inter.jpg

Mobilità dei confini e modelli migratori: il caso della Venezia Giulia

 

La Venezia Giulia costituisce la parte sud-orientale della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia; il suo territorio, per quanto poco esteso, tra le Alpi Giulie e la costa, presenta caratteristiche territoriali che hanno condizionato diversamente i movimenti demografici e migratori rispetto a quelli del Friuli e può essere considerata complessivamente un caso insolito nell’ambito dell’emigrazione italiana per diversi motivi. La Venezia Giulia è composta dalle attuali province di Gorizia e di Trieste, mentre il Friuli comprende le province di Udine e di Pordenone, ma va rilevato che tale distinzione non è comunque scontata, né unanimemente condivisa; in effetti i territori del Goriziano, almeno fino al 1918, venivano definiti come Friuli austriaco, per segnalare una comunanza linguistica con una regione storica (veneto-italiana) e un’appartenenza statuale distinta. Di mezzo c’era un confine che ha reso, con la sua mobilità, molto complessa la storia di tutta l’area alto adriatica, anche quella dei suoi flussi migratori.

istria

Lo stesso nome Venezia Giulia è di origine recente, venne proposto nel 18631, poco dopo l’unità d’Italia, e si diffuse durante l’attivismo irredentista nell’imminenza della grande guerra, per assunse un ambito di riferimento geografico più preciso dopo il 1918 con l’annessione all’Italia di un vasto territorio austriaco, il Litorale, che si estendeva dalla valle del fiume Isonzo a nord, fino alla penisola istriana a sud, con i centri urbani di Trieste, di Gorizia, di Postumia e di Pola.

Insomma il nome Venezia Giulia sostituì il nome Litorale, che si riferiva al territorio austriaco a ridosso del confine; una differenza sostanziale distingue i due toponimi: il Litorale austriaco era una entità politico-amministrativa (Land) con una propria rappresentanza elettiva, mentre il toponimo Venezia Giulia mantenne un carattere esclusivamente culturale-geografico, senza rilevanza amministrativa2, ed includeva – tra le due guerre mondiali – le province di Gorizia, Trieste, Pola e Fiume. Gli esiti della seconda guerra mondiale determinarono l’assegnazione alla Jugoslavia di gran parte di tale territorio, mentre l’Italia mantenne un residuo minimo delle province di Gorizia e di Trieste (vedi cartina).

Questa premessa mi consente di intrecciare aspetti territoriali e storia delle migrazioni dell’Alto Adriatico e individuare una periodizzazione di riferimento.

1. – Immigrazione ed emigrazione da un territorio asburgico al confine con l’Italia

Fino al 1914, i movimenti demografici del Goriziano, dell’area triestina e dell’Istria, vanno collocati nel contesto politico, economico, sociale e legislativo della parte austriaca della Monarchia asburgica. In tale contesto il Litorale austriaco si presentava come una regione complessa per la sua composizione etnica, costituita da abitanti di lingua italiana, slovena, croata e altre lingue meno diffuse come il tedesco e l’istro-rumeno; inoltre dal punto di vista economico e sociale tutta la regione risultava divisa in tre parti con caratteristiche proprie:

– la città di Trieste, capoluogo di tutto il Litorale, fungeva da porto internazionale dell’Austria, con un vastissimo hinterland che sosteneva i traffici marittimi e produceva la ricchezza della città, ma un ristretto entroterra, limitato all’ambito comunale;

– il Goriziano, si reggeva sia con un’agricoltura di tipo montano sulle Alpi e prealpi Giulie, sia con un’agricoltura di pianura, con proprietà terriere di media grandezza estese fino alla costa adriatica, dov’era avvertibile un nascente sviluppo turistico (Grado e Aquileia); inoltre lungo l’Isonzo si rafforzavano i primi impianti industriali (tessili) e, dal 1907, lo sviluppo di un’importante attività cantieristica a Monfalcone;

– l’Istria, si caratterizzava per uno sviluppo economico ripartito in due aree territoriali: la parte interna della penisola con un’agricoltura molto povera, limitata quasi all’autoconsumo per gran parte del secolo 19°; una parte costiera, con un’economia di pesca e di piccolo traffico commerciale marittimo; Pola costituiva una parte a sé per la presenza della principale base della marina militare austriaca, con le potenzialità occupazionali legate alla presenza di tanti soldati, della flotta e dell’arsenale con i suoi impianti meccanici e cantieristici. La città di Fiume non faceva parte del Litorale, ma della Croazia ungherese.

Tali condizioni determinarono movimenti demografici diversificati. Trieste attrasse, durante tutto l’Ottocento e nei primi anni del Novecento3, una costante immigrazione proveniente sia dalle regioni italiane pre e post-unitarie, sia dall’interno della Monarchia (Carniola, Stiria, Dalmazia, Boemia, ecc.) e dallo stesso Litorale (dall’Istria e dal Goriziano). Va rilevato, inoltre, che l’immigrazione proveniente dal Friuli si configurò come un movimento demografico interno all’Austria fino al 1866, mentre dopo tale data – con la comparsa del nuovo confine austro-italiano – è da considerare una migrazione proveniente dall’estero, cioè dal Regno d’Italia4. Quanto alla specificità degli immigrati attratti dall’attività portuale di Trieste si possono individuare sia addetti al commercio e alle attività terziarie, sia lavoratori portuali (cantierini e marinai), sia lavoratori edili impegnati nella costruzione di imponenti edifici pubblici e privati; una prevalenza di manodopera femminile proveniva dalla valle dell’Isonzo e dalla Carniola, trovando occupazione presso le famiglie della borghesia imprenditoriale quali donne di servizio, cameriere, sarte, balie5. Gli emigranti italiani che si stabilivano a Trieste e nel Litorale austriaco venivano chiamati “Regnicoli”6, e costituivano una comunità di quasi 50.000 persone nel 19147.

