Migrazioni e graphic novels

Il successo nelle librerie a cavallo tra il Novecento e il nuovo secolo ha spinto le graphic novels a forzare le proprie dimensioni originarie e a trasformarsi da romanzi a fumetti in riflessioni sulla genesi della società contemporanea[1]. Esse hanno così riaperto la discussione sulla possibilità di distillare i risultati di una ricerca storico-sociale utilizzando un qualsiasi genere narrativo. Il dibattito relativo a tale questione è ormai plurisecolare, perché nato due secoli orsono dalla separazione fra attività accademica, ivi compresa qualsiasi forma di approfondimento del mondo in cui si viveva, e produzione narrativa. Agli inizi dell’Ottocento i confini tra le due sfere erano invece incerti e molti li attraversavano più volte e in entrambe le direzioni: dalla ricerca alla narrazione e da questa alla prima.

Agli inizi di quel secolo, tanto per fare un esempio scontatissimo, lo scrittore edimburghese Walter Scott (1771-1832) era universalmente applaudito in quanto autore di romanzi sulla storia della propria isola e in particolare della Scozia (la trilogia di Waverley, 1814-1816; Rob Roy, 1818; Ivanhoe, 1820), antologie di poesia (The Minstrelsy of the Scottish Border, 1802), saggi di storia locale (The History of Scotland, 1829-1830), edizioni di documenti (Original Memoirs, Written during the Great Civil War, 1806; Military Memoirs of the Great Civil War, 1822 ) e biografie di personaggi illustri (Life of Napoleon, 1827)[2]. Sulla base di una formazione giuridico-filosofica Scott sviluppò così una fortunata carriera editoriale, che lo vide di volta in volta romanziere, storico, critico letterario e filologo. Nessuno trovava niente da ridire su questi sconfinamenti; anzi lo storico francese Augustin Thierry (1795-maggio 1856) elaborò una visione romantica del medioevo ispirandosi esplicitamente ad essi. Lo studioso francese dichiarò al proposito che dalle pagine dello scozzese trapelava una visione della storia ben più ampia di quella trasmessa da qualsiasi studioso settecentesco[3].

Pochi decenni dopo non era più possibile affermare qualcosa di simili. Di conseguenza o si scrivevano romanzi e pièces teatrali oppure si lavorava nell’università. Era possibile varcare i confini tra accademia e narrazione soltanto per gravissimi motivi. Il parigino Jules Michelet (1798-1874) pubblicò saggi proto-ecologistici (La Mer, 1861; La Montagne, 1868) o proto-antropologici (La Femme, 1859; La Sorcière, 1862) dalle forti tonalità letterarie dopo una lunga carriera quale archivista, storico e docente universitario (Histoire de France au Moyen Âge, 1833-1844; Histoire de la Révolution française, 1847-1853). Però, era stato costretto a trovarsi una nuova occupazione dopo essere stato espulso da università e archivi per volontà di Luigi Napoleone. A partire dalla Terza Repubblica i francesi santificarono Michelet quale storico nazionale, ma dal canone di questa beatificazione furono cancellate le sue opere meno accademiche[4].

Scrivere per le masse non rispondeva più ai nuovi modelli culturali e così tra fine Ottocento e inizio Novecento si tentò di cancellare qualsiasi ponte tra ricerca e narrazione storica. Soltanto dopo la Seconda guerra mondiale si cominciò a rivalutare romanzo e pittura storici e a definirli modi efficaci, seppur alternativi, di capire e far capire il passato[5]. Analogamente si iniziò a ragionare sul cinema quale strumento per comprendere e descrivere la complessità delle società rappresentate. Sulla scia di questa evoluzione persino il fumetto e i suoi derivati furono presi in considerazione quali possibili strumenti di analisi e divulgazione[6]. Questo recupero dei comics fu, però, assai complicato, perché tra il 1950 e il 1960 era stato lanciato contro di loro un anatema, che si protrasse nei decenni successivi[7]. Ancora meno indolore e per giunta non del tutto concretizzata è stata la recente valorizzazione dei videogiochi a sfondo storico. Tuttavia non conviene qui discutere tale fenomeno, se non per ricordare che nel nostro millennio i videogame hanno sostituito fumetti e cinema per chi è sotto i 40 anni.

