Indottrinare la gioventù immigrata. Scuole islamiche in Italia oggi – scuole italiane negli Stati Un

Indottrinare la gioventù immigrata. Scuole islamiche in Italia oggi – scuole italiane negli Stati Uniti fra le due guerre mondiali: un confronto

1. Nuovi scenari della scuola multietnica italiana

Dai primi anni Novanta, a seguito della crescente immigrazione la società italiana ha registrato profondi cambiamenti nel proprio tessuto sociale. Questi hanno coinvolto anche la scuola, divenuta ormai una vera e propria istituzione multietnica. Infatti, se appena dieci anni fa erano soltanto 50.000 gli studenti stranieri nelle aule scolastiche italiane, nel 2004 sono passati a ben 320.000. Il 2005 ha registrato un ulteriore incremento di 40.000 unità, mentre per il 2006 le proiezioni parlano addirittura di 420.000. Tale crescita, imponente e rapidissima, non ha toccato esclusivamente i grandi agglomerati urbani, ma ha influenzato profondamente anche le piccole città della provincia1, mettendo in evidenza le carenze strutturali della scuola per l’integrazione di questi ragazzi2. Più in generale, sia la stampa3 che la saggistica4 hanno svolto un’indagine socio-culturale delle seconde generazioni di immigrati, specialmente musulmane, in Europa e Italia.