Se Trieste fu un centro di attrazione, l’emigrazione transoceanica, a partire dal 1874-1876, interessò gli altri territori del Litorale, nella fase iniziale prevalentemente il Goriziano, la zona agricola di pianura tra le località di Gradisca e di Cormons, estesa tra il confine e la zona collinare del Collio8. Si trattava dell’area che, nel Litorale e in quegli anni, sentiva maggiormente gli effetti di una tenue modernizzazione, con il costituirsi di cooperative e istituti di credito agricolo per iniziativa del movimento cattolico e di quello socialista.

Le condizioni economiche che spingevano piccoli proprietari terrieri e coloni ad emigrare erano condivise con altre realtà territoriali del vicino Regno d’Italia (Veneto e Friuli), ma diverse erano le condizioni legislative dello stato asburgico, che “tollerava” l’emigrazione all’estero, ma non la regolamentò attraverso interventi legislativi, non la proibì ufficialmente, ma la ostacolò attraverso la propaganda e ponendo ostacoli di tipo burocratico-amministrativo alle richieste di documenti, in particolare con un rigido controllo dei giovani in età di servizio militare: ponendo vincoli all’espatrio a partire dai 16 anni, veniva limitata sostanzialmente la decisione delle famiglie9.

In linea con tale atteggiamento di controllo e limitazione degli espatri si pone il divieto di costituire agenzie di emigrazione sul territorio dello stato; una situazione che espose il Litorale e altre regioni austriache alla penetrazione delle agenzie di emigrazione italiane10, che indirizzavano gli emigranti a Udine, da dove raggiungevano il porto di Genova. La penetrazione delle agenzie italiane raggiunse anche la Carniola e l’Ungheria, trovando un limite nella concorrenza con le compagnie di navigazione tedesche del Mare del Nord (Amburgo, Brema) che gestivano il movimento migratorio delle regioni settentrionali della Monarchia Asburgica (Boemia, Moravia, Galizia, ma anche Carniola). In definitiva la vicinanza del confine favorì l’emigrazione dal Goriziano, dove operavano sub-agenti locali impegnati illegalmente nella propaganda e nel reclutamento di emigranti, spesso accompagnando i partenti fino al confine, fino a Udine e in qualche caso fino in Argentina. La presenza di agenti provenienti dall’Italia innescò un contenzioso tra le autorità di polizia austriache di Gorizia e la prefettura italiana di Udine: le autorità austriache accusavano gli italiani di scarso controllo verso l’attività delle agenzie, segnalando nomi di agenti, la propaganda ingannevole e l’organizzazione di gruppi diretti a Genova partendo dal Litorale austriaco.

La preoccupazione degli amministratori, e soprattutto dei possidenti terrieri, fu notevole al primo manifestarsi delle partenze per Argentina e Brasile11 tra 1877 e 1879, ma si attenuò rapidamente negli anni successivi, con il ridursi delle partenze12.

La scelta di mete transoceaniche favoriva economicamente le compagnie di navigazione italiane, mentre la legislazione austriaca impediva l’organizzazione di un servizio marittimo per emigranti in partenza da Trieste, il cui porto era destinato prevalentemente al commercio marittimo verso l’oriente, attraverso il canale di Suez. Gli imprenditori triestini, ovviamente consapevoli che i flussi migratori erano fonte di vantaggi economici misero in atto diverse strategie. Ad esempio nel 1888 furono prese a nolo da parte di due banchieri, Isacco e Giuseppe Morpurgo, tre piroscafi destinati al Brasile con circa 2.000 emigranti provenienti dal Litorale e dalla Carniola, ma anche dal Veneto e dal Friuli, cioè da oltre confine. L’esperienza non ebbe buon fine, in quanto almeno 300 persone rientrarono in breve tempo e in condizioni molto precarie, criticando aspramente l’organizzazione e ciò indusse le autorità austriache a impedire ulteriori tentativi, sia per le proteste interne (alcuni Land ritenevano pericoloso facilitare l’espatrio dei contadini), sia per le proteste del consolato italiano di Trieste che vide nell’iniziativa un’evidente concorrenza alle compagnie di navigazione italiane13. Negli anni ’90 dell’Ottocento ottenne notevole successo imprenditoriale l’iniziativa di certo Carlo Pirelli, che attraverso una propria agenzia di viaggi14, riuscì per diversi anni a gestire la partenza di numerosi emigrati diretti in America offrendo spostamenti ferroviari a prezzi concorrenziali, grazie ad un accordo con le ferrovie austriache e italiane. L’agenzia si occupava del trasporto degli emigranti ai porti d’imbarco (non solo Genova, ma anche porti del mare del Nord tedeschi e francesi), occupandosi dei biglietti ferroviari, dei bagagli, ma talvolta anche dei biglietti marittimi e della gestione di fondi inviati dagli emigrati alle famiglie; i suoi contatti erano principalmente con l’Agenzia di Silvio Nodari di Udine, ma anche con grandi compagnie internazionali, quali la Anchor Line, la Compagnie Generale Transatlantique e agenzie svizzere di Chiasso.