Se il romanzo non è ancora sparito dall’ambito delle narrazioni/ricostruzioni del passato, basti pensare all’enorme diffusione di romanzi storici e di romanzi rosa a sfondo storico, fumetti e cinema si trovano oggi in una situazione critica e sono soggetti a notevoli trasformazioni. Si pensi all’elaborazione e alla diffusione di tavole soltanto on-line, oppure ai film via via accorpati alle serie televisive come modalità produttiva e distributiva nel mondo di Netflix. Invece per un paio di generazioni cresciute dopo la Seconda guerra mondiale i fumetti hanno costituito un ambiente culturale primario, ricco di stimoli e di sfaccettature e in grado di suggerire nuove strategie narrative ed esplicative. Questo è stato particolarmente evidente in Italia, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso: è sufficiente rileggere le riflessioni di Umberto Eco[8], le pagine del mensile Linus (uscito dal 1965) e le sperimentazioni di Dino Buzzati. In particolare il Poema a fumetti di quest’ultimo, pubblicato da Mondadori nel 1969, anticipa di quasi un decennio lo sviluppo delle graphic novels.

Queste ultime hanno preso slancio oltreoceano alla fine degli anni Settanta con A Contract with God and Other Tenement Stories di Will Eisner (Baronet Books, 1978) per poi esplodere negli anni Ottanta. Si sono da allora rivelate in grado di rispecchiare in maniera originale il presente della società nella quale sono pubblicate e hanno aperto un percorso recentemente preso da La linea dell’orizzonte di Francesco Saresin, Francesco Della Puppa e Francesco Matteuzzi (Padova-Roma, Becco Giallo – Fondazione CSER, 2021). In quest’opera tutta italiana il protagonista, Stefano, è un sociologo che segue alcuni migranti bangladesi dal Veneto al Regno Unito. Il suo viaggio è un processo di apprendimento non soltanto della nuova realtà migratoria, ma anche delle proprie potenzialità. A un certo punto, il nostro eroe elenca tra i suoi progetti quello di raccontare “a fumetti” la ricerca in corso, perché soltanto così può rendere conto del pathos che nutre il lavoro di ogni ricercatore. Attraverso questa forma di narrazione si può infatti mostrare l’avanzamento del lavoro sul campo e al contempo i rovelli di chi lo svolge.

L’asse portante del romanzo a fumetti di Saresin, Della Puppa e Matteuzzi è il voler raccontare una migrazione specifica. Ovviamente non si tratta di una novità assoluta. Le diaspore politiche o lavorative non sono infatti un argomento ignoto ai generi narrativi dei secoli passati, anzi sono state narrate a più riprese. Tuttavia sono a lungo rimaste estranee ai fumetti, se non per rare eccezioni studiate recentemente da Lorenzo Luatti[9]. Questa distanza ha iniziato a sfumare, quando è emerso il romanzo grafico come sottogenere del fumetto. Già il primo grande successo in questo settore, Maus dello statunitense Art Spiegelman[10], affronta il tema della mobilità. L’autore intervista il padre migrato nell’area newyorchese e lo interroga su quanto ha vissuto e visto ad Auschwitz, nonché durante l’invasione nazista della Polonia. Il racconto ripercorre il passato, ma è sempre sottintesa la diaspora postbellica, perché il narratore e il padre mostrano continuamente come quell’evento abbia avuto conseguenze impreviste e portato gli ebrei superstiti oltre Atlantico.

Lo sradicamento a causa di congiunture di straordinaria violenza innerva anche Persepolis della iraniana Marjane Satrapi (2000-2003): il primo romanzo a fumetti di successo planetario, tanto da essere portato sugli schermi (2007, regia della stessa Satrapi e di Vincent Paronnaud). La protagonista è inviata a studiare in Austria, perché i genitori ne temono le scelte politiche, inoltre paventano le conseguenze della guerra tra Iraq e Iran. Questa prima migrazione non è definitiva, d’altronde Satrapi sopravvive a stento in Europa e da studente povera fa la fame. Sennonché riparte, dopo il rientro in patria e un matrimonio fallito. La famiglia teme infatti il deterioramento dello scenario politico ed economico iraniano e la manda a Parigi, dove avrà infine fortuna e potrà raccontare quanto passato.

Il successo del filone che narra per immagini le diaspore di rifugiati ed esuli è sancito da The Arrival dell’australiano Shaun Tan (2006), una peculiare sintesi dell’esperienza migrante in qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo, nonché per qualsiasi motivo. Questa storia ambientata in un mondo fantastico ripercorre infatti sogni e incubi di ogni espatriato evitando la parola scritta: sono le immagini a suggerire quanto dobbiamo capire. Vediamo speranze e delusioni, vittorie e sconfitte senza dover leggere una riga scritta.