2. Le madrasse

Con l’intensificarsi della percezione della minaccia del terrorismo internazionale la stampa italiana ha dato sempre più spazio all’analisi delle cosiddette madrasse. Si tratta di istituzioni scolastiche tradizionali dei paesi islamici in cui i bambini musulmani studiano la lingua araba, imparano a memoria le ripartizioni testuali (sure) del Corano, apprendono le regole del rito dell’abluzione (lavaggio rituale a scopo di purificazione spirituale) e la vita di Maometto e dei profeti. La stampa si è interessata al proliferare di questa tipologia di scuole in Europa e in Italia negli ambienti delle comunità islamiche immigrate5. Dopo l’11 settembre 2001 il termine è uscito dai circoli accademici per entrare nell’agenda politica dei paesi minacciati dal terrorismo internazionale e nella percezione dell’opinione pubblica. Anche Hollywood si è recentemente interessata al tema: sullo sfondo del complicato intreccio di vicende legate al mercato del petrolio in Medio Oriente, Syriana (con George Clooney) narra la storia di due giovani emarginati pakistani plagiati da un insegnante di una madrasa, che alla fine si immoleranno contro una petroliera.
A settembre 2005 “Repubblica” ha stimato in circa centocinquanta le scuole coraniche presenti in Italia e legate a moschee e centri culturali islamici, coinvolgendo 7.000 bambini figli di immigrati dai cinque ai tredici anni6. La percezione dell’esistenza di “istituzioni parallele” potenzialmente radicali e concorrenti al ruolo educativo delle scuole pubbliche italiane ha messo in allerta il Viminale il cui monito è stato ripreso prevalentemente dalla stampa più moderata e conservatrice7. Tuttavia, anche un giornale notoriamente legato al centro-sinistra, e di larga tiratura, come “Repubblica” ha denunciato forme di estremismo islamico presenti in alcune madrasse in Italia8.
Nell’autunno 2005 è stata assai dibattuta la vicenda della scuola islamica di via Quaranta a Milano. Nata originariamente nel 1991 presso la moschea di viale Jenner, tale scuola venne trasferita dopo sei anni proprio in via Quaranta, giungendo ad accogliere circa cinquecento ragazzi musulmani, prevalentemente egiziani, fra i sei e i quattordici anni. Nel settembre 2005 la scuola è stata chiusa con un’ordinanza del comune di Milano per presunta inagibilità dei locali scolastici. La vicenda, però, ha sotteso una questione più profonda inerente la legalità di un istituto scolastico che a molti è sembrata mancare. La stessa scuola del resto era già stata nell’occhio del ciclone nel 2004, quando si era prospettata la possibilità che alcuni suoi studenti venissero ospitati in via sperimentale in un liceo milanese frequentando una classe composta esclusivamente da musulmani9. La vicenda ha riscaldato il dibattito politico nazionale. Il centrodestra si è per lo più espresso a favore della chiusura di un istituto ritenuto “illegale”, in quanto al di fuori dei canoni imposti dalla legge italiana; contemporaneamente si è caldeggiato l’inserimento dei suoi studenti nella scuola pubblica italiana, posizione sostenuta anche da personalità del mondo islamico10. Su questa linea di pensiero si è espresso anche il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, contrario a forme di educazione “parallela” che rischiassero di ghettizzare i giovani musulmani, preferibilmente da istruire nelle scuole italiane al fine di favorirne l’integrazione11. Nello schieramento di centrodestra la chiusura dell’istituto è stata particolarmente applaudita dalla Lega Nord12, che è giunta persino a chiedere l’introduzione di test di lingua e cultura per l’ammissione degli immigrati nelle scuole italiane13 e a parlare delle scuole islamiche come “fabbriche di terroristi”14.
Nel centrosinistra, invece, nonostante non siano mancate voci favorevoli alla chiusura di una scuola accusata di non produrre “integrazione” (legittimando di fatto un sistema delle madrasse al di fuori di ogni controllo)15, si è prevalentemente rivolta l’accusa alla giunta milanese di aver fatto marcia indietro rispetto a un già avviato processo di parificazione della scuola di via Quaranta. Tale processo avrebbe dovuto portare alla creazione di un vero e proprio istituto parificato (in termine burocratico “scuola paritaria”), cioè una scuola non statale che, nel rispetto dei principi fondamentali della Costituzione italiana, seguisse ordinamenti e principi propri della scuola pubblica italiana16. Inoltre, la chiusura è stata osteggiata dai genitori degli alunni, fortemente preoccupati della possibile perdita della cultura di origine dei figli. Il direttore della scuola, l’egiziano Ali Sharif, ha difeso la natura non radicale della propria scuola che, al contrario, ha definito valorizzatrice di una duplice cultura, contribuendo così “a costruire [in Italia] una società multietnica e multiculturale”17.
Infatti, la scuola di via Quaranta ha attirato molte critiche per presunti orientamenti estremisti. In particolare, Magdi Allam è stato il maggior accusatore della scuola e, più in generale, del radicalismo presente nelle madrasse in Italia. Cittadino italiano di origine egiziana e vicedirettore del “Corriere della Sera”, da tempo Allam ha alzato la voce contro il radicalismo islamico attivo sul territorio italiano, puntando l’indice specialmente contro le presunte collusioni con il terrorismo dell’istituto culturale di viale Jenner18. A fronte di una crescente ideologia antimusulmana (se non islamofobica) della destra italiana e della Chiesa cattolica19, Allam ha sottolineato l’esistenza di un Islam radicale, seppur minoritario, organizzato nelle moschee in Occidente e capace di struttare le tutele e le libertà offerte dalla democrazia per perseguire la realizzazione di uno stato teocratico. Presente una “quinta colonna” composta da convertiti all’Islam attivi nei propri ambienti di origine, Allam scrive che:

Dobbiamo prendere atto che anche in Italia si è affermata la realtà dei kamikaze. Il “prodotto” finale e più deleterio di una “struttura integrale del radicalismo integrale” che, facendo leva sulla crisi esistenziale dei giovani musulmani, stabilisce una connessione operativa tra la predicazione di valori radicali nelle moschee, l’adozione di una ideologia estremista, la militanza rivoluzionaria e l’adesione alla fede nel martirio20.

