L’emigrazione all’estero dall’Umbria

1. L’Umbria tra sviluppo ed emarginazione

L’emigrazione all’estero si manifestò in Umbria più tardi che in altre regioni italiane e ancora alla fine dell’Ottocento partivano dai paesi umbri non più di 30–40 emigranti all’anno. Le ragioni di un simile comportamento emigratorio sono molteplici e vanno ricercate soprattutto nelle caratteristiche strutturali della regione1 . Assai arretrata sotto il profilo economico, sociale e anche politico, l’Umbria aveva una bassa densità della popolazione (63 abitanti per Kmq rispetto ai 99,33 del regno nel 1881 e 72 rispetto ai 121 del regno nel 1911), una prevalente economia agricola, in cui era assai diffusa la mezzadria, con margini piuttosto elevati di erosione, anche per il prevalere della policoltura. L’isolamento, una diffusa emigrazione interna e la forza intrinseca delle sue “permanenze” attutirono dopo l’Unità l’impatto della regione con le “economie esterne”, alienazione dei beni demaniali e dell’asse ecclesiastico ( il cui appoderamento peraltro rallentò il processo di proletarizzazione), prelievo fiscale, crisi agraria e svolta protezionistica, mentre ebbero effetti positivi la creazione da parte dello stato del polo industriale ternano e la relativa tenuta delle manifatture locali. Vere e proprie trasformazioni economiche e sociali si avviarono nella regione in età giolittiana e se da un lato nelle aree di pianura si ebbero un miglioramento dell’agricoltura e un certo sviluppo dell’industria, dall’altro si avviò il declino delle aree di media e alta montagna. I contestuali processi di modernizzazione e di emarginazione, unitamente all’incremento demografico e a profonde trasformazioni culturali tra la gente dei campi, generarono una notevole emigrazione e tra gli inizi del secolo e lo scoppio della prima guerra mondiale il numero degli espatri annui dall’Umbria si attestò intorno ad un media di 9.000-10.000 unità all’anno.

2. L’emigrazione transoceanica

Fin dall’inizio dell’esperienza emigratoria umbra furono presenti nella regione sia la direttrice transoceanica che quella continentale che si mantennero attive, sia pure con numerose variazioni nella consistenza e nelle destinazioni, sino al primo dopoguerra. Le ragioni della mancata specializzazione del flusso migratorio umbro vanno ricercate sia in quelle più generali del flusso emigratorio nazionale, sia in alcune specificità della regione e nella eterogeneità della sua realtà socio-economica. Influenzò in qualche misura il comportamento emigratorio dell’Umbria anche quello delle regioni limitrofe.
Il primo flusso di emigranti di una certa consistenza che nell’ultimo decennio dell’Ottocento si originò dalla regione si diresse oltreoceano, soprattutto in Brasile e in Argentina, ma si trattò di un flusso molto modesto, che per il Brasile non superò mai 200-300 unità all’anno, mentre non raggiunse neppure queste cifre l’emigrazione per l’Argentina. Con gli anni si accrebbe invece il movimento verso gli Stati Uniti che fece registrare tra il 1900 e il 1914 oltre 30.000 espatri2 .
L’emigrazione dalla regione, per effetto dei richiami dei primi emigranti, si indirizzò verso mete ben definite e già nel 1902 si segnalavano colonie umbre caratterizzanti la presenza italiana in alcune località minerarie della Pennsylvania nord-orientale, come Jessup, Old Forge, Pittston, Reading e dintorni, dove l’affluenza e la presenza degli umbri si consolidò negli anni successivi3 . Consistenti nuclei di emigranti si diressero inoltre nel Michigan e nel Minnesota, dove trovarono lavoro nelle miniere di ferro, a Iron Mountain, Hibbling, Chisholm, Virginia ed Eveleth4 . Le zone minerarie della Pennsylvania rimasero tuttavia le destinazioni preferite degli umbri negli Stati Uniti. Decisiva appare nella loro scelta dei luoghi di emigrazione la preferenza per i lavori nelle miniere, preferenza che si manifestò assai nettamente anche nei mercati del lavoro europei. Con ogni probabilità tale scelta fu influenzata inizialmente da quella degli emigranti di altre regioni contermini, come Marche e Romagna, già da tempo dediti ai lavori minerari negli Stati Uniti. Dovette influire in qualche misura anche la presenza delle miniere di lignite di Spoleto. Grazie all’abitudine al lavoro in miniera, a parità di altre condizioni, gli emigranti umbri erano preferiti dalle compagnie minerarie americane perché erano disponibili per i lavori più continuativi e più rischiosi, in particolare per i lavori nel sottosuolo, una disponibilità che ancora non aveva, per esempio, la gran massa degli emigranti meridionali e che favoriva, inoltre, una maggiore integrazione nella società industriale americana5 .

