L’emigrazione toscana

Questo contributo vuole esaminare un possibile modello migratorio toscano, con particolare riferimento alle partenze dalle aree sub-appenniniche delle province di Lucca e Massa Carrara, che più hanno storicamente contribuito alla diaspora dalla Toscana.
Il modello di emigrazione temporanea da queste aree suggerisce una forma rivista della tradizionale teoria push-and pull, che potremmo per comodità chiamare “push-double-pull”, in considerazione del fatto che l’attrazione (“pull”) verso destinazioni straniere in cerca di opportunità di lavoro e di accumulazione di risparmi è spesso stata strumentale al consolidamento di un ritorno nell’area geografica di partenza.
Vale qui la pena di distinguere – con particolare riferimento al modello migratorio dalla provincia di Lucca – fra emigrazione stagionale, temporanea e permanente, dato che alcuni modelli migratori stagionali sono stati spesso abbandonati in favore di più lunghi periodi di residenza all’estero (fino a 3-5 anni), nei casi in cui i paesi di destinazioni fossero più distanti, come l’Argentina, il Brasile e gli Stati Uniti. In un certo numero di casi poi, l’emigrazione lucchese si trasformò in permanente quando la comunità all’estero si rese conto che, una volta insediatasi, per vari motivi di carattere personale, occupazionale e sociale, rimanere all’estero dava più vantaggi che ritornare nella comunità di provenienza.
Il presente contributo intende inoltre mettere in luce come buone componenti dell’emigrazione toscana adattarono le proprie capacità ed esperienze ai nuovi ambienti delle società ospiti, e ciò probabilmente in virtù della secolare capacità degli emigranti delle aree sub-appenniniche della Toscana occidentale di adattarsi ai vari fattori socio-economici, anche grazie ad una cultura imprenditoriale tardo-medievale della Lucchesia urbana e rurale.
Nella sua analisi del fenomeno migratorio in partenza dalla Lucchesia, la geografa Farnocchia parla di territorio in crisi all’inizio del diciannovesimo secolo, come risultato di una serie di processi economici negativi, fra i quali la mancata trasformazione strutturale dell’agricoltura e la posizione isolata dell’alta valle della Garfagnana1 . Tale isolamento aveva certamente contribuito all’integrazione su piccola scala dell’economia della piana lucchese e generato un “emorragia” migratoria in cerca di migliori opportunità di lavoro.  Già nel 1910 il geografo Mori aveva mostrato come l’emigrazione toscana era in diretta relazione con l’altitudine: le curve altimetriche correvano parallele alle curve che rappresentavano l’intensità del flusso migratorio in partenza da queste aree2 .  Mentre le comunità montane della Lunigiana, della Garfagnana e dell’Appennino toscano contribuivano al processo migratorio con un alto numero di lavoratori dall’unità d’Italia in poi, le aree collinari e le piane della Toscana centro-meridionale generavano minori contingenti di emigranti.
Nel corso del diciottesimo secolo – che precedette il fenomeno di emigrazione di massa dalla Lucchesia – vari fattori socio-economici influenzarono il flusso migratorio, che comunque raggiunse il suo picco fra il 1870 e la vigilia della prima guerra mondiale. Il tasso di disoccupazione causato dal declino della produzione serica (attivissima sin dal basso medioevo in tutta la Toscana), le ricorrenti crisi agricole e le carestie dell’area lucchese e l’eccessiva frammentazione delle proprietà rurali furono i fattori principali che portarono all’emigrazione temporanea e permanente dalla Garfagnana e dalla campagna lucchese.
Molti di questi lavoratori, bisognosi di pane e lavoro, cominciarono da molto tempo indietro ad allontanarsi dalla casa natia portandosi ovunque3 . Il modello migratorio temporaneo, da esperienza elitaria delle ricche famiglie lucchesi di mercanti tardo-medievali, si trasformò in pratica comune delle comunità rurali. Gli emigranti non partivano a caso: ricevevano piuttosto informazioni da parenti e amici che erano già partiti e tornati. Partivano con i risparmi appena sufficienti per pagarsi il trasporto4 e molti viaggiavano con parenti stretti e compaesani verso centri di destinazioni dove sapevano avrebbero trovato aiuto e supporto logistico5 .  In virtù di una tale rete logistica, famiglie e comunità di emigranti hanno mantenuto per secoli una struttura socio-economica quasi immobile, grazie alla possibilità di integrare gli scarsi guadagni ottenuti localmente con le entrate generate fuori dai confini della Lucchesia.
Come l’economista Ottolenghi ebbe modo di riportare, “..nella zona montana (l’emigrazione, n.d.c.) e’ quasi un’istituzione integrale dell’organismo agrario”6 , permettendo così all’emigrazione di diventare un modello stabile del tessuto socio-economico del territorio, e generando la capacità di sradicarsi progressivamente dalla comunità, per l’abitudine fisica e personale di abbandonare legami familiari e di comunità.
