Matrimoni e migrazioni in Val Sesia: una casistica settecentesca

Sono trascorsi ormai quindici anni dalla pubblicazione della prima edizione di Comunità alpine, diventato in Italia e all’estero una sorta di manifesto di quello che nel campo degli studi alpini, ma in generale sulla montagna, è stato definito il “paradigma revisionista” 1. Alla luce di alcune anomalie emerse nel corso della sua ricerca antropologica sul campo condotta ad Alagna in Valsesia, l’autore poneva in discussione l’immagine delle comunità di montagna tradizionalmente presentate da storici, geografi e antropologi, come economicamente chiuse e socialmente ripiegate su se stesse, dominate dall’ambiente ostile che come un tiranno le costringe a dipendere, per sopravvivere, da un rigido controllo della popolazione anche attraverso la “valvola di sicurezza” dell’emigrazione 2. Proprio l’emigrazione, che si riscontrava costantemente in comunità come queste, aveva spinto Fernand Braudel negli anni 1950 a usare la celebre espressione che definiva la regione alpina come “una fabbrica di uomini” ad uso delle economie di pianura 3. In questo cambiamento di prospettiva nell’interpretazione delle società alpine la Valsesia alla fine del XVIII secolo rappresenta un case study in grado di fornire un contributo particolare relativamente al rapporto tra strategie matrimoniali e fenomeni migratori.
L’emigrazione è senza dubbio il fenomeno che più ha condizionato la storia demografica dell’intera area valsesiana, nel periodo tra il XV e XVIII secolo, e in modo ancor più accentuato nel XIX secolo. Il fenomeno presenta, in generale, un carattere “strutturale”, che nasce dallo squilibrio tra una popolazione spesso di elevata densità e le scarse risorse agricole, del tutto insufficienti a garantirne la sussistenza; ma meglio sarebbe distinguere tra i vari sistemi ecologici presenti sul territorio valsesiano 4. I paesi dell’alta valle, per esempio, non presentavano una densità di popolazione così elevata; anzi erano caratterizzati da un regime di “bassa pressione demografica” determinato da un abbassamento della fecondità coniugale e della nuzialità, effetti combinati dell’emigrazione stagionale e temporanea e dell’emigrazione permanente, che si innestavano su uno habitat ecologico già di per sé difficile 5. Il carattere stagionale e temporaneo del flusso migratorio influenzò, per molto tempo, lo sviluppo della popolazione, determinando un particolare andamento nel ciclo delle nascite e dei matrimoni, fortemente legati alla presenza o all’assenza degli uomini 6. La maggiore o minore intensità del flusso migratorio stagionale è, certamente, uno dei fattori che stanno alla base delle differenze nell’andamento demografico delle varie zone della Valsesia, che non furono tutte interessate allo stesso modo dal fenomeno migratorio 7.
L’emigrazione incise molto sulla cultura delle comunità, pur con le dovute differenze da zona a zona, fornendo occasioni di contatto e conoscenza di nuovi modelli culturali, altrimenti lontani da una valle così “chiusa” geograficamente 8. L’introduzione nei dialetti locali di termini tedeschi o francesi, ad esempio, fu legata al contatto degli emigranti con altre realtà linguistiche, tanto che alcuni studi hanno rilevato una differenza significativa nel dialetto parlato dalle donne, che risultava più arcaico, rispetto a quello degli uomini, “contaminato da influenza esterne” 9. Un tasso di alfabetizzazione della popolazione maschile più alto, rispetto agli indici registrati negli stessi anni nelle comunità di pianura, è un altro effetto dell’emigrazione: l’istruzione rappresentava per l’emigrante un mezzo per affrontare nel modo migliore una realtà sconosciuta e, soprattutto, poter mantenere i contatti con la famiglia 10.
Per quanto riguarda l’area sotto osservazione nel presente contributo, l’emigrazione ha rappresentato una variabile significativa anche nella individuazione di strategie matrimoniali caratterizzate da maggiore esogamia rispetto alla più generale endogamia riscontrata in molte regioni alpine 11. Una significativa parte dei matrimoni esogamici individuati sulla base dei dati raccolti su un campione di 244 casi relativo alla Valsesia degli ultimi trenta anni del XVIII secolo, per esempio, ha rilevato come la comune esperienza di lavoro all’estero, prolungata anche per molti decenni, e la condivisione degli spazi abitativi e dei lunghi viaggi di andata verso i luoghi di attività e di rientro nei paesi di origine erano alla base di importanti amicizie che contribuivano a creare tra le famiglie forti legami che potevano essere consolidati da unioni matrimoniali 12. La presenza della variabile emigrazione risulta, dunque, un aspetto che complica il quadro delle strategie matrimoniali, non solo perché l’esperienza di mobilità professionale poteva consentire un allargamento delle reti di relazioni e offrire l’opportunità di imparentarsi con altri emigranti, ma anche perché poteva determinare la scelta di sposarsi con donne originarie dei luoghi di lavoro, trasformando in definitiva una mobilità all’inizio solo stagionale. Per quanto riguarda questo aspetto, su 66 dispense di stato libero analizzate, in 3 casi emerge chiaramente che l’interessato necessita del certificato per un matrimonio da celebrarsi nel luogo di immigrazione 13. In ogni modo, il confronto con le fonti può fornire sicuramente alcuni elementi di riflessione in merito a come si svolgeva la vita degli emigranti valsesiani e a come venivano vissuti  momenti chiave del ciclo di sviluppo della famiglia, a  partire dal matrimonio.Egli è mio amico e patriota; anzi egli dacché uscì dalla patria, cioè dall’anno 1775 sino al dicembre dell’anno scorso 1780 abitò sempre meco a Sant Amour suddetto in questa annata siamo stati ambidue a casa io perché sono vecchio ed egli perché aveva da accudire agli interessi di sua casa e suo padre voleva che si maritasse. In S. Amour poi ha egli da me avuti ajuti, indirizzi, consigli ed io l’ho sempre conosciuto libero e non può essere diversamente. 14 Nelle parole che l’anziano ottantenne Antonio Verno di Riva pronuncia di fronte alle autorità vescovili si racchiudono alcuni temi di fondo della storia degli emigranti e delle migrazioni, di quella mobilità che negli ultimi anni è costantemente oggetto di interesse degli storici e di una riflessione storiografica non più solo limitata all’età contemporanea ma anche ai secoli precedenti, a quella società d’ancien régime che si scopre sempre meno immobile di quanto fino a qualche decennio fa si credeva 15.
