Emigranti italiani a Ellis Island tra fiction e storia

Di Valentina Bertuzzi

Scorrono i titoli di testa del film La leggenda del pianista sull’oceano, di Giuseppe Tornatore (1998), tratto dal monologo Novecento, di Alessandro Baricco.
Siamo nel primo ‘900 e sulle note di Ennio Morricone viene inquadrata la nave Virginian, che fa il viaggio dall’Europa agli Stati Uniti e ritorno. Sul ponte persone distinte passeggiano o sono sedute intorno a tavolini rotondi, a leggere o parlare.
La voice over racconta:
“Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa e la vedeva.
È una cosa difficile da capire. Voglio dire ci stavamo più di 1000 su quella nave, tra ricconi in viaggio, emigranti, gente strana e noi. Eppure c’era sempre uno, uno solo che per primo la vedeva”.
Vediamo una massa di passeggeri poveri, quelli della terza classe: tra loro anche emigranti italiani (1).
“Magari era semplicemente lì che stava mangiando o passeggiando sul ponte, magari era lì che si stava aggiustando i pantaloni. Buttava un occhio verso il mare e la vedeva.
Allora s’inchiodava lì dov’era. E partiva il cuore a mille.
E sempre, tutte le maledette volte – giuro, sempre – si girava verso di noi, verso la nave, verso tutti
e gridava: AMERICA!”
Dalla nebbia emerge la statua della libertà. Grida di gioia e cappelli sventolati al cielo.

Una scena del film La leggenda del pianista sull’oceano
Una scena del film La leggenda del pianista sull’oceano

“E ne ho perso di bei soldi, scommettendo su chi sarebbe stato il primo a vederla: L’America.
Quello che per primo vede l’America. Su ogni nave ce n’è uno.
E non bisogna pensare che sia il caso, o una questione di diotrie: è il destino.
E quando erano bambini, potevi guardarli negli occhi e se guardavi bene, già la vedevi, L’AMERICA”.
Pronunciata con voce suadente e ripetuta più volte, la parola America diventa quasi una parola magica: la terra delle promesse, il sogno metropolitano, la modernità, la democrazia, il lavoro.
Un mito che attraversa anche l’Italia dell’Ottocento e del primo Novecento, alimentato dalla certezza di trovare lavoro, dalla speranza di una vita migliore, dal riscatto sociale, dall’impossibilità di rimanere in un’Italia in cui il sole non scalda tutti.
In fuga da uno Stato che si ricorda dei suoi figli solo quando li deve richiamare in guerra o imporre nuove tasse, gli emigranti italiani decidono di fuggire dalla fame e dalla miseria, e molti scelgono gli Stati Uniti come nuova patria in cui riacquistare la dignità attraverso il lavoro.
Ma già lo sbarco racconta un’altra storia, un’altra America.
Tutti gli emigranti della terza classe venivano portati a Ellis Island, un’isola di tre ettari nella baia di New York, dotata di strutture di accoglienza degli aspiranti cittadini americani e fino al 1954 “porta d’ingresso per l’America” ( gli altri passeggeri, quelli della prima e seconda classe, erano visitati sommariamente sulla nave).
A Ellis Island i nuovi arrivati erano sottoposti a ispezioni mediche e legali, perché negli USA non dovevano entrare né malattie contagiose, né delinquenza, né disabilità. Se i medici, in questa prima fase di controllo dello stato di salute , riscontravano qualche anomalia, segnavano con un gesso delle sigle sugli abiti degli immigrati: “P” (malattia polmonare), “X” (insanità mentale), “CT” (Tracoma). Quest’ultima era una malattia contagiosa degli occhi. Per controllare gli occhi degli immigrati (il controllo si effettuò solo dal 1903 al 1914), i medici usavano una specie di uncino per rivoltare la palpebra, uncino che però non sterilizzavano tra una visita e un’altra. Tutti i “segnati” venivano portati in quarantena negli ospedali dell’isola per ulteriori accertamenti e qui alcuni rimasero per anni prima di essere rimpatriati.
La meccanicità con cui avvenivano le visite mediche nell’Isola delle lacrime è resa bene nel film Nuovomondo (2006), di Emanuele Crialese, che racconta la storia di un’emigrazione familiare nei primi anni del ‘900. Dal piccolo paese siciliano di Petralia Sottana, Salvatore Mancuso (Vincenzo Amato) parte con i figli Angelo (Francesco Casisa) e Pietro (Filippo Pucillo), e con l’anziana madre Fortunata (Aurora Quattrocchi), alla volta di New York. Il viaggio è condiviso con altri emigranti, ognuno con il proprio dialetto che però genera una sorta di Babele linguistica , tanto che Salvatore è convinto di trovarsi tra stranieri. Ma uno gli dice: “Qua siamo tutti italiani”. E lui chiede: “Ma che sorta di lingua parlate?”.