3. Una meta privilegiata: il sud- est francese

Agli inizi del Novecento, in coincidenza anche con la ritrovata capacità attrattiva delle economie europee e con la crisi degli sbocchi sudamericani, nell’emigrazione regionale, che raggiunse in quegli anni la massima intensità, il flusso transoceanico, pur in crescita, divenne minoritario rispetto a quello europeo. A fronte dei 2.000-3.000 emigranti umbri diretti ogni anno oltreoceano, vi furono i 7.000-8.000 diretti nei paesi europei. L’Umbria rappresentò una delle estreme propaggini del mercato del lavoro europeo che si era esteso prima alle regioni italiane di frontiera e che allora, nella fase di massimo sviluppo, giunse ad interessare anche regioni marginali quali l’Umbria e l’Abruzzo. Del resto la prevalenza in Umbria dell’emigrazione europea si spiega anche considerando che essa è la più “continentale” tra le regioni dell’Italia centrale, più portata quindi ad un modello di emigrazione tipico delle regioni continentali, che non subiscono il richiamo del mare.
L’emigrazione per destinazioni europee era in prevalenza stagionale, anche se non furono infrequenti casi di emigrazione definitiva. In genere la partenza avveniva tra febbraio e aprile, in particolare nella seconda quindicina di marzo, e il ritorno tra settembre e novembre, quando chiudevano per l’incipiente stagione invernale i cantieri europei. I membri delle famiglie mezzadrili erano, però, soliti partire verso la fine di novembre, spesso anche dopo le feste di fine anno, quando erano finiti i lavori nel podere, e facevano ritorno all’inizio della primavera. In genere, gli emigranti della regione, soprattutto quelli per cui l’emigrazione stagionale all’estero divenne un’abitudine fissa, tornavano presso le imprese in cui avevano lavorato in precedenza. Con il passare degli anni, tuttavia, la mobilità aumentò notevolmente: ci si spostava alla ricerca di un lavoro più remunerativo anche da un paese all’altro e non infrequente fu il caso di chi, dopo aver lavorato nelle miniere di Francia e Germania, si diresse negli Stati Uniti, grazie anche all’estrema libertà di movimento vigente in Europa sino allo scoppio della prima guerra mondiale.
L’avvio dell’esperienza migratoria umbra in Europa è in particolare segnato dal flusso di emigranti diretti in Francia e più precisamente in Costa Azzurra. È una emigrazione che, specie inizialmente, presenta molti caratteri dell’emigrazione stagionale interna invernale. Le prime notizie della presenza di umbri a Nizza e in altre località della Francia meridionale risalgono al 18716 ed è da presumere che la corrente si sia attivata proprio in quegli anni dalle località dell’Alta Valle del Tevere, in concomitanza con la contrazione dei flussi emigratori interni seguita all’Unità. Con ogni probabilità gli umbri si diressero nelle località della Costa Azzurra soprattutto perché queste consentivano, con guadagni anche maggiori, una emigrazione simile a quella cui erano abituati da secoli. I piccoli proprietari e soprattutto i mezzadri, che potevano allontanarsi dalle loro terre solo d’inverno, trovavano infatti nel Dipartimento delle Alpi Marittime possibilità di lavoro anche in quella stagione e proprio nel settore agricolo. La richiesta di manodopera straniera in agricoltura era allora in aumento in Francia sia per la crescente disaffezione dei francesi verso i lavori agricoli, con conseguente massiccio esodo dalle campagne, sia per il continuo sviluppo delle colture, in particolare, in Costa Azzurra, di quelle floreali.
