole chiese metodiste, appartenenti non solo alla MEC, ma anche alle altre denominazioni metodiste, tra cui quelle minori. I GCAH archives di Madison (New Jersey) dispongono di numeroso materiale fotografico prodotto dai vari pastori e missionari durante il loro lavoro missionario. Esso è conosciuto come The Missionary Scrapbook Collection e fa parte della più vasta Mission Education and Cultivation Program Department of the General Board of Global Ministries Collection[13].

 

2.3     Il desiderio di raccontare. Giornalismo e genere biografico.

La maggior parte degli emigrati italiani erano analfabeti. La quasi totalità della produzione che ci è arrivata è stata dunque scritta dagli individui più istruiti e meglio integrati nel tessuto americano[14]. Ne è un esempio Amy Bernardy[15]. Intellettuale, figlia del console americano a Firenze, studiò nel capoluogo toscano dove si laureò con Pasquale Villari. La sua produzione nasce inizialmente da un personale interesse per i viaggi e il giornalismo, ma si intreccia subito con lo studio più sistematico dell’esperienza italiana negli Stati Uniti. Un volume dato alle stampe nel 2005 e curato da Maddalena Tirabassi ha riunito e presentato i suoi scritti sulle migrazioni[16].

Fonti biografiche privilegiate sono le autobiografie di Arrighi e Panunzio. In The Story of Antonio, Antonio Arrighi ricostruisce la sua vicenda personale a cavallo tra Italia e Stati Uniti: prima suonatore di tamburi nelle file dei garibaldini, poi predicatore a Firenze e infine pastore fra i propri connazionali a New York[17]. Nella sua autobiografia oltre al tema dell’impegno politico nei due mondi, emerge la questione religiosa tra gli italiani negli Usa.

Tale tema affiora anche in Costantino Panunzio, autore di The Soul of an Immigrant[18]. Nato a Molfetta in Puglia il 25 ottobre del 1884, emigrò negli Stati Uniti nel 1904, sprovvisto come molti altri suoi connazionali di una istruzione e di prospettive lavorative certe. Nel 1905 entrò a far parte della Italian Mission della United Methodist Church a Portland, nel Maine, sperimentando all’interno della chiesa metodista le stesse contraddizioni che aveva vissuto fuori. Fu protagonista di un eccezionale percorso accademico. Nel 1911 si laureò alla Wesleyan University di Boston, pochi anni dopo ricevette la laurea in teologia alla Boston University, e divenne quindi professore di sociologia alla UCLA di Los Angeles. La sua autobiografia è una fonte importante per comprendere lo scontento degli immigrati italiani riguardo le missioni di evangelizzazione protestanti, nel suo caso metodiste, ed il loro rapporto strumentale rispetto a esse.

Tale materia è presente anche nelle due opere di un suo collega più anziano, Gaetano Conte, pastore metodista episcopaliano a Boston fin dal 1893, uscito dalla missione metodista per immigrati di Boston nel 1911 a causa del suo forte scontento. Si convertì all’unitarianesimo e tornato in Italia fondò la rivista “La Riforma Italiana” dove scrisse anche il modernista Romolo Murri. Conte ci lascia due opere scritte ad inizio Novecento, la prima delle quali impostata sul modello memorialistico[19].

 

2.4     Le opere di legittimazione a carattere apologetico

Molti dei primi studi hanno come finalità la legittimazione della presenza italiana negli USA. In Cinquant’anni di vita italiana in America Alfredo Bosi si prefigge di documentare la grande importanza del contributo italiano negli Stati Uniti, fin dai tempi di Colombo, e al tempo stesso di sfatare il mito dell’emigrazione come tradimento alla Patria[20]. Fra i suoi destinatari vi è il re Vittorio Emanuele, che lo ricevette in privato nel gennaio 1901, al quale si rivolge con l’intento di comprovare la fedeltà e l’alto contributo degli italiani all’estero.

In verità le opere apologetiche avranno sempre un forte successo anche in periodi “non sospetti”, proprio perché gli italiani sentiranno sempre il bisogno di difendersi da alcune accuse e di rilanciare il proprio contributo nella storia americana:

 

La volontà esplicita di smentire questi stereotipi da parte di alcuni intellettuali appartenenti alla comunità italo-americana determinò i primi tentativi di produrre una riflessione storiografica articolata sull’immigrazione italiana negli Stati Uniti. In particolare, nel ventennio precedente lo scoppio del secondo conflitto mondiale e nel dopoguerra, soprattutto storici come John H. Mariano, Giovanni Ermenegildo Schiavo e Howard R. Marraro redassero un’ampia messe di saggi con il duplice scopo dichiarato di attestare la presenza di immigrati italiani fin dal periodo coloniale, in modo da confutare la primogenitura esclusiva della componente anglo-sassone, e di dimostrare il significativo contributo degli italo-americani – da Filippo Mazzei, amico di Thomas Jefferson e presunto ispiratore del preambolo della Dichiarazione d’Indipendenza, ad Antonio Meucci, inventore del telefono – allo sviluppo culturale, politico, economico, sociale e perfino tecnologico degli Stati Uniti, in contrapposizione ai luoghi comuni che li caratterizzavano[21].

 

Il profilo di continuità tra le cronache migratorie e i primi studi è il pietismo che le accompagna, lo sguardo dall’interno al fenomeno migratorio, la finalità a breve periodo, come si evince da Enrico Sartorio:

 

I am writing in an endeavor to show things as I see them. The American public has read books on immigrants which were written from the Anglo-Saxon viewpoint, books that were more or less the result of outside study or of a short time spent among foreigners in America. My viewpoint is that of a fan Italian; of a foreigner who came to America already a young man. I write from within, striving to show how a foreigner feels[22].

 

La maggior parte di questi studi usano il determinismo etnico-razziale vigente all’epoca per rovesciare gli stereotipi: gli italiani sono bravi per natura, è solo l’ambiente che li rovina. Si prenda ad esempio un passaggio di Giovanni Schiavo, membro del dipartimento di sociologia a NYU, tratto dalla sua opera The Italians in Chicago: A Study in Americanization:

 

The Sicilian is by nature chivalrous and polite. What in other nationalities is the product of breeding or education, in the Sicilian is innate. It is only when the Sicilian acquires the “manners” of the people he comes in contact at the market or at the factory that the Sicilian loses some of his inborn courtesy[23].

 

2.5     Gli studi commissionati dalle chiese

Come accennato, la strategia iniziale delle chiese ebbe come obiettivo la rapida conversione o conservazione del profilo religioso degli immigrati. Solo in un secondo momento, che varia cronologicamente a seconda delle zone, le chiese iniziano a promuovere una riflessione compiuta sul fenomeno che stanno attraversando. Nascono cosi numerosi studi commissionati dalle varie denominazioni finalizzati ad una maggior comprensione delle comunità italiane. Alcuni di questi sono destinati alle Theological Schools americane. Ad esempio un immigrato di prima generazione come il già citato Sartorio raccolse le proprie lezioni alla Cambridge Episcopal Theological School del 1917 e le pubblicò l’anno dopo nel volume Social and Religious Life of Italians in America. Similmente a quanto farà Costantino Panunzio nel 1922, denunciando nella sua biografia il pregiudizio anti-italiano in seno alle missioni metodiste di cui fu pastore, Sartorio cerca di convincere la platea episcopale.

Il caso di Sons of Italy. A social and religious study of the Italians in America, pubblicato a New York, è speculare. L’autore, Antonio Mangano, fu direttore dell’Italian Department del Colgate Theological Seminary metodista di Brooklyn. Nel suo libro appare un ampio resoconto del lavoro delle chiese protestanti per evangelizzare gli italiani cattolici negli Stati Uniti e viene data ampia prova della potenziale fedeltà degli italiani alla democrazia americana. Riprendendo un lavoro di indagine fatto sui polacchi due anni prima, Mangano nello stesso anno produce un volume di studi per l’Immigrant Work Committee of the Home Missions Council, organizzazione missionaria che riuniva tredici delle principali denominazione protestanti statunitensi. Il volume rappresentò uno dei primi documenti destinati al lavoro evangelico delle confessioni protestanti degli Stati Uniti[24].

In ambito congregazionalista si segnala l’opera di Philip Rose The Italians in America (1922). Rose fu supervisore della missione italiana congregazionalista nel Connecticut e pastore della First Italian Congregational Church di Hartford. La sua opera, parte di una serie più ampia sulle varie etnie immigrate, fu commissionata dall’Interchurch World Movement all’inizio del decennio 1920:

 

It is confidently believed that this series will help America to appreciate and appropriate the spiritual wealth represented by the vast body of New Americans, each group having its -own peculiar heritage and potentialities ; and will lead Christian America, so far as she will read them, to become a better lover of mankind[25].