Quando, circa 70 anni prima all’alba del XVIII secolo, Antonio era partito verso la Francia per “andar ad imparare l’arte di piccapietre” alla sequela di famigliari e di altri compatrioti più grandi di lui disposti a insegnargli e a condividere i segreti del mestiere, forse non si immaginava che avrebbe trascorso nel suo paese di origine, la “patria” tanto nominata in  tutte le testimonianze degli emigranti di ogni epoca antica e non, solo gli ultimi anni di vita. Dal giorno della sua partenza da Riva, infatti, l’uomo vi era ritornato ogni 3 o 4 anni solo per pochi mesi da dicembre a febbraio: il suo lavoro e la distanza non gli permettevano di tornare più spesso, e col tempo i ritorni si erano fatti ancora più difficili, essendosi intensificati gli impegni dal momento che egli era diventato “impresario e direttore di fabbriche a S. Amour diocesi di San Claudio in Francia”, sistemazione che gli consentì di dichiarare nel 1780 un patrimonio di “10-12000 lire”.  A S. Amour doveva essere riuscito a inserirsi piuttosto bene nel sistema di relazioni locali, ma anche tra il gran numero di altri emigranti valsesiani presenti nella stessa diocesi e in quelle vicine come Lione e Grenoble, se aveva potuto dare “ajuti, indirizzi, consigli” oltre che ospitalità al giovane Pietro Antonio Orso, di 21 anni, partito insieme all’altro testimone, lo stuccatore Giovanni Michele Gabbio, di 23, nel gennaio 1775 con il vecchio “piccapietre” che si apprestava a concludere la sua carriera con gli ultimi 5 anni di assenza dal paese dopo i quali “rimpatriare definitivamente”.  I due giovani erano amici “fin da fanciulli”, anche se all’inizio avevano intrapreso strade diverse: Giovanni Michele aveva iniziato la vita dell’emigrante stagionale diversi anni prima, impiegandosi come stuccatore a “Lourel saunier” nella “diocesi di Besanzone” [Besançon], e trasferendosi poi a Legny, vicino a Lione, per cominciare, infine, dopo il ritorno a Riva, il nuovo impiego a S. Amour, insieme all’amico con cui “dimorò sempre”.  Per questo motivo egli può affermare con certezza: “è impossibile ch’egli si sia maritato senza che io lo sapessi”.  Diversa anche la situazione patrimoniale dei due giovani, il primo ancora figlio di famiglia, e forse anche per questo così soggetto alle volontà paterne, il secondo al contrario in possesso di “8000 imperiali”, quasi certamente ottenuti in parte dall’attività all’estero in parte dall’eredità del padre Giovanni.
Il motivo che richiama a casa e ferma per un anno l’attività all’estero di Pietro Antonio, che a S. Amour ha imparato il mestiere di “cementario” probabilmente alle dipendenze dell’imprenditore compaesano, è, dunque, il padre Giovanni Antonio, che desidera che il figlio si occupi degli affari di famiglia, ma che soprattutto si sposi. Questa volontà che sembra imporre una scelta matrimoniale altrimenti rimandabile, considerate la giovane età del ragazzo e l’alta età al matrimonio caratteristica della nuzialità di queste comunità, nasconde forse motivazioni sulle quali purtroppo le fonti non danno risposta 16.
Lo stesso silenzio accompagna nel marzo 1781 la vicenda di un altro giovane emigrante, Gregorio Pizzera, che in procinto di sposarsi rientra a Boccioleto da dove era partito due anni prima. Egli infatti è stato residente, come ricorda un suo amico e compagno di lavoro, “sempre in Valsesia, tolto l’anno 1779 nel qual anno dimorò di marzo sino al principio d’Agosto dello stesso anno a Mentys Borgo del Delfinato, io credo diocesi di Grenoble e poi portatosi nella città di Aosta dove stette sino a Natale facendo il ferraio” 17.
Anche in questo caso il matrimonio è accompagnato da un conflitto col genitore dai risvolti però diversi: il padre Andrea, notaio, contrariamente all’episodio precedente, non “vuole accondiscendere al collocamento del suo figlio ebbenche siansi interposti più volte amici e confidenti”.  Tra questi ultimi il parroco di Balmuccia, Bartolomeo Boggi, che nella lettera di accompagnamento alla richiesta di procedere per la dispensa di stato libero racconta le traversie del giovane, che “senza alcun giusto motivo trovasi detto figlio obbligato a presentarsi così in Novara”, e le sue disavventure nell’avere dovuto trattare con il “notaio sig. Pizzera quasi sempre ubriaco”, dal carattere difficile tanto da aver già litigato più volte anche con il pievano della vicina comunità di Scopa. Alla fine Gregorio sembra avere avuto la meglio sul padre e nel 1806, a 49 anni, vive con la moglie Maddalena, più anziana di lui di un anno, e il figlio Andrea ventitreenne, anche se non solo ha cambiato mestiere ed è diventato “muratore”, ma risulta anche “povero” 18.
Meno problematico doveva essere stato il preludio al matrimonio dello scalpellino Pietro de Paulis che, “oriundo del Cantone di Pedemonte” ad Alagna e impiegato “nel Borgo di Brien in Francia nel vescovado di Jrovyx in Champagne” in compagnia di due suoi coetanei, amici di vecchia data con i quali aveva “bevuto, mangiato, lavorato e dormito assieme […] tanto in patria che fuori”, nel marzo 1781 sposa la cugina Caterina Gnifetti. I due giovani,  legati da un vincolo di parentela di 4° grado, avevano dovuto fare richiesta di dispensa alla curia vescovile che la concede il 4 febbraio senza apparenti difficoltà. D’altronde la “strettezza del luogo” era valutata come una ragione più che valida per aggirare i vincoli del diritto canonico. Con l’avvenuta conferma che il giovane non aveva contratto nessun “ligame di matrimonio di religione”, datata il 24 marzo dello stesso anno, il matrimonio si poté realizzare giusto qualche giorno prima della nuova partenza, anche se piuttosto tardi rispetto al periodo consueto per il ritorno ai luoghi di lavoro, che avveniva entro la fine del mese di marzo. A meno che Pietro non abbia deciso di fermarsi ad Alagna, come i suoi due compagni di viaggio e di lavoro, che raccontano: “in detto mese di novembre ci siamo di compagnia rimpatriati e da allora in poi ci siamo sempre fermati in patria ambidue siamo ammogliati e non abbiamo figliolanza”.  Con un patrimonio di 4000 lire il primo, Pietro Ferraris, e di 700 lire il secondo, Antonio Ghigher, avevano deciso di sospendere, almeno temporaneamente, l’attività di lavoro all’estero che avevano iniziato sei anni prima, quando all’età di 19 e 21 anni erano partiti da Alagna 19. C’era anche chi, come Giacomo Antonio Carestia di Riva, aveva iniziato anche prima, “dacché entrò nell’età nubile, cioè nella pubertà”, dicono i testimoni, che aggiungono che da allora “non venne a casa che 2 volte da Angers, dove dimorò sempre” e dove tra l’altro intende “maritarsi” 20.