Una scena del film Nuovomondo
Una scena del film Nuovomondo

Dopo la traversata oceanica, nella bolgia di Ellis Island, dove confluiscono ogni giorno centinaia di immigrati di varie nazionalità, anche la famiglia di Salvatore è sottoposta a controlli sanitari, anche umilianti, per accertare l’abilità al lavoro. A effettuare i controlli medici sono i militari della Marina Statunitense. La madre di Salvatore è subito segnata con una “X”, in realtà non ha alcun disturbo mentale, è semplicemente non collaborativa perché è una donna anziana, che ha alle spalle un viaggio transoceanico di settimane, disorientata dal carnaio di Ellis Island, confusa dalle domande dei medici, spaventata da visite mediche (anche quella degli occhi) che fanno male. Lei che quel viaggio non l’aveva mai approvato: “Le animuzze dei morti non vogliono che ce ne andiamo”. Lei che in terra straniera avverte gli ispettori come gente strana, straniera, estranea. Per lei ci sarà il rimpatrio.
Ai controlli medici, seguivano test attitudinali, per verificare il quoziente intellettivo degli aspiranti cittadini americani (2).
Lucy (Charlotte Gainsbourg) un’elegante emigrante inglese , dopo aver superato un test psicoattitudinale (una sorta di puzzle), si rivolge al suo esaminatore, dicendo:
“ Credevo che cercaste le malattie contagiose”.
L’esaminatore: “Purtroppo è stato scientificamente provato che la mancanza di intelligenza è ereditaria e di conseguenza contagiosa, in un certo senso. Vogliamo che i nostri cittadini non si mescolino con le persone meno intelligenti”.
Lucy, con tono adulatorio e senza che l’esaminatore possa cogliere lo scherno, commenta: “Che visione moderna!”.

