La nazionalizzazione di una società mobile. Mobilità e politica in una città industriale tra Ottocento e Novecento


1 Un’analisi della mobilità a Torino

Come noto, i percorsi migratori a breve, media e lunga distanza si intrecciano e il modello di mobilità è quasi sempre il frutto di pratiche e culture legate alla storia familiare e delle comunità d’origine degli individui. Francesco Quaglia, del 1858, e sua moglie Margherita, di dieci anni più giovane, erano originari di due paesi della campagna piemontese, non molto distanti tra loro e a una settantina di chilometri da Torino. Non sappiamo dove e quando si sposarono ed emigrarono, ma certamente si trovavano in Francia alla nascita del loro primo figlio, Carlo, nel 1887, così come in Francia nacquero negli anni seguenti gli altri tre figli, Costanza nel 1890, Vincenzo nel 1893 e Catterina nel 1895. Nel 1896 si registrarono all’anagrafe di Torino, e qui si stabilirono nel quartiere popolare e artigiano di Borgo Po. A Torino si inserirono nel mondo professionale a cui probabilmente erano tradizionalmente legati, quello operaio, in fabbrica o nelle botteghe artigiane. Il padre, un facchino, non aveva una grossa professionalità, la madre faceva la lavandaia, e i figli restarono legati in qualche modo a questo destino: il primogenito Carlo lavorò come tessitore, come decoratore e verniciatore, Costanza fece l’operaia, Vincenzo il manovale. Dalla campagna, dunque, novelli sposi si spostarono in Francia, per poi tornare dopo un decennio in Italia e per stabilirsi a Torino. Non sappiamo dove si possono esser conosciuti Alessandro Vogliotti e Maria, coetanei del 1854, lui manovale e lei casalinga, nati in due paesi della campagna piemontese distanti tra loro. I loro percorsi sono un vero zig zag tra Piemonte e Francia. È probabile che si siano conosciuti a Torino, dove erano emigrati da soli o al seguito delle loro famiglie d’origine. Quel che sappiamo di certo è che il loro primo figlio nacque in Francia nel 1881, il secondo nel 1884 a Verolengo, il paese d’origine della moglie, e il terzo a Torino nel 1888, città in cui si trasferirono definitivamente nel 1887. Il primogenito e la seconda figlia restarono nell’ambiente professionale familiare, come manovale e pettinatrice, mentre il terzo divenne disegnatore meccanico ed emigrò in America, quasi a confermare una trazione familiare di mobilità.

Un altro caso di percorso migratorio poco lineare è quello della famiglia Mussato. Marito e moglie avevano pochi anni di differenza, lui era del 1861 e lei del 1865, ed erano entrambi nati a Torino. La data e il luogo di nascita dei loro quattro figli mostra bene che tipo di spostamenti fece la famiglia dopo il matrimonio e prima del ritorno definitivo a Torino. Annetta nacque a Ginevra nel 1885, Camilla a Torino l’anno dopo, Fortunata e Giovanni nacquero a Siena, in Toscana, nel 1888 e nel 1890. In pochi anni, dunque, la famiglia espatriò, tornò a Torino per qualche mese, ripartì e finalmente nel 1891 vi si stabilì. Gli spostamenti erano probabilmente giustificati dalla professione del marito, fonditore, che cercava e trovava lavoro a distanza. Una classica famiglia operaia torinese, i cui figli seguirono il percorso professionale tipico di tante persone all’epoca: l’unico maschio morì ancora bambino, ma le tre ragazze si occuparono fin da molto giovani nel settore tessile, nelle industrie come tessitrici o nelle botteghe come sarte. La primogenita Annetta sposò poi a vent’anni Francesco Mussato, forse un cugino, ed emigrò in un’altra città del Piemonte, Vercelli8.

Si tratta di tre esempi estratti da un campione di alcune centinaia di famiglie residenti a Torino tra il 1901 e il 1921 con alle spalle un’esperienza migratoria oltre confine. Gli studi sulle migrazioni internazionali in Italia hanno da tempo messo in luce la continuità tra i grossi flussi di persone che partirono, anche per mete lontane, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, e la tradizionale pratica migratoria, di breve o lunga distanza, tipica già della società di ancien régime. Come si sa, spesso quest’emigrazione era stagionale, ed è già anche stato dimostrato l’elevato tasso di ritorni che caratterizzò in questi decenni la migrazione internazionale degli italiani, e in particolare dei piemontesi9. La formazione della società urbana della nuova capitale industriale italiana, Torino, si inserì pienamente all’interno di questi processi strutturali. La società torinese, come quella di tante altre città, aveva caratteri mobili, che cercherò ora di descrivere sommariamente.

