Ivo Agostini, figurinaio per scelta professionale

1. Gli anni da agricoltore a Coreglia e la partenza per il Brasile

Ivo Vittorio Agostini nacque a Coreglia in provincia di Lucca il 4 giugno del 1919 da una famiglia di figurinai che praticava questo mestiere da alcune generazioni, emigrando nelle maggiori città dell’Europa Occidentale per vendere la produzione realizzata nel luogo di origine[1]. Grazie a tale professione il padre Pietro e il nonno Francesco avevano avuto la possibilità di sostenere le famiglie anche nei periodi di crisi della Media Valle del Serchio, riuscendo con il passare degli anni a raccogliere un capitale considerevole che, come era consuetudine presso la popolazione delle aree montuose, avevano investito in terreni agricoli. Ancora giovanissimo Ivo si dedicava alla coltivazione delle terre che il padre lasciava amministrare alla consorte, perché troppo occupato nelle campagne all’estero per gestire le sue proprietà1.

Erano i primi anni trenta quando Pietro Agostini decise di imbarcarsi per il Brasile, dove i viaggi per la vendita delle statuine dovevano prolungarsi almeno per alcuni mesi, rendendosi conto di come l’incremento demografico e il miglioramento della navigazione oceanica stavano spingendo gli artigiani della figurina verso mete sempre più lontane.[2] L’emigrante prese la difficile decisione tenendo presente le occasioni che la crescita economica oltreoceano stava offrendo, ma oltre al desiderio di migliorare la sua condizione finanziaria era sollecitato dal sogno di una vita libera, che lo spingeva a provare insofferenza verso i limiti imposti dalla società rurale lucchese.

In un primo momento Agostini si adattò a lavorare come dipendente nella ditta Bernardini, poi gli esiti positivi che la lavorazione del gesso stava conseguendo in Brasile lo spinsero ad andare oltre il ruolo di semplice artigiano, aprendo come imprenditore un laboratorio per la produzione delle statuine a cui dette il nome di “Ceramicas Agostini”. Il desiderio di potenziare la propria attività era talmente grande, da portare con sé a Rio de Janeiro il primogenito Giuseppe Agricolo di soli diciassette anni[3], con il palese obiettivo di insegnare al figlio il mestiere di famiglia di modo che, una volta apprese le abilità del figurinaio, potesse rappresentare un valido sostegno per la gestione della nuova azienda. Pietro, però, non aveva ancora preso in considerazione la possibilità di organizzare l’emigrazione del figlio minore, che, impegnato nel lavoro agricolo, non aveva mai partecipato alle precedenti campagne all’estero.

Nel secondo dopoguerra la crisi dell’economia rurale sulla montagna lucchese mise in difficoltà anche le famiglie del livello economico degli Agostini, che dovettero affrontare nuove privazioni e continuare a considerare l’emigrazione come l’unica opportunità per migliorare la propria condizione. Nei mesi successivi alla fine del conflitto Ivo iniziò a prendere in esame la possibilità di lasciare il proprio mestiere e partire per Rio de Janeiro in modo da inserirsi nell’azienda del padre[4]. Una decisione del resto fortemente sollecitata dallo stesso Pietro, che voleva rimpatriare in modo definitivo facendosi sostituire dal secondogenito, ma resa difficile dal particolare rapporto che univa quest’ultimo alla madre, la quale riversava in lui tutte le sue aspettative per compensare la costante mancanza del consorte[5].

Dopo attenta riflessione Ivo decise di espatriare; aveva sentito parlare spesso del lavoro di figurinaio dal padre, ma non sapeva nemmeno immaginarsi quali sarebbero stati i ritmi di vita e le mansioni a cui sarebbe stato sottoposto in Brasile, dove arrivò il 10 dicembre 1946[6]. Pietro lo accolse con entusiasmo, ma volle che il figlio partisse dai ruoli più umili convinto che solo dopo un lungo apprendistato fosse possibile diventare un esperto artigiano, anche se ormai Ivo aveva un’età maggiore rispetto a quella dei garzoni, di solito tra i dieci e i quindici anni[7]. Ivo fu inizialmente destinato alla vendita nelle piazze principali, dove avevano luogo i mercati cittadini, mentre in laboratorio veniva impiegato per la gettatura del gesso e, solo in un secondo momento, passò alla rifinitura delle statuine, lavoro indispensabile per prepararle alla colorazione. Oltre a vendere con la bancarella, il garzone veniva mandato a recapitare le ordinazioni presso i negozi di arte sacra, che rappresentavano la clientela prevalente della “Ceramicas Agostini” per il commercio al minuto insieme ai conventi e alle chiese.

Pietro, infatti, fin dalle passate campagne commerciali in Europa si era conformato per i personaggi da inserire nel suo catalogo alle tendenze della produzione in gesso dei migranti lucchesi, incentrata sul tema religioso cattolico, cui solo raramente venivano aggiunte statuine di animali[8]. Scarsamente curato era anche il soggetto storico, in passato molto più sfruttato[9].