All’inizio del Novecento il flusso emigratorio umbro per la Francia si fece massiccio, attestandosi intorno ai 2.000-3.000 espatri all’anno fino alla vigilia della prima guerra mondiale; tese, tuttavia, a perdere i connotati più tipici dei flussi migratori agricoli d’ancien régime e ad acquistarne altri, propri delle moderne migrazioni. Col tempo si venne infatti modificando la professione esercitata all’estero dagli emigranti, che non si dedicavano più solo ai lavori agricoli, mentre l’emigrazione da temporanea si andò trasformando per molti sempre più spesso in definitiva.
A favorire l’insediamento definitivo fu non solo la legislazione francese, che incentivava le naturalizzazioni, ma anche e soprattutto la crescente richiesta di manodopera agricola nella zona, dovuta alla massiccia diffusione – resa possibile dallo sviluppo delle comunicazioni – delle colture orticole e frutticole, nonché all’incremento delle colture floreali da taglio e da esportazione accanto a quelle destinate alla fabbricazione dei profumi7 . Tali colture, necessitando di numerosa manodopera lungo tutto l’arco dell’anno, favorivano l’emigrazione e, spesso, l’insediamento definitivo del lavoratore stagionale straniero. Tra gli operai umbri in Francia cominciarono ad essere sempre meno rari i casi di chi, dopo un soggiorno più o meno lungo nel paese, faceva venire la famiglia e prendeva a coltivare un piccolo appezzamento di terreno condotto a mezzadria o in affitto, più raramente di proprietà8 . Ed è una caratteristica, questa, che distingue l’emigrazione degli umbri in Costa Azzurra da quella verso altri mercati del lavoro dove, con la sola eccezione della modesta esperienza sudamericana, quasi sempre essi si dedicarono ad occupazioni di carattere industriale e urbano.
I lavori agricoli, tuttavia, non furono i soli ai quali gli umbri in Costa Azzurra si dedicarono. Nel corso del periodo in esame anzi l’emigrazione in Francia per lavori agricoli, pur restando forte, tese a diminuire rispetto al grosso dell’emigrazione regionale, salvo a riprendere intensamente nel primo dopoguerra. Grazie al forte sviluppo economico che investì la Costa Azzurra tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, allorché si verificò il decollo dell’industria turistica, giunsero nella zona nuove leve di lavoratori umbri attratti dagli impieghi cittadini e non pochi dei primi emigranti stagionali cambiarono mestiere. La nuova emigrazione, a differenza di quella diretta verso i lavori agricoli, si svolgeva in genere tra marzo e settembre. Molti umbri, come la maggior parte degli italiani emigrati colà, si dedicarono a lavori di manovalanza generica nei numerosissimi cantieri pubblici e privati, molti altri, tuttavia, fecero diverse e ben precise scelte occupazionali, che conservavano numerosi caratteri delle antiche emigrazioni di mestieri. Domestici, cuochi, camerieri di caffè e d’albergo e soprattutto balie di origine umbra, di cui in Francia c’era una forte richiesta, contendevano il primato delle presenze agli emigranti di altre regioni dediti agli stessi mestieri e provenienti soprattutto dal Piemonte9 . Gli uomini in genere trovavano impiego negli alberghi e nei caffè, mentre le donne pure presso le ricche famiglie che si recavano a soggiornare in Costa Azzurra. Anche tra gli emigranti dediti a queste attività, caratterizzate pur sempre da un notevole grado di precarietà e stagionalità, tese a diffondersi l’emigrazione definitiva. Ed erano in particolare le donne umbre, che sempre più numerose giungevano in Costa Azzurra, a prediligere il definitivo stabilimento all’estero, specie le balie le quali, stando al burocratico resoconto di un console italiano, “dopo alcuni mesi chiamano il marito, per poter un’altra volta far la balia; e dopo qualche anno fanno venire la famiglia”10 . È una circostanza, questa, che testimonia come il distacco dal luogo natio fosse sentito come irreversibile soprattutto da chi, anche a causa del proprio sesso, si trovava ad occupare uno degli ultimi gradini nella scala degli oppressi della società rurale umbra.