Un’età alla soglia dei venti anni, comunque, sembrerebbe la più consueta per la partenza, come dimostra l’analisi dei dati delle dispense, da dove emerge che l’età media al momento della partenza si aggira intorno ai 19 anni, con una percentuale del 59% di emigranti che hanno cominciato a emigrare stagionalmente tra i 10 e i 19, il 26% tra i 20 e i 29 e solo il 10% dopo i 30 anni (cfr. Grafico 1) 21.
C’è anche un significativo 5% di individui che dichiarano di aver lasciato per la prima volta il paese tra i 6 e i 10 anni, il più delle volte insieme al padre o ai fratelli. All’inizio i giovani emigranti svolgevano per lo più attività non specializzate per poi diventare garzoni, dopo aver imparato le tecniche di lavoro e “l’arte” che avrebbero contribuito con gli anni al loro inserimento a pieno titolo nella professione artigiana di competenza 22.
L’avanzamento di carriera nell’ambito delle professioni del settore dell’edilizia, determinato dall’età, ma anche dal grado si specializzazione raggiunto, comportava un aumento del salario e della ricchezza personale, se consideriamo che il patrimonio di un impresario edile e di un mastro da muro sessantenni era il doppio di quello di un muratore di 30 anni. Non è chiaramente da sottovalutare nella formazione del patrimonio il cambiamento di status giuridico derivante dalla morte dei genitori e dalla conseguente eredità, che dava ai “figli di famiglia” il pieno possesso di un patrimonio a titolo personale (cfr. Grafico 2).
Le tappe della formazione professionale di Giuseppe Anselmi, ventunenne di Boccioleto, stuccatore in Francia nella diocesi di Grenoble, vengono così descritte dai suoi compaesani, Giovanni Pietro Duetti e Alessandro Preti, il primo suo “maestro” e l’altro suo datore di lavoro: “[…] nei primi cinque anni io (inquit Duetti) gli ho insegnato l’arte ed è stato in mia compagnia all’Alsar e nei due seguenti (respondit Preti) ha lavorato sotto ai miei ordini in qualità di garzone a Mens ed in un tempo e nell’altro siamo perfettamente informati dei suoi diporti” e per lo stretto controllo che hanno potuto esercitare sul giovane possono dichiarare che “per detto tempo da lui passato nei detti luoghi dell’Alsar e di Mens sappiamo essere il medesimo libero e sciolto da matrimonio o promessa di esso o da qualunque impedimento a poterlo contrarre” 23.
La sicurezza e determinazione con cui i testimoni in generale dichiarano la condizione di libertà da vincoli coniugali, o religiosi dai beneficiari a cui “prestano il servizio” di presentarsi alla curia vescovile per la dispensa, rivelano la radicata tendenza a praticare l’emigrazione secondo direttrici e luoghi che rimanevano gli stessi nel corso degli anni e delle generazioni, il che permetteva una reciproca conoscenza e frequentazione nei luoghi di lavoro quali “patrioti e famigliari”.  Non necessariamente due emigranti compaesani si dovevano trovare nello stesso paese per frequentarsi. Il lavoro e le feste potevano essere le occasioni giuste d’incontro, come racconta Francesco Clivato, cebraro di Borgosesia, a proposito del suo collega Pietro Tosetti: “ci trovavamo spesso girando io e lui per occasione del nostro mestiere e abbiamo anche lavorato delle volte assieme e alle feste già quasi tutte noi ci trovavamo e stavamo assieme come patrioti e famigliari ora portandosi in Sannazzaro ed ora portandomi a Pieve del Cairi” 24. In alcuni casi, come questo, la condivisione del mestiere non era così indispensabile considerato che l’altro testimone, Vincenzo Fabiani, è un tessitore impiegato in un altro paese ancora, ma sempre nella diocesi di Pavia, che sostiene: “è impossibile che abbia potuto maritarsi o far altro senza che io lo avessi potuto indi sapere nei due anni antecedenti che prima che io a Garlasco ei fu in Pieve del Cairi perché se fosse alcuna cosa seguita in detti 2 anni antecedenti io l’avrei indi infallibilmente saputa per tutta quella pratica notizia e conoscenza che io ebbi di lui in detti luoghi di Garlasco e della Pieve del Cairi”. In altri casi, invece, la condivisione del mestiere insieme alla provenienza dalla stessa comunità è, al contrario, elemento base delle amicizie tra emigranti: “in questi ultimi 8 anni mentre ei era e lavorava in detto luogo di Redevallo io lavorai in Montebello luogo distante due miglia da detto luogo di Redevallo soltanto, però di spesso e quasi tutte le feste e anche fra la settimana noi trovavamo e stavamo assieme ora portandosi ei a Montebello, ora portandomi io a Redevallo ed essendo tra noi molto amici per essere non solo Patrioti ma anche dello stesso mestiere […]” 25. Il lavoro diventa centrale quando non si tratta di condividere solo l’esperienza lavorativa in sé, ma si trattano affari e si portano avanti “concertati lavori da farsi assieme”, per i quali ci si tiene “in corrispondenza” o ci si incontra lungo il percorso che separa il luogo di emigrazione dalla patria di origine, come era solito fare Giovanni Anselmi di Boccioleto, che per raggiungere Montbrison nella diocesi di Lione sia all’andata che al ritorno passava e soggiornava presso l’amico Giovanni Antonio de Giuli a Les Echelles vicino a Chambery in Savoia 26.