Sulle pagine del “Corriere della Sera” il giornalista ha costantemente denunciato la presenza sul territorio italiano di madrasse in cui gli immigrati sarebbero indottrinati a versioni integraliste dell’Islam, ostacolando così la loro integrazione nella società italiana e maturando, al contrario, sentimenti di odio per la civiltà occidentale. La vicenda della scuola di via Quaranta è stata presa dal giornalista del “Corriere” a modello di un radicalismo islamico infiltratosi nel sistema educativo dei giovani immigrati. L’istituzione è stata accusata di vivere da anni nel più assoluto arbitrio, essendo priva di alcuna autorizzazione del governo italiano ed egiziano. I testi scolastici sono stati posti sotto accusa, trattandosi presumibilmente di volumi in arabo inneggianti alla “morte che sconfigge i piaceri terreni” e accreditanti l’immagine di una comunità islamica monolitica e assediata e in guerra contro gli “infedeli” occidentali21. Predicatori islamici, giunti talvolta appositamente da paesi arabi, predicherebbero un credo radicale che contribuirebbe alla creazione di giovani musulmani disadattati ed emarginati, incapaci di integrarsi nella società italiana22. Il “Corriere” non è stato, però, l’unico giornale a lanciare questo tipo di accuse. “La Stampa” di Torino ha riportato dichiarazioni del governo Berlusconi secondo cui un buon numero di scuole islamiche in Italia servirebbero non tanto alla scolarizzazione dei bambini quanto a coprire operazioni di reclutamento di potenziali terroristi. Il sistema finanziario a sostegno delle madrasse proverrebbe da fondazioni a capitale saudita, cosa che spiegherebbe la prevalenza all’interno di esse dell’insegnamento fondamentalista wahabita, nonché lo spirito da “guerra santa” e la predicazione a favore della conversione mondiale all’Islam presente nei libri di testo:

Insomma, più che studiare il Corano i bambini islamici, a detta del Viminale, crescono in un ambiente ghettizzato dove il mondo occidentale viene demonizzato, e in cui prevale un atteggiamento tollerante nei confronti del terrorismo islamico….23

Per “Il Foglio” – che fa proprie le considerazioni del Sisde – “la maggioranza delle madrasse assomigliano a dei doposcuola, “catechismi” improvvisati e gestiti da imam altrettanto improvvisati, frequentati da bambini e adolescenti costretti a studiare in due scuole diverse e opposte: italiano alla mattina, il Corano al pomeriggio perché nell’islam l’educazione coincide con la fede. E infatti è solo grazie alla “giusta” trasmissione dei valori ai propri figli, che i genitori si conquistano il diritto ad entrare in paradiso alla fine dei tempi”24. Il giornale riporta anche il caso di una scuola islamica di Cremona in cui sarebbero stati seguiti programmi scolastici ricevuti via fax dall’Arabia Saudita, mentre una madre sarebbe giunta a lamentarsi con il locale imam dal momento che non capiva perché il figlio esprimesse il desiderio di fare da grande il kamikaze. Per il “Foglio” le madrasse funzionano per lo più da doposcuola “ma il confine fra centro di indottrinamento e insegnamento religioso è sottile”25.
Non è mia intenzione stabilire se le scuole islamiche in Italia (o parte di esse) siano effettivamente centri di proselitismo estremista. Ciò che qua interessa sottolineare è che in un periodo di forte tensione internazionale la presenza di presunte forme di istruzione radicale in Italia, seppur minoritarie, influisce pesantemente sulla percezione da parte dell’opinione pubblica delle comunità islamiche. In tal senso la stampa ha un peso non secondario nel condizionare questa percezione.