 

  1. L’affermazione dell’interesse accademico (1921-1970)

La nascita dell’interesse accademico è parallela in molti casi alla produzione delle indagini governative, dei documenti ecclesiastici e delle altre fonti storiche, ed è conseguenza dei mutamenti politici nella storia americana[26]. L’approvazione del Quota Act del 1921 e le successive modifiche nel 1924 – insieme all’arresto di alcuni flussi migratori tra cui in primis quello italiano, a causa della politica anti-migratoria fascista – permisero alla società americana di uscire lentamente dalla percezione di uno stato d’emergenza e di placare numerosi conflitti sociali. Nelle università statunitensi si fece spazio per una riflessione autonoma dai problemi e dall’agenda quotidiana, riflessione che invece in Italia arriverà solo cinquant’anni dopo. Nel luglio 1921 Schlesinger pubblicava sull’“American Journal of Sociology” un articolo dal titolo The Signification of Immigration in American History in cui per la prima volta indagava le origini miste della popolazione americana, in opposizione al mito delle origini puramente anglosassoni, e il contributo politico degli immigrati alla democrazia americana fin dal periodo coloniale[27]. Dopo di lui numerosi storici si cimentarono nell’analisi del fenomeno migratorio negli Stati Uniti: Marcus Hansen, Theodore Blegen e Carl Wittke.

Anche nel dopoguerra l’attenzione al tema dell’emigrazione europea e italiana provenne quasi esclusivamente dagli Stati Uniti. Thistelthwaite spiegò tale fenomeno alla luce del maggiore interesse europeo per la storia politica rispetto a quella sociale, anche in campo marxista. Anna Maria Martellone cercò di spiegare tale distanza tra Italia e Stati Uniti alla luce del senso di colpa e di inferiorità degli studiosi europei:

 

Non c’è dubbio che gli storici europei hanno a lungo sofferto di un complesso di inferiorità e di colpa nazionale nei confronti dell’esodo dai loro rispettivi paesi di centinaia di migliaia di individui costretti a lasciare la patria dalla povertà e spesso anche dalla persecuzione religiosa e politica. Quanto più un paese è stato terra d’emigrazione, tanto più a lungo i suoi storici hanno dato poco rilievo al fenomeno[28].

 

Il merito di avere portato alla ribalta gli studi etnici fu di Oscar Handlin, professore ad Harvard per oltre cinquant’anni e premio Pulitzer nel 1952 con l’opera The Uprooted[29]. Il contributo di Handlin è in linea con quello di numerosi altri studiosi che vengono inseriti nella cosiddetta “new social history”, corrente che si focalizzò sullo studio dei ghetti, degli strati sociali subalterni, della mobilità. Fino alla anni metà degli anni Sessanta del Novecento la comunità accademica statunitense fu convinta della capacità della società americana di trasformare i propri immigrati, considerando inevitabile la progressiva assimilazione culturale di questi ultimi.

Come rilevato successivamente da Ruldoph Vecoli, la dimensione etnica è stata per lungo tempo una “neglected dimension of American history”[30]. Vecoli criticò Handlin proprio sulla questione dell’approdo e del carattere della dimensione etnica degli immigrati. Per Handlin gli immigrati, in quanto socialmente sradicati (“uprooted”), sarebbero stati esclusi da qualsiasi protagonismo politico nella società americana. Le comunità migranti, e le parrocchie che li riunivano, rappresentavano una situazione limbo in vista dell’assimilazione. La loro integrazione passava per l’accettazione dei valori dominanti della società wasp americana e per il rifiuto delle proprie tradizioni ancestrali. Per Vecoli invece l’etnicità continuava a “sgorgare” viva in ogni tratto della società americana contemporanea anche a distanza di tempo dall’insediamento delle comunità. Egli fece parte di una vera e propria rivoluzione che attraversò gli studi storici negli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta e per tutti gli anni Settanta del secolo scorso, e che consistette nella rivalutazione del ruolo politico delle classi sociali non egemoni quali gli schiavi, i neri liberi, i servi a contratto, i lavoratori non qualificati e non ultimi gli immigrati. Non si trattò dunque di una questione di mero interesse storiografico, ma di una diversa considerazione dei ruoli storici delle classi subalterne.

Vecoli fu protagonista di tale rivoluzione. Fu lui a contestare e superare il vecchio schema storiografico che voleva gli immigrati attori passivi della storia americana. Come ha osservato George Pozzetta, l’importanza di Vecoli travalica il campo degli studi italo-americani:

 

On a more interpretive level, studies of Italians have been prominent in many of the critical debates shaping the field of immigration history. Rudolph J. Vecoli’s seminal 1964 article on Italians in Chicago began a wide-ranging reassessment of both immigrants and immigration by scholars[31].

 

Fin dal suo Contadini in Chicago[32], citato da Pozzetta, Vecoli ha saputo evidenziare nella storia sociale americana le matrici e le forme di sopravvivenza delle culture del Vecchio Mondo, in primis quella italiana, demolendo il vecchio paradigma assimilazionista. Nonostante non siano mancati tentativi di ribadire il vecchio schema handliano, la storiografia successiva ha di fatto confermato le tesi di Vecoli[33].

Il contributo di Rudolph Vecoli è stato ricostruito in un volume recentemente pubblicato, curato da Franzina, Lombardi e Sanfilippo:

 

[…] da un lato Vecoli ha concorso al superamento della precedente lettura agiografica sugli italo-americani; dall’altro, ha formulato un importante paradigma interpretativo applicabile non solo all’immigrazione italiana, ma estendibile anche ad altre minoranze nazionali di ascendenza diversa da quella anglo-sassone[34].

 

Vecoli è stato anche autore di un importante volume sugli insediamenti italiani nelle zone rurali e nelle piccole città degli Stati Uniti, generalmente poco studiati. Ha documentato altresì il lavoro degli italiani nelle fattorie e piantagioni, nei cantieri delle ferrovie[35] ed ha prodotto un trattato locale sull’immigrazione in New Jersey e sugli italiani in Minnesota, stato da cui proveniva[36]. Nel 1965 fondò l’Immigration History Research Center presso l’Università del Minnesota, che diresse per decenni. Gli fecero eco altri importanti istituti e centri che svolsero, e talora svolgono ancora, attività di ricerca in ambito migratorio: il Center for Migration Studies di New York, il Balch Institute di Filadelfia, il Research Institute on Immigration and Ethnic Studies di Washington.

 

  1. Il dibattito negli ultimi decenni (1970-2014)

La mole di studi e ricerche prodotte dagli anni Settanta del Novecento in poi è notevole. L’interesse statunitense per gli studi etnici emerso negli anni Sessanta non si è d’altronde fermato e dall’altra parte in Italia gli studi migratori hanno iniziato ad essere percepiti come estremamente attuali, in particolare dalla fine degli anni Novanta[37]. Le ricerche si sono mosse su diverse direttrici che intendo trattare in maniera separata analizzando i differenti contesti in cui sono state prodotte: quello accademico statunitense e quello italiano. Una tale suddivisione non rispecchia mere ragioni di ordine geografico. Reti di studiosi, a distanza di migliaia di chilometri, sembrano essersi soffermate in passato su aspetti diversi, adottato metodologie differenti e risposto a stimoli dissimili. Si hanno dunque due filoni distinti. Solo per fare un esempio, l’ambito accademico americano ha indugiato sugli studi locali e regionali, cercando spesso di ricomporre le reti e i conflitti delle singole comunità italiane. Gli studiosi italiani invece hanno sempre guardato all’emigrazione italiana come a un fenomeno generale, letto nel complesso, avente come riferimento costante le dinamiche politiche ed economiche della Penisola. In tal senso hanno dato maggiore attenzione alla provenienza regionale delle comunità più che alla loro destinazione specifica, arrivando a creare modelli migratori regionali. Oggi tale tendenza sembra sfumata e importanti iniziative transnazionali di studi, la pubblicazione di opere a più mani nonché lo scambio costante fra riviste e centri studi hanno invertito la tendenza, collegando quando possibile le comunità accademiche dei due continenti.

