Lemigrazione italiana in Europa 1945-57
giovedì 11 dicembre 2008, ore 17.00 Presentazione del volume Lavoro in movimentoL'emigrazione italiana in Europa 1945-57
di Michele Colucci
Donzelli, 2008 Intervengono Palazzo Mattei di Giove |
Archivio Storico dell'Emigrazione Italiana
giovedì 11 dicembre 2008, ore 17.00 Presentazione del volume Lavoro in movimentoL'emigrazione italiana in Europa 1945-57
di Michele Colucci
Donzelli, 2008 Intervengono Palazzo Mattei di Giove |
Dottorato in Storia d’Europa: società, politica, istituzioni (XIX-XX secolo) – Dipartimento di Scienze umane – Dipartimento di Storia e culture del testo e del documento – Dipartimento di Studi sulla comunicazione |
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con la partecipazione di Archivio di Stato di Viterbo Deutsches Historisches Institut in Rom Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Locale |
Viterbo, 11 novembre 2008 – ore 9,30
Sala della Fondazione Carivit – Palazzo Brugiotti Via Cavour 67 |
Vittorio Cappelli, Nelle altre Americhe. Calabresi in Colombia, Panamá, Costa Rica e Guatemala, Doria di Cassano Jonio (CS), La mongolfiera, 2004, 255 pp.
Continue readingA differenza di altre regioni in Basilicata l’emigrazione rappresentò sicuramente il fenomeno che, più di ogni altro, ne cambiò il volto, spopolandola ampiamente e privandola delle sue forze più importanti. Secondo Francesco Saverio Nitti questo enorme movimento migratorio, che non ebbe precedenti nella storia italiana, costituì la causa modificatrice più profonda dell’assetto economico, morale e sociale del meridione, all’infuori di ogni influenza del Governo e della borghesia1.
Continue readingPer potere valutare le modalità e il livello d’integrazione nella società d’arrivo è particolarmente interessante soffermarsi sul posto che occupano gli immigrati italiani nei mass media del paese di accoglienza. Quale importanza ebbero nella “rappresentazione” mediatica della società belga?
Il Belgio alla fine della seconda guerra mondiale necessitava di una nuova mano d’opera, poco qualificata e disposta e scendere in miniera, cosa che gli operai belgi non erano più disposti a fare. Questa domanda di mano d’opera venne colmata dagli operai stranieri, in particolare da italiani sopratutto nel primo decennio post-bellico. L’Italia è la prima nazione ad inviare i suoi uomini a lavorare in Belgio nell’ambito di accordi bilaterali per lo scambio tra mano d’opera e carbone. Il Belgio impiegò in seguito mano d’opera in prevalenza dai paesi mediterranei in ritardo economico.
Continue readingCon le sue poche migliaia di migranti, il caso sudafricano rappresenta un aspetto minore della storiografia delle migrazioni italiane svoltesi tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale. Proprio la scarsità dei numeri statistici e la poca abbondanza di fonti facilmente rintracciabili ha fatto sì che siano stati pochi gli studiosi ad affrontare questo tema. Fino ad ora, gli articoli e i saggi prodotti sull’emigrazione in Sudafrica hanno avuto come obbiettivo l’elaborazione di “casi studio” di gruppi provenienti da ambiti geografici ben delimitati1. Questo al fine di incorporare i risultati delle indagini all’interno di ricerche più ampie e dedicate alle caratteristiche espresse dal fenomeno migratorio in alcune aree particolari, come il Biellese2.
Al contrario, tentare di analizzare il fenomeno dal punto di vista dell’arrivo, ha significato prima di tutto, individuare i tratti salienti del contesto in cui gli italiani si sarebbero inseriti al proprio arrivo.
L’analisi del quadro socioeconomico e delle vicende storiche che ne hanno caratterizzato la nascita costituiscono punti di riferimento obbligato per l’individuazione dei caratteri dei movimenti migratori che hanno interessato la provincia di Frosinone nel secondo dopoguerra.
Istituita nel 1927, la provincia nasceva dall’unione di due aree storico-geografiche differenti, il circondario di Frosinone e quello di Sora, appartenuti il primo alla provincia di Roma e il secondo a quella storica di Terra di Lavoro, cioè Caserta. Il circondario di Sora era stata una zona di forte emigrazione fin dall’età moderna, mentre quello di Frosinone non aveva una forte tradizione migratoria, soprattutto perché mancava una mentalità propensa alla mobilità. Infatti il governo pontificio non aveva mai giudicato positivamente l’emigrazione e, dunque, non aveva rilasciato con facilità i passaporti, scoraggiando gli abitanti a partire. Per di più agiva un altro aspetto che faceva del frusinate un’area di scarsa emigrazione al di fuori dei confini dello Stato Pontificio dovuto all’attrazione esercitata da alcune sue zone interne, come la Campagna Romana, che aveva generato un sistema migratorio intra-territoriale dove affluivano circa 100.000 lavoratori stagionali ogni anno.