La storica Dadà sottolinea un modello migratorio che ha il fine di restare e di consolidare la posizione economica dell’emigrante in seno alla comunità di origine7 .  Tale modello, peculiare delle comunità di montagna dell’Italia settentrionale e centrale, potrebbe essere interpretato come una specifica applicazione della teoria push-pull8 , ed etichettato “push-double-pull”. All’interno del contesto toscano-lucchese, i generici elementi  della spinta economica da un’area rurale (quali gli scarsi raccolti, la povertà, le carestie) e l’attrazione verso altre aree di maggiori opportunità, giocano in favore di un’ulteriore attrazione di ritorno nella comunità di provenienza allorquando la situazione economica è stata consolidata con il lavoro all’estero. La costante aspirazione di molti emigranti stagionali o comunque temporanei era di aumentare l’estensione delle proprietà rurali o quanto meno di diventare proprietari di un appezzamento di terra nella comunità di provenienza9 .
Come Camaiani ha precisato, “…lo via d’uscita congeniale di una popolazione rurale pacifica e in forte crescita demografica non poteva essere che l’emigrazione”10 .
Il fenomeno migratorio in partenza dalla Toscana occidentale fu in parte facilitato da un tale atteggiamento culturale e supportato dalla continua presenza di parenti e compaesani all’estero, e dalla conseguente relativa facilità con la quale gli emigranti potevano affrontare il viaggio. Inoltre, ai primi stadi dell’insediamento all’estero, il legame con la terra e le comunità di provenienza era funzionale al vero scopo dell’emigrazione, e strumentale alla determinazione che molti mostravano nel mantenere strenuamente un carattere indipendente ed estraneo alla comunità di destinazione e alla sue istituzioni.1. I figurinai Lucchesi

Braccianti, contadini e artigiani specializzati furono le prime avanguardie del più vasto fenomeno migratorio italiano. In termini cronologici, le prime tracce di un flusso migratorio di lavoratori lucchesi si registra nel sedicesimo secolo. In questo periodo si parla di “diverse dozzine” di giovani di Barga, spinti da bisogni economici, arruolati come soldati di fortuna con le truppe fiorentine e coinvolti in varie battaglie in nord Italia11 . Già nel XVII secolo, altri gruppi e famiglie intere di emigranti provenienti dalla Repubblica di Lucca vengono registrati all’isola d’Elba (allora appartenente al Granducato di Toscana) per la messa a vigneti di vasti appezzamenti di terra12 . Dalla metà del diciassettesimo secolo in poi, anche taglialegna, carbonai e contadini cominciano a lasciare la Garfagnana per la Corsica, mentre i figurinai si indirizzano verso la Francia, l’Inghilterra e la Spagna13 , dove si trattengono fino a due-tre anni14 , in periodi che chiamano campagne.
Come lo storico americano Roland Sarti ha spiegato, “per quanto una comunità sviluppasse una specializzazione professionale, i lavoratori erano spinti ad adottare uno stile di vita itinerante, perché nessuna singola comunità poteva garantire lavoro stabile e retribuito per più di una minima componente degli stessi”15 .  Questa nota si applica indifferentemente sia ai tagliapietre dei villaggi alpini, ben conosciuti in molte parti d’Italia fin dal XVI secolo16 , che ai suonatori di strada di molte valli interne della Liguria17 e della provincia di Parma18 , che ai venditori ambulanti di libri della Lunigiana, che raggiungevano tutti i paesi europei, spesso spingendosi anche oltre oceano.
Già dal XIV secolo si era registrato un processo migratorio verso l’area lucchese: in particolare, fabbri del sub-appennino bergamasco sono presenti in Garfagnana, nel comune di Fabbriche di Vallico (e non a caso la toponomastica è significativa dell’attività professionale svolta nel comprensorio)19 , dove, appunto, si insediano piccole officine per la lavorazione di lance e spade, richieste dai vari stati centro-italiani. Questo e altri esempi dimostrano come gruppi di artigiani qualificati già si muovessero da secoli lungo la penisola20 . Nell’ambito alpino ed appenninico, alcuni studiosi hanno espressamente etichettato tali attività come “professioni nazionali e regionali”21 , proprio perché caratterizzano l’origine dell’emigrazione regionale e sub-regionale italiana, in particolar modo dalla regioni montane.
Nei secoli successivi e più precisamente nel periodo post-napoleonico, contestualmente a musicisti di strada e venditori ambulanti, anche i figurinai lucchesi  vengono notati in Italia come in Inghilterra22 . Tali attività erano sicuramente più remunerative di quanto rendesse l’emigrazione stagionale di pastori, taglialegna e carbonai, ed erano altrettanto temporanee e itineranti. Dalla Lucchesia e successivamente dalle aree attualmente corrispondenti alle province di Pisa e Massa Carrara, molti maschi adolescenti e adulti23 si spostavano all’estero e, dalle prima decadi del XIX secolo, perfino oltre oceano, in gruppi di 5-10, portandosi dietro la propria professionalità e senza subire pertanto lo sfruttamento di alcun intermediario.