Nell’arco di un cinquantennio, l’andamento della popolazione di Torino non fu per nulla stabile, come si può evincere dalla seguente tabella. Vista dall’alto e attraverso le varie rilevazioni condotte dall’amministrazione comunale, la popolazione urbana sembrò semplicemente adattarsi al mutamento di ruolo di Torino nel contesto italiano, da città capitale del neonato Regno d’Italia a città capitale industriale di un paese che stava tardivamente imboccando la via dello sviluppo economico. Le statistiche qui riportate confermano quel che ci si potrebbe aspettare: la curva demografica di Torino cresce grazie allo sviluppo della burocrazia, dei servizi e delle economie legate alla capitale, scende di colpo e bruscamente col trasferimento della capitale a Firenze (-12,25% in quattro anni, tra il 1964 e il 1968), per poi riprendersi molto lentamente e superare solo nel 1881 il dato del 1861. La crescita successiva fu poi molto più veloce, e fu determinata in gran parte dai nuovi e ingenti flussi migratori: rispetto alla popolazione del 1881, si calcola un +31,5% nel 1901 e un +67% nel 1911. Tuttavia la situazione era in realtà molto più dinamica e fluida di quanto non appaia da queste statistiche.

Tab. 1. Popolazione di Torino 1861-191110

 

Anno

Popolazione

1861

Primo censimento del Regno d’Italia

204.715

1864

Ultimo anno di Torino capitale del Regno

218.234

1868

Dopo il trasloco della capitale a Firenze

191.500

1871

Secondo censimento

210.097

1881

Terzo censimento

250.655

1901

Quarto censimento

329.691

1911

Quinto censimento

418.666

 

Nel caso di Torino, come in tanti altri casi di studio, la disponibilità delle fonti demografiche è frammentaria: dobbiamo dunque accontentarci di quel che è conservato negli archivi per provare a interpretare le caratteristiche della mobilità geografica che coinvolse la città piemontese. Per il primo decennio del Novecento possiamo attingere a rilevazioni più puntuali per stimare l’importanza delle migrazioni. La differenza tra la popolazione residente nel 1901 e quella di dieci anni dopo è di circa 89.000 unità, ma la quantità di persone che transitò dalla città fu di gran lunga superiore. Se osserviamo le sole registrazioni anagrafiche, cioè quelle tracciabili statisticamente, e ignoriamo tutte quelle persone che passarono dalla città e vi risedettero per periodi più o meno lunghi senza dar comunicazione all’ufficio competente, tra il 1903 e il 1912 entrarono a Torino circa 140.000 nuovi residenti, un dato pari a oltre il 40% della popolazione del 1901. In contemporanea, però, uscirono ben 77.000 individui. In questo decennio, circa 46.000 nuclei familiari si registrarono all’anagrafe come nuovi residenti, e 20.000 si cancellarono11.

Tab. 2 Immigrati a Torino per genere e anno, 1903-1912

 

M

F

TOT.

1903

5573

5542

11115

1904

5439

5174

10613

1905

5171

5231

10402

1906

7420

7176

14596

1907

7739

7805

15544

1908

7947

7906

15853

1909

8928

8981

17909

1910

9509

9823

19332

1911

5628

5674

11302

1912

6785

7164

13949

TOT.

70139

70476

140615

 

Graf. 1 Immigrati a Torino per genere e anno, 1903-1912

grafico1
Tab. 3. Emigrati da Torino per genere e anno, 1903-1912

M

F

TOT.

1903

3080

3216

6306

1904

4288

4018

8306

1905

3308

3227

6535

1906

3842

3721

7563

1907

4927

5013

9940

1908

4611

4624

9235

1909

4329

4356

8685

1910

4434

4239

8673

1911

2148

2163

4311

1912

3642

3868

7510

TOT.