4. La diaspora

La Francia con circa 37.000 espatri dall’Umbria tra il 1900 e il 1914, fu la meta preferita degli emigranti della regione, che però nello stesso periodo fece registrare quasi 32.000 espatri per la Germania, più di 27.000 per la Svizzera, 7.500 per i paesi del Benelux (soprattutto per il Lussemburgo) e circa 6.000 per l’Austria Ungheria. A determinare questa diaspora contribuirono vari fattori. In Costa Azzurra cominciò a manifestarsi col tempo una certa esuberanza di manodopera, a causa del continuo afflusso di nuovi emigranti, mentre altri mercati del lavoro, nella Francia stessa e in altri paesi europei, si stavano affermando come più remunerativi a motivo soprattutto di un intenso sviluppo industriale in atto. Queste due circostanze crearono i presupposti per una scelta emigratoria diversa da quella tradizionale, nondimeno essa si realizzò anche perché il proletariato umbro emigrante stava raggiungendo una maturità che lo rendeva capace di orientare le proprie scelte al fine di massimizzare i frutti del lavoro.
Tra gli emigranti in Europa si diffuse in modo prevalente, anche se non esclusivo, il modello emigratorio già osservato negli Stati Uniti; sempre più numerosi furono infatti coloro che si recarono a lavorare nelle miniere e, se non si rischiasse di generalizzare, si potrebbe quasi dire che alla fine del periodo in esame la figura dell’umbro emigrante si identificava per larga parte con quella del minatore. Ai braccianti dell’Alta Valle del Tevere si aggiunsero in numero sempre maggiore quelli dell’Appennino eugubino-gualdese, diretti verso il grande bacino minerario che, estendendosi in Francia e in Germania, giunge col Lussemburgo fino al Belgio. In Francia essi si fermavano nel Dipartimento di Meurthe-et-Moselle, in località come Longwy o Villerupt, dove migliaia di emigranti, provenienti soprattutto dalle regioni centro-settentrionali italiane, trovavano appunto lavoro nelle ricche miniere di ferro della zona e nelle annesse industrie metallurgiche11 . La presenza degli umbri nella parte francese del bacino minerario divenne tuttavia molto consistente solo nel dopoguerra.
Più numerosi furono invece quelli che si diressero nella vicina area lussemburghese del bacino stesso. Iniziata solo intorno al 1904-1905, l’emigrazione umbra verso il Lussemburgo divenne ben presto maggioritaria rispetto agli altri flussi migratori regionali verso quel paese, anche se fu relativamente modesta in cifre assolute; del resto gli italiani presenti in Lussemburgo nel 1910 erano poco più di 10.000. Provenienti per gran parte dai comuni posti lungo la dorsale appenninica –Gubbio, Gualdo Tadino, Nocera Umbra– gli emigranti umbri in Lussemburgo lavoravano quasi tutti nelle miniere di ferro e negli altiforni di Esch-sur-Alzette, Dudelange, Differdange, Kayl, come manodopera semiqualificata, addetta ai lavori più pericoli e pesanti, la prima ad essere espulsa dall’apparato produttivo in caso di crisi12 .
Ancora più numerosi furono gli umbri che si diressero in Germania e in Svizzera, le altre due mete privilegiate dal flusso migratorio regionale. Oltre a numerose opportunità di lavoro dovute al forte sviluppo economico in atto, gli emigranti della regione vi trovavano migliori salari e anche una relativamente più avanzata legislazione sociale13 . L’emigrazione degli umbri in Germania e in Svizzera presenta ancora più marcatamente il carattere di diaspora. In questi paesi, e in modo particolare in Svizzera, essi si disperdevano per mille destinazioni soprattutto perché seguivano il continuo nuovo dislocarsi dei cantieri di lavori pubblici e privati. In Germania si dirigevano in particolare in Baviera e nel Baden, occupandosi quali sterratori, manovali o muratori. Molto spesso, come era consuetudine degli emigranti italiani in Germania, lavoravano in squadre di 40 o 50 persone provenienti dalla stessa regione o dallo stesso comune, agli ordini di un capo italiano che li aveva reclutati al momento della partenza e che spesso era lo stesso presso il quale tornavano ogni anno. Era, però, soprattutto nelle miniere e nelle industrie metallurgiche tedesche che gli umbri si recavano di preferenza a lavorare, nella Lorena o nella Renania Westfalia, nel bacino minerario della Ruhr. E gli emigranti della regione impiegati negli stabilimenti metallurgici tedeschi erano tanto numerosi da caratterizzarvi insieme ai toscani, ai marchigiani e agli abruzzesi la presenza italiana14 . A differenza degli sterratori e di coloro che si recavano a lavorare negli stabilimenti metallurgici, i minatori, originari soprattutto dei paesi dell’Appennino eugubino-gualdese, tendevano a restare all’estero per uno, due, tre anni, cambiando magari diverse volte luogo di lavoro.
Caratteristiche assai simili a quelle dell’emigrazione umbra in Germania presentava l’emigrazione verso la Svizzera, che prese avvio con l’apertura dei cantieri per la costruzione della galleria del Sempione e verso il 1905-1906 si stabilizzò intorno ad una media di 2.000-3.000 unità all’anno. Una grande varietà di mete caratterizzò anche in Svizzera l’emigrazione umbra, diretta in particolare nella Svizzera francese e tedesca dove trovava lavoro più facilmente e meglio retribuito che non nella Svizzera italiana. Nella Confederazione era in atto un intenso sviluppo specie del settore edile e del sistema ferroviario e gli emigranti della regione ebbero ad occuparsi in prevalenza come muratori o manovali nei lavori stagionali di sterro15 .
Sul finire del periodo in esame dall’Umbria cominciò a dirigersi verso la Svizzera una notevole emigrazione femminile proveniente essenzialmente dal Perugino e dai comuni del Lago Trasimeno16 . Tale emigrazione scontava la crescente scomparsa della manifattura domestica e la crisi dell’industria serica e tessile locale ed era favorita da un crescente sviluppo della stessa industria in Svizzera. L’età media delle emigranti si aggirava tra i 14-20 anni; non tutte erano nubili e sole, molte giungevano con la famiglia e molte erano le giovani spose che seguivano il marito, impiegato anche lui in qualche fabbrica svizzera. La loro emigrazione in genere non era stagionale, ma si prolungava per qualche anno e spesso le ragazze finivano per fermarsi definitivamente in Svizzera. Si dirigevano in prevalenza nei cantoni francesi e tedeschi, a Basilea, Arbon, San Gallo. Rorschach, dove erano assai ricercate dalle locali industrie tessili e manifatturiere per l’abilità nella lavorazione dei ricami e dei merletti, lavorazioni tradizionali dei loro paesi di origine17 .