Il modellamento di statuette di carattere religioso e politico era stato introdotto nella provincia di Lucca durante il XVI secolo. Statuette simili erano state successivamente utilizzate dalla Repubblica di Lucca come doni ad autorità pubbliche straniere, tanto da diffondere la fama dei figurinai nell’intera Europa, tanto che alla fine del XVIII secolo l’industria delle statuette lucchesi era fiorente in Germania, Francia e Inghilterra mentre, ad inizio XIX secolo, alcuni figurinai sono presenti in Svezia e Russia, impegnati nella decorazione delle nuove corti di San Pietroburgo e Mosca24 .
Il viaggio a piedi di gruppi di figurinai alla volta di Parigi poteva durare un mese o più, a secondo delle opportunità di vendita. Sono proprio gli studiosi di storia locale Lera e Rovai che parlano per la prima volta dei figurinai lucchesi come della avanguardia  dell’emigrazione toscana del XIX secolo verso il nord Europa e gli Stati Uniti25 , proprio per l’elemento distintivo rappresentato dall’organizzazione dei figurinai in piccolo gruppi26 . Dal 1820 in poi, si registrano infatti compagnie di figurinai a Dusseldorf, Montreal, New York, Chicago, Caracas, Pernambuco in Brasile e perfino in Nuova Zelanda27 . Ercole Sori sottolinea come all’interno delle aree rurali di provenienza fosse prevalente la piccola proprietà terriera e che la “strada” al lavoro di figurinaio all’estero fosse aperta dai figli di famiglia, i giovani maschi ai quali mancava un’immediata prospettiva di emancipazione economica, dovuta all’estrema parcellizzazione delle proprietà28 .
La presenza all’estero di piccoli gruppi di emigranti autosufficienti e provenienti da un numero ristretto e circoscritto di comunità ha sicuramente giocato un ruolo fondamentale nell’attirare ulteriormente emigranti dalla Lucchesia e la Toscana occidentale in genere, formando un primo modello di catena migratoria.
Proprio l’unità italiana e la conseguente creazione di un mercato nazionale ruppero gli equilibri sui quali si era finora basata l’economia della montagna. Anche nella Lucchesia, la rivoluzione del sistema dei trasporti e il potenziamento delle infrastrutture di collegamento – facilitando la mobilità – attrasse forza-lavoro dalle aree montane verso il fondovalle. Contemporaneamente, il processo di trasformazione urbana e industriale allargò il mercato internazionale del lavoro, attraendo braccia per l’edilizia, piuttosto che l’artigianato, subendo quest’ultimo una forte marginalizzazione. È all’interno di questo contesto economico in evoluzione che la tradizione migratoria lucchese continua e si ri-adatta, consolidando rotte e modelli insediativi in un più ampio scenario. Emigranti parzialmente qualificati ( sarti, calzolai e muratori) si affiancano ora a braccianti, boscaioli e figurinai in cerca di fortuna all’estero. Da questo periodo in poi, l’abitudine lucchese agli spostamenti all’estero in cerca di risparmi da accumulare e riportare nella comunità di origine apre la strada a un flusso migratorio che, in pochissime decadi, registrerà un così alto numero di emigranti – in Corsica, Francia, Stati Uniti, Argentina e Brasile in particolare – da eguagliare l’intera popolazione della provincia di Lucca29 .

2. I paesi di destinazione: Corsica e Francia

Già da metà del XVII secolo30 , era consuetudine che – dopo la raccolta delle castagne nel primo autunno – molti toscani delle aree appenniniche, sbrigate le formalità burocratiche, si imbarcassero a Livorno per Bastia. In Corsica venivano occupati come dissodatori e vignaioli fino all’inizio della primavera, periodo nel quale ritornavano in Toscana per attendere alle consuete pratiche agricole, proprio in virtù del fatto che la forza-lavoro agricola itinerante dalle aree meno produttive alle più fertili è stata per secoli una costante della vita rurale delle aree appenniniche31 . Come tale, le aree collinari corse divennero una delle più battute destinazioni dell’emigrazione stagionale tosco-appenninica32 . L’opportunità era così buona che a fine XVII in Corsica vi erano già oltre 700 lavoratori stagionali provenienti dalla Lucchesia33 , portando poi la cifra a 2,500 nel 1760 e ad oltre 10,000 nel 1870s34 , con una sola contrazione ad inizio XIX, probabilmente dovuta alle guerre napoleoniche. L’emigrazione toscana in Corsica è così marcata che, per l’intero XIX, rappresenta più del 70 per cento dell’intero numero di italiani presenti nell’isola35 . Come calcola Carpi e riporta Telleschi, nel 1869 vi erano in Corsica 8.373 emigranti toscani36 .
Dall’inizio del XIX secolo, un’altra destinazione dell’emigrazione Toscana stagionale è rappresentata da alcuni paesi del bacino mediterraneo, in particolare Tunisia e Algeria, dove molti lucchesi piantano i primi oliveti e vigneti37 . Altri si muovono lungo la costa provenzale, sia arrivando dalla Corsica che attraversando la Liguria38 , anche in virtù del fatto che le autorità franco-italiane abolirono la necessità dell’uso del passaporto tra i due paesi nel 187439 .