Ivo imparò a gettare fin dai primi giorni di lavoro, raggiungendo una certa abilità nella colatura del gesso in alcune settimane; era già un risultato significativo, poiché la gettatura costituisce l’operazione fondamentale nel processo di fabbricazione della statuina[10]. La realizzazione della stampa, benché sia più complessa, appartiene alla fase iniziale e viene effettuata soltanto se si manifesta la richiesta di un nuovo soggetto, in caso contrario risulta molto più conveniente lavorare con le stampe già utilizzate in precedenza. Il procedimento adottato dalla ditta Agostini era quello impiegato nella tradizione artigianale della figurina: si ricopre il modello fatto da uno scultore con della creta fresca e con gesso liquido da cui, una volta asciutto, si ricava la sciarpa, un blocco diviso in due parti che se unite riportano all’interno il negativo della forma del soggetto scelto. Il modello viene poi rimesso nella stessa posizione, ma ripulito dalla creta fresca, di modo che rimanga un’intercapedine tra la statuina e la sciarpa in cui si cola il materiale per la stampa, che poi viene solidificato[11]. In quegli anni i figurinai migranti realizzavano la stampa in caucciù vulcanizzato.

Le ultime fasi sono l’asciugatura, per la quale sono indispensabili alcuni giorni (ma, se si ha premura, si possono ridurre i tempi mettendo le statuine in un locale riscaldato), cui seguono la ripulitura dalle sbavature lasciate dalla stampa e la colorazione a pennello o con l’aerografo, possibile solo dopo che la statuina è stata immersa in una particolare soluzione. Quest’ultima si ricava sciogliendo nell’alcool una radice vegetale che lo rende impermeabile; il liquido, una volta che ha intriso il materiale, ha la capacità di far aderire con facilità qualsiasi tipo di tinta.

Oltre a Ivo, al padre e al fratello, nell’azienda lavoravano circa venti operai brasiliani di ambo i sessi[12]: gli uomini si occupavano delle mansioni più faticose, come la gettatura o la gestione del magazzino, mentre le dipendenti erano adibite alla colorazione a mano delle statuine, per la quale è necessaria molta precisione e un particolare gusto estetico.

Alcuni mesi dopo l’arrivo di Ivo, Pietro decise di rimpatriare; il nuovo dipendente aveva acquisito le conoscenze indispensabili per il lavoro di figurinaio ed era ormai pronto ad assumere la gestione del laboratorio insieme al fratello, concedendo al padre di trascorrere la terza età in patria. Ma partire non era semplice: i dipendenti, organizzati in modo che la costante presenza di Pietro risultava indispensabile, dovevano imparare a lavorare facendo affidamento soltanto sui suoi figli, titolari insieme ai due fratelli brasiliani Francisco e Luigi Pinheiro. Questi ultimi, oltre a mettere a disposizione la sede del laboratorio in cambio di una percentuale degli utili, partecipavano in modo costante alla produzione e alla commercializzazione delle statuine. Prima che l’esperto artigiano riuscisse a sistemare i suoi affari nel laboratorio brasiliano trascorse un altro anno; solo nel 1948 Agostini ebbe la possibilità di tornare nel luogo di origine per non emigrare mai più, vivendo il resto dei suoi giorni di rendita e facendo scrivere sulla carta di identità “di professione benestante”[13]. Pietro Agostini morì il 19 gennaio del 1968, ormai vedovo e residente presso la figlia Luisa.

 

2. La Ceramicas Agostini nel periodo successivo alla partenza di Pietro

Dopo il rimpatrio di Pietro la “Ceramicas Agostini” continuò la sua attività in modo ininterrotto.

Ivo aveva ormai raggiunto l’età del matrimonio ed era sentimentalmente legato a Elda Pellegrini, una ragazza ancora residente a Coreglia alla fine degli anni quaranta, disposta per amore a trasferirsi a Rio de Janeiro. Ma far arrivare in Brasile la futura consorte non era semplice, perché solo una donna sposata poteva ricevere il permesso di espatrio e ricongiungersi al marito all’estero. A causa di questo limite burocratico Pietro fu costretto a far sposare per procura il figlio con Elda, permettendole di arrivare a Rio de Janeiro tra il 1948 e il 1949.

I coniugi Agostini avevano scarsi rapporti con la popolazione sudamericana; nel quartiere di Bonsucesso, dove vivevano, frequentavano famiglie italiane, benché facessero la spesa o comprassero qualsiasi altro genere di utilizzo quotidiano in negozi gestiti da brasiliani o da stranieri di varie nazionalità. In futuro, durante la loro seconda emigrazione, Ivo ed Elda preferirono anche per i figli un’educazione improntata sulla cultura del luogo di origine[14].