Il successo di tale iniziativa si deve anche alla congiuntura economica negativa in diversi Länder austriaci, che determinò un aumento degli espatri (solitamente tollerati per necessità dalle autorità) e un intenso transito verso Udine: la stazione austriaca di Cormons, l’ultima prima del confine, fu investita per diversi anni da folle di emigrati e le autorità comunali attrezzarono un edificio delle vicinanze come centro di assistenza notturna. Quanti affollavano la stazione di Cormons e poi di Udine non provenivano dal Litorale se non in minima parte, ma si trattava di migranti provenienti dalla Dalmazia, dalla Carniola, Croazia, Ungheria e Galizia; in totale negli otto anni tra il 1896 e il 1903 transitarono dalla stazione di Cormons 24.043 emigranti (in media 3.005 passaggi all’anno)15 e le rilevazioni statistiche segnalavano anche il cambiamento delle mete migratorie dal Sud al Nord America avvenuto proprio in tale periodo.

Nel 1903 avviene un cambiamento rilevante nella politica austriaca nei confronti dell’emigrazione, in quanto vengono autorizzati gli imbarchi di emigranti dai porti di Trieste e di Fiume. In realtà la parte ungherese della Monarchia Asburgica, di cui Fiume costituiva lo scalo principale, costituì lo stimolo determinante di tali cambiamenti, attraverso una legislazione, che dal 1881 consentiva formalmente l’emigrazione organizzata16.

In tale anno la compagnia anglo-canadese Cunard Line, in concorrenza con le organizzazioni tedesche e francesi, stipulò con il governo asburgico degli accordi17, che diedero inizio alle traversate atlantiche dal porto di Trieste, inizialmente con destinazione New York; le partenze aumentarono progressivamente fino al 191418, raggiungendo, nei due porti, la cifra di circa mezzo milione di persone in dieci anni. L’intensità dei passaggi coinvolse prevalentemente movimenti migratori centro europei, mentre molto limitate (circa 12%) furono le partenze di emigranti dal Litorale austriaco, principalmente istriani, goriziani e residenti sulle isole del Quarnero19, diretti sia negli Stati Uniti e in Canada, sia – in misura più contenuta – in Argentina e Brasile.

Altre compagnie di navigazione utilizzarono gli scali nord adriatici, ma una posizione egemonica venne raggiunta da quella gestita dai fratelli Cosulich20, nota come Compagnia Austro-Americana, che, con capitali austriaci e tedeschi, tra 1904 e 1914 fu il maggior vettore dell’emigrazione transatlantica in partenza da Trieste, ma imbarcando dal 1906 anche emigranti nei porti italiani.

Si può osservare che i flussi migratori centro europei, diretti ai porti d’imbarco mediterranei, in forte crescita dal 1890, alimentarono agenzie di emigrazione e compagnie di navigazione del Regno d’Italia fino al 1903; in seguito e fino al 1914, i risvolti economici, che l’ampiezza degli imbarchi comportava, stimolarono le iniziative armatoriali austriache (e ungheresi): simbolo di tali cambiamenti può essere il confronto tra il piccolo edificio di Cormons, in cui – alla fine dell’Ottocento – gli emigranti di passaggio dormivano su cumuli di paglia, e l’enorme Asilo per emigranti, gestito dalla Compagnia Austro-Americana, capace di accoglie fino a 1500 persone, inaugurato a Trieste nel 1905.

2. – Emigrazioni ed espulsioni tra guerra e dopoguerra

La prima guerra mondiale costituisce – come è noto – una cesura anche per la storia dell’emigrazione. Gli emigrati italiani che fino a maggio 1915 si trovavano ancora nel territorio della Germania e dell’Austria-Ungheria attuarono un tumultuoso rientro in patria; ciò si verificò anche nel Litorale, dove i “regnicoli”, cioè quanti erano emigrati in Austria dal Regno d’Italia nei decenni precedenti, ripassarono il confine, dando vita a un movimento che interessò circa 45-50.000 persone, in gran parte dai centri urbani di Trieste, di Gorizia e di Pola.

I territori del Goriziano e dell’Istria meridionale negli anni del conflitto furono interessati da un altro ingente movimento di popolazione: lo spostamento forzoso di quanti abitavano nei pressi del porto militare di Pola e delle zone interessate dai combattimenti lungo il fiume Isonzo e sul Carso goriziano, che vennero allontanati come profughi, sia verso l’Austria (circa 150.000), sia verso l’Italia (circa 60.000) e si trovarono inseriti per più anni in contesti nazionali diversi, in cui vennero spesso considerati con sospetto21.