5. L’emigrazione nel periodo tra le due guerre

In Umbria i livelli raggiunti dal fenomeno emigratorio in età giolittiana non furono più toccati in seguito. Dopo la fine del primo conflitto mondiale, tra il 1919 e il 1920, nella regione, come nel resto dell’Italia, l’emigrazione conobbe una forte ripresa: alla stasi causata dalla guerra subentrò un periodo di grosse speranze e aspettative. Seguì, nel 1921, una brusca pausa di riorientamento e un successivo periodo di crescita culminato nel 1924 con 6.466 espatri. Dopo un’ultima impennata, tra il 1929 e il 1933, si ebbe un progressivo declino del fenomeno fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Riprese invece vigore l’emigrazione interna e, inoltre, nel 1937-1938, un certo numero di umbri “beneficiò” delle conquiste africane.
Ancora una volta, all’origine dell’emigrazione all’estero c’erano soprattutto le precarie condizioni economiche della regione che nel ventennio fascista non presentarono mutamenti di rilievo rispetto al periodo precedente, nonostante un certo sviluppo del settore industriale18 . Le aree di provenienza degli emigranti erano quelle stesse che avevano dato origine al fenomeno agli inizi del Novecento: la dorsale appenninica e l’Alta e Media Valle del Tevere. Si ebbe invece una ridefinizione dei luoghi di destinazione, con un aumento degli espatri per i paesi europei. Le tradizionali mete d’oltre oceano, in particolare il Nord America, furono infatti precluse dalla politica restrittiva posta in essere dagli Stati Uniti con i noti provvedimenti del 1921 e del 1924. Crebbero pertanto gli espatri verso i paesi dell’America Latina (Argentina e Brasile), anche se in misura modesta a causa dei pesanti vincoli strutturali di quei mercati del lavoro, e crebbero soprattutto gli espatri verso i paesi europei. Gli umbri si diressero in misura crescente verso le tradizionali mete continentali, con l’ovvia esclusione di Germania e Austria. La Francia, la Svizzera, il Belgio e il Lussemburgo furono i paesi che accolsero il maggior numero di emigranti della regione fino a che le scelte della politica emigratoria fascista, dal 1927 in poi, non bloccarono in pratica gli espatri, resi anche difficili, dopo il 1929, dalla situazione economica internazionale.
Gli umbri si dedicarono ai lavori già noti. Così, se in Lussemburgo si occuparono nelle miniere e nelle industrie metallurgiche, in Svizzera trovarono lavoro nell’industria edile, in quella tessile e nelle fabbriche di ricami e merletti. Il maggior numero – circa un migliaio all’anno, nel corso degli anni Venti – si diresse verso la Francia che, accanto agli emigranti in cerca di lavoro, ospitò allora numerosi esuli antifascisti. Come già ai primi del Novecento, gli emigranti umbri in Francia si diressero verso le campagne della Provenza, delle Alpi Marittime, del Varo, oppure accrebbero le già numerose comunità umbre presenti nelle città della Costa Azzurra, dove si occuparono come muratori, manovali, terrazzieri o balie. Numerosi furono anche coloro che si recarono nelle zone minerarie della Lorena19 . Modesto fu invece il contributo degli umbri al flusso emigratorio verso le colonie africane: tra il 1935 e il 1939 solo un migliaio di operai della regione, provenienti in prevalenza dall’eugubino, scelse di occuparsi nei cantieri di costruzioni stradali nell’Africa Orientale Italiana.