Grazie al successo di queste opere, nel secondo decennio del nuovo millennio la graphic novel sui migranti diventa un sottogenere acquisito e comincia a essere studiata[11]. Mentre l’università si accorge dei romanzi grafici a sfondo migratorio, ne aumenta la produzione e la complessità. Negli ultimi anni appaiono novels sull’arrivo dei profughi siriani nell’isola greca di Coo (Olivier Kugler, Escaping Wars and Waves. Encounters with Syrian Refugees, 2018), sulle peripezie di un minore ghanese che attraversa il deserto e il Mediterraneo per raggiungere il fratello e la sorella (Eoin Colfer e Andrew Donkin, Illegal, 2017), sulle difficoltà delle navi “umanitarie” (Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso, A bord de l’Aquarius, 2019) e su quelle dei ragazzi che cercano di integrarsi nelle società di accoglienza (Gene Luen Yang, American Born Chinese, 2019). Nello specifico delle migrazioni italiane abbiamo le descrizioni delle vite di migranti di ieri in Francia (Baru, Quequette blues, 2012, e Thomas Campi e Vincent Zabus, Macaroni!, 2018) e in Belgio (Sergio Salma, Marcinelle 1956, 2014, e Antonio Cossu e Fred Druart, Una storia importante: 70 anni d’immigrazione italiana in Belgio e oltre, 2020), nonché dei migranti di oggi nel Regno Unito (Andrea Barattin, London Calling, 2015) e negli Stati Uniti (Otto Gabos, Il viaggiatore distante. Atlantica, 2016).

Nel romanzo a fumetti di Shaun Tan l’empatia per la vicenda del migrante si crea un passo, cioè un frame, alla volta. Nel volume di Saresin, Della Puppa e Matteuzzi, al quale ora possiamo tornare, si osserva un processo opposto: i disegni sono fondamentali come supporto narrativo; però, sono i dialoghi tra i personaggi e i monologhi del protagonista a farci capire quanto sta accadendo. Per Stefano il percorso di ricerca è una lotta contro paure e incertezze, nonché uno sforzo di dar voce alla diversità senza prevaricarla. Scopriamo così progressivamente azioni e motivi del gruppo studiato: ne comprendiamo le dinamiche, anche individuali, attraverso incontri e interviste ai singoli e grazie agli sforzi del ricercatore di adattarsi al contesto e di rinunciare alla (solo apparente) superiorità del sociologo alle prese con i migranti. Stefano decide infine di lavorare tra i migranti italo-bangladesi come barista del caffè italiano, dove si incontrano. Azzera così ogni distanza e non forza nessuno a incontrarlo.

Tutte le opere sinora citate illustrano vari aspetti della mobilità, ma nessuna riflette sul modo di analizzarla, come accade ne La linea dell’orizzonte. D’altronde chi ha letto gli studi di Francesco Della Puppa, docente di sociologia a Ca’ Foscari, conosce bene i retroscena della sua sceneggiatura. Dopo una prima fase di lavoro tra i bangladesi in Veneto, culminata nei due volumi Uomini in movimento. Il lavoro della maschilità fra Bangladesh e Italia e Alte Ceccato. Una banglatown nel nordest)[12], Della Puppa è tornato più volte in questo piccolo centro del vicentino[13]. Rilavorando su quel contesto si è reso conto di quanto la crisi economica e politica italiana abbia spaventato quel gruppo e lo abbia spinto a considerare una mossa ulteriore, ovvero utilizzare il passaporto italiano, acquisito dopo decenni di duro lavoro, per spostarsi nel Regno Unito, allora ancora parte della Comunità europea.

Inizia quindi a studiare questo secondo passo, come evidenziano i suoi lavori con Djordje Sredanovic[14], e la partenza dei nuovi italiani diventa il fulcro della sua ricerca[15]. Inoltre, collaborando con colleghi britannici, verifica le condizioni di questi migranti nel Regno Unito e come si colleghino alla più generale diaspora dall’area circostante il golfo del Bengala[16]. Il discorso si incentra così anche sulle multiple identità ‒ europee e asiatiche, bangladesi e italiane ‒ assunte da questi espatriati[17].