La conclusione della guerra e la conseguente annessione del Litorale austriaco al Regno d’Italia, con il nome di Venezia Giulia, inseriscono tutta la regione nell’ambito della politica migratoria del Regno d’Italia e delle sue leggi. Caratteri comuni all’emigrazione italiana del periodo sono la diminuzione dei viaggi verso gli Stati Uniti per le limitazioni sui visti, l’aumento considerevole delle mete europee e l’impatto con la politica demografica del fascismo. Gli emigranti della Venezia Giulia che si diressero nei primi anni venti verso stati europei, molti scelsero come meta la Francia: soprattutto verso regioni agricole del sud22, altri verso le zone minerarie della Lorena23, ma le destinazioni prevalenti furono verso la Jugoslavia e l’Austria; gli eventi migratori in uscita dalla Venezia Giulia tra le due guerre mondiali si distinsero proprio per tali scelte, che rivelano l’intreccio tra motivazioni economiche e spinte politiche, con una forte incidenza di quest’ultime come fattore espulsivo.

Le statistiche italiane segnalano per la Venezia Giulia 72.995 espatri complessivi24 nel periodo 1921-1938, ma tali dati non comprendono quanti si mossero dal Goriziano tra 1921 e 192725, né gli anni 1919-1920; tale circostanza lascia spazio a incertezze, che assumono valore politico di un certo rilievo, poiché un confronto con la storiografia slovena e croata fa emergere dati più consistenti relativi a quanti tra le due guerre immigrarono nella Jugoslavia provenienti dalla Venezia Giulia. Diversi autori indicano in oltre 100.000 gli espatri verso il nuovo stato balcanico, di cui 70.000 rimasti in Jugoslavia e 30.000 poi diretti verso nord e sud America26; per quanto sia necessario trovare ulteriori conferme, la spinta espulsiva che colpisce negli anni del fascismo le popolazioni di lingua non italiana è evidente: la politica snazionalizzatrice del fascismo, le persecuzioni del tribunale speciale, le restrizioni linguistiche si sommarono alle comuni difficoltà economiche27, spingendo all’emigrazione i cittadini della Venezia Giulia di lingua slovena e croata.

Un flusso in uscita di tali dimensioni spiega perché le statistiche italiane rilevano, dalla seconda metà degli anni venti, un numero di espatri dalla Venezia Giulia (con destinazioni europee) superiore percentualmente a quelli di altre regioni italiane28; un’anomalia spiegabile con l’azione volta ad “irrobustire nazionalmente il confine”29 attuata dal fascismo, che bilancia queste uscite con l’afflusso di militari con le loro famiglie, di funzionari regi e stimolando un’emigrazione interna verso la Venezia Giulia.

Fin dai primi anni venti anche il gruppo minoritario tedesco, costituito da funzionari, professionisti e intellettuali, storicamente presente a Trieste, a Gorizia e a Pola scompare completamente dalla composizione demografica della regione, emigrando in Austria e talvolta oltre oceano30.

Trieste mantenne un ruolo di rilievo per l’emigrazione anche nel periodo tra le due guerre mondiali, in particolare diventando il porto di transito degli ebrei provenienti dalla Polonia, dai paesi baltici e dalla Russia (fin dal 1903) e poi raccogliendo dal 1933 una buona parte di quanti fuggivano dalle persecuzioni naziste. Tra il 1920 e il 1938 transitarono da Trieste 161.754 ebrei diretti in Palestina e un numero maggiore (ma non quantificabile con precisione) diretto al nord America31.

3. – Nuovi confini, esodo e migrazioni nel secondo dopoguerra

Le spinte all’emigrazione dalla Venezia Giulia dopo il 1918 furono prevalentemente sostenute da motivazioni politiche, che si sovrapposero a quelle economiche, per la forte pressione del nazionalismo e del fascismo sulle componenti non italiane della popolazione. La prevalenza di motivazioni politiche su quelle economiche nel determinare i movimenti demografici appare una costante, nella regione alto adriatica, anche dopo la seconda guerra mondiale.

La drastica riduzione del territorio italiano, a seguito del trattato di pace del 10 febbraio 1947, accentuò le tensioni politiche, determinando una forte pressione ambientale e un’insicurezza generale in particolare nei territori assegnati alla Jugoslavia; la Venezia Giulia diventò una esigua periferia dello stato italiano, limitata soltanto ad una ridotta provincia di Gorizia, a cui si aggiunse, dopo il 1954, la provincia di Trieste (con cinque comuni minori)32, assegnata definitivamente all’amministrazione italiana (vedi cartina). La quasi totalità dell’Istria, le città di Fiume e di Zara assegnate alla Repubblica di Jugoslavia provocarono quello che è noto come l’esodo verso l’Italia di una parte consistente della popolazione istriano-dalmata residente nei territori annessi alla Jugoslavia. Tale movimento, consimile a tanti altri spostamenti di popolazione avvenuti nella parte centro-orientale dell’Europa, fu determinato dagli esiti del conflitto mondiale appena concluso e, sul lungo periodo, si inserisce nelle dinamiche politiche dello stato-nazione, teso ad attuare una semplificazione etnica all’interno dei propri confini. L’esodo istriano-dalmata si dispiegò in un ampio periodo, che va dagli anni finali del conflitto fino al 1956, e coinvolse complessivamente circa 270.000 persone, prevalentemente di lingua italiana, di cui 180.000 venetofoni autoctoni33. Circa 60.000 persone proveniente dai territori annessi alla Jugoslavia si fermarono nella zona di Trieste: ancora una volta la città giuliana divenne meta di immigrazione, anche se in questo caso non si trattò di attrazione economica, quanto di scelte orientate sia dal governo italiano, che dal desiderio delle singole famiglie di non allontanarsi dal confine e dalle località di provenienza.