Stavolta, e a differenza di quanto avveniva in Corsica, l’emigrazione toscana coinvolge non solo maschi adulti ma anche giovani donne toscane di origine contadina, richieste nei centri urbani francesi sia come domestiche che come balie nelle famiglie della media e alta borghesia francese40 , secondo un modello diffuso e consolidato per generazioni41 .

3. L’ America – Il Brasile

Sebbene il numero di lucchesi in Corsica e Francia sia ancora alto subito dopo l’unità d’Italia, gli Stati Uniti, l’Argentina e il Brasile cominciano lentamente a diventare le nuove destinazioni dell’emigrazione toscana42 . Fino ai primi anni del 1880, nessuno dei paesi oltre oceano rappresentava per l’emigrazione toscana una metà particolarmente appetibile, e nessuno dei miti che circondavano l’America si era ancora diffuso nelle campagne e nelle aree montane toscane43 . Certo è che Cinel, riportando una relazione dell’epoca del prefetto di Lucca, sottolinea che “…la maggior parte degli emigranti va ancora in Francia e Sardegna… anche se queste destinazioni non attirano più come in passato, pur necessitando di entrate supplementari per sopravvivere. Ultimamente l’emigrazione verso il Sud America è in aumento, credo in conseguenza delle diminuite opportunità in Europa”44 .
Certo è che gli emigranti toscani – per la stragrande maggioranza di origine contadina e spesso semi-analfabeti – che si spostavano in Corsica e successivamente in Brasile e Stati Uniti, non avevano gli strumenti geografici né quelli strettamente culturali per misurare le distanze, né, come sottolinea Hoerder 45 , percepivano di spostarsi coscientemente tra diverse nazioni. Non viaggiavano tra l’appena unificata Italia e gli Stati Uniti ma, piuttosto, da una comunità appenninica all’ America o, meglio, un’altra comunità urbana di venditori di frutta lucchesi a Chicago, seguendo mappe mentali sviluppate da altri compaesani nel tempo e nello spazio. Gli emigranti parlavano con assoluta non conoscenza geografica di America lunga (intendendo per “lunga” la distante Australia), di America bona (intendendo per buona – e quindi con buone opportunità di lavoro, gli Stati Uniti) e America non bona (intendendo per non buona – e quindi con ricordi di sgradevoli esperienze, sfortuna e povertà – i paesi latino-americani, e in particolare Argentina e Brasile)46 . Una simile classificazione – certamente non “geografica” – è confermata dall’appellativo che, in Toscana e altrove in Italia, veniva dato ai compaesani emigrati negli Stati Uniti (ma anche in Australia)  di Americani47 .
Nel 1908, quando l’emigrazione dall’Italia e dalla Toscana verso le destinazioni transoceaniche aveva superato quella verso i paesi europei, la prefettura di Lucca inviò un formulario a tutti i comuni della provincia per raccogliere informazioni sul fenomeno migratorio. Tra i vari risultati emersi, Tognetti segnala48 che la permanenza media degli emigranti lucchesi negli Stati Uniti fosse tra i cinque e i dieci anni e che il 90 per cento di chi fosse tornato emigrasse nuovamente entro un anno dal ritorno. Da ciò si può ricavare un’ulteriore conferma del carattere temporaneo dell’emigrazione toscana e della sua caratteristica “push-double-pull” (la spinta dettata dalla necessità economica, un’attrazione verso l’offerta lavorativa del paese di destinazione e un’ulteriore attrazione verso la comunità d’origine stavolta dettata dalla possibilità di riutilizzare i risparmi conseguiti), come un rapporto del 1938 sottolinea:

Raramente gli emigranti hanno dimenticato il loro paese. Gente di grande parsimonia e con uno spiccatissimo senso di risparmio, dopo aver raccolto talvolta con gravi stenti e privazioni un piccolo capitale preferirono ritornarsene alla loro terra49 . Alcuni osservatori hanno notato come gli emigranti tornassero con sufficienti mezzi economici per comprarsi delle proprietà fondiarie e sposarsi50 . Queste aspettative hanno sicuramente giocato un ruolo importante nella “febbre dell’emigrante” di spingersi verso le destinazioni più remote in cerca di fortune aleatorie51 .
Come ben sappiamo, il numero di coloro che lascia l’Italia per l’estero è di circa sedici milioni nel solo periodo 1876-1925. Una buona parte degli emigranti italiani che si diressero verso l’Argentina, scelsero tale destinazione come finale, mentre toscani – e lucchesi in testa – preferirono il Brasile, fors’anche per il fatto che il flusso migratorio diretto verso l’Argentina si consolida qualche decennio prima di quello verso il Brasile52 . Ciò nonostante, dal territorio corrispondente attualmente alla provincia di Lucca si ha il primo sporadico gruppo di emigranti verso il Brasile già all’inizio della seconda metà del XIX secolo, con i consueti figurinai, che funzionarono sicuramente da ‘facilitatori’ dei futuri flussi migratori toscani53 .  Partivano fra il 1850 e il 1870 dai porti di Marsiglia e Le Havre su navi a vapore che raggiungevano gli stati brasiliani di Bahia e Pernambuco54 . A questi primi stadi non fu sicuramente un modello migratorio dal forte impatto sociale55 , quanto piuttosto un episodio fisiologico alla secolare esperienza migratoria lucchese.