3. Scuole italiane negli Stati Uniti negli anni Trenta

La situazione della madrasse in Italia richiama, paradossalmente, quella delle scuole italiane negli Stati Uniti fra le due guerre mondiali. Ovviamente le due vicende sono molto diverse fra loro e vanno storicizzate; tuttavia è interessante porre in evidenza delle analogie. Come nel caso dei musulmani che vivono in Italia nell’era del terrorismo internazionale, gli italiani negli Stati Uniti vissero fra le due guerre un clima di crescente sospetto a causa dell’aggressività della politica estera del regime fascista dalla metà degli anni Trenta. Già in precedenza, con l’esplodere dell’emigrazione di massa dall’Italia verso gli Stati Uniti (1880-1914), gli immigrati italiani vennero percepiti dall’opinione pubblica statunitense come una fonte di pericolo, a causa della presunta propensione alla criminalità e dell’incapacità (nonché volontà) di accettare i principi della vita democratica statunitense26. Negli anni fra le due guerre mondiali, nonostante il generale apprezzamento negli Stati Uniti per il regime di Benito Mussolini, la presenza di militanti fascisti oltre oceano contribuì a una ulteriore stereotipizzazione dell’italiano. Lo scrittore italo-americano Guy Talese, nato negli Stati Uniti e cresciuto negli anni della seconda guerra mondiale, ha parlato di un’epoca in cui gli immigrati italiani erano visti come “scavatori di trincee, gangster o fascisti”27. Già negli anni Venti settori della stampa statunitense avevano puntato l’indice contro i militanti fascisti attivi nelle Little Italies. Venne messa in evidenza l’assenza di ogni loro legame con le istituzioni americane e un’attività volta a favorire esclusivamente la madrepatria fascista28. Tale attività passava per la strenua opposizione alla naturalizzazione americana degli immigrati e per la preservazione della loro cittadinanza italiana29. Inoltre si riteneva si inculcassero nei giovani italo-americani forme di patriottismo fascista attraverso le scuole italiane, agli studenti delle quali sarebbe stata imposta la frequenza30. Fu, però, soprattutto il giornalista Marcus Duffield che, alla fine del 1929, con un articolo dal titolo emblematico The fascist invasion of the United States mosse su “Harper’s Magazine” le critiche più pesanti al movimento fascista italiano negli Stati Uniti, contribuendo alla decisione di Mussolini di sopprimere la Fascist League of North America, cioè l’associazione che coordinava i fasci italiani negli Stati Uniti31. Duffield ribadì come l’obiettivo principale fascista fosse una campagna di “italianizzazione” che

reaches its climax in its efforts to instil loyalty to Il Duce in Italo-American children, whose impressionable minds make them a particularly fertile field for anti-Americanization work, and whose natural tendency toward absorbing American ways makes their capture for Fascism a first essential for its success in the United States. These youngsters, most of them born here, not only are being taught in Italian schools established by the Fascisti, but actually are being given preliminary training to fit for the Fascist army32.

Gli anni Trenta testimoniarono il crescente timore per la presenza dell’eversione “totalitaria” negli Stati Uniti. Politici come il senatore William E. Borah denunciarono l’attivismo delle organizzazioni comuniste, fasciste e naziste negli Stati Uniti nel trasmettere ai giovani principi contrari alla democrazia33. Fu, però, soprattutto il senatore texano Martin Dies che guidò la crociata antitotalitaria. Nel 1938 egli istituì l’House Committee on Un-American Activities (HUAC), incaricato di investigare le presunte infiltrazioni straniere eversive in territorio statunitense, comprese quelle nelle istituzioni educational34.
Già nel 1934, i doposcuola italiani nelle scuole pubbliche di New Orleans furono accusati di far uso di libri di testo contrari alla democrazia, in quanto apologetici del fascismo35. Tre anni dopo l’attenzione si spostò verso alcune associazioni italo-americane di New York attive nell’organizzazione di classi di italiano per i giovani oriundi, in cui sembra fossero distribuiti (con la collaborazione del consolato italiano) textbooks fascisti stampati appositamente per le scuole italiane all’estero36. I timori per le attività fasciste negli Stati Uniti si rafforzarono dopo la guerra di Etiopia. Nel 1937 “Foreign Affairs” denunciò la presenza di insegnanti italiani influenzati dalle autorità consolari italiane, oppure attivi propagandisti fascisti:

To sum up, the Italian Fascist organization would not seem at the present time to represent any immediate threat to the stability of the American system of government. However, it is the impression of the writer, based on a wide and prolonged investigation, that the Italian Fascists exercise a much stronger influence over their racial groups in the United States than do the German Nazis. The solidarity of the Italian groups in large American cities and their resistance to the melting-pot process undoubtedly provide a favourable field for Fascist propaganda37.