 

4.1.    Studi e ricerche negli Stati Uniti

In ambito statunitense una prima direttrice è stata quella degli studi manualistici, che hanno tentato di aggiornare il quadro dell’esperienza italoamericana. Tra le opere che si sono segnalate per lo sforzo di sintesi vi è il volume di Luciano J. Iorizzo e Salvatore Mondello, The Italian Americans, il quale riporta i risultati di molte ricerche condotte fino al 1980 e include una parte sull’immagine degli italiani nella cultura popolare americana[38]. Alexander DeConde ha scritto una delle più ampie panoramiche sull’esperienza italoamericana, riguardante sia l’aspetto culturale sia quello delle relazioni estere tra Stati Uniti e Italia[39]. Una ampia collezione di saggi, in onore del pedagogista italoamericano Leonard Covello, è stata curata da Francesco Cordasco nel volume Studies in Italian American Social History: Essays in Honor of Leonard Covello[40].

Un’altra direttrice, praticata anche da studiosi italiani, è stata sicuramente quella tematica. Parliamo di studi mirati ad individuare aspetti precisi della più generale presenza italiana negli USA: politici, sociali, economici, religiosi. In tal caso la produzione ha spaziato da studi sulla criminalità a ricerche sulla partecipazione e l’inserimento delle comunità italiane nei meccanismi elettorali delle grandi metropoli, da saggi sullo sviluppo delle importazioni economiche a quelli sull’affermazione del marchio “made in Italy”.

Più interessante per una rassegna di tipo storico-religioso è la direttrice regionale e locale. In tal caso ci troviamo di fronte a studi settoriali su singoli stati, su aree rurali, o addirittura su singole comunità italiane facenti riferimento a una parrocchia o a una ristretta zona di influenza. Il merito di tali studi è stato quello di individuare l’aspetto dinamico delle comunità e di testare sul campo alcune tesi della più generale storiografia sugli italiani. Non è da tacere il fatto che alcuni di questi studi ripropongono più o meno indirettamente l’esigenza di legittimare la presenza italiana non più, o non tanto, sul piano razziale, ma da un punto di vista politico.

Nonostante gli storici abbiano largamente accettato la validità della tesi della continuità culturale, essi hanno continuato a dibattere su quali siano stati precisamente gli strumenti attraverso i quali il cambiamento sociale e il processo di acculturazione si siano affermati nelle comunità migranti. Il campo di prova sono stati spesso gli studi locali. La ricerca di Virginia Yans-McLaughlin sugli italiani a Buffalo, riprendendo le tesi di Vecoli, decostruisce la presunta disorganizzazione degli immigrati, ma critica la tesi di una persistenza culturale perfettamente lineare. Le culture migranti, afferma, non si trapiantano identiche nel Nuovo Mondo in maniera lineare. Yans-McLaughlin ha postulato una relazione dialettica, un “dynamic process of give and take between new conditions and old social forms”[41]. In questo contesto i migranti sono visti come soggetti e non vittime del processo di migrazione.

La ricerca storica di Dino Cinel From Italy to San Francisco: The Immigrant Experience[42] ha attestato la riproposizione tra gli italiani di San Francisco dei vecchi modelli sociali della Penisola nella scelta degli insediamenti e anche nelle carriere professionali, in linea con la tesi del trapianto culturale che anche io intendo percorrere. Come egli stesso scrisse, con una certa ironia, nel caso dei migranti italiani: “the most radical change is brought about by people who try to preserve some cherished tradition”[43]. La stessa comunità, con attenzione maggiore alla migrazione dal nord Italia, è stata studiata anche da Deanna Gumina e Rose Scherini[44].

La forza dei legami del Vecchio Mondo e delle tradizioni pregresse al fenomeno migratorio è evidenziato nel celebre studio di William DeMarco sulla zona del North End di Boston, Ethnics and Enclaves: Boston’s Italian North End[45]. Nel caso di Boston, ma non solo, la comunità italiana si scompose in numerose enclave basate sullo stesso villaggio. Le tensioni tra i valori tradizionali e le condizioni del Nuovo Mondo possono essere rintracciate in almeno altre tre opere: il lavoro di Richard Varbero sul grande insediamento italiano di Filadelfia, lo studio di George Pozzetta sulla città di New York e l’indagine di Gary Mormino sulla Saint Louis italiana[46]. Quest’ultimo ha preso in rassegna più di cento anni di storia di “The Hill” a Saint Louis, mostrando come la cultura etnica sostenne la comunità fino agli anni ottanta del Novecento. A proposito di Filadelfia, gli studi più completi restano quelli di Stefano Luconi. Lo studioso italiano ha documentato il processo storico attraverso il quale i diversi gruppi regionali, nel periodo successivo alla prima guerra mondiale e alla fine dei grandi flussi migratori, hanno forgiato un’unica identità nazionale italiana, funzionale all’affermazione di un ruolo politico ed elettorale degli emigranti nella città e nella società americana in generale[47].

La zona di Cleveland è stata invece studiata da Charles Ferroni e Gene Veronesi, i quali si sono soffermati sul ruolo giocato dalle maggiori istituzioni migratorie italiane nel processi di adattamento e assimilazione: chiese, scuola, settlement houses e organizzazioni dei migranti. Erasmo Ciccolella ha proposto una panoramica dell’insediamento, la formazione comunitaria e lo sviluppo culturale degli italiani a Trenton (New Jersey) mentre l’antropologo Peter Peroni ha selezionato una parte di quell’insediamento, il quartiere di Chambersburg. In un lavoro più vecchio, Charles Churchill ha esaminato gli italiani di Newark, New Jersey[48]. Completato nel 1942 e basato su circa settecento interviste, questo lavoro ha colto la comunità italiana in un passaggio critico della sua storia. Valentine Belfiglio ha studiato gli italiani in Texas, mentre Salvatore LaGumina quelli di Long Island[49].

Donald Tricarico ha aggiornato un vecchio studio di Carolyn Ware del 1935 sul Greenwich Village di New York, estendendo la sua analisi fino agli anni Ottanta del Novecento e mettendo l’accento sulle nuove forme comunitarie che emersero nel tempo[50]. Howard Gillette e Alan Kraut hanno indagato le vicende della comunità italiana di Washington DC[51]. Essi hanno evidenziato come gli italiani abbiano mantenuto coesione etnica in un centro urbano non industriale che manca di molte caratteristiche (migrazione a catena, insediamenti popolati) spesso considerate essenziali per la tenuta delle comunità migranti e la loro identità.

John Briggs ha preso in rassegna le esperienze migratorie di tre differenti comunità italiane: quella di Rochester, Utica e Kansas City[52]. Sulla base dei suoi risultati, Briggs ha presentato una visione delle comunità italiane del tutto diverse dagli stereotipi, anche storiografici. Invece che arretrati e superstiziosi, la migrazione avrebbe promosso nelle comunità italiane individui razionali, capaci e talentuosi.

Alcuni di questi studi locali possono peccare di estrema specializzazione geografica e di ristretta visione storica. Tuttavia costituiscono un importante riferimento alle fonti, alle organizzazioni municipali, alle gerarchie ecclesiastiche. Tra questi vi sono lavori di buona ricostruzione storica e dall’approccio originale. Samuel Baily ha cercato ad esempio di improntare il suo studio in una prospettiva transnazionale comparativa a partire dagli anni 1960. In particolare si è focalizzato sui “processi di aggiustamento”, ovvero quelle dinamiche che si verificano nel primo periodo di contatto e interazione tra gli immigrati e il contesto del Nuovo Mondo[53]. Interessante il lavoro dell’antropologa Carla Bianco che ha comparato nello suo studio la comunità di Roseto, in Italia, con la “sorella” in Pennsylvania, costituendo una prospettiva comparata di ricerca relativa all’esperienza della comunità a cavallo tra le due sponde[54]. Robert Orsi nella sua The Madonna of 115th Street: Faith and Community in Italian Harlem, 1880-1950[55] ha evidenziato come l’insediamento italiano sulla centoquindicesima strada a New York si sia sviluppato utilizzando l’elemento religioso e celebrativo (popolare) come nucleo comunitario, in contrapposizione a quello istituzionale.

L’interesse per gli IA Studies diminuisce negli Stati Uniti dalla fine degli anni Ottanta del Novecento, senza tuttavia scomparire mai. A tale fenomeno sarebbe difficile dare una spiegazione univoca ed esauriente mentre si possono additare diverse ragioni. Prima di tutto vi è la presunta disgregazione etnica da parte delle terze e quarte generazioni di italo-americani e la loro convergenza nella categoria/gruppo dei bianchi[56]. Al tempo stesso emerge nella storiografia americana un maggiore interesse per la questione razziale e il movimento di emancipazione dei neri, e quindi per le migrazioni e lo sviluppo delle comunità di origine africana. Non bisogna tacere inoltre che alla fine degli anni Ottanta vi era una produzione vasta a carattere storico-etnico che aveva utilizzato la maggior parte delle fonti storiche conosciute e che questo può aver scoraggiato nuove ricerche.