La mancata integrazione si manifestava nel rapporto tra Elda e Carminha la consorte di Giuseppe Agricolo. Il fratello di Ivo, essendo giunto all’estero prima di lui e ancora in giovanissima età, era riuscito a conformarsi ai caratteri culturali della società che lo ospitava, finendo per preferire rispetto a un’italiana una moglie autoctona. Di Carminha Elda non sopportava il voler sfoggiare a ogni costo un discreto tenore di vita, ma ancora più difficile da accettare era la leggerezza con cui ai suoi occhi la cognata e in generale tutti i brasiliani affrontavano le difficoltà, senza organizzarsi per poter fronteggiare le necessità del domani[15].

Quando nell’ottobre del 1950 nacque il primogenito Italo, il padre rivendicò nella direzione dell’azienda un ruolo di maggiore responsabilità, avvertendo il bisogno di costruire un futuro a livello economico e sociale più stabile per sé e per la sua famiglia. La nuova condizione, insieme alle difficoltà relazionali tra Elda e la comunità di Rio de Janeiro, rese ancora più sofferta la convivenza tra i soci, anche perché Ivo riteneva difficile operare all’interno di un gruppo in cui dovevano collimare le differenti mentalità di quattro imprenditori.

I fratelli Agostini finirono per non trovare un accordo su un progetto di revisione del catalogo dell’azienda su cui Giuseppe Agricolo aveva insistito molto, ritenendo indispensabile iniziare a produrre statuine di personaggi appartenenti alla tradizione storica e al folklore brasiliani, come il Sasi Perere, un vecchio schiavo saggio che insegnava a leggere ai giovani negri nel Brasile della metà del Novecento, nato dalla fantasia di un giornalista di colore.[16]

Legato alla tradizione cattolica, Ivo non poteva accettare un avvicinamento alla cultura del luogo di arrivo, così nel 1954, proprio quando la Ceramicas Agostini era in piena crescita, decise di far ritorno a Coreglia, pienamente cosciente che in patria le possibilità economiche per proseguire la professione di figurinaio erano estremamente limitate, malgrado l’arte della statuina in gesso secondo lo storico Guglielmo Lera fosse nata proprio in questo paese nel Settecento[17]. Era stato in questo periodo storico che gli abitanti, ereditando le tecniche artigianali degli stucchinai impegnati fin dal Trecento nella fabbricazione delle figurine del bambin Gesù per le suore di San Domenico a Lucca, avevano sostituito allo stucco il gesso, più economico.

Tra il 1954 e il 1955 Ivo Agostini lavorò a domicilio per alcuni laboratori della figurina situati nel luogo di origine, dove ritrovò l’amico Lido Giovanetti, emigrato da scapolo a Rio de Janeiro e rimasto deluso dagli elevati ritmi di vita della megalopoli. Fu proprio quest’ultimo a proporgli di aprire una nuova azienda in Brasile[18]. Il cugino di Lido, Giovanni Togneri, in quegli anni viveva a Recife e possedeva insieme ad Armando Larocca un laboratorio legato alla bottega “Casa Roma” dei fratelli Schettini, suoceri dello stesso Larocca[19]. Quest’ultimo offriva a Ivo e a Lido una parte della sua quota nella società, in un momento estremamente felice per il settore della figurina, che aveva ormai guadagnato il mercato del centro-nord dell’America Latina.

La vecchia azienda era ubicata in una via principale di Recife e realizzava una produzione in gesso riservata unicamente all’attività commerciale del negozio adiacente. In tre anni di lavoro Giovannetti e Agostini, diventati con Togneri dopo poco tempo gli unici proprietari, fecero crescere a tal punto le ordinazioni da sentire la necessità di spostare la sede in periferia.

Nel frattempo Togneri si era sposato con Adelina Donati da cui aveva avuto una bambina, Lido Giovanetti si era unito con la brasiliana Rosita Cavalcanti e anche lui aveva avuto un primo figlio e nel 1957 era nato Fernando, il secondogenito di Agostini. Le tre famiglie vivevano negli appartamenti sopra il negozio, ma gli Schettini furono costretti a sfrattarle alla fine degli anni cinquanta, affrettando lo spostamento definitivo del laboratorio nella periferia di Iputinga[20], adatta da un punto di vista urbanistico alla realizzazione di nuove attività imprenditoriali[21].

 

3. Il trasferimento a Recife

L’azienda di Recife non raggiunse mai in quanto a dimensioni e al numero dei dipendenti i livelli del laboratorio di Pietro Agostini di Rio de Janeiro, anche se con il passaggio ai nuovi proprietari tutti gli operai furono disposti a trasferirsi nella periferia della città per conservare il posto di lavoro[22].

