“Dove ieri fu serva, sia oggi consocia”: la condizione della donna secondo Arturo Giovannitti

“Dove ieri fu serva, sia oggi consocia”: la condizione della donna secondo Arturo Giovannitti

Bénédicte Deschamps

Université Paris 7 – Denis Diderot

 

 

Quando Arturo Giovannitti morì, il 31 dicembre 1959, il “New York Times”, salutò la scomparsa di un poeta che “faceva parte della corrente radicale idealistica che aveva modellato il movimento operaio degli immigrati italiani negli Stati Uniti all’inizio di questo secolo”[1]. Riconosciuto perfino dal Vice console d’Italia a Los Angeles come un “poderoso organizzatore e un buon giornalista”, Giovannitti si distinse sempre come un uomo indipendente poco incline a seguire ciecamente partiti ed ideologie[2]. “Refrattario – secondo l’attivista socialista Domenico Saudino – a tutte le regole, od a qualunque disciplina,” il nativo di Ripabottoni guardava, infatti, la condizione umana, la funzione dell’arte e il movimento operaio da una prospettiva singolare[3]. La libertà di pensiero di Giovannitti si esprimeva a diversi livelli, incluso il suo rifiuto di schierarsi in maniera esclusiva dalla parte di qualsiasi gruppo politico o sindacale. La partecipazione del “poeta dei lavoratori” a numerosi periodici attesta non solo la sua ricca attività letteraria o la sua forza creativa, ma anche la sua apertura di spirito. Direttore del giornale socialista italo-americano “Il Proletario” nel 1911, co-fondatore della rivista culturale “Il Fuoco” nel 1914, Giovannitti collaborò anche a “The Masses” e “The Liberator,” due testate emblematiche dei circoli più all’avanguardia della sinistra intellettuale newyorkese[4]. Come sottolineava Onorio Ruotolo nella sua introduzione al Camminante, “non si stampava in quest’America foglio proletario e libertario, specie in lingua italiana, che non si fregiasse di qualche lirica sgorgata dal suo cuore di vero poeta, o di qualche suo scritto poderoso di pensiero e sempre nobilissimo di forma”[5].

 

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Una nuova generazione di emigranti. Il caso italo-finlandese

Una nuova generazione di emigranti

Il caso italo-finlandese

 

Paolo Di Toro Mammarella

 

 

1. Nuovi modelli di emigrazione e identità europea

Partire, voltare pagina e ricominciare da un’altra parte, lontano, dove tutto magari è un po’ più facile. Sin dalle origini, l’emigrazione ha accompagnato passo dopo passo le vicende umane, e su di essa sono già stati versati fiumi di inchiostro e di parole. Oggigiorno, molti ricercatori hanno osservato la nascita e lo sviluppo di nuove fenomenologie migratorie nei paesi occidentali, che nella maggior parte dei casi riguardano direttamente le nuove generazioni. A partire dagli anni 1990, gli studiosi si ritrovano a descrivere la cosiddetta “fuga di cervelli”, ovvero, la crescente ondata migratoria che coinvolge una fascia specifica della popolazione. Si tratta di giovani sotto i 35 anni che nonostante il progresso tecnologico, il benessere diffuso e l’aumento dei consumi, decidono comunque di spostarsi oltre confine. Mesi, o anni, che andranno a condizionare in maniera indelebile il resto della vita. Che decidano di tornare oppure no. A volte spinti dalla semplice volontà di scoprire il mondo o di crescere professionalmente. Altre dal bisogno, dalle necessità. Fatto sta che il fenomeno comincia a prendere piede, richiamando l’attenzione di studiosi e mass media[1].

Proprio da queste premesse è partito il progetto di ricerca Una nuova generazione di emigranti. Il caso italo-finlandese, realizzato in collaborazione con l’Institute of Migration di Turku. Anche questa ricerca, nel suo piccolo, rappresenta una sorta di “viaggio”: un lungo itinerario alla scoperta delle “nuove migrazioni”, fenomeno emergente e tipico dei paesi occidentali, forse non ancora inquadrato in tutta la sua portata. La ricerca mira quindi a far luce su una generazione di “migranti” profondamente diversa rispetto al passato, i cui protagonisti sono ragazzi con un’ottima formazione scolastica e universitaria alle spalle, che alla valigia di cartone hanno sostituito laptop e cellulari.