La nota rivista “Time” dette spazio a Girolamo Valenti, presidente dell’Italian Anti-Fascist Committee, il quale denunciò (anche di fronte all’HUAC) le presunte attività italiane per inculcare nei giovani oriundi il credo fascista38. Sottolineando il ruolo di Mario Giani, addetto culturale del consolato di New York, Valenti denunciava anche l’attivismo del governo di Roma nell’organizzare viaggi nella madrepatria di ragazzi americani di origine italiana, dove venivano indottrinati al fascismo nei campi estivi organizzati dal regime39.
Nonostante alcune voci sottolineassero l’assoluta fedeltà degli italo-americani alle istituzioni statunitensi40, con l’avvicinarsi della guerra mondiale le attività fasciste oltre oceano vennero sempre più messe sotto accusa. Un sondaggio dell’agosto 1940 rivelò che quasi un americano su due era conscio della presenza di attività quinto-colonniste negli Stati Uniti41. Gli esuli italiani antifascisti, come il noto storico Gaetano Salvemini, si batterono contro l’uso di libri testo fascisti nei corsi di italiano delle scuole pubbliche di New York e nelle scuole parrocchiali italiane ormai fascistizzate42. Ancora, fra il 1940 e il 1941, vari antifascisti denunciarono di fronte all’HUAC l’utilizzo in queste scuole di textbooks fascisti denigranti la democrazia.
L’entrata in guerra dell’Italia (10 giugno 1940) rappresentò una svolta nella percezione della stampa statunitense dell’italiano come potenziale nemico della nazione. Appena dopo quattro giorni dalla dichiarazione di guerra, il “New York Times” pubblicò gli estratti di un lungo rapporto della polizia di New York in cui veniva resa nota la vasta rete di propaganda e infiltrazione italiana nella metropoli coordinata dal console generale Vecchiotti. Tale propaganda sosteneva la politica estera fascista, denunciando la “impraticabilità” della democrazia e la corruzione del sistema politico americano a cui si sarebbe dovuto porre rimedio con la nomina di un dittatore. Nell’ambito dell’istruzione si sottolineava come nella sola New York fosse stata creata una sessantina di educational centers, cioè scuole con insegnanti direttamente controllati dal console, in molti casi naturalizzati americani, altri giunti appositamente dall’Italia43. Ormai l’italiano negli Stati Uniti era percepito come “quinto-colonnista” al servizio di Mussolini44. In The Fifth Column is Here George Britt dedicò un intero capitolo alle blackshirts negli Stati Uniti, attive “to reverse the movement of decades for assimilation of immigrants, to unscramble the melting pot, to induce disunity at America’s expenses and for a foreign advantage”45. Nel discorso anti-totalitario di Britt era centrale l’accusa contro le attività degli addetti culturali inviati appositamente dall’Italia per diffondere il verbo fascista nelle scuole pubbliche americane e nei doposcuola italo-americani46. Tale accusa si legò a quella della rivista “Fortune” che, nel novembre 1940, parlò di agenti di Mussolini particolarmente interessati ai giovani oriundi:

It also make sure, however, that along with their study of Italian, the school children get a through grounding in Fascism. They learn to admire the Duce, to sing Giovinezza […], to think of Italy as their motherland, to give the Fascist salute, sometimes even to disparage such American heroes as Washington and Lincoln. These ideas are instilled by the teachers, who are carefully chosen for their Fascist sympathies, and also by the textbooks used47.

Lo stesso Dies rivelò la presenza negli Stati Uniti di libri di testo inviati da Roma e denigranti le istituzioni democratiche americane48. Fra ottobre 1940 e gennaio 1941 questo clima portò all’esclusione dalle scuole pubbliche newyorchesi di due textbooks sull’Italia contemporanea ritenuti eccessivamente apologetici del regime di Mussolini49. Nel dicembre 1941 la dichiarazione di guerra dell’Italia agli Stati Uniti trasformò le fobie anti-fasciste in un vero e proprio atto di repressione contro i circa 600.000 enemy aliens, cioè italiani privi di cittadinanza americana residenti negli Stati Uniti e identificati come “potenziali” agenti di Mussolini. Nelle Little Italies furono imposte misure restrittive delle libertà personali e si giunse persino all’internamento in campi di concentramento di centinaia di italo-americani ritenuti pericolosi per la sicurezza nazionale. Nell’ambito dell’istruzione molti doposcuola italiani, così come vari corsi di lingua e cultura italiana in high-schools e università, furono soppressi, provocando per anni un vero e proprio “congelamento” della cultura italiana negli Stati Uniti50.