Quando il laboratorio raggiunse la sua massima crescita impiegava una ventina di brasiliani. Tra i soci c’era stata una precisa suddivisione dei ruoli: Giovannetti e Togneri si occupavano delle stampe, che ancora venivano realizzate solo quando erano richiesti personaggi non presenti nel catalogo del laboratorio, mentre Agostini seguiva i dipendenti addetti alla gettatura e alla ripulitura delle statuine.[23]

Queste ultime fino a sessanta centimetri di altezza venivano prodotte per stoccaggio e facevano parte del lavoro quotidiano: i proprietari non aspettavano che fossero ordinate, perché pezzi di queste dimensioni potevano essere venduti con grande facilità, come le figurine più economiche dei personaggi del presepe che non superavano i dodici centimetri. I pezzi di dimensioni maggiori, fino a un metro e mezzo di altezza, erano realizzati su ordinazione, avendo per il loro costo elevato un mercato di nicchia, anche se la ditta riceveva spesso commissioni di questo genere.

Il livello qualitativo della produzione era maggiore rispetto alle statuine di Rio de Janeiro, almeno per quanto riguardava i pezzi che erano stati realizzati fino a quando Ivo aveva continuato a lavorare con Giuseppe Agricolo[24]. I migliori risultati erano dovuti all’accurata tecnica di colorazione, che a Recife veniva eseguita quasi interamente a mano.

All’inizio tra i proprietari della nuova impresa non si manifestarono contrasti, anche se Ivo notò che esistevano divergenze di opinioni sull’organizzazione del laboratorio tra Giovannetti e Togneri. Agostini era più vicino alla mentalità del primo socio, anche se riteneva estremamente dannoso per l’azienda ogni contrasto tra i due cugini e sarebbe stato disposto ad assumere maggiori dipendenti per realizzare vari tipi di produzione, dando seguito alle convinzioni di ambedue, pur di mantenere un clima disteso. Nel 1960 iniziarono a manifestarsi i primi dissapori che, come era accaduto in precedenza a Rio de Janeiro, ebbero luogo sia in ambito professionale che nella vita privata. In merito alla gestione del laboratorio, Togneri non aveva mai approvato la scelta dei soci di puntare su una produzione di elevata qualità, di conseguenza propose di cambiare il metodo di colorazione, che a suo avviso doveva essere interamente realizzata con l’aerografo per ridurre i costi e i tempi di lavorazione. Nella vita privata, inoltre, ancora una volta emergevano difficoltà di convivenza tra le mogli dei figurinai, poiché Elda e Adelina non accettavano le abitudini di Rosita.

Le difficoltà di collaborazione tra i tre soci spinsero nel 1959 Togneri ad ad aprire un laboratorio in proprio a pochi chilometri da Iputinga, dove iniziò a lavorare su un nuovo catalogo. Ancora una volta la possibilità di estendere la produzione ai soggetti legati alla cultura autoctona era stata il punto di massimo disaccordo, che aveva portato alla rottura. Togneri, una volta indipendente, oltre agli animali domestici si dedicò alla fabbricazione di personaggi ispirati alle religioni professate dalle minoranze in Brasile[25], realizzando pezzi colorati soltanto con l’utilizzo dell’aerografo. Fu una scelta che con il tempo si rivelò infelice: infatti si ammalò gravemente a causa delle esalazioni tossiche della vernice.

Uscito Togneri dalla società, la ditta rimase in mano ad Agostini e a Giovannetti, che riuscirono ad accordarsi sul modo di amministrare il laboratorio, ma nel 1963 Ivo fu messo di nuovo in difficoltà da un fatto imprevisto: stanco della vita in Brasile, Giovannetti iniziava a manifestare il desiderio di rimpatriare. Fu un periodo difficile per l’azienda non solo in seguito alle scelte di vita che dei due proprietari, ma anche a causa dell’inondazione del 1966 (seguita dall’altra alluvione del 1972), quando il fiume Capibaribe sommerse quasi totalmente Recife. Nella sede della ditta l’acqua raggiunse quasi un metro di altezza, rovinando gran parte della produzione; inoltre l’umidità derivatane compromise nei mesi seguenti la qualità delle statuine, impedendo un’asciugatura soddisfacente. Fortunatamente Agostini poteva fare affidamento su una buona organizzazione artigianale e commerciale, che gli permise di superare il difficile periodo senza gravi perdite finanziarie e mantenendo un buon livello qualitativo.

 

  1. La svolta definitiva verso una produzione di massa

Alla partenza del socio, che manteneva la sua percentuale di proprietà sull’immobile del laboratorio e sul terreno adiacente, seguì per Agostini un periodo di notevole responsabilità. Dal 1965 al 1972 il figurinaio fu per la prima volta libero da ogni legame societario e probabilmente proprio per questo motivo riuscì a esprimere al massimo le sue capacità.

