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Nuovo Volume: “Faccia da italiano” di Matteo Sanfilippo

Nuovo Volume: “Faccia da italiano” di Matteo Sanfilippo

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Presentazione

Agli inizi del Novecento Michel Zévaco, allora famosissimo romanziere di appendice, scrive una serie di romanzi sulla Francia fra la guerra di religione e l’ascesa al trono di Luigi XIII. In questi romanzi i “cattivi” per eccellenza sono gli emigrati italiani, anzi toscani, da Caterina de’ Medici a Concino Concini. È evidente come il ricordo di quell’emigrazione gioca ancora un ruolo in un momento, nel quale gli italiani sono di nuovo visti come sgraditi ospiti e perseguitati. Nella Francia della Terza Repubblica la caccia all’italiano sembra essere divenuto un vero sport nazionale, basti pensare al massacro di Aigues-Mortes senza dimenticare che è soltanto uno di oltre ottanta episodi di violenza contro gli immigrati.

L’eco di Zévaco dell’anti-italianismo cinque-seicentesco, molto diffuso in Francia, ma presente anche in molte altre nazioni europee, suggerisce un primo punto fermo della reazione negativa agli italiani e cioè la dimensione plurisecolare della loro diaspora e della conseguente xenofobia delle nazioni ospitanti. Troppo spesso noi riduciamo la storia dell’emigrazione dalla Penisola a circa un secolo (1870-1970), dimenticando che non soltanto questa continua ancora oggi, ma che si è formata in secoli di espatri. Altrettanto di sovente pensiamo che si sia forgiato solo nell’Ottocento il pregiudizio contro i nostri emigranti. In realtà, per la stessa dimensione della nostra presenza in Europa e nelle sue colonie, la storia della rappresentazione negativa (pigri, sfruttatori, pronti al furto se non all’omicidio) degli italiani in patria e all’estero è un fenomeno di lunga durata, che deve essere compreso su un arco temporale plurisecolare.

 

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“ … noi qua stiamo tutti bene”. Lettere di emigranti bergamaschi 1959-1972

“ … noi qua stiamo tutti bene”. Lettere di emigranti bergamaschi 1959-1972
di Ettore Janulardo

 

 

Forma di comunicazione storica, la lettera dell’emigrante si declina in una pluralità di momenti episodici sottesi da una comune logica: avvicinare i lontani, rendere presenti e tangibili gli assenti, o almeno la carta da loro vergata. Struttura mitopoietica del contatto – della negazione-riaffermazione della lontananza – le lettere dall’emigrazione mutano senza trasformarsi, inglobando in un procedere descrittivo immutabile orizzonti invisibili, non descritti né afferrati: viaggi di carta, ove è la carta – forse più ancora delle persone – a viaggiare.

Le lettere che qui si presentano sono scritti di emigranti bergamaschi residenti in diverse aree europee ed extra-europee, negli anni tra il 1959 e il 1972[1]. Di diverso tono e spessore, talvolta lunghe e accorate, a volte brevi e improntate a un forte spirito attivo – disbrigo di pratiche burocratiche, richiesta di favori o di oggetti da ricevere nella nuova terra di soggiorno – costituiscono nel loro insieme una geografia socio-economica, ma anche storica e linguistica, dell’emigrazione italiana recente, spesso proveniente da aree che, in tempi a noi vicini, sono diventate terra d’immigrazione e di difficile convivenza con l’“altro”.

All’interno di questo territorio lombardo, aree di difficile accessibilità – come ad esempio la Valle di Scalve situata all’estremità nord-orientale della provincia di Bergamo, di cui rappresenta oltre il 5% del territorio, racchiusa tra monti che superano i 2.000 metri – si servono per secoli dell’apporto fondamentale di donne e bambini nell’ambito di un precario equilibrio economico tra attività agricola, silvo-pastorale e mineraria, usufruendo, nel corso della loro storia anche recente, della valvola di sfogo costituita dall’emigrazione: si ricordano, per la prima metà del XIX secolo, movimenti migratori di minatori e di operai locali diretti verso il Regno di Sardegna, in una dinamica in cui gli “spostamenti a medio raggio s’innestano su una realtà fatta di migrazioni periodiche a breve raggio”[2], essenzialmente per le attività estive delle aziende agricole della pianura. Nell’ambito internazionale, Svizzera, Francia, Belgio, nonché Africa, America (meridionale e settentrionale) e Australia, rappresentano mete tipiche dell’emigrazione bergamasca.

 

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