Jennifer Burns, Migrant Imaginaries: Figures in Italian Migration Literature, Berna, Peter Lang, 2013

Il libro di Jennifer Burns analizza gli “immaginari” dei migranti in Italia nella letteratura dei migrant writers di prima generazione. L’autrice li definisce tali a voler sottolineare la fluidità delle loro identità e dei personaggi da loro descritti, prendendo così le distanze da immigrant writers, termine ritenuto troppo condizionato dai limiti e confini imposti agli stranieri da parte degli stati-nazione. Basandosi su un corpo di scritti autobiografici e romanzi di autori di origine nordafricana e mediorientale, Burns non è tanto interessata a questi libri come strumento interculturale volto a favorire l’incontro fra migranti e società ospite, quanto alla riscoperta delle emozioni dei migranti stessi. In tal senso la sua scelta è concentrare l’indagine su autori oggi un po’ offuscati dal successo di migrant writers di seconda generazione.

In capitoli densi e dotati ciascuno di un ricco apparato teorico, l’autrice si interroga intorno all’importanza per gli immaginari dei migranti di concetti quali “identity”, “memory”, “home”, “place and space”. L’ultimo capitolo (“literature”) è invece una riflessione sul ruolo di questo tipo di letteratura in un contesto globale, nonché sul suo utilizzo della lingua italiana. L’enfasi sulle emozioni dei migranti è utile a ricordare come questi, prima ancora di essere “immigrati”, “clandestini”, “tunisini” o “mediorientali”, ecc., siano persone che portano con sé una complessità di identità fluide e plurali fortemente condizionate dalla percezione degli altri. A tal proposito Burns preferisce parlare di “acts of identification”, ovvero di formazione di identità dei migranti che possano essere comprese solo attraverso l’incontro con soggetti altri.

Nonostante lo studio non parli molto degli italiani, sembra invece rivolgersi soprattutto alla società italiana di cui emerge non solo l’incapacità di integrare i migranti, quanto l’impossibilità di comprensione delle loro complessità, elemento che dovrebbe essere invece alla base dell’incontro e della pacifica convivenza fra culture. Si ricava pertanto l’impressione di una società ancora legata a vecchie logiche assimilazioniste e non in grado di guardare a un futuro multiculturale. Non è un caso che nei romanzi studiati da Burns i personaggi che maggiormente ottengono riconoscibilità nella società italiana sono quei migranti che rinunciano in toto alla propria etnicità. L’esempio più calzante sembra quello di Amedeo (Ahmed), un immigrato che in Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio (di Lakhous Amara, 2006) non viene percepito come “straniero” semplicemente perché parla un italiano fluente, conosce benissimo la storia di Roma e al bar legge “Il Corriere della Sera”, al contrario di altri migranti che si limitano alla lettura degli annunci di lavoro. In generale l’incontro con la società italiana rappresenta per i migranti descritti in questa letteratura un forte trauma che genera spesso un senso di repulsione (metafora spesso rievocata nel volume di Burns) dalla società stessa, la quale agisce per l’annichilimento della complessità degli immaginari dei migranti. Paradigmatico il caso di Saleh, protagonista de L’immigrato (di Methnani Salah, 2006), tunisino emigrato in Italia la cui identità di laureato eterosessuale viene distrutta nel corso della sua esperienza migratoria e trasformata in quella di un consumatore e spacciatore di droga disposto persino e vendere per soldi il proprio corpo a uomini italiani. Questo senso di esclusione viene reiterato nel capitolo “place and space”, in cui gli immigrati descritti sono espulsi dagli spazi pubblici e costretti a vivere non-luoghi (per utilizzare un’espressione di Marc Augé) come stazioni e parchi. Tuttavia, contro questa imposizione di invisibilità dalla società ospite, gli immaginari dei migranti cercano di far proprie le città italiane e dei loro spazi pubblici, soprattutto attraverso il dinamismo dell’atto di camminare attraverso di esse nel corso della notte.

Il libro di Burns mostra perciò come all’uniformità culturale richiesta dalla società di arrivo in questo tipo di letteratura i migranti rispondano con la vivacità e la molteplicità dei loro immaginari. Questi comprendono variegate memorie del passato e, soprattutto, una concezione mobile e flessibile di “casa” (seguendo il costrutto teorico di Sarah Ahmed) che non è solo e necessariamente il luogo da cui si parte e a cui si aspira a tornare, bensì il posto in cui si immagina essere a proprio agio.

Infine, nella riscoperta degli immaginari dei migranti, il bel libro di Jennifer Burns, di cui sarebbe auspicabile una traduzione in italiano, si presta a un possibile dialogo interdisciplinare specialmente con gli storici che si interessano al ruolo delle emozioni nello studio delle migrazioni.