Fu un periodo particolarmente fortunato per il mercato della figurina nel nord-est del Brasile, l’ultimo momento rigoglioso per l’emigrazione di questi artigiani lucchesi, dovuto al diffondersi presso le famiglie borghesi abbienti della consuetudine di comprare statuine di gesso non colorate, che venivano dipinte a mano dagli acquirenti[26]. Questi ultimi volevano che i pezzi non venissero nemmeno ripuliti dalle sbavature per occuparsi personalmente della loro rifinitura, considerando l’impegno profuso nel dare un aspetto gradevole alle grezze forme umane o animali di gesso una sorta di omaggio da offrire al destinatario del dono in segno di stima. In questo modo agli operai restava solo il compito di gettare e mettere ad asciugare le statuine, con un consistente risparmio di tempo e di costi sulla produzione. Erano preferite figurine di piccole dimensioni, sui dieci o al massimo quindici centimetri, ma alcune volte si richiedevano anche pezzi di media e grande altezza.

Nel giro di pochi mesi la produzione della ditta crebbe in modo notevole, facendo registrare un incremento in certi momenti anche pari al mille per cento e permettendo all’imprenditore di raggiungere un guadagno molto più elevato tra il 1965 e il 1972, rispetto a quanto aveva fatto nei dieci anni precedenti[27]. In quel periodo il laboratorio era costantemente occupato dai compratori impazienti di fissare le loro ordinazioni, tanto che la famiglia del proprietario non poteva più avere una vita privata, costretta a ricevere i clienti fino alle ore più tarde delle sera malgrado l’orario di apertura per il pubblico andasse dalle 7:30 alle 12:30 e dalle 13:30 alle 17:30. La partecipazione al lavoro in laboratorio dei figli e della moglie di Ivo divenne costante; in particolare Elda, che in precedenza non si era mai occupata della produzione di statuine per volontà del marito, dalla fine degli anni sessanta iniziò ad aiutarlo nei difficili controlli della contabilità e nella gestione dei rapporti commerciali con i clienti e i rappresentanti della ditta[28].

Le nuove tendenze del mercato avevano costretto Ivo a rivedere la selezione dei soggetti del suo catalogo, estendendola oltre il tema sacro. Adesso nel suo laboratorio si realizzavano personaggi legati alla cultura autoctona e alla storia dell’arte europea, come la Venere di Milo e la Venere di Botticelli, ma una delle statuine più richieste era la ragazza bambina (appartenente solo alla produzione grezza) riservata come dono di buon augurio per le figlie delle famiglie borghesi, al momento del ballo delle debuttanti. In tale occasione ogni invitato veniva omaggiato di una statuina. Questi regali, richiesti in prevalenza dalla clientela femminile, malgrado fossero più economici delle figurine colorate erano alla portata solo delle classi sociali più abbienti.

Le difficoltà maggiori che Ivo dovette incontrare nel periodo in cui fu l’unico proprietario del laboratorio riguardarono l’aspetto fiscale, a causa delle ripetute ispezioni che spesso non venivano svolte in modo corretto. Di anno in anno i rapporti con la guardia di finanza divennero sempre più tesi e aumentava il timore che potessero ripetersi errori nel pagamento delle imposte. Il ragioniere della ditta, che già in passato aveva lavorato presso Agostini e Giovannetti, era infatti sotto il mirino delle autorità fiscali e gli imprenditori che si affidavano a lui subivano di frequente controlli drastici. Il figurinaio, però, non si decise mai ad allontanarlo: è probabile che quest’ultimo riuscisse in qualche modo a minacciarlo, come di sovente accadeva in Brasile agli artigiani italiani.

Le visite del fisco erano dovute anche alla crescita della produzione[29], di conseguenza gli ispettori, invece di limitarsi come al controllo annuale, si recavano presso Agostini una volta ogni tre o quattro mesi. In alcuni casi anche nell’impresa di Ivo si faceva ricorso al lavoro in nero, ma la guardia di finanza non se ne rese mai conto, così, impossibilitata a fare delle multe, si spingeva a chiedere al gestore piccole tangenti.

In questo periodo aumentarono anche le rimesse che il figurinaio inviava alla sorella Eda, nell’ottica di investire in beni immobili situati a Coreglia i suoi sostanziosi guadagni[30]. Il denaro giungeva in Italia grazie ai funzionari del consolato italiano, essendo al tempo, come adesso, illegale per gli emigranti inviare grosse somme di moneta straniera in patria. La necessità di coinvolgere tali personalità invece di affidarsi ai metodi più semplici e ricorrenti, tra cui le buste delle lettere o i vaglia bancari, prova fino a che punto fosse effettivamente considerevole la quantità di denaro inviata da Ivo[31].

Tra gli anni sessanta e settanta la moneta brasiliana aveva raggiunto l’apice di un lungo processo di inflazione iniziato a metà secolo, che costringeva gli emigranti a cambiare nel minor tempo possibile il denaro guadagnato in dollari, per non perdere sulla svalutazione dei cruzeiros[32]. Il fenomeno finanziario aveva determinato una continua oscillazione nei prezzi delle figurine in gesso a causa della instabilità del costo della materia prima e del suo trasporto, così Ivo aveva una tabella in base all’altezza delle statuine che consultava personalmente a ogni operazione commerciale[33].