Nonostante tutto vi sono stati numerosi saggi che hanno continuato a vagliare e scoprire l’esperienza religiosa italiana negli Stati Uniti. Tra questi merita una menzione speciale quello dell’italoamericano Peter D’Agostino, professore all’Università dell’Illinois di Chicago[57]. D’Agostino dimostrò, contrariamente alla diffusa convinzione della storiografia americana, che i rapporti fra l’Italia unita e la Santa Sede fino alla Seconda guerra mondiale non furono meri accadimenti della storia italiana ed europea, privi di ripercussioni su quella statunitense. Partendo dagli sforzi dei Missionari di San Carlo (Scalabriniani) nell’assistenza agli emigranti italiani, D’Agostino ha tracciato il legame storico tra immigrazione ed etnicità nella Chiesa cattolica americana[58]. Pubblicato due anni prima della sua scomparsa, il suo ultimo lavoro Rome in America. Transnational Catholic Ideology from the Risorgimento to Fascism[59] rintraccia inoltre i fili del legame, storico e ideologico, tra Roma e l’America. D’Agostino evidenziò la centralità della “questione romana” come elemento di costante interesse per i cattolici nel mondo, specialmente per quelli americani, per i quali Roma e il Papato erano i miti su cui si costruiva il proprio profilo identitario. Il volume rende conto anche di come per i cattolici americani la “questione romana” abbia rappresentato l’elemento costitutivo di una identità americana alternativa a quella protestante liberale.

Il rapporto tra Michael Augustine Corrigan, terzo arcivescovo di New York dal 1885 al 1902, e le comunità italiane è il filo conduttore dello studio condotto Stephen da De Giovanni[60]. Alcuni riferimenti alle pratiche liturgiche sono presenti in studi etnici dall’impostazione classica: è il caso dei saggi di Michael Eula su New York e New Jersey, di Anthony LaRuffa sulla comunità del Monte Carmelo nel Bronx (New York)[61] e di Mary Elizabeth Brown sulla comunità della Holy Rosary Church a Washington D.C.[62]. L’assistenza agli immigrati italiani della Saint Raphael Society è stata oggetto di studio da parte di Edward Stibili mentre Silvano Tomasi si è concentrato sulla associazione Italica Gens[63], oltre che sull’integrazione dei cattolici immigrati nella società americana, ma di questo si parlerà più avanti. Dopo il celebre lavoro di Robert Orsi su New York, Augusto Ferraiuolo ha analizzato le festività e le pratiche religiose italiane di Boston[64]. Alla fine degli anni Novanta una collezione di saggi curata da Varacalli, Primeggia, LaGumina e D’Elia ha analizzato da prospettive diverse il ruolo dei santi nel cattolicesimo italiano degli Stati Uniti[65].

Da inizio Duemila le pubblicazioni americane iniziano a diminuire ulteriormente mentre in alcune opere a carattere generale la tematica religiosa scompare quasi del tutto[66]. Questo avviene in coincidenza con l’esplosione dell’interesse sull’esperienza migratoria in Italia e sull’avvio di importanti opere di catalogazione, sempre italiane, che rimetteranno in discussione alcuni stereotipi sul cattolicesimo degli emigranti italiani.

 

4.2.    Studi e ricerche in Italia

Come già accennato, l’interesse per gli studi migratori in Italia arriva con qualche decennio di ritardo. Ne era consapevole Giorgio Spini, esperto di storia americana, che all’inizio degli anni Settanta denunciava:

 

l’estrema parsimonia con cui si sono spesi tempo e fatica intorno alla storia dell’emigrazione italiana, a cominciare da quella negli Stati Uniti. Fra poco avremo una completa monografia sulle vicende del movimento operaio nell’ultimo comunello del nostro paese e non ne avremo ancora nessuna sulle vicende di milioni di lavoratori italiani, che andarono a finire in America da Brooklyn a San Francisco[67].

 

A Spini dobbiamo le prime acquisizioni sull’emigrazione protestante negli Stati Uniti, metodista e valdese, frutto delle sue ampie ricerche sul ruolo del protestantesimo nel processo nazionale unitario[68]. Uno dei pionieri nello studio del fenomeno migratorio in Italia è stato Emilio Franzina. Dal 1975 lo storico vicentino si è dedicato allo studio delle cause e dell’origine delle migrazioni delle cosiddette classi subalterne o non egemoni. Egli ha concentrato in particolare la sua attenzione sulle classi rurali venete, con l’intento di produrre: “una storia dal basso [corsivo dell’autore] la quale radicalmente si manifesti e si proponga come alternativa, al di là delle mode o dei vezzi, sin dal suo farsi e nel suo farsi materiale”[69].

Ad inizio anni Ottanta un volume curato da Anna Maria Martellone cercava di incoraggiare la discussione in Italia, riunendo e proponendo contributi diversi di importanti studiosi statunitensi. La “questione” dell’immigrazione negli Stati Uniti ricostruiva le fortune degli studi migratori negli Stati Uniti e i vari paradigmi entro quali era stato letto il processo storico di acculturazione delle masse migranti[70]. Nella sua introduzione Martellone faceva proprie le tesi di Timothy Smith il quale:

 

[….] addossava la colpa maggiore del non prospero stato della storiografia dell’immigrazione proprio al provincialismo etnico [tra virgolette nel testo] che aveva indotto storici spesso di ascendenza immigrata a disperdere la propria attenzione su gruppi etnici anche di secondaria importanza invece di tentare un complesso approccio comparativo al tema dell’acculturazione negli Stati Uniti[71].

 

La storica, in linea con Smith, proponeva una lettura dell’adattamento degli immigrati come operazione di americanizzazione volontaria, estranea dunque alle letture ideologiche dei primi tempi che la volevano inevitabile e tuttavia la proponevano come dato comune delle varie esperienze migratorie. L’opera in ultima analisi oscillava tra la riproposizione della questione etnica, ad esempio grazie alla ripubblicazione del saggio di Vecoli L’etnia: una dimensione trascurata della storia americana, e il tentativo di superare gli studi etnici intesi come operazione monografica di studio settoriale, non solo alla luce del contributo di Smith, ma anche di Philip Gleason e Theodore Blegen.

Il contributo di un altro importante studioso, Gianfausto Rosoli, è stato il motivo ispiratore del volume di Maffioletti e Sanfilippo, Un grande viaggio. Oltre un secolo di emigrazione italiana. Saggi e testimonianze in memoria di P. Gianfausto Rosoli[72]. Per cogliere la vastità del suo percorso di studioso si rimanda al volume appena citato, qui ricordiamo che esso ebbe inizio nel 1970 nel Centro Studi Emigrazione di Roma, dove collaborò con Giovanni Battista Sacchetti, uno degli ideatori e promotori del Centro, nonché primo direttore della rivista “Studi Emigrazione” [73].

La costante produzione e aggiornamento dei manuali di storia dell’emigrazione italiana, iniziata alla fine degli anni Settanta, trova negli anni Duemila il suo apice[74]. Più in generale, come affermato da Colucci e Sanfilippo nella Guida allo studio dell’emigrazione italiana, gli anni Duemila in Italia sembrano aver riscoperto l’interesse per gli studi migratori. All’origine di tale riscoperta vi sono anche vicende di tipo politico:

 

Il dibattito sul voto degli italiani all’estero, approvato alla fine del 2001 e concretizzatosi nelle politiche del 2006, ha avuto indubbiamente il suo peso e ha reso più avvertiti in materia sia il Parlamento, sia il Ministero degli Affari Esteri. Quasi contemporaneamente regioni (Piemonte, Veneto, Friuli, Liguria, Abruzzo, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia) e province (in particolare Trento e Udine) hanno iniziato a vedere nei propri antichi emigranti un punto di riferimento, soprattutto economico. In margine alla discussione pro e contro il voto degli italiani all’estero e alle azioni degli enti regionali e provinciali si sono aperti spazi importanti per studiare e descrivere l’emigrazione italiana e sono stati trovati finanziamenti per iniziative anche molto specialistiche. All’improvviso gli studiosi hanno scoperto di poter beneficiare del rinnovato interesse politico e di pubblico e hanno utilizzato il momento favorevole[75].