Se si prendono in considerazione le mete degli emigranti, la omogeneità delle direttrici di spostamento a seconda della località di partenza è totale: se quasi tutti quelli di Boccioleto e Alagna Riva si dirigono allo stesso modo verso Francia e Svizzera, diversi sono i paesi, le regioni e le diocesi preferite, e lo stesso vale per quelli di Borgosesia che si dirigono verso Piemonte e Lombardia, incontrandosi solo a Novara con alcuni migranti rimellesi, e a Torino e dintorni con lavoratori di Boccioleto e con l’unico caso individuato di un emigrato di Riva in Piemonte, precisamente a Pinerolo. In questo caso, che sembrerebbe l’eccezione alla regola, il criterio guida emergente è il tipo di mestiere svolto: Pietro Mottini originario di Vogna di Riva esercita, infatti, il mestiere di calzolaio ad Airasca 27, al contrario dei suoi compaesani per la maggior parte impiegati nel settore dell’edilizia. Il quadro delle destinazioni degli emigranti rispetto alle professioni esercitate può aiutare a completare il quadro delle direzioni che essi intraprendevano al momento di lasciare la patria e i percorsi lungo i quali si distribuivano (cfr. Tabella 1). Tra le regioni francesi più di frequente meta degli emigranti troviamo la Borgogna, il Delfinato e la Savoia; tra quelle svizzere, invece, il Vallese e la zona intorno a Losanna; per quanto riguarda le zone in territorio italiano prevalgono le città di Torino e Milano, anche se un buon centro di immigrazione sembra essere la zona compresa tra Novara, Piacenza e Pavia 28.
In alcune circostanze e in contesti urbani come Torino e Milano emigranti originari di diverse comunità valsesiane si potevano ritrovare insieme e “farsi amici come patriotti Valsesiani”, confermando anche una forte tendenza all’identità non solo della comunità di nascita, ma anche della più vasta realtà della valle 29. Se le attività al momento del rientro a casa venivano temporaneamente sospese, non lo stesso accadeva alle relazioni tra gli emigranti, che spesso rimpatriano “di compagnia” ripercorrendo insieme il percorso di andata e condividendo lo stesso “ alloggio, saccone e tavola”(cfr. Tabella 2).
Nelle testimonianze si susseguono indicazioni che fanno capire come uno di questi viaggi di ritorno a casa fosse appunto quello per “accasarsi”, “maritarsi”, “pigliar moglie”, “ammogliarsi”: uno spazio di pochi mesi durante il quale era necessario non solo sbrigare le pratiche richieste dalla Chiesa, tra cui le varie eventuali dispense, ma anche formalizzare personalmente l’atto matrimoniale presso un notaio, con la stesura dei patti matrimoniali e gli atti relativi alla dote e alla sua cauzione, a meno che non si ricorresse a un procuratore.
Non è affatto un caso, per esempio, che tutte le dispense di stato libero e quelle per consanguineità, oltre che gli atti dotali riscontrati per le comunità di Alagna e Riva, si concentrino tra i mesi di novembre e febbraio, il periodo indicato da tutti gli emigranti come quello più consueto per il ritorno a casa, anche se variano gli intervalli di tempo tra un rientro e l’altro. L’unica dispensa a venir redatta al di fuori di quel trimestre è infatti quella di  Romano Ghafald, che riporta  la data del 7 maggio 1781: il beneficiario è un minatore di 35 anni originario della “parrocchia di Hans, nella diocesi di Brixen, nel Vallese”, immigrato ad Alagna “a lavorare nelle Regie miniere” da diciassette anni, dopo aver trascorso i cinque precedenti in quelle di Macugnaga 30.
La lunghezza del periodo di assenza da casa degli emigranti è il più delle volte direttamente proporzionale alla lontanza del luogo di lavoro. Una relazione inversa sembra esserci invece tra la lunghezza del periodo di permanenza a casa e l’intervallo di tempo tra i rientri, laddove un emigrante che rientra a casa ogni anno si ferma meno tempo di chi vi rientra ogni 5 o 6 anni. La differenza con gli emigranti delle comunità di bassa valle si coglie facilmente confrontando gli stessi elementi: quasi tutti gli emigranti di Borgosesia per i quali possediamo queste informazioni rientrano al paese almeno una volta all’anno e si fermano da uno a tre mesi, e non necessariamente nei mesi invernali (cfr. Tabella 3 e 4 ).
Non esercitando, infatti, lavori nel settore edile, i ritorni a casa degli emigranti borgosesiani, per lo più calzolai, cebrai e falegnami, sono più distribuiti nel corso dell’anno: alcuni dichiarano di stare a casa a ottobre, altri a giugno, ma anche ad agosto, e, infine, qualcuno è “solito venir a casa al Santo Natale” 31. Borgosesia, essendo uno dei centri delle attività economiche della bassa valle, era anche centro di immigrazione e attirava tra l’altro anche lavoranti da paesi vicini, come Serravalle e Grignasco, dai quali provenivano alcuni dei “fabbricanti di carta” pendolari impiegati della “folla di Bettole”, che tornavano a casa una volta alla settimana “nelle feste domenicali” 32.
I rientri a casa rappresentano momenti in cui il ciclo di vita dell’individuo si incrocia con quello della famiglia. Questo aspetto è ben evidente non solo al momento del matrimonio, che come già visto può determinare anche la successiva scelta di non ripartire, ma anche quello della morte dei genitori e di conseguenza della necessità di concordare l’assetto patrimoniale tra gli eredi. Non sempre era necessario rientrare, perché poteva essere sufficiente aver nominato “procuratore generale” dei propri interessi in patria un amico o un parente. Il 4 giugno 1779, per esempio, il notaio Francesco Antonio Manio ricevette nella sua abitazione della frazione Chiesa di Rimella un gruppo di compaesani per sottoscrivere una “divisione generale” dei beni. Si trattava dei tre fratelli Traglio che avevano da poco perso il padre Giovanni Battista e “considerando che la communione spessissime volte partorisce discordie ed alterazioni e ciò che communalmente si possiede il più delle volte si negligenta, e che niuno sia sforzato di vivere in communione” avevano deciso di “amichevolmente” procedere alla divisione dei beni. Uno dei fratelli, Giovanni Battista, emigrante a Vercelli dove “dimora in bona parte dell’anno per l’esercizio della sua professione”, non indicata, non è presente e a sostituirlo c’è il suo procuratore, Giovanni Riolo, che accetta la parte di eredità lui spettante e, soprattutto, contratta con i fratelli la vendita di un “corpo di casa” che essi pagheranno entro un anno al fratello, “in denari contanti e senza alcun interesse” 33. Per il resto tutti gli appezzamenti di terra e un’altra parte di casa che spettano a Giovan Battista vengono accettati a testimonianza di quanto da parte degli emigranti in questione il legame con la comunità di origine venga mantenuto anche in termini di proprietà e interessi da gestire in loco anche se non personalmente.