38609

38445

77064

Graf. 2 Emigrati da Torino per genere e anno, 1903-1912

grafico2

A questo dato, di per sé significativo, si dovrebbe aggiungere quello dell’emigrazione temporanea, di poche settimane o mesi, molto difficile da registrare perché ovviamente le persone non dichiaravano all’anagrafe questi spostamenti. Una spia di tale mobilità ci viene però dalle rilevazioni dei censimenti del 1901 e del 1911: nel giorno in cui il rilevatore passò dalle famiglie torinesi per compilare i moduli con i dati della popolazione residente, furono dichiarati ufficialmente assenti temporanei quasi 10.000 individui nel 1901 (di cui un migliaio temporaneamente all’estero) e quasi 13.000 nel 1911 (1.100 all’estero)12. Questo dato fotografa solamente la situazione in un particolare momento e non è difficile pensare quanto i numeri potrebbero crescere se solo riuscissimo a stimare queste assenze temporanee per ogni mese e anno.

Non è possibile in questa sede riportare tutte le elaborazioni dei dati sugli immigrati e sugli emigrati torinesi a inizio Novecento, e mi limiterò a descriverne le principali caratteristiche. Nel primo decennio del secolo maschi e femmine erano rappresentati in modo sostanzialmente paritario, sia tra gli immigrati sia tra gli emigrati. Non ho purtroppo trovato dati rappresentativi sull’emigrazione o immigrazione internazionale, a parte quelli sull’assenza temporanea, che pure sono una spia interessante delle caratteristiche di questo fenomeno, e le statistiche sono relative al solo 1912, quando l’ufficio anagrafico stimò che nel corso dell’anno si cancellarono dal registro della popolazione, perché emigrate all’estero, 469 famiglie e 969 individui, con prevalente destinazione l’America, la Francia e la Svizzera. Molti probabilmente tornarono poi in patria nel breve volgere di qualche anno.

Dal punto di vista professionale, si possono segnalare le seguenti caratteristiche della mobilità torinese. Tra gli immigrati, spiccava ovviamente il dato degli operai, in media sempre oltre il 20% e con picchi superiori al 30%. Tra le donne, questo settore professionale pesava circa la metà rispetto agli uomini, mentre era più rilevante la percentuale di addetti ai servizi domestici e alle altre professioni. Quest’ultima categoria nascondeva in realtà il ricco mondo delle professioni femminili in ambiente urbano e l’elevata mobilità professionale che le riguardava: nel caso delle operaie tessili, per esempio, la vita di fabbrica abbracciava gli anni giovanili, ma il licenziamento non sanciva l’espulsione delle donne dal mondo del lavoro. Semplicemente, i percorsi diventavano meno tracciabili: dopo la maternità, molte donne ritornavano infatti a lavorare nel settore, soprattutto nelle botteghe artigiane e nelle piccole sartorie, in molti casi portando avanti altre forme di lavoro, per esempio domestico. Proprio nelle sartorie artigianali, molto più che in fabbrica, dove prevaleva la manodopera giovanile, si incontravano più generazioni di tessitrici e sarte. In raffronto al dato degli immigrati, tra gli emigrati spiccavano gli impiegati e i professionisti e restava comunque alta la percentuale degli operai. Dopo anni di ricerche sulla mobilità professionale operaia, quest’ultimo dato non stupisce più. La professione in fabbrica nelle città industriali non rappresentava un destino di stabilità per i molti operai torinesi, immigrati e non. Molto spesso, infatti, e soprattutto in questi decenni, la migrazione in città dalla campagna era stagionale e legata ancora ai ritmi lavorativi dell’agricoltura, settore a cui molti tornavano una o più volte durante l’anno e che alternavano con la vita da operai a Torino13. Per fornire qualche indicazione più precisa, riporto di seguito una tabella sulla condizione professionale degli immigrati e degli emigrati a Torino a inizio Novecento.

Tab. 4 Percentuali immigrati a Torino 1903-1907 suddivisi per condizione socio-professionale14

 

Possidenti, pensionati

Professionisti, impiegati

Commercianti, industriali

Operai

Altre condizioni professionali

Ragazzi

1903

9,77

7,46

7,49

21,06

33,43

20,33

1904

10,13

8,85

7,11

21,49

30,61

21,80

1905

6,24

9,65

3,87

31,12

23,55

25,56

1906

4,72

8,68

3,46

36,30

23,44

23,40

1907

4,45

9,61

3,22

35,89

26,24

20,59

 

Tab. 5 Percentuali emigrati da Torino 1903-1907 suddivisi per condizione socio-professionale

 

Possidenti, pensionati

Professionisti, impiegati

Commercianti, industriali

Operai

Altre condizioni professionali

Ragazzi

1903

6,85

16,60

3,28

22,15

26,51

24,60

1904

5,96

13,14

3,25

30,18

22,84

24,63

1905

7,27

13,63

3,57

27,82

24,68

23,03

1906

6,45

12,81

3,08

23,51

22,72

31,43

1907

5,00

8,59

4,03

25,51

28,75

28,11

 