4. Conclusioni

I due casi descritti nascono in situazioni storico-sociali molto diverse fra loro. Appare evidente come le Little Italies negli Stati Uniti fra le due guerre mondiali e le odierne comunità musulmane in Italia abbiano tratti socio-culturali profondamente differenti. Tuttavia entrambe le esperienze si collocano in contesti di forte tensione internazionale che non favoriscono una percezione positiva di certi gruppi immigrati. In particolare, appaiono simili i toni delle accuse riguardo presunte forme di indottrinamento anti-democratico dei giovani immigrati attraverso le scuole etniche. Denunce da parte della stampa di forme di radicalismo all’interno di comunità immigrate sono assolutamente legittime quando basate su riscontri concreti. Tuttavia, non è secondario sottolineare come queste possano condizionare non poco la percezione pubblica dell’immigrato. È quindi compito del dibattito pubblico (e politico) riequilibrare la situazione, distinguendo fra gruppi estremisti minoritari, come erano i fascisti negli Stati Uniti e come sono i radicali islamici in Italia, e la maggioranza di onesti lavoratori immigrati. Altrimenti il rischio è cadere nella facile retorica dell’“invasione” straniera, oggi presente negli slogan anti-islamici dei leghisti che richiamano i toni dei tanti appelli anti-italiani promossi negli Stati Uniti dal periodo dell’emigrazione di massa in poi. Se lo studio della storia offre spunti concreti per affrontare il presente, a me pare che la vicenda degli italiani negli Stati Uniti possa insegnare oggi in Italia ad impostare forme di dialogo con l’“altro”, nonché forme di “incontro”, piuttosto che di “scontro”, di civiltà. Allo stesso tempo – per dirla con Magdi Allam – tale dialogo deve coniugarsi con un’aspra lotta (cui gli stessi immigrati debbono necessariamente prendere parte) contro i radicalismi etnici che tentino di minare le basi stesse della democrazia.

Note

Torna 1 Mario Reggio, Scuola, in classe è record di stranieri, “La Repubblica”, 18 settembre 2005.

Torna 2 Su questi temi si veda lo studio del Consiglio Nazionale delle Ricerche Marek a scuola. Gli insegnanti e l’inserimento degli alunni stranieri nella scuola italiana, a cura di Camilla Pagani e Francesco Robustelli, Milano, FrancoAngeli, 2005.

Torna 3 Stefano Liberti, Quell’Islam made in Europa, “Il manifesto”, 9 febbraio 2003; Guido Rampoldi, Il sabato sera dei ragazzi islamici, “La Repubblica”, 14 aprile 2004; Alessandra Coppola, Moderati e disponibili. Ecco i giovani musulmani d’Italia, “Corriere della Sera”, 11 giugno 2004; Massimo Novelli, Il nuovo Islam d’Europa, “La Repubblica”, 11 giugno 2004.

Torna 4 Stefano Allievi, Musulmani d’Occidente. Tendenze dell’islam europeo, Roma, Carocci, 2002, spec. cap. 4; Maurizio Ambrosini e Stefano Modina (a cura di), Seconde generazioni. Un’introduzione al futuro dell’immigrazione in Italia, Torino, Fondazione Giovanni Agnelli, 2004; Khalid Chaouki, Salaam, Italia!, Reggio Emilia, Aliberti, 2005; Ruba Salih, The Backward and the New.National, Transnational and Post-National Islam in Europe, “Journal of Ethnic and Migration Studies”, 5 (2004), pp. 995-1011; Jocelyne Cesari e Andrea Pacini, Giovani musulmani in Europa. Tipologie di appartenenza religiosa e dinamiche socio-culturali, Torino, Fondazione Giovanni Agnelli, 2005; Roberta Ricucci, I giovani di origine immigrata nel contesto europeo: cittadini, semi-cittadini, ospiti, “Affari Sociali Internazionali” XXXIII, 3 (2005), pp. 9-21.