All’inizio degli anni settanta Agostini aveva messo da parte la cifra indispensabile per acquistare in patria una tenuta di ampie dimensioni. Era riuscito a individuare la proprietà adatta alla sue esigenze grazie alla sorella, che da alcuni anni teneva sotto osservazione il mercato immobiliare per lui; tra loro la corrispondenza avveniva in modo costante con una cadenza di una lettera al mese e, dal 1967, Eda segnalava al fratello tutte le offerte che potevano attirare il suo interesse[34]. Dopo il trasferimento del figlio Italo a Coreglia, partito da Recife il 12 giugno 1970, l’emigrante prospettava di rimanere all’estero ancora per alcuni anni, per poi rimpatriare con la famiglia in modo definitivo.

Ad affrettare la sua partenza sopraggiunse la seconda inondazione del fiume Capibaribe nel 1972, con effetti devastanti su tutta l’area extra-urbana Recife. Quello fu l’anno del rimpatrio definitivo di Ivo Agostini, che prima di abbandonare il laboratorio ritenne indispensabile collaborare con gli operai per costituire una cooperativa incaricata di gestire l’azienda e pagare all’ex titolare un corrispettivo annuale per la cessione del diritto di proprietà del laboratorio[35]. Infine nominò il connazionale Erando Silvestri, uno dei pochi emigranti italiani naturalizzati, procuratore dei suoi beni immobili in Brasile, quantificabili nell’azienda, in tre lotti di terreno edificabile e nell’abitazione dove il figurinaio aveva vissuto per oltre dieci anni[36].

 

  1. La vita in Italia dopo la permanenza in Brasile

Tornato a Coreglia l’8 settembre del 1972, Ivo Agostini a poco più di cinquant’anni era troppo giovane per concedersi la pensione, così decise di continuare a lavorare nella manifattura del gesso facendosi assumere dall’Etruria Statue, una delle tante aziende nate dall’esperienza accumulata dai figurinai emigranti[37]. I titolari lo vollero tra i loro collaboratori, valorizzando non solo la sua esperienza come formatore di stampe, ma anche la competenza nel settore commerciale.

Intanto a Recife per alcuni anni la cooperativa degli ex dipendenti di Agostini riuscì a portare avanti il laboratorio, ma si manifestarono sempre gravi difficoltà dovute alle diverse linee imprenditoriali dei soci, contrasti alimentati dal contabile che con la partenza di Ivo aveva assunto maggiore importanza[38]. Alla fine degli anni settanta tale condizione condusse alla cessazione dell’attività, quando da un po’ di tempo sia Ivo, sia Giovannetti, come rispettivamente proprietari della ditta e dell’immobile dove questa aveva sede, non percepivano più l’affitto.

Dieci anni dopo Ivo ricevette la pensione, ma per un lungo periodo continuò a collaborare in modo saltuario con le aziende della Media Valle del Serchio: era legato a tal punto alla lavorazione del gesso, che non riuscì ad abbandonare quest’ultima se non nel 1992, quando tornò dopo venti anni di assenza in Brasile per un viaggio nelle città che lo avevano ospitato[39].

Dopo aver incontrato il fratello, volle visitare un’ultima volta Recife, dove fu felice di essere accolto da tutte le persone che avevano gravitato nel suo ambiente di lavoro e di vedere l’azienda aperta dal suo allievo Oliveiro de Mesquita, quando la cooperativa operaia che gestiva il vecchio laboratorio andò in fallimento a causa dei contrasti insorti tra i soci. Alla conclusione del viaggio Agostini aveva soggiornato in Brasile per tre mesi, ma dopo quest’ultima esperienza non ebbe più l’opportunità di tornare nella terra in cui era stato emigrante. Infatti è deceduto in seguito a lunga malattia il 7 dicembre 2010.

 

[1]           Sulle prospettive economiche e i comportamenti sociali dei figurinai, cfr. Giampaolo Giampaoli, Sulle strade del commercio ambulante. L’emigrazione toscana nella prima metà del XX secolo, Potenza, Erreci Edizioni, 2011, pp. 33-48. Vedi inoltre Paolo Tagliasacchi, Coreglia Antelminelli patria del figurinaio, Firenze, Grafiche Gelli, 2008, e Figurine e figurinai nel XX secolo, Pisa, GraphicArts, 2002.

 

[2]           Vedi Bruno Sereni, I figurinai, “Storia di Barga”, XXV, 3 (1985), codice 3948 dell’Archivio Paolo Cresci di Lucca (d’ora in poi AC) e Matteo Pierotti, Nella metropoli dei figurinai, “Il secolo XX”, II, 2 (1903), codice 1984 AC.

 

[3]           Nato nel 1917, Giuseppe Agricolo aveva due sorelle di maggiore età, Eda Assunta e Assunta Maria; dopo di lui erano nati Ivo nel 1919 e Luisa nel 1927.