Note

1 L’opera è stata ultimamente ripubblicata con l’aggiunta di un’ampia post-fazione che cerca di fare un bilancio degli sviluppi della ricerca in area alpina nell’ultimo decennio. Ad esso si rimanda per un approfondimento: cfr. Pier Paolo Viazzo, Comunità alpine. Ambiente, popolazione e struttura sociale nelle Alpi dal XVI secolo ad oggi, Roma, Carocci, 2001.
2 Tra le anomalie emerse durante la ricerca condotta ad Alagna, si possono rilevare in primo luogo la presenza non solo di fenomeni di emigrazione ma anche di immigrazione, che rendevano la comunità in questione molto più aperta di altre che erano state oggetto di indagini simili: per esempio Törbel, protagonista del libro di Robert M. Netting, Balancing on an Alp. Ecological change and continuity in a Swiss Mountain community, Cambridge, Cambridge University Press, 1981. Inoltre Viazzo sottolineava come un altro aspetto profondamente in contrasto con l’immagine tradizionale di comunità di montagna non solo economicamente chiusa, ma anche culturalmente arretrata, era al contrario la eccezionale presenza ad Alagna di un retroterra dal punto di vista artistico e culturale di ottimo livello con la nascita e la formazione artistica e professionale di uno dei pittori più famosi del XVII secolo italiano, Antonio d’Enrico (il meglio noto Tanzio da Varallo), e di un alto numero di pittori e scultori meno noti ma di riconosciuta competenza, cfr. P. P. Viazzo, Comunità alpine,cit., pp. 24-25.
3 Il pensiero di Braudel viene dall’autore presentato in una certa continuità con quello, che in campo più strettamente antropologico, veniva definito “determinismo ambientale” o “ambientalismo”.  Questo aveva avuto come sostenitori Ratzel e Ellen C. Semple, e sottolineava il ruolo determinante dell’ambiente sull’organizzazione economica e sociale, date le affinità individuate in modo pronunciato soprattutto nelle aree di montagna, tra popolazioni differenti anche come etnia, ma viventi in analoghe condizioni ambientali.
4 All’interno di una valle alpina come la Valsesia, per esempio, profonde differenze esistono tra alte e bassi valli tra cui si possono segnalare: la lunghezza degli inverni, i tempi di raccolta, che possono arrivare anche a un mese per esempio per la raccolta del grano, la tipologia di prodotti che è possibile coltivare a seconda del  maggiore o minore adattamento ai climi freddi. Prodotti come la vite e le castagne, per esempio, che hanno costituito per secoli un elemento fondamentale nella dieta degli abitanti delle basse valli, sono quasi del tutto preclusi a chi vive sopra i 1200 metri.
5 Il riferimento è in particolare per il caso di Alagna studiato da Viazzo, cfr. Pier Paolo Viazzo, Continuità e mutamento nell’emigrazione valsesiana, in “Ogni strumento è pane.” L’emigrazione dei valsesiani nell’Ottocento, Atti del convegno, a cura di Gladys Motta, Borgosesia, Società Valsesiana di Cultura-Istituto per la storia della resistenza e della storia contemporanea in Provincia di Vercelli, 1989, p. 85.
6 Per quanto riguarda l’influenza esercitata dall’emigrazione sull’andamento della popolazione valsesiana, cfr. P.P. Viazzo, Continuità e mutamento,cit., pp. 75-86; Id., Comunità alpine, cit., pp. 163-202.
7 Cfr. P.P. Viazzo, Continuità e mutamento, cit., p. 82.
8 A questo proposito si sottolinea il ruolo dei contatti culturali nel favorire “accanto al cambiamento di qualità delle economie locali, anche il cambiamento della cultura e, soprattutto, dei livelli della tradizione che rappresenta l’anello più solido che connette la cultura al proprio passato”: cfr. Paolo Sibilla, Per un’antropologia dei fenomeni migratori: caratteri storico-culturali della mobilità e modelli di aggregazione sociale in Valsesia, in “Ogni strumento è pane”, cit., p. 64.
9 P.P. Viazzo, Comunità alpine, cit., p. 182.
10 Sul legame tra alfabetizzazione e emigrazione, cfr. Piero Bianchi, Alfabetismo e canali di apprendimento nella Valsesia del XVIII secolo, “Archivi e storia”, 2 (1989), pp. 123-158.
11 A questo proposito cfr. Raul Merzario, Il paese stretto. Strategie matrimoniali nella diocesi di Como, secoli XVI-XVIII, Torino, Einaudi, 1981.
12 Tra le testimonianze raccolte per la stesura delle dispense di stato libero, per esempio, sono molti i racconti in cui emerge “la grande corrispondenza che passa” tra gli emigranti “per avere l’istesso luogo di abitazione e di città ma altresì ancora per avere quasi sempre lavorato in compagnia” e per essersi “rimpatriati assieme”. In alcuni casi la parentela viene esplicitamente segnalata, come mostra la testimonianza di uno stuccatore di Riva di Pietre Gemelle lavorante a Lione, Pietro Antonio Minoia, interrogato sullo stato libero di un suo compaesano emigrato a Chalons in Borgogna: “Quantunque io abiti a Lione in Francia e sua diocesi distante da Chalony 40 miglia circa per la corrispondenza che passa e passò sempre fra me e l’oratore e suoi parenti che abitano in Chalony per essersi in questi anni più volte ritrovati ancora coi parenti dell’istesso e per aver maritato a Lione una sua nipote paterna li 2 agosto dell’anno scorso e per la stretta amicizia che vi fu sempre fra noi e per l’arte stessa e per mezzo di littere e per parentela posso io pure come faccio e con giuramento assicurarle essere egli libero in patria quanto fuori di essa ne può essere altrimenti” (Archivio Storico Diocesano Novara [d’ora in poi A.S.D.N.], Atti di Curia, Licentiarum, 1790, Dispensa di stato libero di Giovanni Francesco Vescovo fu Giacomo di Riva, 19/02/1790).
