Per allargare gli orizzonti. La vicenda dei bergamaschi uccisi alla frontiera tra USA e Messico

La cantina di San Antonio è l’ultima rimasta nel centro di Los Angeles, un gioiello nascosto e punto di riferimento storico che opera nella stessa comunità dove è stata fondata 100 anni fa. Chissà se il successo di Santo Cambianica, partito da Berzo San Fermo nel 1910, approdato a Ellis Island, per giungere poi in Lamar Street a Los Angeles per fondare la sua azienda vitivinicola, ha fatto scattare il desiderio di partire per l’“America” anche ai suoi più sfortunati compaesani qualche anno dopo.
Non lo sapremo mai, ma quel che è certo è che un’intera comunità, quella di Berzo San Fermo in provincia di Bergamo e dei piccoli borghi limitrofi, per un periodo sognò e partì per gli Stati Uniti. Qualcuno, pochi, trovarono l’“America”: oggi la San Antonio Winery è, secondo quanto riportato dal suo sito (sanantoniowinery.com), la più antica azienda vitivinicola di Los Angeles, con vitigni di diverso tipo sparsi in tutta la California e un ristorante annesso alla sede storica. È gestita dalla quarta generazione, ma la comunicazione aziendale enfatizza il grande lavoro dei fondatori, precisando come Santo Cambianica fosse “hard-working and deeply devout Catholic”, ovvero laborioso e profondamente devoto alla fede cattolica, tanto che la sua winery passò indenne la Grande Depressione e soprattutto il Proibizionismo, proprio producendo vin santo per l’Arcidiocesi.
Nel 1924 altri compaesani di Cambianica partirono da Berzo per l’America. Ma non la videro mai, anzi quell’esperienza fu tragica. «Ben 35 italiani sono stati uccisi nel tentativo di passare clandestinamente la frontiera con gli Stati Uniti». La denuncia, lapidaria, è in un documento individuato da Paolo Barcella nel Fondo Agostino Vismara dell’Isrec – Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea – di Bergamo. A scriverla il 6 giugno 1924 è il Delegato provinciale ed è indirizzata alla Regia Questura di Bergamo e al Commissariato Generale per l’Emigrazione. Non si sa chi siano gli italiani uccisi al confine, però è noto che una spedizione di 17 bergamaschi, tutti residenti nella media Valcavallina, partirono il 19 febbraio 1924 con regolari passaporti per la Francia, ma poi si imbarcarono dal porto di Saint Nasaire per Tampico, in Messico, a 500 km circa dal Texas. Nella missiva alla Regia Questura si legge che “il Trapletti Ottorino di Grone, attualmente ritornato in Francia e fermo a Parigi, perché di famiglia danarosa […], quando partì lasciò a Tampico quattordici dei 17 compagni di sventura. Vi sarebbero due persone, quindi, delle quali si è perduta traccia”. Un altro emigrante invece “Il Mocchi Angelo di Fermo nella sua lettera denuncia apertamente gli organizzatori: Rimoldi da Treviglio, Rizzo da Genova e un’altra persona. Questa lettera dovrebbe rintracciarsi facilmente presso la famiglia. È stata letta dal parroco di Borgo di Terzo che si ricorda con precisione i particolari”.
Battistina Mocchi, oggi quasi novantenne, è la figlia di quell’Angelo Mocchi che tentò fortuna in America nel 1924. All’epoca dei fatti era una bambina e non conosce i dettagli della vicenda, né detiene foto o documenti di quell’avventura del padre. Nella sua famiglia si è sempre raccontato che, “una volta in Messico, il papà è stato messo in prigione, in quanto clandestino e ha dovuto pagarsi il biglietto per il ritorno, lavorando gratis per un po’ di tempo”. Inoltre, al suo ritorno fu costretto a emigrare nuovamente, stavolta nella più vicina Svizzera, come stagionale della fienagione, per pagare i debiti che aveva fatto per comprarsi il viaggio d’andata oltreoceano. Lo stesso conferma Sandro Cambianica, nipote di Giuseppe, anch’egli partito con la spedizione clandestina del ’24 (ma non è parente di Santo che fece fortuna). Però aggiunge che dai suoi ricordi dei racconti dello zio, una volta tornato in patria, non tutti furono trattenuti in prigione. Tra i 17 bergamaschi giunti a Tampico c’era anche un minorenne che invece fu rispedito in Italia con la prima nave che faceva la rotta opposta.
Nel documento firmato dal Delegato Provinciale si narra anche di un’altra comitiva di bergamaschi giunti a L’Avana e di una che ha dato notizie da un porto spagnolo. Una quarta, invece, fu sospesa “in seguito alle notizie giunte da Tampico”. La missiva conclude con le indicazioni per le indagini, ovvero chi scrive segnala dove recuperare le lettere degli emigranti come prova del raggiro dei trafficanti e le persone da interrogare come testimoni. Dice anche che, nonostante l’insuccesso degli ultimi viaggi, l’organizzatore “gode ancora tutta la fiducia degli emigranti della Valle Cavallina, e sembra stia organizzando una nuova spedizione, per la quale egli il 29 maggio tenne una riunione in Bergamo, in un caffè posto di fronte all’uscita della funicolare”. Non erano insomma pochi i bergamaschi che tentavano la fortuna all’estero anche da clandestini. Nel primo dopoguerra, infatti, le statistiche ufficiali parlavano di 14 mila emigranti regolari, ma la documentazione dell’Opera Bonomelli, impegnata nel sostegno a coloro che lasciavano la Bergamasca, ne contava all’incirca 25 mila. Una ricostruzione di questa storia è contenuta nel volume “Per allargare gli orizzonti. La Chiesa di Bergamo in emigrazione”, promosso dall’Ufficio per la Pastorale dei Migranti della diocesi e edito da Tau nella rivista “Rapporto Italiani nel Mondo”.