6. La ripresa dell’emigrazione nel secondo dopoguerra

Dopo la seconda guerra mondiale l’emigrazione umbra all’estero conobbe una ulteriore ripresa a seguito delle profonde trasformazioni economiche e sociali che negli anni Cinquanta e Sessanta investirono tutto il paese e nella regione sconvolsero equilibri rimasti a lungo sostanzialmente inalterati. Alla riconversione industriale postbellica si accompagnò la crisi dell’agricoltura, il settore di gran lunga prevalente nell’economia regionale, e nelle campagne si manifestò con rinnovato vigore quell’esigenza di emancipazione economica, politica e sociale che, già avvertita dai contadini umbri agli inizi del secolo, era stata quasi soffocata dal fascismo. Si intensificò allora la dinamica migratoria interna, facendo registrare indici assai elevati di mobilità intraregionale ed extraregionale (verso Roma in particolare). Dalle zone di alta collina e di montagna la popolazione si riversò nella pianura per poi dirigersi successivamente verso i maggiori centri della regione e fuori regione. Gli occupati in agricoltura passarono dal 64,7% della popolazione attiva nel 1936 al 56,3% nel 1951, al 40,7% nel 1961. Era ormai in atto un processo di deruralizzazione e di urbanizzazione20 .
L’emigrazione all’estero fu minoritaria rispetto all’emigrazione intra ed extraregionale. Tra il 1946 e la fine degli anni Sessanta si registrò una media annua di circa 2.500 emigranti, la maggior parte dei quali diretta verso i paesi europei. Il fenomeno presentò aspetti nuovi rispetto al passato. Ai flussi provenienti dalle tradizionali zone di emigrazione se ne aggiunsero altri dall’orvietano e dall’Umbria sud-occidentale, aree dove il fenomeno emigratorio era stato fino ad allora assai poco diffuso. La gran parte degli emigranti si diresse ancora una volta verso la Francia, il Lussemburgo e la Svizzera, paesi con i quali l’Italia dopo la fine del conflitto aveva stipulato accordi intesi a favorirvi l’emigrazione21 . Gli umbri si adibirono ai lavori già noti. In Francia si occuparono nelle campagne e nelle città della Costa Azzurra, in prevalenza nel settore agricolo, nell’edilizia e nei servizi; un folto contingente tuttavia trovò lavoro negli stabilimenti metallurgici lorenesi. Coloro che si diressero in Belgio si occuparono invece quasi esclusivamente nelle miniere22 .
Alla fine degli anni Cinquanta, la nascita della Comunità Economica Europea e una buona congiuntura economica nei paesi industrializzati dell’Europa Centrale favorirono la crescita dell’emigrazione verso la Svizzera e la Germania, dove gli umbri trovarono lavoro nell’edilizia e, specie in Germania, anche nelle industrie meccaniche e manifatturiere23 . Modesti flussi emigratori si indirizzarono verso l’America meridionale, il Canada e l’Australia, paesi, questi ultimi, assai poco frequentati fino ad allora dagli emigranti della regione24 .
Gli umbri erano sparsi ormai in ogni angolo del pianeta allorché, nel corso degli anni Settanta, i flussi emigratori dalla regione cominciarono a ridursi fino a scomparire quasi del tutto. Il tempo dell’esodo era finito.