13 Nel primo caso, risalente al 1773, si tratta di un calzolaio ventiduenne di Borgosesia, figlio di un dottore, che si trova a Milano fin da quando, ancora quindicenne, si era lì trasferito “per apprendere il mestiere” per ritornare a casa solo per 15 giorni ogni due anni, cfr. A.S.D.N., Atti di Curia, Licentiarum, 1773, Dispensa di stato libero di Carlo Giuseppe Montanaro fu Antonio Maria di Borgosesia, 15/10/1773. Gli altri due casi, risalenti a quasi dieci anni dopo (1781), riguardano due muratori di Riva, Giacomo Antonio Carestia di 27 anni “emigrato in Francia fin dalla pubertà” che vuole maritarsi ad Angers dove lavora, e Pietro Iacomini, anch’egli intenzionato a prendere moglie in Francia, cfr. Ibidem, Licentiarum, 1781, Dispensa di stato libero di Giacomo Antonio Carestia di Riva, 01/01/1781; Dispensa di stato libero di Pietro Iacomini di Riva, 02/04/1781.
14 A. S.D.N., Atti di Curia, Licentiarum, 1781, carte sciolte, Dispensa di stato libero di Pietro Antonio Orso, s.d.
15 A proposito del tema dell’emigrazione in età moderna e relativamente al ruolo dell’emigrazione nel ciclo di vita individuale e famigliare: Giovanni Levi, Elena Fasano Guarini, Marco Della Pina, Movimenti migratori in Italia nell’età moderna, “Bollettino di Demografia storica”, 12 (1990), pp. 19-34; L’Italia delle migrazioni interne, a cura di Angiolina Arru e Franco Ramella, Roma, Donzelli, 2003; Paola Corti, Paesi d’emigranti: mestieri, itinerari, identità collettive, Milano, Franco Angeli, 1990; Abel Poitrineau, Remues d’hommes: essai sur les migrations montagnardes en France aux XVIIe et XVIIIe siècles, Paris, Aubier Montaigne, 1982; Patrizia Audenino, Un mestiere per partire: tradizione migratoria, lavoro e comunità in una vallata alpina, Milano, Franco Angeli, 1990; Giovanni Levi, Centro e periferia di uno stato assoluto. Tre saggi su Piemonte e Liguria in età moderna, Torino, Rosenberg & Sellier, 1985; Carlo Marco Belfanti, Mestieri e forestieri. Immigrazione ed economia urbana a Mantova fra Sei e Settececento, Milano, Franco Angeli, 1994; Fortunata Piselli, Parentela ed emigrazione. Mutamenti e continuità in una comunità calabrese, Torino, Einaudi, 1981.
16 Cfr. A.S.D.N., Atti di Curia, Licentiarum, 1781, Dispensa di stato libero di Pietro Antonio Orso, s.d.
17 A.S.D.N., Atti di Curia, Licentiarum, 1781, Dispensa di stato libero di Gregorio Pizzera di Boccioleto, 17/03/1781.
18 Ibid.
19 A.S.D.N., Atti di Curia, Licentiarum, 1781, Dispensa di stato libero di Pietro de Paulis di Alagna, 24/03/1781.
20 A.S. D. N., Atti di Curia, Licentiarum, 1781, Dispensa di stato libero di Giovanni Antonio Carestia di Riva, 24/03/1781.
21 Unendo i dati sia dei beneficiari sia dei testimoni che dichiarano i propri dati nelle dispense di stato libero è stato possibile ricavare un campione di 197 individui per la maggior parte dei quali si conoscono professione, età, comunità di origine, stato di emigrante, luogo di emigrazione, anni di lontananza e, anche se non sempre viene dichiarato, stato patrimoniale e tempi di ritorno e permanenza a casa.
22 Per quanto riguarda i meccanismi e le regole di accesso ai vari mestieri nell’età moderna, si rimanda ai lavori sul ruolo delle corporazioni tra cui alcune sintesi come Danilo Zardin, Corpi, “fraternità”, mestieri nella storia della società europea, Roma, Bulzoni, 1998; Le corporazioni nella realtà economica e sociale dell’Italia nei secoli dell’età moderna, a cura di Giorgio Borelli,“Studi storici Luigi Simeoni”, XLI (1991); Guilds, markets and work regulations in Italy, 16th-19th, a cura di Alberto Guenzi, Paola Massa e Fausto Piola Caselli, Aldershot, Ashgate, 1998; Le regole dei mestieri e delle professioni secoli XV-XIX, a cura di Marco Meriggi e Alessandro Pastore, Milano, Franco Angeli, 2000. In relazione soprattutto al contesto cittadino e al tema del rapporto tra appartenenza ai “corpi” di mestiere e cittadinanza, Simona Cerutti, Mestieri e privilegi. Nascita delle corporazioni a Torino, secoli XVII-XVIII, Torino, Einaudi, 1992; Robert Descimon, Corpo cittadino, corpi di mestiere e borghesia a Parigi  nel XVI e XVII secolo, “Quaderni storici”, 89 (1995), pp. 417-444.
23 A.S.D.N., Atti di Curia, Licentiarum, 1790, Dispensa di stato libero di Giuseppe Anselmi di Boccioleto, 03/01/1790.
24 24    A.S.D.N., Atti di Curia, Licentiarum, 1781, Dispensa di stato libero di Pietro Tosetti di Borgosesia, 15/01/1781.
25 A.S.D.N., Atti di Curia, Licentiarum, 1781, Dispensa di stato libero di Pietro Antonio De Pauli di Borgosesia, 10/01/1781.
26 A.S.D.N., Atti di Curia, Licentiarum, 1790, Dispensa di stato libero di Giovanni Antonio De Giuli  di Boccioleto, 19/01/1790. Il testimone dichiara che Giovanni Antonio De Giuli “Per tutto questo tempo è rimasto libero per i 4 anni a Montbrison ha sempre lavorato in nostra compagnia nei 2 anni Aux Echelles [Les Echelles, Chambery, Savoia] ci accadde di trovarci ben sovente per la nostra corrispondenza i nostri viaggi e per concertati lavori da farsi assieme oltre all’essere sulla strada del nostro passaggio venendo in patria e tornando a Montbrison e quindi eravamo appuntino informati come tuttora siam dei suoi diporti”.
27 A.S.D.N., Atti di Curia, Licentiarum, 1781, Dispensa di stato libero di Pietro Mottini di Vogna, 28/01/1781.
28 I dati rilevati nella presente ricerca, basata sulle testimonianze nelle dispense di stato libero che riportano con precisione non solo le regioni ma anche i paesi e le diocesi di riferimento, sembrerebbero confermare le direttrici già emerse da lavori precedenti dove erano state utilizzate soprattutto le informazioni e le annotazioni presenti negli stati d’anime, nelle visite pastorali e nei censimenti, documenti nei quali prevalgono indicazioni più generali, riferite alla regione o addirittura solo al paese. Cfr. P.P. Viazzo, Continuità e mutamento, cit., pp. 75-86.