L’esodo è da oltre una decina d’anni occasione di ampia e qualificata attenzione storiografica, invece meno noti sono altri due movimenti demografici di rilievo: l’emigrazione verso l’Australia, breve ma intensa, di migliaia di cittadini triestini e l’emigrazione in Jugoslavia di circa duemila operai del monfalconese.

L’Australia modificò radicalmente la propria politica immigratoria, dando avvio dal 1947 all’accoglienza di migliaia di migranti europei, anche dall’Italia; tra questi un consistente numero proveniva dalla Venezia Giulia. Tale emigrazione è considerata insolita o eccezionale nel contesto regionale34, non certo per la meta o per la quantità, ma perché costituisce la prima e unica rilevante esperienza migratoria di tipo economico a cui parteciparono massicciamente i cittadini di Trieste, la città che da sempre aveva costituito un polo di attrazione e non di espulsione. La quantificazione degli espatri risulta difficile per l’intrecciarsi di arrivi dall’Istria e partenze verso mete europee e transoceaniche, talvolta organizzate e altre volte autonome da ogni controllo. I dati certi si riferiscono all’emigrazione assistita da parte dell’International Refugee Organization prima e poi dal Comitato Intergovernativo per le Migrazioni Europee35: nel periodo 1954-1961 sono documentate 9.614 partenze36 per l’Australia (molto limitate altre mete, come Stati Uniti, Canada, Argentina, Sudafrica). Confrontando diverse fonti, soprattutto iscrizioni e cancellazioni anagrafiche nei comuni della Venezia Giulia, le stime convergono su circa 22.000 partenze complessive, in grande maggioranza da Trieste e in misura minore da Gorizia37 e da località istriano-dalmate38.

Le motivazioni economiche – in questo caso – risultano prevalenti, poiché le partenze transoceaniche si concentrano negli anni 1954-1958, attenuando progressivamente la propria consistenza fino al 1961, tanto che le ricostruzioni storiografiche, mettono in relazione la fine del Territorio Libero di Trieste nel 1954 e l’avvio delle partenze da Trieste: cioè le condizioni economiche della città, soggetta all’amministrazione anglo-americana fino al 1954, cambiarono radicalmente a causa della riduzione dei cospicui finanziamenti internazionali, che avevano assicurato sostegno alle industrie e sufficienti livelli occupazionali nell’apparato amministrativo e nei servizi di sicurezza del Governo Militare Alleato39. Il passaggio all’amministrazione italiana non sembrava in grado di garantire la piena occupazione, né la soluzione del problema abitativo, aggravato anche dall’afflusso dei profughi dall’Istria, spingendo molti cittadini ed esuli a emigrare.

Un altro movimento migratorio insolito fu la partenza dei monfalconesi verso la Jugoslavia negli anni 1946-1948. Si trattò di 2.000-2.500 persone40, in gran parte operai dei cantieri di Monfalcone, che espatriarono in base a scelte ideologiche, legate alle particolari condizioni del confronto politico del periodo. Quanti raggiunsero la Jugoslavia e in particolare Fiume, trovando occupazione presso i cantieri della città, erano iscritti al Partito comunista della Regione Giulia e intendevano dare il loro contributo alla ricostruzione della Jugoslavia comunista. Il loro destino in poco tempo venne condizionato e travolto dagli eventi internazionali; subirono gli effetti del contrasto tra Tito e Stalin, che portò dal giugno 1948, alla rottura dei rapporti con l’Unione Sovietica e alla persecuzione di quanti, in territorio jugoslavo, sostenevano il Cominform (e quindi Stalin): gran parte dei monfalconesi, sostenitori dell’internazionalismo operaio, furono costretti ad un rapido rientro e taluni a subire persecuzioni e anni di reclusione41.

4. – Considerazioni conclusive

Nel delineare sinteticamente le caratteristiche dell’emigrazione dalla Venezia Giulia, molti aspetti non sono stati presi in considerazione, in particolare le migrazioni temporanee, quelle propriamente interne (negli anni trenta e cinquanta del secolo scorso), i rientri dall’Australia o le migrazioni interne jugoslave verso l’Istria dopo il 1945, ma si è voluto segnalare alcune peculiarità che, nel contesto dell’emigrazione italiana, distinguono i movimenti migratori della Venezia Giulia:

– il ruolo dei confini di stato nel determinare sia una periodizzazione dei flussi migratori, sia le loro stesse modalità di attuazione;

– la forte incidenza delle condizioni politiche generali nel determinare consistenti movimenti di popolazione nell’ambito di una regione etnicamente e linguisticamente mista;

– il ruolo attrattivo dell’attività mercantile triestina, anche in relazione al transito di migliaia di migranti provenienti dall’Europa centro-orientale.

Note al testo:

 

1 La formulazione del toponimo si deve a Graziadio Isaia Ascoli, noto linguista goriziano, che in un breve testo (Le Venezie, pubblicato sulla rivista milanese “L’Alleanza”, del 23 agosto 1863) individuò in Venezia Giulia il modo con cui riferirsi ai territori appartenenti all’Austria, ma abitati anche da popolazione di lingua italiana.