 

In questi anni viene prodotta la Storia dell’emigrazione italiana a cura di Bevilacqua, Franzina e De Clementi[76]. Tale collezione di saggi è divisa in due volumi e analizza a fondo la diversa prospettiva della partenza e dell’arrivo dei migranti, facendo frequenti riferimenti alla questione religiosa. Matteo Pretelli ha pubblicato un manuale di sintesi sull’emigrazione italiana negli USA, che tratta anche il periodo meno studiato del secondo dopoguerra[77]. Insieme a Stefano Luconi ha inoltre curato L’immigrazione negli Stati Uniti[78].

Matteo Sanfilippo e Giovanni Pizzorusso hanno prodotto due importanti lavori a metà degli anni Duemila. Dagli indiani agli emigranti. L’attenzione della Chiesa romana al Nuovo Mondo, 1492-1908[79] ricostruisce il ruolo del cattolicesimo romano e della Chiesa cattolica nella storia americana, soffermandosi sia sui difficili rapporti con Roma che sui conflitti interni alla Chiesa americana,  in particolare tra italiani e irlandesi. Viaggiatori ed emigranti. Gli italiani in Nord America[80] fornisce una rassegna della presenza italiana in Canada e negli Stati Uniti attraverso una folta documentazione e dando particolare attenzione ai mestieri e alla professioni dei migranti. Sanfilippo è autore anche di una ricerca sull’affermazione del cattolicesimo romano in Nord America[81]. Da questo studio emerge in maniera chiara il cambio di strategia vaticano rispetto ai fenomeni migratori nella seconda metà del XIX secolo e la preoccupazione per la salvaguardia dell’integrità di fede dei propri correligionari immigrati.

A minacciarla furono le chiese evangeliche, le missioni protestanti americane di evangelizzazione degli immigrati e la presenza di connazionali non cattolici nelle Little Italies. Per una panoramica su questi temi si vedano il contributo di Paolo Naso in Cristiani d’Italia, quello di Chiara Vangelista e Mauro Reginato incentrato sulle comunità valdesi, quelli di Stefano Villani sulla missione italiana episcopale e di Massimo Di Gioacchino sulla missione italiana metodista e le sue figure di spicco[82].

Il ruolo delle congregazioni religiose cattoliche femminili tra gli immigrati italiani emerge da alcuni importanti studi che si sono inseriti in una più generale rivalutazione, pure statunitense, dell’apporto femminile alla storia cattolica americana nel XX secolo[83]. Il volume curato da Stefania Bartoloni Per le strade del mondo. Laiche e religiose fra Otto e Novecento, oltre a riflettere sul più generale ruolo femminile tra Otto e Novecento nella beneficenza cattolica e nella filantropia laica, ricostruisce alcuni profili di tale impegno sociale[84]. In particolare la quarta parte dell’opera è dedicata all’emigrazione. Due saggi di Elisabetta Vezzosi e Maria Susanna Garroni ritracciano il ruolo delle congregazioni religiose femminili negli Stati Uniti. Un saggio di Michela Carrozzino si sofferma sulle Guanelliane a Chicago (1913-1940). Maria Susanna Garroni ha curato l’opera Sorelle d’oltreoceano. Religiose italiane ed emigrazione negli Stati Uniti: una storia da scoprire[85]. Da questa si evince come le religiose italiane emigrate, a dispetto della scarsità di risorse a loro disposizione, abbiano svolto un fondamentale lavoro di connessione tra la Chiesa cattolica americana e l’immigrazione italiana negli Stati Uniti, arrivando ad occupare posti centrali nelle comunità italiane e svolgendo importanti compiti di assistenza materiale e sociale.

Dalla seconda metà del Novecento si è continuato a riflettere sul ruolo delle parrocchie per immigrati nello sviluppo della Chiesa cattolica statunitense[86]. Esse furono in maniera ambivalente luogo di frammentazione religiosa e di coesione etnica assumendo un valore politico e identitario che nei territori di partenza dell’emigrazione non avevano e che aumentò nel caso statunitense, a ragione di un forte legame ideologico americano tra vita religiosa e iniziativa politica. Gli immigranti italiani, come prima gli irlandesi o i francesi, chiesero di essere assistiti da sacerdoti che condividessero la loro lingua e la loro cultura e che comprendessero le loro tradizioni religiose, culturali e sociali. La Chiesa Cattolica tuttavia si oppose per lungo tempo alla creazione di parrocchie nazionali, nonostante il cardinale Bedini, nunzio in Brasile in visita negli USA, la avesse già evidenziata come necessità nel 1853. Da tale anno fino alla fondazione della delegazione apostolica di Washington nel 1892, il dibattito attraversò le gerarchie ecclesiastiche timorose di perdere il controllo sui propri fedeli. Come ha notato Sanfilippo:

 

Queste richieste e questi comportamenti furono a lungo biasimati dalla Santa Sede, che ha sempre ritenuto pericolosa la tendenza alla frammentazione etnica, tanto più che essa appariva discendere da quello spirito di nazionalità che, secondo i funzionari romani dell’Ottocento, aveva messo fine all’antico regime e cancellato la tradizionale alleanza fra il trono e l’altare, oltre a essere in aperto contrasto con l’universalità del messaggio cristiano [87].

Il problema tuttavia non fu solamente la costituzione di “parrocchie nazionali”, ma anche il numero e la preparazione dei sacerdoti italiani. Grazie al lavoro archivistico di Pizzorusso e Sanfilippo abbiamo oggi conoscenza della mole di lettere, suppliche e richieste degli emigrati italiani, incluso il clero, verso Roma. Da queste emerge l’insufficienza e la totale impreparazione del clero emigrato nel lavoro assistenziale nonché numerosi casi di sacerdoti partiti per necessità, problemi con la giustizia o scandali familiari[88].

Negli ultimissimi anni due opere si sono segnalate per l’ampiezza e l’autorevolezza del progetto. Queste non prendono in analisi esclusivamente l’ambito delle migrazioni italiane negli Stati Uniti, e tuttavia  meritano di essere citate poiché rappresentano degli strumenti fondamentali di ricerca. La prima di queste è il già citato volume Migrazioni, ventiquattresimo degli Annali della Storia d’Italia Einaudi, a cura di Corti e Sanfilippo. La seconda è il Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo[89]. Quest’ultima risulta essere composta di oltre 700 articoli e 17 appendici tematiche. In queste ultime sono stati inseriti temi di carattere demografico, linguistico, artistico, genealogico, religioso, sociale, già presenti e introdotti nelle voci del Dizionario. La sezione statistica offre un insieme di elaborazioni in gran parte inedite su dati sia pure già pubblicati; le fonti storiche sono rappresentate in particolare dalle ricostruzioni dei flussi attraverso l’ISTAT e l’AIRE, Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero.

 

  1. Conclusioni

Tra i vari aspetti del fenomeno migratorio italiano negli Stati Uniti, la prospettiva storico-religiosa è stata per lungo tempo poco studiata, se non del tutto trascurata[90]. Questo perché l’italiano migrante è stato concepito dalla storiografia classica come naturalmente cattolico, e quindi il profilo della sua religiosità assunto come dato organico e immutabile[91]. Il carattere pagano della sua religiosità, che numerosi studi rintracciano anche nel periodo successivo al 1876-1915, non sarebbe altro che una conferma della solidità del suo profilo ancestrale. Secondo questa lettura storica, le modificazioni del suo profilo religioso, elemento da tempo acquisito, sarebbero avvenute solo in una seconda fase (1915-1945) quando l’italiano esce dalla propria comunità e si relaziona con la società protestante americana e al tempo stesso con il clero irlandese. Si tratterebbe dunque di un processo storico di assimilazione/americanizzazione.

In opposizione a tale interpretazione, la più recente bibliografia italiana ha suggerito l’esistenza fin dalle origini del fenomeno migratorio di un altro cattolicesimo, avente motivi e forme di espressioni originali, caratterizzato dalla necessità di una risposta alla crisi contestuale dei modelli ereditati e al tempo stesso sottoposto a pressione esterna da parte di una società fondamentalmente estranea, ostile, percepita come irriducibilmente diversa rispetto a quella italiana[92]. La documentazione emersa dalle recenti catalogazioni attesta di fatto l’esistenza, oltre della nota questione italiana nella società americana, di una questione cattolica intera alle Little Italies, consistente nella delegittimazione e nella trasformazione dei riferimenti socio-religiosi tradizionali delle comunità e non riducibile al mero scandalo sociale verso un cattolicesimo popolare e magico. Anche la forte presenza di atei e anticlericali all’interno delle comunità, dato che ha spinto alcuni studiosi a considerare irrilevante o irrisoria la questione religiosa, non è altro che uno degli elementi storici contestuali alle trasformazioni socio-religiose.