29 Nel censimento napoleonico del 1802 della Città di Torino sono molti gli individui che si dichiarano provenienti dalla Valsesia piuttosto che dai singoli comuni di origine, segno di una forte identità culturale che potrebbe essere oggetto di riflessione.
30 30    A.S.D.N., Atti di Curia, Licentiarum, 1781, Dispensa di stato libero di Simone Ghafald, 07/05/1781. I testimoni presenti alla stesura della dispensa dichiarano di conoscere lo stato libero del beneficiario “per essere nostro patriota e nostro primo parente”, sono entrambi minatori e hanno compiuto lo stesso identico percorso di Simone. La dispensa di matrimonio è per il matrimonio con una certa Antonia Smith, di cui però non viene indicata la comunità di origine. Il cognome, a prima vista non sembrerebbe alagnese, anche se potrebbe trattarsi di una cattiva trascrizione del cognome Schmids corrispondente tedesco di de Ferraris. Quasi sicuramente il beneficiario di questa dispensa non lasciò Alagna se consideriamo che un Giovanni Simone Ghefaldi, nato nel 1785, è uno dei più famosi architetti alagnesi attivo nella prima metà del XIX secolo a Lione, cfr. AA.VV, Alagna Valsesia una comunità walser, Alagna, Valsesia editrice, 1983, p.179.
31 A.S.D.N., Atti di Curia, Licentiarum, 1773, Dispensa di stato libero di Giuseppe Antonio Gibellini, 16/10/1773.
32 A.S.D.N., Atti di Curia, Licentiarum, 1804, Dispensa di stato libero di Melchiorre Bellone, 19/05/1804. La cartiera di Bettole di Borgosesia rappresentò una risorsa economica significativa e una fonte di lavoro per diversi borgosesiani e non, se si considera che nel censimento napoleonico del 1806 compaiono intere famiglie, come quella degli Avondo, i cui cinque membri, dal capofamiglia all’ultimo figlio di 14 anni, compresa la madre, sono impiegati come lavoranti o fabbricanti di carta. Un altro aspetto da sottolineare è che dei 12 addetti al settore cartario la metà è rappresentata da donne. A partire dal XIX secolo l’industria cartaria borgosesiana fu legata sostanzialmente al destino delle famiglie Molino e Dellabianca, di cui due esponenti sono indicati nel censimento 1804 come “fabbricanti di carta”.  Cfr. Maria Grazia Cagna, L’industria della carta a Borgosesia nell’Ottocento: la Cartiera Molino-Dellabianca, “De Valle Sicida”, 1 (2003), pp.339-361.
33 Archivio di Stato di Vercelli, sezione di Varallo, Insinuazione Varallo, vol. 88, f. 159.

 

Grafico  1 – Emigranti. Età alla partenza

Grafico  2 – Emigranti per età e patrimonio

Tabella 1 – Emigranti per comunità e luogo di emigrazione.
LUOGO EMIGRAZIONE
ALAGNA
BOCCIOLETO
BORGOSESIA
RIMELLA
TOT
Alsazia
1
1
Aosta
2
2
Francia
2
1
3
Francia, Amiens, Delfinato
2
2
Francia, Chalony, Lione, Borgogna
1
1
Francia, Clermont, Alvernia
3
3
Francia, Angers
1
1
Francia, Assommo, vescovado Langha
1
1
Francia,  Blansi, Borgogna, diocesi Autun
3
3
Francia, Chlemsi, vescovado di Anver
3
3
Francia, Consogni
1
1
Francia, diocesi di Grenoble
1
1
Francia, Jardon, Bourgenbresse
2
2
Francia, Vivye
2
2
Francia, Allen
1
1
Francia, Alvar,  Delfinato, diocesi di Grenoble
2
2
Francia, Brien, Champagne, vescovado di Joyeux
2
2
Francia, Bourbon Les Bains, Bisanzone,
(Besançon)
3
3
Francia, Bushweiller (Bischwiller )
dioc. Strasburgo
1
1
Francia, Chalony, Lione, Borgogna
1
1
Francia, Cordon, Lione
1
1
Francia, Langher (Lancey)
2
2
Francia, Lione
2
2
Francia, Lourel saunier, Bisanzone
1
1
Francia, Mens, Delfinato, dioc. di Grenoble
3
3
Francia, Montbrison, Forese, diocesi di Lione
3
3
Francia, Notiers
( Moûtiers ), Savoia
1
1
Francia, Pontbeauvoisin (le Pont-de-Beauvoisin)
3
3
Francia, Puy, capitale del Valay, Linguadoca
1
1
Francia, S. Amour diocesi di San Claudio
2
2
Francia, Savoia
2
2
Francia, Chambery, Savoia
1
1
Francia, Thonon, Savoia
2
2
Francia, Tosone, Borgogna
3
3
Francia, Valenza
2
2
Francia, Varsony
1
1
Lombardia, Pieve del Cairi, diocesi di Pavia
1
1
Lombardia, Garlasco, Pavia
1
1
Lombardia, Milano
4
4
Lombardia, Montebello, diocesi di Piacenza
2
2
Lombardia, Redevallo (Redavalle),
diocesi di Piacenza
1
1
Lombardia, Sannazzaro, diocesi di Pavia
1
1
Piemonte, Torino
1
12
13
Piemonte, Airasca, Pinerolo
1
1
Piemonte, Montiglio, diocesi di Casale
1
1
Piemonte, Novara
1
3
4
Piemonte, Rivoli, Torino
1
1
Piemonte, Venasca, diocesi di Saluzzo
1
1
Piemonte, Villanova, Asti
2
2
Stato della Chiesa, Roma
3
3
Svizzera, Costonej diocesi Friburgo
3
3
Svizzera, cura di S. Soveren, cantone di Sion
3
3
Svizzera, Losanna, vescovado di Friburgo
6
6
Svizzera, Vallese
1
1
Svizzera, Vallese, Sion
1
1
Svizzera, Vallese, Borgo di Sievo, diocesi di Sion
3
3
Svizzera, Vallese, Cura del Legno, diocesi di Sion
3
3
Sconosciuta