 

 

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Intervista a Ettore Melani

Intervista a Ettore Melani

di Matteo Sanfilippo

 

Da due anni gira per il web Un giorno in Europa: nuove forme di emigrazione (2008), interessante documentario girato da Ettore Melani e montato da Nadia Baldi. Il filmato di quasi un’ora è dedicato ai vari aspetti e ai vari problemi della nuova emigrazione continentale under 35, seguiti ricostruendo la giornata tipo di qualcuno che si sposta per lavoro in un’altra città, un altro paese. L’autore, sulla scia del dibattito innescato dal manifesto di Claudia Cucchiarato, recentemente riportato da ASEI, ci ha proposto di rendere disponibile la sua opera e un trailer (si possono scaricare da http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Flash&d_op=getit&id=13328). Inoltre ci ha concesso questa intervista.

 

 

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L’immagine dell’“altro” nel rapporto tra immigrati italiani e società tedesca. Percezioni a confronto tra Otto e Novecento.

L’immagine dell’“altro” nel rapporto tra immigrati italiani e società tedesca. Percezioni a confronto tra Otto e Novecento.
Elia Morandi

 

Fonti e problemi di metodo

 

Quando, qualche tempo fa, un collega mi propose di iniziare ad occuparmi anche della questione dell’immagine dell’“altro” nel rapporto tra Gastarbeiter[1] italiani e società tedesca, mi sembrò una sfida interessante da cogliere, pur sapendo peraltro che non sarebbe stato un compito facile. Un po’ perché mi ero occupato solo tangenzialmente della questione[2], ma soprattutto perché, pur trovando l’argomento affascinante, lo ritenevo anche di assai difficile “lettura”. E il perché è presto detto. E’ innegabile che la tematica in questione, per i riflessi che ha sulle prospettive e le opportunità dei migranti nel paese ospite, sia ormai ineludibile in ogni discorso serio sull’emigrazione, ma come affrontarla? March Bloch nel suo Apologia della storia sosteneva che “i fatti umani sfuggono alle determinazioni matematiche” e che “dov’è impossibile calcolare, bisogna suggerire”[3]. Ora, mi sembra che nel caso dell’argomento che qui ci interessa la necessità di “suggerire” sia davvero massima. Che cosa si intende per percezione dell’“altro”? Esiste la percezione dell’“altro”, uguale per tutti, o si tratta di una faccenda più soggettiva? E ancora, chi è che percepisce chi? Se sono gli italiani a percepire i tedeschi, di quali italiani si tratta? Di quelli di Trento o di quelli di Palermo? O magari di quelli di Palermo emigrati a Monaco di Baviera? E quali tedeschi percepiscono? Quelli conosciuti sui libri o il collega alla catena di montaggio della Volkswagen? E se sono i tedeschi a percepire gli italiani, di che tedeschi si tratta? Del proprietario di un’azienda o di un operaio? Di un protestante del nord del paese o di un cattolico del sud? Di una persona che parla per sentito dire o per esperienza diretta? Può inoltre cambiare la percezione? E se cambia, come cambia?

 

 

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The Cultures of Migration, Dartmouth College, Hanover, New Hampshire, 22-24 giugno 2007

CONVEGNI: The Cultures of Migration, Dartmouth College, Hanover, New Hampshire, 22-24 giugno 2007
Nell’ottica della trasformazione dell’Italia da terra d’emigrazione a paese d’immigrazione, il convegno – organizzato da Graziella Parati e Anthony Julian Tamburri – si è proposto di stimolare un’analisi delle culture dei migranti in una prospettiva comparata tra gli italiani che se ne sono fatti portatori, quando hanno abbandonato la penisola nei decenni dell’esodo di massa, e le minoranze extracomunitarie che, invece, le esprimono ai nostri giorni dopo avere scelto l’Italia come propria destinazione. In conseguenza di un approccio che non poteva che essere diacronico, il confronto tra queste due diverse tipologie d’esperienze è stato per lo più indiretto, con poche occasioni di raffronto diretto, come il tentativo di Elena Benelli di mettere in relazione la produzione dello scrittore italo-canadese Marco Micone, emigrato nel Quebec nel 1958, con quella dell’autrice Igiaba Scego, nata a Roma nel 1974 da profughi somali. Nel complesso, quindi, più che il contenuto delle singole relazioni, è stata in genere la struttura stessa del consesso che, attraverso l’alternarsi degli interventi, ha in genere proposto un intreccio deliberato di riflessioni sull’emigrazione dall’Italia e sull’immigrazione in questo paese.