Rispetto all’irreggimentato cattolicesimo italiano tra Otto e Novecento, gli studi migratori sembrano dunque suggerire una storia diversa, profondamente articolata, lontana sia dalla pastorale vaticana che dalle strategie degli attori periferici (congregazioni religiose cattoliche, missioni protestanti). D’altronde le Little Italies statunitensi sono già nelle premesse una storia diversa: ovvero quella di un cattolicesimo minoritario, non egemone, temuto fin dai suoi inizi dallo stesso Vaticano, immerso in un tessuto economico estraneo alle sue strutture di matrice europea; e al tempo stesso quella di un protestantesimo non più minoritario, potenzialmente egemone, socialmente accettato e supportato da gran parte della politica americana del tempo.

[1]           Giovanni Pizzorusso e Matteo Sanfilippo, Viaggiatori ed emigranti. Gli italiani in Nord America, Viterbo, Sette Città, 2004.

 

[2]           Joseph Velikonja, Italians in United States: bibliography, Carbondale, Southern Illinois University, 1963, in particolare per il paragrafo 4.1; George Pozzetta, The state of Italian American Historiography, “Journal of American Ethnic History”, 9, 1 (1989), pp. 67-95; Stefano Luconi, “Italian-American Historiography and the Search for a Usable Past,” in Transcultural Localisms: Responding to Ethnicity in a Globalized World, a cura di Yiorgos Kalogeras, Eleftheria Arapoglou e Linda Manney, Heidelberg, Winter, 2006, pp. 221-237.

 

[3]           Sul ruolo degli italiani nell’agricoltura statunitense, si veda: William Porter Dillingham, Immigrants in Industries, vol. 24 (part. 2), “Italians in agriculture”, Washington, Washington Government Printing Office, 1911.

 

[4]           Luigi Bodio, Sul movimento dell’emigrazione italiana e sulle cause e caratteri del medesimo, Roma, Società Geografica Italiana, 1886; Id., Sulla emigrazione italiana e sulle istituzioni di patronato degli emigranti, Roma, G. Bertero, 1894.

 

[5]           The Italian in America, a cura di Eliot Lord, John J. Trenor e Samuel J. Barrows, New York, B.F. Buck & Co., 1905.

 

[6]           William Porter Dillingham, Dictionary of Races and People, Washington, Washington Government Printing Office, 1911, p. 82.

 

[7]           Frank Orman Beck, The Italian in Chicago: a study made by the Bureau of Surveys of the Department of Public Welfare, Chicago, Chicago Department of Public Surveys, 1919, p. 1.

 

[8]           L’emigrazione italiana in America. Osservazioni, Piacenza, Tipografia dell’Amica del Popolo, 1887; Il disegno di legge sulla emigrazione italiana. Osservazioni e Proposte, Piacenza, Tipografia dell’Amica del Popolo 1888; Dell’assistenza alla emigrazione nazionale e degli istituti che vi provvedono, Piacenza, Tipografia dell’Amico del Popolo, 1891.

 

[9]           Fonti ecclesiastiche per la storia dell’emigrazione e dei gruppi etnici nel Nord America: gli Stati Uniti (1893-1922), “Studi Emigrazione”, 120 (1995); Fonti ecclesiastiche romane per lo studio dell’emigrazione italiana in Nord America (1642-1922), “Studi Emigrazione”, 124 (1996).

 

[10]          Cfr. Gerald Shaughnessy, Has the Immigrant Kept the Faith?, New York, Arno Press, 1969.

 

[11]          Amministrazione de “La Fiaccola”, Rapporti e Verbali della Missione Italiana per gli anni 1909-1915, GCAH Archives, Madison NJ 1916; Amministrazione de “La Fiaccola”, Verbali Missione Italiana per l’anno 1916, GCAH Archives, Madison NJ 1916.

 

[12]          Methodist Episcopal Church, Annual Conferences Journals; General Conference Journal.

 

[13]          Le fotografie riguardanti le missioni italiane in terra statunitense sono in GCAH Archives, Madison NJ, Mission albums – Cities#1 (318 pagine), Mission albums – Cities#2 (222 pagine), Mission albums – Cities#3 (238 pagine).

 

[14]          Per una panoramica dettagliata sulla letteratura italoamericana del periodo si veda: Francesco Durante, Italoamericana. Storia e letteratura degli italiani negli Stati Uniti, II vol., 1880-1943, Milano, Mondadori, 2005.

 

[15]          America vissuta, Torino, Fratelli Bocca, 1911; Italia randagia attraverso gli Stati Uniti, Torino, Fratelli Bocca, 1913. Si veda anche: Emigrazione di lungo corso, estr. da “La Lega Navale”, giugno 1907; Sulle condizioni delle donne e dei fanciulli italiani negli Stati del Centro e dell’Ovest della Confederazione del Nord America, “Bollettino dell’emigrazione”, 1 (1911), pp. 19-27.

 

[16]          Ripensare la patria grande: gli scritti di Amy Bernardy sulle migrazioni italiane (1900-1930), Isernia, Cosmo Iannone, 2005.

 

[17]          Antonio Andrea Arrighi, The story of Antonio, New York, Revell, 1911.

 

[18]          Costantino Maria Panunzio, The Soul of an Immigrant, New York, Arno Press, 1922.

 

[19]          Dieci anni in America. Impressioni e Ricordi. Conferenze riguardanti l’emigrazione italiana nell’America del Nord, Palermo, G. Spinnato, 1903; Le Missioni Protestanti e i nostri emigranti, Venezia, Tipografia dell’Istituto Industriale, 1906.

 

[20]          Alfredo Bosi, Cinquant’anni di vita italiana in America, New York, Bagnasco Press, 1921.

 

[21]          Stefano Luconi, Rudolph J. Vecoli e la storiografia statunitense, in  Italoamericani. L’opera di Rudolph Vecoli, a cura di Emilio Franzina, Vincenzo Lombardi, Matteo Sanfilippo, Isernia, Cosmo Iannone, 2014, p. 55. A proposito degli autori citati, vedi John H. Mariano, The Italian Contribution to American Democracy, Boston, Christopher Publishing House, 1921; Giovanni E. Schiavo, The Italians in America before the Civil War, New York, Vigo Press,1934, e Four Centuries of Italian-American History, New York, Center For Migration Studies, 1954; Howard R. Marraro, Italians in New York in the Eighteen Fifties, “New York History”, XXX (1949), pp. 181-203 e 276-303.

 

[22]          Enrico C. Sartorio, Social and Religious Life of Italians in America, Boston, A. M. Kelley, 1918, p. IX.

 

[23]          Giovanni E. Schiavo, The Italians in Chicago: A Study in Americanization Chicago, Arno Press, 1928, p. 20.

 

[24]          Antonio Mangano, Religious work among Italians, New York, American Baptist Missionary Society, 1917.

 

[25]          Philip Rose, The Italians in America, New York, Doran, 1922, p. V.

 

[26]          Per questi paragrafi storiografici, cfr. Stefano Luconi, Rudolph J. Vecoli e la storiografia statunitense, cit.

 

[27]          Arthur Schlesinger, The Significance of Immigration in American History, “American Journal of Sociology”, 27, 1 (1921), pp.71-85.

 

[28]          La “questione” dell’immigrazione, a cura di Anna Maria Martellone, Bologna, Il Mulino, 1980, p. 9.

 

[29]          Oscar Handlin, Gli sradicati, Milano, Edizioni di Comunità, 1958.

 

[30]          Robert J. Vecoli, Ethnicity: A Neglected Dimension of American History, in The State of American History, a cura di Herbert J. Bass, Chicago, Quadrangle Books, 1970, pp. 70-88.

 

[31]          George Pozzetta, The state of Italian American, cit., p. 68.

 

[32]          Rudolph Vecoli, Contadini in Chicago: A Critique of The Uprooted, in “Journal of American History”, 51 (1964), pp. 404-417.

 

[33]          John Higham, Integrating America: The Problem of Assimilation in the Nineteenth Century, “Journal of American Ethnic History” 1 (1981), pp. 7-25, e Current Trends in the Study of Ethnicity in the United States, “Journal of American Ethnic History”, 2 (1982), pp. 5-15; Timothy Smith, New Approaches to the History of Immigration in 20th Century America, “American Historical Review”, 71 (1966), pp. 1265-1279.

 

[34]          Stefano Luconi, Rudolph J. Vecoli e la storiografia statunitense, cit., p. 53.