Molte riflessioni dei lavori appena citati riappaiono nella graphic novel qui discussa. In particolare il lento processo di adattamento dei bangladesi alla partenza dal proprio Paese e al trasferimento nel nord-est italiano. Relativamente a quest’ultimo il suo lavoro si concentra sulla già menzionata Alte Ceccato, una frazione di Montecchio Maggiore in provincia di Vicenza, ma nei saggi e in questo romanzo a fumetti sono ricordate anche altre province del Veneto, della Venezia Giulia e del Trentino. Questi migranti hanno trovato lavoro nell’industria e nella ristorazione di tutto il Triveneto.

La linea dell’orizzonte ricorda come il loro viaggio sia iniziato perché appartenevano a una classe media che aveva perso la sicurezza economica e riteneva di non poterla riacquistare in patria. Il gruppo si è quindi insediato in Italia senza sperare in futuri rientri e ha trovato un centro effettivo ed affettivo nella Penisola, di cui ha apprezzato la bellezza delle città e dei paesaggi, ha scoperto i caffè e la cucina. Però, la nascita e la crescita di una nuova generazione hanno posto nuovi problemi. Se prima la questione era come aiutare genitori e altri familiari rimasti in patria e poi quella di trovare una casa dove far nascere i figli, ora si deve pensare al futuro di questi ultimi.

Come ripetono gli interlocutori di Stefano, l’Italia è bella, ma è bloccata e con un futuro politico ed economico incerto. Gli immigrati, spesso diplomati o laureati, vi hanno fatto un passo indietro nella scala sociale per trovare un impiego fisso e sono finiti in fabbrica o nei ristoranti. I loro figli rischiano di rimanere inchiodati a questo livello, per giunta in un contesto nel quale un lavoro da operaio o da cameriere è solo l’ennesima forma di lavoro interinale e comunque a tempo determinato. Inoltre dopo venti anni nella Penisola è loro chiaro che sono rimasti cittadini di serie B, con il passaporto italiano ma la pelle troppo scura.

Nello scorso decennio i bangladesi del Veneto decidono dunque di sfruttare il passaporto comunitario per muoversi all’interno del continente. La loro meta principale è il Regno Unito, perché qui vi è maggior mobilità sociale e la comunità che comprende bangladesi, pakistani e indiani ha un proprio spazio, dato che il golfo del Bengala era parte dell’Impero britannico. Il peso della componente pan-bengalese è avvertibile soprattutto a Londra, dove dal 2016 è sindaco il laburista Sadiq Khan, di origini pakistane.

I bangladesi con i quali il nostro ricercatore si confronta sono dunque parte di un macro-gruppo, da tempo insediato nel Regno Unito, e ne scoprono i vantaggi. Alcuni ottengono lavori ai quali non avrebbero potuto aspirare in Italia, altri beneficiano del welfare: tutti iscrivono figli e figlie all’università e possono sperare in un futuro migliore. Tuttavia si scontrano con un problema identitario, perché al contatto con altri bengalesi capiscono che la propria esperienza li ha cambiati: non sono più bangladesi, ma italiani di origine bangladese. Non è un problema di passaporto, ma l’aver messo su famiglia in Italia. La Penisola è stata ed è la loro seconda Patria e molti la rimpiangono, tanto da recarvisi regolarmente per le vacanze o per ritrovare amici e parenti. La loro è dunque una duplice migrazione, scandita da due abbandoni di una terra madre. Cercano di rimuovere la nostalgia creando una propria sociabilità attorno al caffè italiano di Whitechapel, quartiere multiculturale dell’East End londinese.

Sin qui quanto è esplicitamente dichiarato nelle tavole della graphic novel. Tuttavia, guardando la riproduzione del caffè scopriamo ulteriori indizi, almeno per chi studia le migrazioni. Si riconosce infatti il Caffè Italia di Cannon Street, cioè non un locale storico della comunità italiana di Londra, ma un acquisto recente. Il sito web di questo caffe-bar-ristorante dichiara che è stato aperto nel 2014. La sua nascita risponde dunque all’aumento a Londra dei locali italiani (spesso per non italiani) e a una nuova migrazione che non si mescola con la presenza comunitaria più vecchia, come sottolinea Terri Colpi[18].

A partire dal nuovo millennio la crisi italiana ha spinto molti suoi giovani, qualificati e non, a spostarsi oltre Manica[19]. Tanti sono immigrati di seconda generazione, soprattutto asiatici e nordafricani, ed hanno creato proprie mini-comunità. Inoltre, come gli altri coetanei partiti dalla Penisola, non vogliono mescolarsi con il gruppo italiano insediatosi dopo la Seconda guerra mondiale, né tantomeno con i discendenti di coloro che riuscirono a non essere espulsi in occasione di quel conflitto. La comunità italiana oltre Manica è assai grande e in continua crescita, ma anche enormemente frazionata in base alle differenti fasi migratorie.