È soltanto dal 1880 in poi che si registra un flusso consistente di lucchesi che si indirizza verso il Brasile, la cui economia ora richiede forza-lavoro nelle vaste piantagioni di caffè dell’interno, dove è necessario rimpiazzare la forza-lavoro di colore dopo l’abolizione della schiavitù nel 188856 . La crescita del flusso è ora generata da vari fattori concorrenti: la crescita dell’economia brasiliana, la presenza consolidata in Brasile di alcuni figurinai trasformatisi in commercianti lungo le aree costiere e – non ultima – l’attività di propaganda svolta capillarmente dagli agenti migratori in Lucchesia e altrove57 , confermando peraltro anche un classico esempio di internazionalizzazione del processo migratorio58 .
Fra il 1876 e la fine del secolo, il Brasile assorbe una media del 15 per cento di tutti gli emigranti dalla provincia di Lucca, fino a culminare al 68,6 per cento del 189659 e tanto da costringere le autorità ad aprire un vice-consolato brasiliano a Lucca al fine di preparare tutte le necessarie pratiche burocratiche per l’espatrio. Mentre fino al 1890 il numero di emigranti maschi è esorbitante, nella decade che porta al XX secolo aumenta progressiva il numero di donne lucchesi che emigrano, parzialmente confermando un cambiamento nel modello migratorio che, da temporaneo, evidentemente si trasforma in permanente con l’arrivo di mogli, compagne e figlie60 .
La crisi internazionale del prezzo del caffè nel 1898 creò un forte rallentamento nei flussi migratori in arrivo in Brasile e il conseguente ritorno di molti italiani e toscani nelle comunità di partenza61 . Ciò nonostante gli emigranti toscani in Brasile rappresentano ancora una delle più numerose comunità su base regionale62 , e certamente una di quelle di più antico insediamento. 4. L’ America – Gli Stati Uniti
In una nota del 1880  indirizzata al Segretario di Stato, l’allora console americano a Firenze scrive che i primi emigranti toscani negli Stati Uniti erano artigiani che avevano espresso l’intenzione di restare nel paese ospite, mentre quelli che seguirono erano per la maggior parte contadini o piccoli proprietari terrieri che intendevano trattenersi negli Stati Uniti lo stretto necessario per accumulare dei risparmi da reinvestire in terreni una volta rientrati in Italia63 .
Dalla fine del XIX secolo in poi, gli Stati Uniti diventarono una delle mete preferite dell’emigrazione toscana64 con il 1907 che segna la più alta percentuale di emigranti dalla provincia di Lucca in direzione degli Stati Uniti65 .
Durante il lungo periodo dall’unità allo scoppio della prima guerra mondiale, la temporaneità dell’emigrazione toscana è testimoniata dall’etichetta “birds of passage” (uccelli di passo), che era stata coniata negli Stati Uniti per tutti i lavoratori dell’Europa mediterranea (e in particolar modo, italiani) che si trattenevano nel paese per pochi mesi, processo questo facilitato dalla crescente rapidità del viaggio con la nave a vapore, che aveva eliminato molti dei pericoli e dei disagi dell’emigrazione transoceanica con i velieri ottocenteschi, anche se il viaggio in terza classe rappresentava per molti ancora un incubo66 .
Gli emigranti toscani e lucchesi attraversavano gli Stati Uniti, trovando impiego in ogni area geografica e in ogni settore lavorativo che potesse offrire buoni guadagni e facile accumulazione di risparmi, fosse essa la costruzione del canale di Panama, la rete ferroviaria degli stati orientali, le foreste del Montana o del Colorado67 . Seguendo le vie commerciali, i primi figurinai si erano spinti fino a San Francisco già a metà del XIX secolo68 , dove una piccola comunità di lucchesi seguì a quella più numerosa di genovesi, e dove ambedue i gruppi regionali si impiegarono nel remunerativo commercio di frutta e verdura che, già nel 1860 era quasi un loro monopolio. La frutta e la verdura veniva trasportata in città dalle aree rurali nelle vicinanze di San Francisco su carri trainati da cavalli, scaricata e venduta ai mercati centrali di Sansome Street69 , tanto che proprio questa area fu ribattezzata il mercato “Colombo” per l’alto numero di genovesi e lucchesi70 .  Nel 1881 oltre  cento carri da trasporto merce risultavano registrati a nomi di lucchesi nella sola area urbana di San Francisco71 .  Alcune di queste società di distribuzione funzionavano anche da agenzie di prestiti, anticipando i soldi a vari agricoltori lucchesi dell’area metropolitana, che potevano così investire in nuovi macchinari e sistemi d’irrigazione72 .
Mentre la crescente presenza toscana all’interno del commercio agricolo è sicuramente un buon indicatore del loro interesse per le attività comunque legate alle condizioni scio-economiche di origine, la capacità imprenditoriale di molti altri riflette un’altrettanto secolare attitudine al commercio. In ultima analisi, sia l’origine rurale che la ricerca di opportunità d’affari sono sicuramente due dei più importanti fattori che hanno influenzato la distribuzione geografica e il modello occupazionale dei lucchesi nella maggior parte dei paesi all’estero dove si sono insediati.