 

[35]          Italian Immigrants in Rural and Small Town America, a cura di Rudoph Vecoli, Staten Island NY, AIHA, 1987.

 

[36]          Rudolph Vecoli, The People of New Jersey, Princeton , Van Nostrand, 1965; Id., The Italians, in They Chose Minnesota: A Survey of the State’s Ethnic Groups, a cura di June Drenning Holmquist, St. Paul MN, Minnesota Historical Society Press, 1981, pp. 449-471.

 

[37]          Matteo Sanfilippo, Problemi di storiografia dell’emigrazione italiana, Viterbo, Sette Città, 2005.

 

[38]          Luciano J. Iorizzo, Salvatore Mondello, The Italian Americans, Boston, Twayne Publishers, 1980.

 

[39]          Alexander DeConde, Half Bitter, Half Sweet: An Excursion into Italian American History, New York, Scribner, 1971; Italians: Their History and Culture, Belmont CA, Wadsworth Pub. Co., 1972.

 

[40]          Studies in Italian American Social History: Essays in Honor of Leonard Covello, a cura di Francesco Cordasco, Totowa NJ, Rowman and Littlefield, 1975. Si veda anche The Italians: Social Backgrounds of an American Group, a cura di Francesco Cordasco, Eugene Bucchion, Clifton NJ, A.M. Kelley, 1974.

 

[41]          Yans-McLaughlin, Family and Community: Italian Immigrants in Buffalo, 1880-1930, Ithaca NY, Cornell University Press, 1977.

 

[42]          Dino Cinel, From Italy to San Francisco: The Immigrant Experience, Stanford CA, Stanford University Press, 1982.

 

[43]          Ibid., pp. 226-227.

 

[44]          Deanna Gumina, The Italians of San Francisco, 1850-1930, Staten Island NY, Center For Migration Studies, 1978; Rose Scherini, The Italian Community of San Francisco: A Descriptive Study, New York, Arno Press, 1980.

 

[45]          William DeMarco, Ethnics and Enclaves: Boston’s Italian North End, Ann Arbor MI, UMI Research Press, 1981.

 

[46]          Richard Varbero, Urbanization and Acculturation: Philadelphia’s South Italians, 1918-1932 (tesi di dott.), Temple University, 1975; George Pozzetta, The Italians of New York City, 1890-1914 (tesi di dott.), University of North Carolina, 1971; Gary Mormino, Immigrants on the Hill: Italian Americans in St. Louis, 1882-1982, Urbana, University of Illinois Press, 1986.

 

[47]          Stefano Luconi, From Paesani to White Ethnics. The Italian Experience in Philadelphia, Albany, NY, State University of New York Press, 2001. Si veda anche Id., Little Italies e New Deal. La coalizione rooseveltiana e il voto italo-americano a Filadelfia e Pittsburgh, Milano, Angeli, 2002.

 

[48]          Charles Churchill, The Italians of Newark: A Community Study, New York, Arno Press, 1975.

 

[49]          Valentine Belfiglio, The Italian Experience in Texas, Austin TX, Eakin Press, 1983; Salvatore LaGumina, From Steerage to Suburb: Long Island Italians, New York, Center for Migration Studies, 1988.

 

[50]          Carolyn Ware, Greenwich Village, 1920-1930, New York, New York Harper and Row, 1965; Donald Tricarico, The Italians of Greenwich Village: The Social Structure and Transformation of an Ethnic Community, New York, Center for Migration Studies, 1984.

 

[51]          The Evolution of Washington’s Italian-American Community, 1890-World War II, a cura di Howard Gillette e Alan Kraut, “Journal of American Ethnic History”, 5, 6 (1986), pp. 7-27.

 

[52]          John Briggs, An Italian Passage: Immigrants to Three American Cities, 1890-1930, New Haven, Yale University Press, 1978.

 

[53]          Vedine la sintesi in Samuel L. Bayly, Immigrants in the Land of Promise: Italians in Buenos Aires and New York City, 1870 to 1914, Ithaca NY, Cornell University Press, 1999.

 

[54]          The Two Rosetos, Bloomington IN, Indiana University Press, 1974.

 

[55]          Robert Orsi, The Madonna of 115th Street: Faith and Community in Italian Harlem, 1880-1950, New Haven & Londra, Yale University Press, 1985. Si vedano inoltre i suoi studi sulla religiosità degli immigrati e sul significato di questa (Thank You, St. Jude: Women’s Devotion to the Patron Saint of Hopeless Causes, New Haven, Yale University Press, 1998; con Richard D. Alba, Passages in Piety: Generational Transitions and the Social and Religious Incorporation of Italian Americans, in Immigration and Religion in America: Comparative and Historical Perspectives, a cura di Richard D. Alba, Albert. J Raboteau e Josh DeWind, New York, New York University Press, 2009, pp. 32-55), sul ruolo dei cattolici nella società statunitense (U.S. Catholics Between Memory and Modernity: How Catholics Are American, in Catholics in the American Century Recasting Narratives of U.S. History, a cura di R. Scott Appleby e Kathleen Sprows Cummings, Ithaca NY, Cornell University Press, 2012, pp. 11-43.) e più in generale su come studiare i fenomeni religiosi (Between Heaven and Earth: The Religious Worlds People Make and the Scholars Who Study Them, Princeton NJ, Princeton University Press, 2006; The Cambridge Companion to Religious Studies, New York, Cambridge University Press, 2011).

 

[56]          Tale tesi è stata a lungo osteggiata da Vecoli. Cfr. Rudolph J. Vecoli, Are Italian Americans Just White Folks?, “Italian Americana”, 13 (1995), pp. 149-161. Rudolph J. Vecoli, ‘Whiteness Studies’ e il colore degli italoamericani, in Itinera: Paradigmi delle migrazioni italiane, a cura di Maddalena Tirabassi, Torino, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, 2005, pp. 275-308.

 

[57]          Cfr. Matteo Pretelli, In ricordo di Peter R. D’Agostino, “Archivio Storico dell’Emigrazione Italiana”, 2 (2006), pp. 199-202.

 

[58]          Peter D’Agostino, The Scalabrini fathers, the Italian Emigrant Church, and Ethnich Nationalism in America, “Religion and American Culture: a Journal of Interpretation”, 7, 1 (1997), pp. 121-159.

 

[59]          Peter D’Agostino, Rome in America. Transnational Catholic Ideology from the Risorgimento to Fascism Chapel Hill NC – Londra, University of North Carolina Press, 2004.

 

[60]          Stephen M. De Giovanni, Archbishop Corrigan and the Italian Immigrants, Huntington IN, Our Sunday Visitory Publication, 1994

 

[61]          Michael J. Eula, Between Peasant and Urban Village. Italian-Americans of New Jersey and New York, 1880-1980. The Structures of Counter-Discourse, New York, Peter Lang, 1993; Anthony L. LaRuffa, Monte Carmelo: an Italian American Community in the Bronx, New York, Gordon and Breach Science Publishers, 1988.

 

[62]          Mary Elizabeth Brown, An Italian American Community of Faith: Holy Rosary in Washington D.C., 1913-2013, new York, Center for Migration Studies, 2004.

 

[63]          Edward C. Stibili, What Can Be Done to Help Them? The Italian Saint Raphael Society, 1887-1923, New York, Center for Migration Studies, 2003; Silvano M. Tomasi, Fede e patria: the “Italica Gens” in the United States and Canada, 1908-1936. Notes for the history of an emigration association, “Studi Emigrazione”, 103 (1991), pp. 319-340.

 

[64]          Augusto Ferraiuolo, Religious festive practices in Boston’s North End. Ephemeral Identities in an Italian American Community, New York, Suny, 2009.

 

[65]          The Saints in the Lives of Italian-Americans: An Interdisciplinary Investigation, a cura di Joseph Joseph Varacalli, Salvatore Primeggia, Salvatore J. LaGumina, Donald J. D’Elia, New York, Stony Brook Forum Italicum, 1999.

 

[66]          È il caso di Fred. L. Gardaphe, Leaving Little Italy. Essaying Italian American culture, New York, Suny Press, 2003. In questo periodo si segnala anche Richard N. Juliani, Priest, parish, and people: saving the faith in Philadelphia’s “little Italy”, Notre Dame, Notre Dame Press, 2007.

 

[67]          Giorgio Spini, Gli studi di storia americana, in La storiografia italiana negli ultimi vent’anni, Milano, Marzorati, 1970, p. 1346, citato in Emilio Franzina, La grande emigrazione. L’esodo dei rurali dal Veneto durante il secolo XIX, Padova, Marsilio, 1976.