3
3
1
7
41
53
29
6
129

Tabella 2 Emigranti per luogo di destinazione e professione

LUOGO EMIGRAZIONE
a
r
c
h
i
t
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b
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Alsazia
1
1
Aosta
1
1
2
Francia 1 1 1 3
Francia  Amiens  Delfinato 1 1 2
Francia  Chalony, Lione, Borgogna 1 1
Francia  Clermont in Abvernia 2 2
Francia Angers 1 1
Francia Assommo, vescovado Langha 1 1
Francia Blansi Borgogna diocesi Autun 2 1 3
Francia Chlemsi, vescovado di Anver 3 3
Francia Clermont, Abvernia, 1 1
Francia Consogni 1 1
Francia diocesi di Grenoble 1 1
Francia Jardon vicino a Buorgenbresse 1 1 2
Francia Pontbeauvoisin 1 1
Francia Valenza 1 1
Francia Vivye 1 1 2
Francia, Allen 1 1
Francia, Alvar, dioc.Grenoble, Delfinato, 2 2
Francia, Brien, vescovado di Joyeux in Champagne 2 2
Francia, Buorbon Les Boins, Bisanzone, (Bisonnez) 3 3
Francia, Bushweiller, dioc. Strasburgo (Bischwiller ) 1 1
Francia, Chalony, Lione, Borgogna 1 1
Francia, Cordon, Lione 1 1
Francia, Langher 1 1
Francia, Langher (Lancey) 1 1
Francia, Lione 1 1 2
Francia, Lourel saunier, Bisanzone 1 1
Francia, Mens, dioc. di Grenoble, Delfinato 1 1 1 3
Francia, Montbrison, Forese, diocesi di Lione 3 3
Francia, Notiers ( Moûtiers ), Savoia 1 1
Francia, Pontbeauvoisin (le Pont-de-Beauvoisin) 1 1 2
Francia, Puy, capitale del Valay, Linguadoca 1 1
Francia, S.Amour diocesi di San Claudio 1 1 2
Francia, Savoia 2 2
Francia, Savoia, Chambery 1 1
Francia, Thonon, Savoia 2 2
Francia, Tosone, Borgogna 3 3
Francia, Valenza 1 1
Francia, Varsony 1 1
Lombardia,  Pieve del Cairi, diocesi di Pavia 1 1
Lombardia, Garlasco, Pavia 1 1
Lombardia, Milano 3 1 4
Lombardia, Montebello, Piacenza 2 2
Lombardia, Redevallo (Redavalle), diocesi Piacenza 1 1
Lombardia, Sannazzaro, diocesi di Pavia 1 1
Piemonte Torino 8 1 1 1 1 1 13
Piemonte, Airasca, Pinerolo 1 1
Piemonte, Montiglio, diocesi di Casale 1 1
Piemonte, Novara 3 1 1 5
Piemonte, RIVOLI, Torino 1 1
Piemonte, Venasca, diocesi di Saluzzo 1 1
Piemonte, Villanova, Asti 2 2
Stato della Chiesa, Roma 1 2 3
Svizzera, Costonej diocesi Friburgo 2 1 3
Svizzera, cura di S. Soveren, cantone di Sion 2 1 3
Svizzera, Losanna, vescovado di Friburgo 3 3 6
Vallese 1 1
Vallese Sion 1 1
Vallese, Borgo di Sievo, diocesi di Sion 3 3
Vallese, Cura del Legno, diocesi di Sion 3 3
Sconosciuta 1 3 1 2 7
1 3 13 1 1 6 1 5 4 6 9 1 28 16 6 16 1 2 2 1 1 6 130

 

Tabella 3 – Lontananza e permanenza a casa degli emigranti di Alagna e Riva. Esempi
Periodo di assenza da casa
Permanenza  a casa
Luogo di emigrazione
Professione
6 anni 5 mesi Francia, Chalony, Lione, Borgogna Stuccatore
6 anni n.s. Francia, Tosone, Borgogna piccapietre
5 anni circa n.s. Francia, Chlemsi, vescovado di Anver piccapietre
5 anni n.s. Francia, Consogni muratore
5 anni n.s. Francia, Chlemsi, vescovado di Anver piccapietre
4 anni circa 4 mesi Francia, Blansi,  diocesi di Autun, Borgogna piccapietre
4 anni 4 mesi Francia, Blansi, diocesi Autun, Borgogna piccapietre
3-4 anni n.s. Francia, S. Amour, diocesi di San Claudio imprenditore edile
3 anni circa 4 mesi Francia, Bourbon Les Bains, Bisanzone (Besançon) piccapietre
3 anni n.s. Francia, Bourbon Les Bains, Bisanzone (Besançon) piccapietre
3 anni 4 mesi Francia, Bourbon Les Bains, Bisanzone (Besançon) piccapietre
2 anni 3 mesi Francia, Notiers (Moûtiers), Savoia muratore
2 anni 3 mesi Francia, Lione stuccatore
1 anno 3 mesi Francia, Chalony, Lione, Borgogna stuccatore
1 anno 3 mesi Francia, Savoia muratore
1 anno 3 mesi Francia, Savoia muratore
1 anno 5 giorni Svizzera, cura di S. Soveren, cantone di Sion ferraio
1 anno 3 settimane Svizzera, cura di S. Soveren, cantone di Sion ferraio

 

Tabella 4 – Lontananza e permanenza a casa degli emigranti di Borgosesia. Esempi
Periodo di assenza da casa Permanenza a casa Luogo di emigrazione Professione
4 anni 2 mesi Piemonte, Torino calzolaio
1 anno 2 mesi (Natale) Piemonte, Torino calzolaio
1 anno 2 mesi (Natale) Piemonte, Torino calzolaio
1 anno 2 mesi (Natale) Piemonte, Torino calzolaio
2 anni 15 giorni Lombardia, Milano calzolaio
1 anno 2 mesi Piemonte, Torino calzolaio
1 anno 1 mese e mezzo Piemonte, Torino calzolaio
1 anno 2 mesi (Natale) Piemonte, Torino, Regie miniere cavallante
1 anno 3 mesi (Natale) Lombardia, Montebello, Piacenza cebraro
1 anno 3 mesi (natale) Lombardia, Montebello, Piacenza cebraro
1 anno 5 mesi Lombardia, Sannazzaro (de’ Burgundi), diocesi di Pavia cebraro
1 anno 2 mesi Lombardia, Redevallo (Redavalle), diocesi Piacenza cebraro
1 anno 2 mesi Piemonte, Torino cebraro
1 settimana 2 giorni Borgosesia fabbricante di carta
4 anni 1 mese Piemonte, Torino minuziere soldato