2 Il Land del Litorale, si può equiparare alle attuali regioni italiane e, come tutti i Länder austriaci, era suddiviso in Distretti.

3 La città, che contava 35.000 abitanti nel 1810, grazie all’attività portuale agevolata dal governo austriaco, raggiunse i 220.000 abitanti nel 1910. Su questi temi Roberto Finzi e Franco Tassinari, Le piramidi di Trieste. Triestine e triestini dal 1918 a oggi. Un profilo demografico, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. Il Friuli-Venezia Giulia, a cura di Roberto Finzi, Claudio Magris e Giovanni Miccoli, Torino, Einaudi, 2002, pp. 291-296; inoltre cfr. Marina Cattaruzza, La formazione del proletariato urbano. Immigrati, operai di mestiere, donne a Trieste dalla metà del secolo 19° alla prima guerra mondiale, Torino, Musolini, 1979.

4 Il Friuli era la provincia più orientale del Regno del Lombardo-Veneto, soggetto alla monarchia asburgica. A conclusione della terza guerra di indipendenza, nel 1866, il Veneto (compreso il Friuli) venne annesso al Regno d’Italia.

5 Sulle radici storiche dell’immigrazione friulana verso Trieste, vedi Aleksej Kalc, Marco Breschi ed Elisabetta Navarra, I friulani a Trieste (sec. XVIII), in Vivere in Friuli. Saggi di demografia storica (secc. XVI-XIX), Udine, Forum, 1999.

6 Regnicoli (Reichitaliener, in tedesco) in quanto italiani provenienti dal Regno d’Italia. In tal modo si operava una distinzione tra gli italiani autoctoni, da sempre residenti a Trieste, a Gorizia e in Istria e gli italiani immigrati. Cfr. Pierpaolo Dorsi, I “regnicoli”: una componente dimenticata della società triestina in età asburgica, in Trieste, Austria, Italia fra Settecento e Novecento. Studi in onore di Elio Apih, a cura di Marina Cattaruzza, Udine, Del Bianco, 1996, pp. 113-130.

7 Secondo il censimento del 1910 “erano ben 98.000 gli abitanti di Trieste nati al­trove”, in M. Cattaruzza, La formazione del proletariato urbano, cit., p. 8.

8 Tale area è stata oggetto di analisi, anche riguardo all’economia, da Francesco Micelli, L’emigrazione dal “Friuli orientale”, in Economia e società nel Goriziano tra ‘800 e ‘900. Il ruolo della Camera di Commercio (1850-1915), a cura di Furio Bianco, Maria Massau Dan, Monfalcone, Edizioni della Laguna, 1991, pp. 173-190; inoltre cfr. Silvano Benvenuti, Da “peccatori” a “depravati”. Note sull’emigrazione dalla provincia di Gorizia (1878-1891), “Qualestoria”, 10, 3 (1982), pp. 51-70.

9 Talvolta, pur di partire, alcuni figli adolescenti venivano affidati ai parenti; sulle limitazioni in base all’età dei minori maschi e la relativa legislazione cfr. Franco Cecotti, L’emigrazione dal Litorale austriaco verso Argentina e Brasile 1878 – 1903, in Un’altra terra, un’altra vita. L’emigrazione isontina in Sud America tra storia e memoria 1878-1970, a cura di Id. e Dario Mattiussi, Gradisca d’Isonzo, Centro di Ricerca e Documentazione Storica e Sociale “Leopoldo Gasparini”, 2003, p. 20.

10 Particolarmente efficace furono diverse Agenzie operanti a Udine a partire dal 1877: rilievo particolare ebbero l’Agenzia di Giacomo Modesti e la “Trasporti Generali Internazionali” di G. Colajanni di Genova; cfr. F. Cecotti, L’emigrazione dal Litorale austriaco verso Argentina e Brasile 1878 – 1903, cit., pp. 35-36.

11 Tra novembre 1877 e dicembre 1878 dal Distretto di Gradisca emigrarono 1.009 persone (su 53.533 abitanti); livelli raggiunti anche nel 1879, 1885 e 1888, mentre negli altri anni e fino al 1900 le partenze si contennero tra 100 e 350 persone, cfr. F. Cecotti, L’emigrazione dal Litorale austriaco verso Argentina e Brasile 1878 – 1903, cit., pp. 28-29.

12 L’atteggiamento, prima preoccupato e poi riflessivo, verso l’insorgere dell’emigrazione transoceanica si riscontra dalla lettura degli “Atti e memorie della Società Agraria di Gorizia”, nelle annate 1878 e seguenti.

13 Probabilmente la decisione di lasciar partire le navi da Trieste, mirava anche a questo risultato: evidenziare i rischi (anche di natura demografica) per l’economia agricola, e impegnare le autorità di oltre confine a maggiori controlli, specialmente nei riguardi degli espatri clandestini.

14 L’intestazione ufficiale era Agenzia Internazionale di Viaggi, un titolo di copertura, dietro il quale venivano organizzati viaggi verso Sud e Nord America in partenza da porti italiani, tedeschi e francesi.

15 Le registrazione dei passaggi iniziarono nel 1896 ad opera della Gendarmeria di Cormons e inviati alla Luogotenenza del Litorale, cfr. F. Cecotti, L’emigrazione dal Litorale austriaco verso Argentina e Brasile 1878 – 1903, cit., p. 25 e nota 50. Un’altra località di passaggio del confine, per raggiungere Udine tramite ferrovia, fu Pontebba, presso Tarvisio.