Emigranti toscani erano presenti non solo a San Francisco, ma un po’ in tutti gli stati, con una concentrazione nelle aree metropolitane di Filadelfia, Chicago73 e Toronto in Canada74 . Come di consueto, all’interno delle aree urbane, gli emigranti lucchesi e toscani in genere tendevano a concentrarsi in uno spettro contenuto di attività lavorative. Tale ragione è probabilmente da ascriversi – come è peraltro riscontrabile in altri gruppi regionali italiani –  all’aspirazione contadina per l’indipendenza economica, così da tentare di assicurarsi un senso di sicurezza derivante dalla possesso di beni immobili75 . E per assicurarsi questo senso di sicurezza e indipendenza, le attività agricole e la gestione di piccole aziende a livello familiare, come il commercio, erano ideali76 , perché la natura di queste imprese non richiedeva la piena partecipazione alla società civile americana, né tali occupazioni entravano in conflitto con il lavoro organizzato77 .
In un suo studio della comunità lucchese nei dintorni di San Francisco, l’antropologa Sensi-Isolani identifica due fattori che possono aver favorito tale insediamento nell’immediata campagna: il primo è ascrivibile alla natura della rete di contatti dell’emigrazione toscana, che si era originariamente insediata in aree periferiche per motivi legati alle ristrettezze economiche78 ; il secondo è la convinzione comune della comunità toscana – poi incoraggiata anche dalle autorità consolari italiane – che un insediamento fuori dalla città avrebbe evitato frizioni e conflitti con i già forti e influenti sindacati di lavoratori di San Francisco79 . Questa lettura potrebbe a sua volta spiegare come la maggior parte degli emigranti toscani in California si sia impiegata nel settore agricolo e poi anche boschivo, quest’ultimo in forte crescita dopo l’arrivo nel 1880 di un grosso contingente di carbonai dall’alta Lucchesia, che andarono a ingrossare le fila dei taglialegna toscani già presenti nelle foreste della California settentrionale80 .

5. Il secondo dopoguerra e la conclusione del fenomeno migratorio toscano

Come abbiamo delineato, le destinazioni preferite dall’emigrazione toscana sono state Corsica e Francia nel XIX secolo, il Brasile e, fino a metà degli anni 1920, gli Stati Uniti, destinazione successivamente sostituita dall’Australia, seppure quest’ultima  con cifre molto meno rilevanti. Ciò nonostante, la preferenza per queste singole destinazioni ha un andamento differenziato a secondo dei singoli comuni di provenienza della provincia di Lucca e per un numero di altre province toscane geograficamente collocate sotto l‘arco appenninico centrale (Massa Carrara, Pistoia, alto fiorentino, Arezzo), circostanza che ha una sua possibile spiegazione nello sviluppo di specifiche e contenute catene migratorie a carattere familiare o di piccola comunità81 .
All’interno del contesto delle vari paesi di destinazione ai quali si è rivolta l’emigrazione toscano-lucchese, si è voluto tentare di individuare un modello migratorio la cui componente fondamentale sembra essere una “cultura della comunità”, una maniera di “partire” con il fine di “tornare”, con i maschi adulti e in età lavorativa che partono, arrivano all’estero, lavorano in nicchie protette della comunità di appartenenza e, in una seconda fase, decidono tra l’emigrazione temporanea (e quindi il ritorno) o permanente (e quindi fanno arrivare consorti e figli).

Note

1 Franca Farnocchia Petri, Risorse e Popolazione. Settant’Anni di Emigrazione dalla Garfagnana e Media Valle del Serchio: 1921-1991, Lucca, Accademia Lucchese di Scienze, Lettere ed Arti, 1995, p. 11.
2 Attilio Mori, L’emigrazione toscana dalla Toscana e particolarmente dal Casentino, “Bollettino Emigrazione”, IX (12), 1910, pp. 3-80, in particolare p. 12.
3Accademia Economico-Agraria dei Georgofili di Firenze, Bando in data 5 luglio 1908 sul tema: Studiare le cause che hanno determinato il sensibile aumento della emigrazione in molte zone della Toscana; determinare le conseguenze buone e cattive di tale fatto specie nei riguardi dell’agricoltura e del sistema di mezzadria e ricercare quali provvedimenti potrebbero porre riparo agli effetti dannosi che ne fossero ricavati, Archivio Storico, Busta 122.136, 1908, Memorie No 2:1.
4 Maria Trapani, L’emigrazione lucchese nella seconda metà del sec. XIX riflessa nei documenti d’archivio, in Supplemento di “Lucca Economia”, n. 2, Aprile-Maggio-Giugno 1993, p. 138.
5 Leslie Moch-Page, Dividing Time: An Analytical Framework for Migration History Periodization, in Jan e Leo Lucassen (a cura di), Migration, Migration History and History. Old Paradigms and New Perspectives, Bern, Peter Lang, 1997, pp. 41-56 (p. 44).