Note

 

Torna – 1 Per una più ampia analisi delle cause dell’emigrazione umbra all’estero mi permetto di rinviare a Luciano Tosi, L’emigrazione italiana all’estero in età giolittiana. Il caso umbro, Firenze, Olschki, 1983, pp. 11-75.
Torna – 2 Per i dati statistici sull’emigrazione dalla regione si rinvia a Commissariato Generale dell’Emigrazione (a cura di), Annuario statistico dell’emigrazione italiana dal 1876 al 1925 con notizie sull’emigrazione negli anni 1869–1875, Roma, Ed. del Commissariato Generale dell’Emigrazione, 1926; Istat, Statistica delle migrazioni da e per l’estero, anni 1926-1937, Roma, Tipografia Failli, L, 1975, I, pp. 253–265.
Torna – 3 Cfr. A. Dall’Aste Brandolini, L’immigrazione e le colonie italiane nella Pennsylvania, “Bollettino dell’Emigrazione” (d’ora in avanti BE), I, 1902, 4, pp. 62-69, e F. Tiscar, L’immigrazione italiana nel distretto consolare della R. Agenzia Consolare in Scranton, Pennsylvania, ibid., XII, 1913, 13, pp. 38-41.
Torna – 4 Cfr. A. Castigliano, Origine, sviluppo, importanza ed avvenire delle colonie italiane del Nord Michigan e del Nord Minnesota, BE, XII, 1913, 7, in particolare pp. 8-12 e 14-18, e Rudolph J. Vecoli, The Italians, in They Chose Minnesota: A Survey of the State’s Ethnic Groups, a cura di June Drenning Holmquist, St. Paul, Minnesota Historical Society, 1981, pp. 449-471.
Torna – 5 A. Castigliano, Origine, cit., pp. 734-737.
Torna – 6 Statistica generale del Regno d’Italia, Censimento degli italiani all’estero 31 dicembre 1871, Roma, Stamperia reale 1874, p. 25. Sugli italiani in Francia alla fine del secolo cfr. Pierre Milza, Français et Italiens à la fin du XIXe siècle : aux origines du rapprochement franco-italien de 1900-1902, Roma, École Française de Rome, 1981.
Torna – 7 Abel Chatelain, Les migrants temporaires en France de 1800 à 1914, Villeneuve d’Ascq, Université de Lille III, 1976, pp. 763-765 e 700-701; Anne Marie Faidutti Rudolph, L’immigration italienne dans le sud-est de la France, Gap, éditions Ophrys, 1964, I, pp. 93-94.
Torna – 8 M. Simondetti, Immigrazione e colonie italiane nel dipartimento delle Alpi Marittime, Ministero degli Affari Esteri (Mae), Commissariato dell’Emigrazione, Emigrazione e colonie. Raccolta di rapporti dei R. R. agenti diplomatici e consolari, Roma, tip. G. Bertero, 1903, I, t. 1, p. 322; G. Tornielli, La Francia e l’emigrazione italiana, ibid., pp. 124-125; A. Chatelain, Les migrants, cit., pp. 701-703; A.M. Faidutti Rudolph, L’immigration, cit., pp. 177-180.
Torna – 9 Cfr. M. Simondetti, Immigrazione, cit., p. 322; Luciano Tosi, L’emigrazione umbra nel Sud-Est della Francia dal 1890 al 1914, in Gli italiani nella Francia del Sud e in Corsica (1860-1980), a cura di Émile Témime e Teodosio Vertone, Milano, Angeli, 1988, pp. 186-193.
Torna – 10 M. Simondetti, Immigrazione, cit., p. 321.
Torna – 11 Cfr. L’anniversaire de Thomas. Villerupt, ville du fer, I, 1880-1939, a cura di J. Salque, Nancy, SNIC, 1982, pp. 92-107.