 

[4]           Nell’Archivio Agostini sono conservate foto della seconda metà degli anni quaranta che mostrano il tenore di vita in Brasile di Pietro e di Giuseppe Agricolo; i due migranti le inviarono a Ivo per convincerlo a partire. In una foto del 1947 il primogenito siede sul parafango di un’auto lussuosa, mentre in una del 1946 si fa ritrarre con il padre in abiti eleganti.

 

[5]           Il rapporto di Ivo con la madre è stato descritto da Italo Agostini (primogenito del figurinaio) nell’intervista del 29 novembre 2010 rilasciata a Coreglia.

 

[6]           La data di arrivo di Ivo Agostini in Brasile compare sulla carta di identità che l’emigrante richiese nel 1972, poche settimane prima di tornare a Coreglia; il documento è custodito nell’archivio familiare.

 

[7]           Sui rapporti tra i giovani garzoni e i figurinai all’estero: Nicoletta Franchi, I figurinai: una professione girovaga? I riflessi del dibattito parlamentare sull’impiego dei fanciulli in professioni girovaghe nell’area lucchese, “Documenti e studi”, 14-15 (1994), pp. 257-292.

 

[8]           Le informazioni sull’attività commerciale della Ceramicas Agostini sono state fornite da Italo Agostini, durante la già citata intervista del 29 novembre 2010.

 

[9]           Presso l’Archivio Agostini si trova un’immagine di Ivo nel giardino dell’azienda con alcuni pezzi di medie dimensioni, alti all’incirca cinquanta centimetri; tra questi, oltre alle figure di santi, compaiono alcuni cavalli.

 

[10]          Per gettatura si intende la colatura del gesso liquido nella stampa.

 

[11]          La memoria delle tecniche di lavorazione del gesso è conservata dai figurinai che si occupano del laboratorio situato nel Museo della figurina di gesso e dell’emigrazione di Coreglia.

 

[12]          Nell’Archivio Agostini sono presenti foto dove compaiono i dipendenti brasiliani di Pietro. In un ritratto della fine degli anni quaranta Ivo è accanto a un giovane operaio e in due immagini antecedenti all’arrivo dell’emigrante una decina di dipendenti del laboratorio posano insieme a Giuseppe Agricolo e alla sua fidanzata Carminha (Maria do Carmo).

 

[13]          Una delle ultime immagini di Pietro in Brasile conservate nell’Archivio familiare è datata 1947 e lo ritrae con Ivo, Giuseppe Agricolo e la sua compagna Carminha. Pietro è seduto al centro del ritratto, mentre i figli e la giovane brasiliana posano in piedi alle sue spalle.

 

[14]          Italo Agostini ha raccontato di aver vissuto in modo sereno l’infanzia e l’adolescenza, specialmente nel rapporto con i coetanei autoctoni, perché, malgrado i limiti imposti dai genitori, riusciva a mantenere una certa libertà di comportamento.

 

[15]          Le impressioni di Elda sulla cultura brasiliana sono state raccontate da Ivo Agostini nella già citata intervista del 22 novembre del 2010.

 

[16]          Nelle foto custodite nell’Archivio familiare scattate prima dell’arrivo di Ivo e nelle immagini riconducibili agli anni in cui lavorò a Rio de Janeiro tra le statuine non compaiono mai personaggi legati alla cultura autoctona o alle religioni professate dalle minoranze (tutt’oggi il 78% della popolazione brasiliana è di fede cattolica).

 

[17]          Guglielmo Lera, Le figurine, una singolare forma di arte,“La provincia di Lucca”, I, 2 (1961), ma anni prima Eugenio Lazzareschi, I figurinai della Lucchesia,“Rassegna mensile del comune di Lucca”, II, 7-8 (1934), aveva indicato Tereglio come patria dei figurinai.

 

[18]          Alla fine dell’intervista Ivo Agostini ha precisato che questo periodo della vita è stato tra i più difficili per le importanti decisioni da prendere.

 

[19]          Durante un incontro successivo con Italo Agostini (23 febbraio 2011) presso la sua abitazione di Coreglia, l’intervistato ha spiegato che il negozio, gestito dagli eredi dei fratelli Schettini, è tutt’oggi in attività e continua a commerciare articoli religiosi, comprese le statuine in gesso.

 

[20]          Iputinga non era tra le zone dove si concentrava la presenza toscana; in una periferia di 37.000 abitanti negli anni sessanta erano pochissimi persino gli italiani, a differenza di Jacutinga e di San Bernardo, spesso citate nelle lettere dei migranti lucchesi conservate presso l’Archivio Paolo Cresci.

 

[21]          L’edificio in cui fu ubicata la sede del nuovo laboratorio esiste ancora oggi, in un sobborgo d’Iputinga.