Ellis Island in una foto d’epoca
Ellis Island in una foto d’epoca

Ma aldilà dei pregiudizi razziali/etnici a cui allude il film , per l’America di allora non era solo una questione di tutelare i cittadini americani da malattie infettive, ma soprattutto di fare entrare esclusivamente immigrati in grado di lavorare. Per questo venivano respinti vecchi, malati contagiosi, menomati fisici e mentali, zoppi, gobbi. L’America era spietata con chi poteva diventare un peso e applicava con rigore la legge federale del 1891 (3).
La porta di Ellis Island rimaneva chiusa anche ai delinquenti. Una volta superata la visita medica, infatti gli emigranti erano sottoposti a ispezione legale, che serviva a dividere i buoni dai cattivi, gli onesti dai disonesti. Quelli che non erano in regola venivano internati temporaneamente nei centri di detenzione per ulteriori accertamenti, che, se non superati comportavano l’espulsione dal suolo americano.
Non potevano inoltre entrare negli USA giovani donne che viaggiavano sole, perché sospettate di essere prostitute, per cui era loro richiesto un preciso contatto con cittadini statunitensi che garantissero per la loro moralità.
Nel film infatti Lucy è giovane e sola, per questo ha bisogno di un uomo per ottenere il visto di ingresso negli Stati Uniti. Salvatore, che è vedovo, accoglie la sua proposta di sposarla, tanto più che l’isola era piena di chiese proprio per celebrare matrimoni improvvisati. E lo fa perché si innamora di quella donna “moderna”, che viaggia da sola e che ha dimostrato una grande onestà nel dirgli che la sua proposta non è per amore ma per avere le carte in regola. Salvatore, i suoi figli e Lucy ce la faranno a varcare la porta d’oro, perché il Nuovo Mondo accoglie solo chi sa aprirsi a un mondo nuovo e vuole essere felice.
E l’America è l’unico paese al mondo che difende il diritto alla ricerca della felicità.
Quello che il film non dice però è la psicosi statunitense della black drop (la goccia nera, quella che secondo la polizia dell’immigrazione scorreva nelle vene degli immigrati italiani del sud, assimilati alla gente di colore). A Ellis Island venivano fatti sugli emigrati studi di eugenetica. Come ricorda lo stesso Crialese: “Gli emigrati erano utilizzati come cavie. Studiati per arrivare alla selezione della razza dominante. E la ‘black drop’, la goccia nera, era la percentuale di ‘negritudine’ con cui venivano catalogati. Chi ne aveva di più era considerato più portato per i lavori di fatica” (4).
Al gene razziale della black drop italiana Sellaro contrappone il gene “culturale” dell’italian drop. Vincenzo Sellaro (Fondatore dei Sons of Italy, New York City 1905) dalla Sicilia emigrò nel 1897 in America con una laurea in medicina. A New York iniziò la sua carriera aprendo un ambulatorio dove curava cittadini italo-americani, che avevano difficoltà a farsi visitar negli ospedali statunitensi a causa della lingua. E rivolgendosi agli italo-americani Sellaro si augura: “That our children and the children of our children may learn to also speak Italian as long as a single drop of Italian blood still flows through their veins” (Che i nostri figli e i figli dei nostri figli possano parlare anche Italiano finchè nelle loro vene scorrerà una sola goccia di sangue italiano) (5).

CITAZIONI
(1) “Dal 1876 al 1914, emigrarono 14 milioni d Italiani, di cui 5 milioni espatriarono negli USA. Dal 1929 al 1940 l’emigrazione italiana si attestò su 3.200.000 persone, per arrivare a 7 milioni di espatri tra il 1945 e il 1970”, Instoria, rivista online di storia e informazione, N 23 – Novembre 2009.
(2) N.d.A Lo psicologo americano sostenitore dell’eugenetica Henry Herbert Goddard (1866-1957), che introdusse il test d’intelligenza a Ellis Island, come afferma nel suo libro The Kallikak Family: A Study in the Heredity of Feeble-Mindedness (1912),era convinto che “la debolezza mentale è una condizione della mente o del cervello che si trasmette con la stessa regolarità con cui vengono ereditati il colore degli occhi o dei capelli”. Per Goddard i morons (i ritardati mentali) erano inadatti alla società, dalla quale dovevano essere rimossi o mediante istituzionalizzazione, o sterilizzazione, o entrambi. Per questo a Ellis Island gli immigrati considerati deboli di mente venivano sterilizzati, evitando la contaminazione del sangue americano. E molti subirono anche l’elettroshock e la lobotomia, una serie di sperimentazioni inumane che anticipano l’eugenetica nazista e razzista.
(3) Sino al 1891 l’immigrazione era sotto la giurisdizione dei vari Stati. La legge del 1891 pose l’immigrazione sotto il controllo federale degli USA. Il Federal Act del 1891 prevedeva l’esclusione degli “idioti”, delle persone insane, dei poveri e di coloro che potevano rappresentare un carico per la società, nonché le persone che soffrivano di una malattia contagiosa pericolosa. Altre categorie erano rappresentate da criminali, poligamici e lavoratori a contratto.
Flussi migratori e controllo delle malattie infettive, G. Rezza. (file PDF  delle slide)
(4) L’Unità, ed. nazionale, 09/09/2006.
(5) Meditations on Identity, preface of Vincenzo Marra (ed.Bordighera Press, New York 2014).