Torna 5 Mario Sechi, Nella madrasse d’Europa l’Islam ha lanciato la jihad, “Il Giornale”, 10 settembre 2005; Claudia Fusani, Le piccole madrasse d’Italia dove si insegna il Corano, “La Repubblica”, 18 settembre 2005; Gianluca Zuchelli, Ora anche gli inglesi cominciano a dubitare delle madrasse, “Il Foglio”, 22 settembre 2005; Lorenzo Cremonesi, Gli studenti delle madrasse arrivano dove il governo non c’è, “Corriere della Sera”, 24 ottobre 2005; Khaled Fouad Allam, Madrasa. Se la religione diventa politica, e William Darlymple, Madrasa. Cosa si insegna nelle scuole di Allah, “La Repubblica”, 17 gennaio 2006.

Torna 6 C. Fusani, Le piccole madrasse d’Italia, cit.

Torna 7 A titolo esemplificativo cfr. Gian Marco Chiocci e Claudia Passa, In Italia già 53 madrasse: in testa la Toscana, “Il Giornale”, 9 settembre 2005.

Torna 8 C. Fusani, Le piccole madrasse d’Italia, cit.

Torna 9 Luca Fazio, Milano, brutta lezione di laicità, “Il manifesto”, 10 settembre 2005.

Torna 10 È il caso di Feras Jabareen, imam di Colle Val d’Elsa, favorevole alla presenza dei ragazzi musulmani nelle scuole pubbliche italiane (cfr. Agostino Gramigna, L’Imam Jabareen: “I nostri figli vadano nella scuola pubblica”, “Corriere della Sera Magazine”, n. 38, 22 settembre 2005).

Torna 11 Claudia Fusani, Scuola araba, l’avviso di Pisanu.“Stop a tutti gli istituti paralleli”, “La Repubblica”, 9 settembre 2005.

Torna 12 Milano chiude la scuola islamica. Salvini: “Bella notizia era ora”, www.lapadania.com (9 settembre 2005).

Torna 13 Mariolina Iossa, “Scuola, test di italiano per i bambini stranieri”, “Corriere della Sera”, 29 settembre 2005.

Torna 14 Annachiara Scacchi, No alla scuola privata per i bimbi islamici, ibid., 6 ottobre 2005.

Torna 15 Alessia Gallione, Milano, bufera nel centrosinistra. “Da ipocriti chiudere quelle classi”, “La Repubblica”, 9 settembre 2005.

Torna 16 Stefano Jesurum, “Parificare” o no l’Islam?, “Corriere della Sera Magazine”, 37, 15 settembre 2005.

Torna 17 Alessia Gallione, La protesta del direttore. “Noi non seminiamo odio”, “La Repubblica”, 8 settembre 2005.

Torna 18 Magdi Allam, Bin Laden in Italia. Viaggio nell’islam radicale, Milano, Mondadori, 2002, spec. pp. 62-78; Id., Jihad in Italia. Viaggio nell’islam radicale, Milano, Mondadori, 2003.

Torna 19 Roberto Gritti e Magdi Allam, Islam, Italia. Chi sono e cosa pensano i musulmani che vivono tra noi, Milano, Guerini e Associati, 2001, p. 113.

Torna 20 Magdi Allam, Kamikaze made in Europe, Milano, Mondadori, 2004, pp. 4, 21, 33, 41.

Torna 21 Magdi Allam, Non rendete legale la scuola integralista, “Corriere della Sera”, 30 agosto 2005. Vedi anche Id., La trappola delle scuole islamiche, ibid., 16 luglio 2004, e Insisto, quella scuola non va parificata, ibid., 3 settembre 2005.

Torna 22 M. Allam, Non rendete legale la scuola integralista, cit. Vedi anche Emanuele Boffi, Chiudete quella (non) scuola, “Tempi” (abbinato a “Il Giornale”), 22 settembre 2005.

Torna 23 Andrea di Robilant, Venti di guerra santa contro l’Occidente. L’estremismo contagia le “madrasse”, “La Stampa”, 9 settembre 2005. Vedi anche Gian Marco Chiocci, In Via Quaranta insegna il “maestro” del terrore, “Il Giornale”, 9 settembre 2005.

Torna 24 “Mamma, da grande voglio fare il kamikaze” come insegna l’islam, “Il Foglio”, 9 settembre 2005.

Torna 25 Ibid.

Torna 26 Sul tema, fra i vari contributi, si veda Salvatore J. Lagumina, Wop! A Documentary History of Anti-Italian Discrimination in the United States, San Francisco, Straight Arrow Books, 1973.