16 Nel 1903 erano attive 25 agenzie autorizzate ad operare in territorio ungherese (di cui anche la Croazia era parte); una sintesi della legislazione ungherese in Ervin Dubrović, Merika. Iseljavnje iz Srednje Europe u Ameriku 1880-1914 / Emigration from Central Europe to America 1880-1914, Rijeka, Muzej grada Rijeke, 2008, p. 25 (consultabile sul sito del museo: http://muzej-rijeka.hr/merika/introduction.html).

17 Giorgio Valussi, Le migrazioni transoceaniche europee attraverso il porto di Trieste nel periodo 1903-1914, “Quaderni del Centro Studi Ezio Vanoni”, 2 (1971); vedi anche Aleksej Kalc, Prekooceansko izseljevanje skozi Trst 1903-1914, “Zgodovinski časopis”, 46, 4 (1992), pp. 479-496.

18 Gli emigranti provenienti dal territorio austro-ungarico che partirono dal porto di Trieste furono 220.312, quelli in partenza da Fiume 317.638; dati in E. Dubrović, Merika. Iseljavnje iz Srednje Europe u Ameriku 1880-1914, cit., pp. 63-64 e 127.

19 Cfr. A. Kalc, Prekooceansko izseljevanje skozi Trst 1903-1914, cit., p. 485.

20 I fratelli Callisto e Alberto Cosulich originari dell’isola di Lussino, furono anche gli artefici del Cantiere Navale Triestino, sorto a Monfalcone (inaugurato nel 1908) allo scopo di produrre piroscafi per la Compagnia.

21 I profughi di guerra del Litorale talvolta vennero considerati italiani “nemici” se spostati in Austria o in Ungheria, mentre furono considerati austriaci “nemici”, se spostati in Italia. Su questi temi rimando a “Un esilio che non ha pari”. 1914-1918 profughi, internati ed emigrati di Trieste, dell’Isontino e dell’Istria, a cura di Franco Cecotti, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 2001.

22 Ad esempio a metà anni Venti 180 abitanti di Medea (Gorizia) si trasferiscono compattamente a Castelculier (Dipartimento del Lot et Garonne), cfr. Aldo Gallas, Medea e l’emigrazione. Cenni storici. L’attualità, Comune di Medea, 1988.

23 Franco Cecotti, Storia di Pepi Merican. Appunti sull’emigrazione dal Gradiscano tra Otto e Novecento, “Qualestoria”, 22, 1-2 (1994), pp. 25-64; un inquadramento generale per l’Istria in Dean Krmac, L’emigrazione istriana nel passaggio dall’impero asburgico al regno d’Italia (1918-1924), “Studi Emigrazione”, 39, 147 (2002), pp. 663-690.

24 I dati per la Venezia Giulia nel periodo tra 1921-1938 segnalano 72.995 partenze totali (di cui 34.498 sono emigranti transoceanici), cfr. Carlo Donato e Pio Nodari, L’emigrazione giuliana nel mondo. Note introduttive, “Quaderni del Centro studi economico-politici Ezio Vanoni”, 3-4 (1995), in particolare Appendice A, Allegato statistico, pp. 91-101.

25 La zona di Gorizia venne inclusa nella provincia di Udine dal 1923 al 1927, quindi i dati statistici rientrano nel compartimento del “Veneto” e solo dalla metà del 1927, con l’istituzione della provincia, Gorizia viene inserita nel compartimento “Venezia Giulia e Zara”.

26 Cfr. Milica Kacin Wohinz e Jože Pirjevec, Storia degli sloveni in Italia 1866–1998, Venezia, Marsilio, 1998, p. 41; Aleksej Kalc, L’emigrazione slovena e croata dalla Venezia Giulia tra le due guerre ed il suo ruolo politico, “Annales. Annali di studi istriani e mediterranei”, 6, 8 (1996), pp. 28-29; Piero Purini, L’emigrazione non italiana dalla Venezia Giulia tra le due guerre, “Qualestoria”, 1 (2000), p. 36-37.

27 I dati sull’incidenza degli emigranti dai singoli paesi della provincia di Gorizia rilevano uno spopolamento massiccio della zona alpina e prealpina a nord-est di Gorizia, abitata quasi esclusivamente da sloveni (ad esempio da Tolmino 64,2% e da Caporetto 40,5% degli abitanti se ne vanno nel 1931), cfr. Ernesto Massi, L’ambiente geografico e lo sviluppo economico nel Goriziano, Gorizia, Tip. G. Iucchi, 1933, p. 99.