Torna – 12 Cfr. Gilbert Trausch, L’immigration italienne au Luxembourg dès origines (1890) à la grande crise de 1929, “Risorgimento”, 1980, 1, pp. 7-31.
Torna – 13 Cfr. René Del Fabbro, Emigrazione proletaria italiana in Germania all’inizio del XX secolo, in L’emigrazione tra Italia e Germania, a cura di Jens Petersen, Manduria, Pietro Lacaita Editore, 1993, pp. 27-45; Luciano Trincia, Emigrazione e diaspora, Roma, Studium, 1997.
Torna – 14 Cfr. V. Ferliga, L’emigrazione italiana in Alsazia Lorena e Francia, “Rivista di emigrazione”, II, 1910, 10-11, p. 9, e G. Pertile, Gli italiani in Germania, II, BE, XIII, 1914, 12, pp. 69-75.
Torna – 15 Cfr. Il Cantone Vallese e la colonia italiana. Rapporto del march. F. Gavotti, r. vice console a Briga, in Mae, Commissariato dell’emigrazione, Emigrazione e colonie, I, t. 2, pp. 72-77 e L. Trincia, Emigrazione, pp. 11-36.
Torna – 16 Cfr. Saggio di una prima inchiesta sulla emigrazione italiana in Europa. Dati raccolti e coordinati da Erminio Albonico, Milano, Tip. Lanzani, 1921, pp. 125-126.
Torna – 17Cfr. Amy A. Bernardy, Alcuni aspetti della nostra emigrazione femminile nel distretto consolare di Basilea, BE, XI, 1912, 6, pp. 49-50 e 54-55.
Torna – 18 Sulla realtà economica umbra nel primo dopoguerra cfr. Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. L’Umbria, a cura di Renato Covino e Giampaolo Gallo, Torino, Einaudi, 1989, passim.
Torna – 19 Sull’emigrazione umbra tra le due guerre sono utili: L’anniversaire de Thomas, cit., pp. 93-239; A.M. Faidutti Rudolph, L’immigration, cit., pp. 122-123, 133-134, 165, 173 e 358; Les italiens en France de 1914 à 1940, a cura di Pierre Milza, Roma, Ecole Française de Rome, 1986; L’immigration italienne en France dans les années ’20, Paris, Cedei, 1988.
Torna – 20 Sulle profonde trasformazione economiche e sociali sviluppatesi in Umbria nel secondo dopoguerra si veda La grande trasformazione e la memoria. Fonti e tracce di ricerca per lo studio dell’economia e della società umbra e marchigiana nella seconda metà del XX secolo, a cura di Franco Amatori e Renato Covino, numero monografico di “Proposte e ricerche”, 55 (2005).
Torna – 21 Cfr. Ugo Ascoli, Movimenti migratori in Italia, Bologna, Il Mulino, 1979, pp. 29-35, 44 e 89-103.
Torna – 22 Cfr. A.M. Faidutti Rudolph, L’immigration, cit., pp. 147-187 e 357-358; Anne Morelli, Gli italiani in Belgio. Storia e storie di due secoli di migrazioni, Foligno, Editoriale Umbra, 2004, pp. 111-130.
Torna – 23               Cfr. Ernest Halter, Gli italiani in Svizzera. Un secolo di emigrazione, Bellinzona, Edizioni Casagrande, 2004 e i saggi di Luigi Cajani, Brunello Mantelli, Federico Romero, Johannes-Dieter Steinert in L’emigrazione, a cura di J. Petersen, cit., pp. 89-167.
Torna – 24 Cfr. Robert F. Harney, Dalla frontiera alle little Italies. Gli italiani in Canada 1800-1945, Roma, Bonacci, 1984; Arrangiarsi. The Italian Immigrant Experience in Canada, a cura di Roberto Perin e Franc Sturino, Montreal, Guernica, 1988; Gianfranco Cresciani, Emigranti o compari. Vita italiana in Australia, Sidney, 1988, pp. 241-282.