6 Costantino Ottolenghi, L’emigrazione agricola italiana dal 1884 al 1892, Torino, Carlo Clausen, 1894, p. 7.
7 Adriana Dadà, Emigrazione e Storiografia. Primi risultati di una ricerca sulla Toscana, “Italia Contemporanea”, 192, (1993), 486-502 (p. 495) e Maria Virginia Paradisi, Emigrazione e assistenza: la Pia Casa di beneficienza di Lucca in aiuto ai minori divenuti orfani o abbandonati a causa dell’emigrazione negli ultimi 20 anni dell’Ottocento, “Documenti e Studi”, 14/15 (1993), pp. 293-334 (p. 302).
8 Everett S. Lee, A Theory of Migration, “Demography”, III, (1966), pp. 47-67.
9 Piergiorgio Camaiani, Dallo stato cittadino alla citta’ bianca. La “Società Cristiana” Lucchese e la rivoluzione Toscana, Firenze, La Nuova Italia, 1979, p. 217.
10 P. Camaiani, Dallo Stato, cit., p. 216
11 Maria Lera, Gipskatter. Gatti di gesso, Lucca, Maria Pacini Fazzi Editore, 1986, p. 7.
12 M. Lera, Gipskatter, cit., p. 8.
13 Luccilla Briganti, La Lucchesia e il Brasile: storia di emigranti, genti e autorità, Documenti e Studi, 14/15: (1993), pp. 161-229 (p. 199).
14 Catia Pugi, Emigrazione e territorio in Lucchesia : il caso di Crasciana, (tesi non pubblicata), Firenze, Università di Firenze-Facoltà di Magistero, 1994, p. 43.
15 Roland Sarti, “Long Live the Strong”: A History of Rural Society in the Apennine Mountains, Amherst USA, University of Massachusetts, 1985, p. 84.
16 Patrizia Audenino, The Paths of the Trade: Italian Stonemasons in the United States  “International Migration Review”, XX, (4): (1986), pp. 779-795 (779).
17 Massimo Angelini, Suonatori ambulanti all’estero nel XIX secolo: considerazioni sul caso della Val Graveglia, “Studi Emigrazione”, 106, (1992), pp. 309-319 (p. 311).
18 Lucio Sponza, Italian Immigrants in Nineteenth Century Britain: realities and Images, Avon, Leicester University Press, 1988, p. 75.
19 AA.VV., La Toscana – Paese per Paese, Firenze, Bonechi, 1987, II, pp. 21-22.
20 Nicoletta Franchi, Il reclutamento di garzoni figurinai nella Valdinievole di fine Ottocento,  “Bollettino di Demografia Storica”, 29 (1998), pp. 91-111; e Maria Giovanna Pierattini, Strade e mestieri degli emigranti pistoiesi nell’età della restaurazione, ibid., pp. 131-143.
21 Adriana Dadà, Lavoratori dell’Appennino Toscano in Corsica nel secolo XIX, “Altre Italie”, 12, (1994), pp. 6-38 (p. 11).
22 L. Sponza, Italian Imigrants, cit., p. 76.
23 Annarita Tognetti, Un secolo di emigrazione dal Comune di Pescaglia, “Documenti e Studi”, 14-15, (1993), pp. 221-256 (p. 225).
24 Ibid., p. 61.
25 M. Lera, Gipskatter, cit. p. 8; e David Rovai, Lucchesia, terra di emigrazione, Lucca, Pacini Fazzi, 1993, p. 22.
26 Ibid., p. 23.
27 Ibid.
28 Ercole Sori, L’emigrazione italiana dall’Unità alla Seconda guerra mondiale, Bologna, Il Mulino, 1979, p. 86.
29 M. Paradisi, Emigrazione e assistenza, cit., p. 305.
30 A. Mori, L’emigrazione toscana, cit., p. 3.
31 Leo Lucassen, Eternal Vagrants? State Formation, Migration and Travelling Groups in Western Europe, 1350-1914, in Migration, Migration History and History, cit., pp. 225-251 (p. 225).
32 A. Mori, L’emigrazione toscana, cit., p. 19
33 D. Rovai, Lucchesia, cit., p. 19.
34 A. Dadà, Lavoratori, cit., p. 8.
35 Francis Pomponi, Le Lucchesi en Corse, in Emile Temine e Teodosio Vertone (a cura di), Gli Italiani nella Francia del Sud e in Corsica 1860-1980, Milano, Angeli, 1988, p. 202.
36 A. Telleschi, Aspetti, cit., p. 129
37 C. Pugi, Emigrazione e Territorio, cit., p. 45.
38 Renée Lopez ed Emile Temime, L’expansion marseillaise et “l’invasion italienne (1830-1918)”, Aix-en-Provence, Edisud, 1990, p. 73: e M. Paradisi, Emigrazione e assistenza, cit., p. 323.