28 Cfr. su questi temi P. Purini, L’emigrazione non italiana dalla Venezia Giulia tra le due guerre, cit.

29 Mario Griffini, Vantaggi dell’emigrazione interna verso Fiume e Trieste, “Economia”, 1, 6 (1923), p. 299-300.

30 L’emigrazione della popolazione di lingua tedesca ha ricevuto scarsa attenzione storiografica, ma vanno segnalati i rilevanti contributi di Pierpaolo Dorsi, Stranieri in patria. La parabola del gruppo minoritario tedesco nella Trieste austriaca, “Clio”, 16, 1 (2001), pp. 5-58. L’indicazione di 40.000 abitanti di lingua tedesca emigrati dalla Venezia Giulia tra le due guerre mondiali sembra sovrastimata e da ridurre a 30.000 (quanti rilevati al censimento austriaco del 1910), in Giancarlo Bertuzzi, Storia dell’emigrazione regionale, http://www.ammer-fvg.org, p. 14; una rara testimonianza diaristica va segnalata: Giorgio Mario von Leitgeb, La saga di una famiglia. Da Gorizia al Brasile 1922-1947, Vicenza, Egida, 1995.

31 Su questi temi cfr. Tullia Catalan, L’emigrazione ebraica in Palestina attraverso il porto di Trieste (1908-1938), “Qualestoria”, 19, 2-3 (1991), pp. 57-107 tabella statistica a p. 107; Ellen Ginzburg Migliorino, Jewish emigration from Trieste to the United States after 1938, with special reference to New York, Philadelphia and Wilmington, “Studi Emigrazione”, 28, 103 (1991), pp. 369-377; Silva Bon, Trieste La Porta di Sion. Storia dell’emigrazione ebraica verso la Terra d’Israele 1921-1940, Firenze, Alinari, 1998.

32 Dal 1947 al 1954 Trieste, per effetto del trattato di pace risultò inserita nel Territorio Libero di Trieste, una parte del quale (Zona A), con il Memorandum di Londra del 1954 venne assegnata all’Italia, mentre alla Jugoslavia venne assegnata la Zona B.

33 Scelgo, in questo caso, la denominazione utilizzata da Olinto Mileta Mattiuz, che propone questa ripartizione nella quantificazione degli esuli: venetofono-romanzi autoctoni 188.000; immigrati tra le due guerre dall’Italia 36.000; figli di immigrati 3.700; sloveni autoctoni 34.000; croati autoctoni 12.000; rientri di funzionari italiani dalle zone di confine (militari, amministrativi con famiglie) 24.000; rumeni, ungheresi, albanesi 4.300. Cfr. O. Mileta Mattiuz, Popolazioni dell’Istria, Fiume, Zara e Dalmazia (1850-2002). Ipotesi di quantificazione demografica, Trieste, Ades, 2005; sulle fonti per la quantificazione e le diverse interpretazioni rinvio a Raoul Pupo, Il lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe, l’esilio, Milano, Rizzoli, 2005, pp. 187-191 (da cui traggo l’indicazione di 270.000 profughi).

34 Carlo Donato, Un caso singolare di mobilità geografica, in Friuli e Venezia Giulia. Storia del ‘900, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana – Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, 1997, pp. 561-580.

35 Giulia Caccamo, L’organizzazione internazionale per i rifugiati e i profughi giuliani, in Naufraghi della pace. Il 1945, i profughi e le memorie divise d’Europa, a cura di Guido Crainz, Raoul Pupo e Silvia Salvatici, Roma, Donzelli, 2008, pp. 157-171.

36 Le partenze sono così ripartite territorialmente: 6.493 dalla provincia di Trieste; 533 dalla provincia di Gorizia; 1.983 dai territori annessi alla Jugoslavia; 605 non determinati. Dati riferiti agli elenchi di partenti da diversi porti italiani e riportati in Francesco Fait, L’emigrazione giuliana in Australia 1954-1961, Udine, Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia – Ermi, 1999, p. 126-127; sull’inquadramento generale e sulla complessità delle quantificazioni rinvio a Gianfranco Cresciani, Storia e caratteristiche dell’emigrazione giuliana, istriana e dalmata in Australia, “Qualestoria”, 24, 2 (1996), pp. 35-68.

37 Francesco Fait, L’emigrazione giuliana in Australia 1954-1961, cit., p. 69.

38 La consistenza dei profughi istriano-dalmati emigrati in modo autonomo e non assistito sono difficili da distinguere dagli emigranti complessivi; comunque sono documentate 3.167 partenze di persone provenienti dall’Istria tra 1945 e 1947 organizzate dall’International Refugee Organization; indicazione si trova in G. Bertuzzi, Storia dell’emigrazione regionale, cit., p. 22.

39 Sulle condizioni economiche e l’emigrazione nell’area triestina segnalo Aleksander Panjek, Ricostruire Trieste: politiche e pratiche migratorie nel secondo dopoguerra, Trieste, Edizioni Università di Trieste, 2008.

40 Marco Puppini, Il “controesodo” monfalconese in Jugoslavia tra Trattato di Pace e Risoluzione del Cominform, in Id., Il mosaico giuliano. Società e politica nella Venezia Giulia del secondo dopoguerra (1945-1954), Gradisca d’Isonzo, Centro di Ricerca e Documentazione Storica e Sociale “Leopoldo Gasparini”, 2003, p. 70-71. Ai monfalconesi si aggiunsero altri emigranti italiani sia dalle regioni meridionali che dal nord, non operai in questo caso ma intellettuali e professionisti, per cui la quantificazione complessiva viene ritenuta vicino alle 3.000 persone.

41 Andrea Berrini, Noi siamo la classe operaia: i duemila di Monfalcone, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2004; Alfredo Bonelli, Fra Stalin e Tito. Cominformisti a Fiume, 1948-1956, Trieste, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, 1994.