 

[22]          A causa dell’improvvisa scomparsa di Ivo Agostini il 7 dicembre 2010, la seconda parte della sua vita è stata ricostruita prevalentemente attraverso l’intervista effettuata a Coreglia il 20 dicembre 2010 al figlio Italo.

 

[23]          Italo ha specificato che già ai tempi del laboratorio di Rio de Janeiro il padre aveva riservato nei confronti dei dipendenti brasiliani la stessa considerazione che dimostrò quando trasferì la nuova ditta a Iputinga.

 

[24]          Il livello qualitativo della produzione di Iputinga emerge da due immagini dell’Archivio dove la consorte di Ivo si lascia fotografare con i figli accanto a notevoli statue colorate di Cristo, Gesù Bambino e San Giuseppe.

 

[25]          La prevalenza fino all’ultimo dei soggetti cattolici nel catalogo di Ivo Agostini, almeno per le produzioni qualitativamente più alte, è documentata dell’archivio di famiglia.

 

[26]          Da un’intervista a Italo Agostini effettuata a Coreglia il 27 dicembre 2010.Malgrado si sia trasferito in Italia prima che il padre cessasse la sua attività, egli conobbe questo tipo di produzione, perché fu con le prime statuine grezze che iniziò a frequentare in modo assiduo il laboratorio.

 

[27]          Luisa Agostini ha confermato nell’intervista del 18 dicembre 2010 rilasciata a Coreglia che tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta Ivo ha avuto molte più possibilità di migliorare il suo tenore di vita rispetto al periodo in cui aveva lavorato con Giovannetti e Togneri. L’intervistata tramite la sorella Eda, incaricata di ricevere le rimesse inviate dal fratello in Brasile, era costantemente informata sulla condizione finanziaria in cui si trovava l’azienda di Recife.

 

[28]          In realtà i tre figurinai avevano da tempo abbandonato gli aspetti più estremi della cultura tradizionale del luogo di origine, che prevedeva di relegare la popolazione femminile alla cura della famiglia; a spingerli a non impiegare le mogli nel laboratorio erano state le divergenze che si erano manifestate tra le tre donne.

 

[29]          Il rapporto tra il figurinaio imprenditore e il suo contabile non è stato approfondito a causa della scomparsa improvvisa di Ivo Agostini.

 

[30]          Italo Agostini ha spiegato che per i progetti di investimento il comportamento del padre non differiva da quello del nonno Francesco o di qualsiasi altro emigrante, interessato a spendere in patria in beni immobili il denaro accumulato all’estero.

 

[31]          Sulle rimesse degli emigranti, cfr. Gino Massullo, Economia delle rimesse, in Storia dell’emigrazione italiana, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina, I, Partenze, Roma, Donzelli, 2001, pp. 161-186; vedi inoltre Giampaolo Giampaoli, L’emigrazione lucchese della prima metà del Novecento attraverso le lettere dell’archivio Paolo Cresci, tesi di laurea, Dipartimento di Storia moderna e contemporanea dell’Università di Pisa, 2005, pp. 106-128.

 

[32]          La signora Luisa Agostini, nell’intervista del 12 gennaio 2011, racconta che il fratello, nel periodo compreso tra gli anni sessanta e i primi anni settanta, mandò rimesse sotto forma di dollari e di lire, mai in moneta brasiliana che non aveva valore in Italia.

 

[33]          Italo Agostini ricorda che il padre stabiliva personalmente i prezzi delle statuine, per evitare che potessero nascere spiacevoli compromessi con i compratori.

 

[34]          Sfortunatamente queste lettere andarono perse nell’alluvione del 1972, insieme ad altre fonti che avrebbero consentito di approfondire la narrazione dei discendenti.

 

[35]          Nell’Archivio familiare è conservata la carta d’identità brasiliana di Ivo, vidimata il 10 agosto 1972, poche settimana prima della partenza; l’emigrante aveva deciso di rinnovare il documento per poter tornare liberamente in Brasile nei successivi cinque anni.

 

[36]          In una foto dell’Archivio familiare datata 1970 tra i dipendenti che si fanno ritrarre con Ivo compare Oliveiro de Mesquita che, oltre ad aver portato avanti l’attività del laboratorio nella cooperativa fondata dal titolare, tutt’oggi è proprietario di un’azienda di figurine nell’estrema periferia di Recife.

 

[37]          Sulla fondazione di aziende industriali da parte dei figurinai migranti al loro rimpatrio vedi Italo Pizzi, Figurinai di Lucchesia, “Le vie d’Italia”, LXI, 5 (1955), codice 641 AC.

 

[38]          L’ultimo periodo della vita di Ivo Agostini è stato ricostruito grazie alle informazioni fornite da Laura Brugioni durante la già citata intervista del 14 gennaio 2011.

 

[39]          Nell’Archivio Agostini sono conservate le immagini che mostrano le varie tappe di questo lungo viaggio e le persone riabbracciate.