39 F. Farnocchia, Risorse e Popolazione, cit., p. 39.
40 R. Sarti, Long Live, cit., p. 119; e C. Pugi, Emigrazione e territorio, cit., p. 46.
41 Adriana Dadà, Dalla Lunigiana alla ‘Barsana’. Il processo di trasformazione da lavoratori agricoli stagionali in venditori ambulanti specializzat”,Bollettino di Demografia Storica”, 10 (1993), pp. 111-133 (p. 115).
42 Caroline Douki, Les maires de l’Italie liberale à l’épreuve de l’émigration: le cas des campagnes lucquoises, “Melanges de l’Ecole Francaise de Rome. Italie et Mediterraneé”, 106, 1 (1994), pp. 333-364 (pp. 42-44).
43 Gianfranco Rosoli, L’immaginario dell’America nell’emigrazione italiana di massa, “Bollettino di Demografia Storica”, 12 (1990), pp. 189-208.
44 Dino Cinel, Apprendistato per le migrazioni internazionali: le migrazioni interne in Italia nel secolo XIX, “Comunità”, 184 (1982), p. 68.
45 Dick Hoerder, Segmented Macrosystems and Networking Individuals: The Balancing Functions of Migration Processes, in Migration, Migration History and History, cit., pp. 73-84 (p. 83).
46 A. Dadà, Lavoratori dell’Appennino Toscano, cit., p. 38.
47 Frank Sturino, Forging the Chain. A case study of Italian Migration to North America, 1880-1930, Toronto, Multicultural History Society of Ontario, 1990, p. 69.
48 A. Tognetti, Un secolo, cit., pp. 244-245.
49 Istituto Nazionale di Economia Agraria, Monografie di famiglie agricole. Contadini della Montagna Toscana (Garfagnana, Pistoiese, Romagna Toscana), Roma, Osservatorio di Economia Agraria per la Toscana, 1938,. p. 22.
50 R. Sarti, Long Live, cit., p. 88.
51 Accademia Georgofili, cit., Memorie No. 4:31-32.
52 Mario C. Nascimbene, Origini e destinazioni degli italiani in Argentina (1835-1970), in Francis Korn (a cura di), La popolazione di origine italiana in Argentina, II, Torino, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, 1997, pp. 69-91.
53 L. Briganti, La Lucchesia, cit., p. 161.
54 Ibid., p. 164.
55 Ibid., p. 163.
56 Ibid.
57 C. Pugi, Emigrazione e territorio, cit., p. 68.
58 Amoreno Martellini, Fra Sunny Side e la Nueva Marca. Materiali e modelli per una storia dell’emigrazione marchigiana fino alla grande guerra, Milano, Franco Angeli. 1999, p. 165-229.
59 Davide Rovai, Profilo dell’emigrazione lucchese. Memorie, Diari, Lettere di Emigrati un secolo fa, Lucca, Arte della Stampa,1998, p. 13.
60 L. Briganti, La Lucchesia, cit., p. 192.
61 Ibid., p. 195.
62 Angelo Trento, Là dov’è la raccolta del caffè. L’emigrazione italiana in Brasile, 1879-1940, Padova, Anthenore Edizioni. 1984, p. 56.
63 D. Rovai, Lucchesia, cit., p. 26.
64 F. Farnocchia, Risorse e popolazione, cit., p. 55.
65 D. Rovai, Lucchesia, cit., p. 27.
66 Rudolph Vecoli, The People of New Jersey, New York, D.Van Nostrand Co. Inc. 1965, p. 175.
67 Gian Mirola, L’emigrazione in Garfagnana, “La Provincia di Lucca”, Supplemento 1974, p. 62.
68 D. Cinel, Apprendistato, cit., p. 32.
69 Dino Cinel, From Italy to San Francisco. The Immigration Experience, Stanford, Stanford University Press, 1987, p. 348.
70 Deanna Paoli Gumina, The Italians of San Francisco 1850-1930, New York, Centre for Migration Studies, 1978, p. 102.
71 D. Cinel, From Italy, cit., p. 349.
72 D. Paoli Gumina The Italians, cit., p. 101-102.
73 Vecoli, Rudolph, Contadini in Chicago: A Critique of The Uprooted, “Journal of American History”, (December 1964), pp. 404-417.
74 Robert F. Harney, Dalla frontiera alle Little Italies. Gli Italiani in Canada 1800-1945, Roma, Bonacci, 1984; John Zucchi, Italians in Toronto. Development of a National Identity, 1875-1935, Kingston & Montreal, McGill-Queen’s University Press, 1988, p. 53.
75 Charles A. Price, Southern Europeans in Australia, Melbourne, Oxford University Press, 1963.
76 Adriano Boncompagni, Migrants from Tuscany in Western Australia, “Studi Emigrazione”, 131 (1998), pp. 390-406 (p. 401).
77 C. Price, Southern Europeans, cit.
78 F. Farnocchia, Risorse e popolazione, cit., p. 72.
79 Paola A. Sensi-Isolani, Tradition and Transition in a California Paese, in Ead. e Phylis Cancilla Martinelli (a cura di), Struggle and Success. An Anthology of the Italian Immigrant Experience in California, New York, Center for Migration Studies, 1993, pp. 58-75 (p. 59).
80 Ibid., pp. 60-61
81 Ibid., p. 63.