La comunità italo-bangladese presentata in questa graphic novel si trova a cavallo tra un’origine lontana, alla quale non risponde più del tutto, e a un’identità recente, che non collima con quella di altri italiani a Londra: un tema approfondito da Della Puppa in Italian-Bangladeshi in London. A community within a community?[20]. Un’emigrazione a tappe crea una comunità peculiare e questo fenomeno andrebbe studiato verificando cosa è successo in casi analoghi, come si è fatto di recente approfondendo le divisioni nella diaspora bengalese tra bangladesi, indiani e pakistani oppure tra bangladesi arrivati direttamente dalla madrepatria o passati per altre mete (a Londra troviamo italo-bangladesi e lusitano-bangladesi)[21].

Un ultimo elemento aleggia sulla nostra graphic novel. I bangladesi intervistati dichiarano di sentirsi più sicuri e accettati nel Regno Unito, mentre Stefano sottolinea il problema della Brexit, quando è interrogato in una trasmissione televisiva. I suoi amici hanno passato la Manica sfruttando il passaporto comunitario, ma ora questo costituisce uno svantaggio: dovranno tornare sul continente europeo, compiendo una terza migrazione, oppure cercheranno di ottenere la cittadinanza britannica? Quest’ultima è particolarmente costosa, visto che solo per farne domanda bisogna versare 1.330 sterline, ma un ritorno dall’altro lato della Manica potrebbe essere esiziale.

Della Puppa sta in effetti già lavorando su questo aspetto[22], ma per ora non può dare una risposta. La nostra graphic novel si conclude quindi su una serie di domande riguardanti i migranti e lo stesso ricercatore (continuerà il suo lavoro? si sposerà?) che restano inevase, dando il senso di lavori sempre in progress, quali quello della ricerca e quello di vivere. Il romanzo a fumetti si svela così uno snodo interessante tra riflessione accademica e narrazione autobiografica, ricerca e divulgazione, pur appartenendo a un genere che sta perdendo terreno rispetto ai media digitali e rischia di divenire presto mera curiosità archeologica.


[1]           Karin Kukkonen, Studying Comics and Graphic Novels, Oxford, Blackwell, 2013; Jan Baetens e Hugo Frey, The Graphic Novel: An Introduction, Cambridge, CUP, 2014; Andrea Tosti, Graphic Novel. Storia e teoria del romanzo a fumetti e del rapporto fra parola e immagine, Latina, Tunué, 2016; Stefano Calabrese ed Elena Zagaglia, Che cos’è il graphic novel, Roma, Carocci, 2017.

[2]           Stuart Kelly, Scott-Land: The Man Who Invented a Nation, Edinburgh, Birlinn, 2010; The Edinburgh Companion to Sir Walter Scott, a cura di Fiona Robertson, Edinburgh, Edinburgh University Press, 2012.

[3]           Augustin Thierry, Sur la Conquête de l’Angleterre par les Normands. À propos du roman Ivanhoe, “Censeur Européen”, 29 maggio 1820, poi in Id., Dix Ans d’études historiques, Paris, Garnier Frères, 1834, pp. 138-146. Cfr. Isabelle Durand-Le Guern, Thierry ou l’invention du Moyen Âge romantique, in Le savant dans les lettres, a cura di Valérie Cangemi, Alain Corbellari e Ursula Bähler, Rennes, PUR, 2014, pp. 81-92.

[4]           Matteo Sanfilippo, Storia, epoche, epidemie, Viterbo, Sette Città, 2020, cap. 3.

[5]           AA.VV., Romanzi nel tempo. Come la letteratura racconta la storia, Roma-Bari, Laterza, 2017, e Matteo Sanfilippo, Historian’s Creed. L’età moderna tra vecchi e nuovi media, Viterbo, Sette Città, 2017.

[6]           Matteo Sanfilippo, Modelos de analisis del cine histórico: Francia, Estados Unidos e Italia, in Hacer historias con imagenes, a cura di Angel Luis Hueso Montón e Gloria Camarero Gómez, Madrid, Editorial Síntesis, 2014, pp. 31-57.

[7]           David Hajdu, Maledetti fumetti. Come la grande paura per i giornaletti cambiò la società statunitense, Latina, Tunué, 2010.