Tab. 6 Immigrati a Torino suddivisi per condizione professionale e per genere. Valore percentuale per ciascun genere 1903 e 1904

 

possidenti e pensionati

professionisti e impiegati

commercianti e industriali

operai e manovali

altre condizioni

ragazzi

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

1903

6,69

12,87

12,96

1,93

10,66

5,21

28,01

14,07

21,16

45,78

20,53

20,14

1904

7,23

13,18

15,68

1,66

9,40

4,72

27,21

15,48

18,85

42,98

21,64

21,98

 

Tab. 7 Emigrati da Torino suddivisi per condizione professionale e per genere. Valore percentuale per ciascun genere 1903 e 1904

 

possidenti e pensionati

professionisti e impiegati

commercianti e industriali

operai e manovali

altre condizioni

ragazzi

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

1903

4,22

9,39

28,25

5,50

5,06

1,59

29,74

14,96

8,54

43,81

24,51

24,75

1904

3,61

8,46

21,11

4,63

4,57

1,84

36,92

23,00

9,14

37,46

24,65

24,6

 

Tab. 8 Immigrati a Torino suddivisi per condizione professionale e per genere. Valore percentuale per ciascun genere 19011 e 1912

 

benestanti

esercito e corpi armati

professionisti artisti

commercianti esercenti

operai

coloni

persone di servizio e di fiducia

professioni girovaghe e varie

senza professione dichiarata e minori di anni 15

pensionati

ministri di culto

impiegati

industriali

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

1911

1,21

6,01

2,43

0,00

4,21

0,76

4,80

1,46

36,39

14,98

3,94

2,29

4,96

6,15

5,14

37,66

25,66

28,85

2,90

1,02

0,48

0,00

7,41

0,81

0,48

0,00

1912

1,40

5,72

1,72

0,00

3,20

0,42

3,54

1,33

33,63

14,22

3,10

1,76

7,99

5,18

2,25

8,29

29,73

60,23

3,07

0,99

0,18

0,01

9,71

1,74

0,49

0,10

 

Tab. 9 Emigrati da Torino suddivisi per condizione professionale e per genere. Valore percentuale per ciascun genere 19011 e 1912

 

benestanti

esercito e corpi armati

professionisti artisti

commercianti esercenti

operai

coloni

persone di servizio e di fiducia

professioni girovaghe e varie

senza professione dichiarata e minori di anni 15

pensionati

ministri di culto

impiegati

industriali

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

1911

1,44

11,70

4,52

0,00

5,82

1,20

3,03

1,16

33,99

16,74

2,70

1,20

2,79

6,47

0,28

0,65

31,61

60,01

1,96

0,55

0,37

0,00

10,89

0,32

0,61

0,00

1912

1,13

9,82

3,65

0,00

4,67

1,06

3,57

1,09

32,29

15,18

2,66

1,45

2,91

5,79

0,77

0,52

33,44

63,42

1,78

0,78

0,66

0,00

11,56

0,90

0,91

0,00

 

Non solo la migrazione, ma più in generale la mobilità geografica e sociale è un dato centrale per l’identità urbana di una città industriale come Torino. Che le persone si muovessero e questo incidesse sulle caratteristiche della società locale in cui si inserivano è un elemento assodato: in ogni caso le persone, sia che facessero tanti o pochi chilometri, sia che trascorressero più o meno lunghi periodi di permanenza fuori dal Piemonte, all’arrivo in città avevano alle spalle esperienze e storie individuali in cui si sovrapponevano il peso e i valori familiari, i legami degli immigrati con le comunità d’origine, le esperienze fatte altrove, a contatto con altri mondi sociali e culturali, all’estero come in patria, in città come in campagna. Se osserviamo la società industriale urbana dal punto di vista degli immigrati e degli emigrati, notiamo bene un elemento: proprio perché nelle scelte e nei comportamenti delle persone si sovrappongono continuamente più piani, non possiamo studiare la ricaduta delle migrazioni come se fossero processi unidimensionali. Occorre così cercare di capire meglio in che modo le identità legate all’esperienza migratoria si legassero con altre identità, professionali e non solo, per capire quanto e come, tutte insieme, incidessero sulla costruzione del discorso politico.