Torna 27 Guy Talese, Dove sono i romanzieri italoamericani?, “Altreitalie”, 10 (1993), p. 34.

Torna 28 Paul V. Collins, Background of Events, “Evening Star”, 10 agosto 1925.

Torna 29 Ray T. Tucker, Tools of Mussolini in America, “The New Republic”, 14 settembre 1927.

Torna 30 Rome Warns Fascists Abroad To Attend Only Italian Schools, “New York Herald Tribune”, 25 luglio 1928; Fascist School Order Extends To Every Land, “New York World”, 27 luglio 1928; Fascist Government Gives Subsidy To School Founded For Italian in Providence, “The Evening Bullettin”, 26 aprile 1929; Marcus Duffield, Mussolini’s Red Herring, “The Nation”, 27 novembre 1929; Fascisti Here Not Told To Dissolve, “Providence Journal”, 24 dicembre 1929.

Torna 31 Marcus Duffield, Mussolini’s American Empire. The Fascist Invasion of the United States, “Harper’s Magazine”, 159 (1929), pp. 661-672.

Torna 32 Ibid., p. 665.

Torna 33 Borah Sees Youth Duped By Fascists, “The New York Times”, 24 giugno 1937.

Torna 34 Martin Dies, Martin Dies Story, New York, Bookmailer, 1963, p. 158.

Torna 35 Fascist’ Book Banned In School,“New York Times”, 23 novembre 1934.

Torna 36 Fascist Textbooks Are Provided For New York Children, “New York Post”, 4 dicembre 1937.

Torna 37 Frank C. Hanighen, Foreign political movements in the United States, “Foreign Affairs”, 16, 1 (1937), p. 16.

Torna 38 Testimony of Girolamo Valenti, in Hearings Before a Special Committee on Un-American Activities. House of Representatives, 76th Congress, Third Session on H. Res. 282, vol. 2, Washington, United States Government Printing Office, 1938.

Torna 39 Recruits for Balilla, “Time”, 5 settembre 1938. Si veda anche M.B. Schnapper, Mussolini’s American Agents, “The Nation”, 15 ottobre 1938.

Torna 40 Lay Off the Italians, “Collier’s”, 3 agosto 1940, p. 54.

Torna 41 J.W. Brabner Smith, Subversive propaganda, the past and the present, “The Georgetown Law Journal”, 29, 7 (1941), p. 809.

Torna 42 Says Consuls Aid Fascists Aims Here, “New York Times”, 5 ottobre 1938; Boston Called a Chief Center of Fascist propaganda in U.S., “Christian Science Monitor”, 29 marzo 1941.

Torna 43 Italian Consulate Charged With Plot, “New York Times”, 14 giugno 1940.

Torna 44 Dopo alcune denunce di Dies venne fatta incursione in una decina di club italiani e tedeschi nell’area di Chicago dove si riteneva fossero presenti attività di spionaggio di agenti dell’Asse (Ex-Nazi Agent Admits Espionage.Dies Raids German, Italian Clubs, “The Washington Post”, 19 novembre 1940).

Torna 45 George Britt, The Fifth Column is Here, New York, Wilfred Funk, 1940, p. 63.

Torna 46 Ibid., pp. 68 ss.

Torna 47 The War of Nerves: Hitler’s Helper, “Fortune” (XXII), 5, 1940, p. 110.

Torna 48 Dies Prepares Report On Propaganda of Italians in U.S., “Washington Star”, 24 novembre 1940.

Torna 49 Two Italian Textbooks in Schools To Be Barred for Fascist ‘Slant’, “New York Times”, 18 gennaio 1941.

Torna 50 Lawrence DiStasi, How World War II Iced Italian American Culture, in Una Storia Segreta. The Secret History of Italia American Evacuation and Internment during World War II, a cura di Id., Berkeley, CA, Heyday Books, 2001, pp. 303-312; Nancy C. Carnevale, “No Italian Spoken for the Duration of the War”: Language, Italian-American Identity, and Cultural Pluralism in the World War II Years, “Journal of American Ethnic History”, 22, 3 (2003), pp. 3-33.