[8]           Vedi i saggi in Apocalittici e integrati: comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, Milano, Bompiani, 1964, nonché la rievocazione delle letture giovanili in La misteriosa fiamma della regina Loana, Milano, Bompiani, 2004.

[9]           Lorenzo Luatti, L’emigrazione nei fumetti: retoriche e stereotipi, in Rapporto italiani nel mondo 2019, a cura della Fondazione Migrantes, Todi, Tau, 2019.

[10]          Apparso nel 1991 in volume, è stato elaborato a strisce dal 1978. Per l’edizione definitiva: The Complete Maus: A Survivor’s Tale, New York, Pantheon, 1996. Einaudi ha appena pubblicato una riedizione in due tomi della traduzione italiana.

[11]          Vedi, ad esempio, Paolino Nappi ed Ewa Stańczyk, Women cross borders: economic migration in contemporary Italian and Polish graphic novels, “Journal of Graphic Novels and Comics”, 6, 3 (2015), pp. 230-245.

[12]          Francesco Della Puppa, Uomini in movimento. Il lavoro della maschilità fra Bangladesh e Italia, Torino, Rosenberg & Sellier, 2014, Id. ed Enrico Gelati, Alte Ceccato. Una banglatown nel nordest, Trento, Professionaldreamers Associazione Promozione Società e Cultura, 2015.

[13]          Francesco Della Puppa, Alte Ceccato, da vecchia cittadella industriale a snodo della diaspora bangladese, “Archivio di studi urbani e regionali”, 114 (2014), pp. 49-72, e Politiche escludenti e associazionismo immigrato in una “banglatown” del Nordest: il caso di Alte Ceccato, “Mondi migranti”, 1 (2017), pp. 57-76.

[14]          Francesco Della Puppa e Djordje Sredanovic, Citizen to Stay or Citizen to Go? Naturalization, Security, and Mobility of Migrants in Italy, “Journal of Immigrant & Refugee Studies”, 15, 4 (2017), pp. 366-383, e Lasciare l’Italia? Le seconde migrazioni tra cittadinanza e crisi economica, “Studi Emigrazione”, 205 (2017), pp. 111-128.

[15]          Francesco Della Puppa, Nuovi italiani attraverso l’Europa. Cittadini globali, stratificazioni civiche e percorsi di mobilità sociale in tempo di crisi, “Sociologia italiana”, 13 (2018), pp. 95-119.

[16]          Francesco Della Puppa e Russell King, The new “twice migrants”: motivations, experiences and disillusionments of Italian-Bangladeshis relocating to London, “Journal of Ethnic and Migration Studies”, 45, 11 (2019), pp. 1936-1952, e Times of Work and Social Life: Bangladeshi Migrants in Northeast Italy and London, “International Migration Review”, 55, 2 (2020), pp. 402-430.

[17]          Francesco Della Puppa e Mohammad Morad, Migrants in Italy, Citizens in Europe? Trajectories, Experiences and Motivations of the Multiple Mobilities of Italian-Bangladeshis Relocating to London, “Studi Emigrazione”, 215 (2019), pp. 473-491.

[18]          Terri Colpi, Benvenuti nel Regno Unito? British Perceptions and Realities of Italians in the UK, “Studi Emigrazione”, 207 (2017), pp. 405-426.

[19]          Vedi Raffaella Di Masi e Facundo Herrera, La migrazione dei giovani italiani al tempo della grande crisi: il caso del Regno Unito, in Fondazione Migrantes, Rapporto italiani nel mondo 2018, Todi, Tau, 2018, pp. 417-425, nonché Enrico Pugliese, Quelli che se ne vanno. La nuova emigrazione italiana, Bologna, il Mulino, 2018, e On the road again. Studi sulla nuova emigrazione italiana, a cura di Marco Grispigni e Pietro Lunetto, Roma, Futura, 2021

[20]          Francesco Della Puppa, Italian-Bangladeshi in London. A community within a community?, “Migration Letters”, 18, 1 (2021), pp. 35-47.

[21]          Banglascapes in Southern Europe: Im-mobilities, emplacements, temporalities, a cura di Francesco Della Puppa, José Mapril e Andrea Priori, “Migration Letters”, 18, 1 (2021), numero monografico.

[22]          Francesco Della Puppa e Djordje Sredanovic, Aspettative, immaginari e progettualità di mobilità e stanzialità nel quadro della Brexit: cittadini dalla nascita e naturalizzati, “Polis”, XXXIV, 1, 2020, pp. 85-108.