 

[68]          Giorgio Spini, Risorgimento e protestanti, Torino, Claudiana, 1998.

 

[69]          Emilio Franzina, Merica! Merica! Emigrazione e colonizzazione nelle lettere dei contadini veneti in America latina 1876-1902, Milano, Feltrinelli, 1979, p. 15.

 

[70]          La “questione” dell’immigrazione negli Stati Uniti, a cura di Anna Maria Martellone, Bologna, Il Mulino, 1980.

 

[71]          Ibid., p. 17.

 

[72]          Un grande viaggio. Oltre un secolo di emigrazione italiana. Saggi e testimonianze in memoria di P. Gianfausto Rosoli, a cura di Gianmario Maffioletti, Matteo Sanfilippo, Roma, Centro Studi Emigrazione, 2001.

 

[73]          Cfr. La federazione “Italica Gens” e l’emigrazione italiana oltreoceano 1909-1920, “Il Veltro”, 34, 1-2 (1990), pp. 87-99. Vedi anche: Scalabrini tra vecchio e nuovo mondo, Piacenza, Centro Studi Emigrazione, 1989, pp. 453 467; Insieme oltre le frontiere, cit.; Scalabrini e le migrazioni moderne. Scritti e carteggi, a cura di Gianfausto Rosolo e Silvano Tomasi, Torino, SEI, 1997.

 

[74]          In ordine cronologico: Emilio Franzina, Gli italiani al Nuovo Mondo. L’emigrazione italiana in America 1492-1942, Milano, Mondadori, 1995; Anna Ferro e Matteo Pretelli, Gli italiani negli Stati Uniti del XX secolo, Roma, Centro Studi Emigrazione, 2005; Verso l’America. L’emigrazione italiana e gli Stati Uniti, a cura di Salvatore Lupo, Roma, Donzelli, 2005.

 

[75]          Guida allo studio dell’emigrazione italiana, a cura di Michele Colucci, Matteo Sanfilippo, Viterbo 2010, p. 10.

 

[76]          Roma, Donzelli, 2001-2002.

 

[77]          Matteo Pretelli, L’immigrazione italiana negli Stati Uniti, cit. Tra i suoi lavori si segnala: Italians and Italian-Americans, 1870-1940, in Immigrants in American History: Arrival, Adaptation, and Integration, I, a cura Elliot Robert Barkan, Santa Barbara, ABC-Clio Books, 2013.

 

[78]          Stefano Luconi e Matteo Pretelli, L’immigrazione negli Stati Uniti Bologna, Il Mulino, 2008.

 

[79]          Giovanni Pizzorusso e Matteo Sanfilippo, Dagli indiani agli emigranti. L’attenzione della Chiesa romana al Nuovo Mondo, 1492-1908, Viterbo, Sette Città, 2005.

 

[80]          Giovanni Pizzorusso e Matteo Sanfilippo, Viaggiatori ed emigranti. Gli italiani in Nord America Viterbo, Sette Città, 2004.

 

[81]          Matteo Sanfilippo, L’affermazione del cattolicesimo nel Nord America. Elite, migranti e Chiesa cattolica negli Stati Uniti e in Canada, 1750-1920, Viterbo, Sette Città, 2003.

 

[82]          Paolo Naso, Il protestantesimo in Italia tra emigrazione ed immigrazione, in Cristiani d’Italia. L’unificazione italiana, a cura di Alberto Melloni, Roma, Enciclopedia Treccani, 2011, disponibile sul sito web della Treccani; Chiara Vangelista e Mauro Reginato, L’emigrazione valdese, in Migrazioni, Annali della Storia d’Italia 24, a cura di Paola Corti e Matteo Sanfilippo, Torino, Einaudi, 2009, pp. 161-182; Stefano Villani, Le tre vite di Costantino Stauder (1841-1913), la chiesa episcopale italiana di New York e la comunità italiana di Londra tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, “Altreitalie”, 49 (2014), pp.48-79; Massimo Di Gioacchino, Evangelizzare gli italiani, salvare l’America: l’Italian Mission della Methodist Episcopal Church degli USA (1908-1916), “Protestantesimo”, 67 (2012), pp. 335-348, e L’impegno missionario dei fratelli Taglialatela negli Stati Uniti (1890-1916), “Altreitalie”, 49 (2014), pp. 83-90.

 

[83]          Kathleen Sprow Cummings, New Women of the Old Faith: Gender and American Catholic Identity in the Progressive Era, Chapel Hill NC, University of  North Caroline Press, 2009; The Religious History of American Women: Reimagining the Past, a cura di Catherine A. Brekus, Chapel Hill NC, University of  North Carolina Press, 2007.

 

[84]          Per le strade del mondo. Laiche e religiose fra Otto e Novecento, a cura di Stefania Bartoloni,  Bologna, Il Mulino, 2007. Si veda anche Un altro francescanesimo. Francescane missionarie da Gemona a New York tra immigrazione e servizio sociale, a cura di Giuseppe Buffon e Maria Antonietta Pozzebon, Milano, Biblioteca Francescana, 2009.

 

[85]          Roma, Carocci, 2008.

 

[86]          Antonio Perotti, Riflessioni sociologiche e pastorali sulle parrocchie nazionali negli Stati Uniti, “Studi Emigrazione”, 2 (1965), pp. 45-52; Silvano Tomasi, Americanizzazione o pluralismo? La chiesa etnica italiana come istituzione mediatrice nel processo d’integrazione degli emigranti negli Stati Uniti d’America. in Gli Italiani negli Stati Uniti. Firenze, Istituto di Studi Americani, 1972, pp. 389-422, e Piety and Power: The Role of Italian Parishes in the New York Metropolitan Area, New York, Center for Migration Studies, 1975; George E. Pozzetta, The Parish in Italian American Religious History, in Scalabrini tra vecchio e nuovo mondo, cit., pp. 481-489; Ferdinando Fasce, The Italian American Catholic parish in the early twentieth century. A view from Waterbury, Connecticut, “Studi Emigrazione”, 103 (1991), pp. 342-35.

 

[87]          Matteo Sanfilippo, Parrocchie ed emigrazione negli Stati Uniti, “Studi Emigrazione”, 168 (2007), p. 995.

 

[88]          “Lo stesso clero italiano è spesso inaffidabile, considerato dalla gerarchia locale come formato degli scarti della Chiesa italiana e persino la congregazione scalabriniana deve superare un notevole scetticismo da pare dei vescovi americani. A parte questi pregiudizi e senza farsi influenzare dall’abbondanza del materiale critico sui preti italiani, risulta evidente come molti sacerdoti italiani si spostino spesso da una diocesi all’altra e da uno stato all’altro, perché coinvolti in questioni di soldi o per altri motivi”: M. Sanfilippo e G. Pizzorusso, Viaggiatori ed emigranti, cit, cap. II, p. 68.

 

[89]          Roma, SER, 2014.

 

[90]          “Pochi studiosi hanno tentato di rappresentare il quadro generale del cattolicesimo fra gli emigranti perché bisogna misurarsi con una vicenda plurisecolare, che in parte si discosta da quanto accaduto nella penisola”: Matteo Sanfilippo, Breve storia del cattolicesimo degli emigranti, in Cristiani d’Italia. L’unificazione italiana, a cura di Alberto Melloni, Roma, Enciclopedia Treccani, 2011, http://www.treccani.it/enciclopedia/breve-storia-del-cattolicesimo-degli-emigranti_(Cristiani_d’Italia)/.

 

[91]          Rudolph J. Vecoli, Cult and Occult in Italian-American Culture. The Persistence of a Religious Heritage, in Immigrants and Religion in Urban America, a cura di Randall Miller, Thomas Marzik, Philadelphia, Temple University Press, 1977, pp. 25-47. Cfr. Alberto Giovanetti, L’America degli italiani, Roma, Edizioni Paoline, 1975; S. J. Hennesey, I cattolici degli Stati Uniti. Dalla scoperta dell’America ai nostri giorni, Milano, Jaca Book, 1984; Maria Ida Chiumento, Little Italy: 1890-1920, Salerno, Emilcomp, 1990.

 

[92]          Lorenzo Principe, Identità religiosa e migrazioni, in Migrazioni, cit., pp. 691-708; Matteo Sanfilippo, L’emigrazione italiana verso gli Stati Uniti negli anni 1889-1900: una prospettiva vaticana, “Giornale di storia contemporanea”, 11 (2008), pp. 54-78.