Recensione: Javier P. Grossutti e Corinna Mestroni, “In lontano suolo a guadagnarsi un incerto pane!”. Emigrants dal Friûl di Mieç, Mereto di Tomba, La Grame, 2012

La bibliografia appena stilata pecca per difetto, più che per eccesso: attesta quindi come Grossutti abbia perimetrato tutto il Friuli alla ricerca delle sue memorie di migrazione, non tralasciando quasi luogo o periodo. Questa attenzione estrema risalta anche dal libro qui preso in esame. Nella sua storia dell’emigrazione dell’area regionale mediana, assieme a Corinna Mestroni, il nostro studioso parte dal Seicento, le migrazioni verso Venezia, per proseguire con il Sette e l’Ottocento e il loro allargarsi a tutto l’ampio raggio del vicino impero austriaco e delle sue propaggini germaniche. Affronta quindi l’allargamento ad altri paesi europei, per esempio la Francia, e poi alle Americhe (in primo luogo Argentina, Stati Uniti e Canada) nell’esplosione della cosiddetta grande emigrazione. Il periodo fra le due guerre porta in auge soprattutto la Francia, anche per ragioni politiche visto che gli antifascisti vi si recano volentieri, ma non mostra disdegni per le mete offerte dalla politica fascista: l’Africa, Rodi e la Germania. Dopo la guerra si riprende con la Francia, cui si aggiunge il Belgio almeno sino alla tragedia di Marcinelle, e con il Nuovo Mondo (Argentina, Canada e Stati Uniti, ma per una breve stagione anche il Venezuela). Poi si affermano la Svizzera e la Germania, prima che il Friuli diventi a sua volta terra di rientri di seconde e terze generazioni.

In questa frenetica mobilità su scala globale si nota come i friulani mirino a ottimizzare i guadagni (di qui il cambiamento di meta a secondo dell’evoluzione economica) e poi a tornare. Sono dunque rari i casi di emigrazione definitiva, anche se questa si realizza talvolta in Argentina. Qui infatti per un insieme di motivi, alcuni centri friulani creano un proprio doppio e soprattutto reti migratorie che permettono di partire ogni volta che la congiuntura sia buona. Sono comunque più numerosi i casi di emigrazione ripetuta, spesso pure con mete diverse, oppure di famiglie nelle quali si parte di padre in figlio, ma dove padri e figli e soprattutto fratelli e sorelle scelgono Paesi diversi, a seconda della congiuntura. L’accenno alle componenti femminili dell’emigrazione è un’altra caratteristica di questo lavoro, che evidenzia come le donne non partano soltanto nel ruolo di mogli e figli, ma di migranti a tutto tondo. D’altronde per il modello stesso dell’emigrazione regionale non vi è forte tendenza alle riunioni familiari oltre oceano o comunque oltre confine, quanto piuttosto la tendenza a mandare fuori più componenti dei vari rami familiari e a vederli quindi tornare.

Questo notevole studio si conclude con un massiccio elenco di tutti gli emigrati studiati: sono elencati (con l’indicazione non solo degli anni e dei luoghi di emigrazione, ma soprattutto delle fonti archivistiche) ben 3.587 partenti dai comuni di Mereto, Pantianicco, Plasencis, San Marco, Savalons e Toma di Mereto dal 1878 al 1970. Ormai si ha quasi l’impressione che Grossutti miri (e possa riuscire) a conoscere personalmente i dati su tutti i friulani emigrati nei secoli.