L’emigrazione italiana in Sudafrica 1870-1913. Alcune Note.

Con le sue poche migliaia di migranti, il caso sudafricano rappresenta un aspetto minore della storiografia delle migrazioni italiane svoltesi tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale. Proprio la scarsità dei numeri statistici e la poca abbondanza di fonti facilmente rintracciabili ha fatto sì che siano stati pochi gli studiosi ad affrontare questo tema. Fino ad ora, gli articoli e i saggi prodotti sull’emigrazione in Sudafrica hanno avuto come obbiettivo l’elaborazione di “casi studio” di gruppi provenienti da ambiti geografici ben delimitati1. Questo al fine di incorporare i risultati delle indagini all’interno di ricerche più ampie e dedicate alle caratteristiche espresse dal fenomeno migratorio in alcune aree particolari, come il Biellese2.
Al contrario, tentare di analizzare il fenomeno dal punto di vista dell’arrivo, ha significato prima di tutto, individuare i tratti salienti del contesto in cui gli italiani si sarebbero inseriti al proprio arrivo.

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L’emigrazione italiana in Belgio nel secondo dopoguerra vista attraverso la televisione.

Per potere valutare le modalità e il livello d’integrazione nella società d’arrivo è particolarmente interessante soffermarsi sul posto che occupano gli immigrati italiani nei mass media del paese di accoglienza. Quale importanza ebbero nella “rappresentazione” mediatica della società belga?

Il Belgio alla fine della seconda guerra mondiale necessitava di una nuova mano d’opera, poco qualificata e disposta e scendere in miniera, cosa che gli operai belgi non erano più disposti a fare. Questa domanda di mano d’opera venne colmata dagli operai stranieri, in particolare da italiani sopratutto nel primo decennio post-bellico. L’Italia è la prima nazione ad inviare i suoi uomini a lavorare in Belgio nell’ambito di accordi bilaterali per lo scambio tra mano d’opera e carbone. Il Belgio impiegò in seguito mano d’opera in prevalenza dai paesi mediterranei in ritardo economico.

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L’emigrazione lucana in età contemporanea

Evoluzione e ricerca storiografica

A differenza di altre regioni in Basilicata l’emigrazione rappresentò sicuramente il fenomeno che, più di ogni altro, ne cambiò il volto, spopolandola ampiamente e privandola delle sue forze più importanti. Secondo Francesco Saverio Nitti questo enorme movimento migratorio, che non ebbe precedenti nella storia italiana, costituì la causa modificatrice più profonda dell’assetto economico, morale e sociale del meridione, all’infuori di ogni influenza del Governo e della borghesia1.

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Il fascismo e gli italiani all’estero. Una rassegna storiografica

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I rapporti fra i migranti e le patrie di origine stanno guadagnandosi un posto crescente nel dibattito sulla storia delle migrazioni. Categorie interpretative quali diaspora e transnazionalismo, sebbene molto discusse e non accettate universalmente, vengono sempre più applicate negli studi migratori. Esse fanno del riferimento politico, sociale ed economico alla madrepatria uno degli aspetti fondanti dell’esperienza dei migranti all’estero1. In Italia si registra l’aumento d’attenzione per l’emigrazione italiana: proprio i legami e le forme di lealtà dei migranti italiani alla terra d’origine sono sempre più oggetto di indagine2. In questo ambito l’analisi del diffuso legame fra gli italiani all’estero e il regime ha registrato negli ultimi anni una vera e propria crescita esponenziale nella letteratura3.
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Gli italiani in Brasile – VI° parte

La comunità italiana in Brasile tra gli anni trenta e gli anni quaranta

Negli anni trenta giungono dall’Italia tra i 1.000 e i 1.700 immigrati, cifre che non bastano a sopravanzare i rientri, cosicché gli effettivi della comunità italiana scendono da 435.000 nel 1930 a 325.000 nel 1940. Nel decennio successivo poi la guerra e il secondo doloroso dopoguerra impediscono un’immediata ripresa dei flussi migratori. D’altra parte la crisi dell’economia brasiliana è accompagnata da quella politica e il paese non sembra offrire speranze di un facile inserimento.
Al termine degli anni venti la vecchia oligarchia è infatti in difficoltà, mentre si accentuano gli scontri tra il personale politico, amministrativo e militare e s’inaspriscono i contrasti tra i singoli stati. Nel 1930 Julio Prestes, candidato della previa amministrazione, vince le elezioni presidenziali contro Getulio Vargas, governatore dello stato del Rio Grande do Sul e rappresentante di un nuovo movimento politico, Alliança Liberal. La vittoria è, però, frutto di brogli elettorali e i seguaci di Vargas depongono il presidente, sostituendolo con il loro leader. Si tratta di una sorta di seconda rivoluzione che viene confermata dalle elezioni del 1934. A questo punto Vargas promulga una nuova costituzione, che rafforza il potere del governo federale e che gli permette di eliminare l’opposizione e di riorganizzare il paese come uno stato corporativo, simpatizzante con Italia e Germania.

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Gli Italiani in Brasile – V° parte

Il primo quarto del Novecento

La crisi economica non arresta l’immigrazione italiana, che continua durante tutto il primo quarto del Novecento, con una pausa ovviamente durante la prima guerra mondiale. I vecchi flussi dal Veneto, dalla Lombardia e dall’Emilia, cui col tempo si sono aggiunti anche molti emigranti piemontesi, decrescono significativamente negli anni che precedono il conflitto e sono sostituiti da nuove correnti provenienti dal Sud d’Italia. Queste ultime assumono spesso l’aspetto di una diaspora incontrollabile. Lo scopre lo stesso governo italiano italiano, che, allarmatosi per il numero di rimpatri durante la crisi di fine secolo, tenta di regolare le partenze verso il Brasile e nel 1902 proibisce quelle di gruppo e sovvenzionate, che non siano prima approvate dal Commissariato Generale per l’Emigrazione (istituito presso il Ministero degli Affari Esteri).

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