Small Towns, Big Cities. The Urban Experience of Italian Americans

Small Towns, Big Cities. The Urban Experience of Italian Americans, XLI conferenza annuale dell’American Italian Historical Association, New Haven, CT, 6-8 novembre 2008

Dal 1968 l’American Italian Historical Association organizza un convegno annuale per fare il punto sugli studi italo-americani e dibattere sui nuovi indirizzi di ricerca. L’incontro del 2008, coordinato da Michael Vena, si è svolto presso la Southern Connecticut State University di New Haven ed è stato dedicato alla presenza degli italo-americani in ambiente urbano. La tematica è stata liberamente interpretata dai partecipanti, ma ciò che più ha colpito è stata la carenza di una prospettiva comparativa nelle relazioni. Infatti, fatta forse eccezione per il contributo di Teri Ann Bengiveno sul progressivo trasferimento degli italo-americani dalla campagna alla città nella Central Valley della California, gli altri interventi hanno generalmente sorvolato sulla possibilità di confrontare l’esperienza dei centri minori con quella delle metropoli per affrontare, invece, una serie di casi particolari incentrati su una grande oppure su una piccola città.

In questo contesto, New York, sede da sempre della comunità italo-americana più numerosa, ha ricevuto l’attenzione maggiore. Richiamandosi alle considerazioni di Benedict Anderson (Imagined Communities, London, Verso, 1983) ma tralasciando un’oramai ampia bibliografia riguardante le festività della minoranza italo-americana, Marie-Christine Michaud ha esaminato il consolidamento della dimensione commerciale nelle celebrazioni del Columbus Day negli ultimi anni e come essa abbia alterato la connotazione etnica dell’evento. Salvatore J. LaGumina ha delineato la mobilitazione della comunità italo-americana per aiutare le vittime del terremoto di Messina del 1908. Sarah DeMott si è occupata delle poche insegnanti italo-americane che operavano nelle scuole della città tra l’inizio del secolo e lo scoppio della prima guerra mondiale. Simone Cinotto ha presentato i risultati preliminari di una ricerca sui rapporti tra edilizia popolare e mantenimento dell’identità etnica nel distretto italo-americano di East Harlem alla metà degli anni Trenta del Novecento. Jerome Krase ha delineato l’ascesa di Anthony Thomas Giordano come intermediario politico negli anni tra le due guerre mondiali attraverso il Madison Club, l’associazione affiliata al partito democratico di cui aveva già trattato in un saggio scritto con Charles LaCerra (Ethnicity and Machine Politics, Lanham, MD, University Press of America, 1991). Maria Lizzi ha studiato l’omicidio del dominicano Manuel Mayi commesso da una banda di italo-americani a Corona Heights nel Queens nel 1991. Invece, su un versante più propriamente letterario, Yvonne Mattevi ha tratteggiato la raffigurazione della vita degli immigrati italiani attraverso la metafora dell’inferno nella narrativa di ambientazione urbana da Manhattan Transfer (1925) di John Dos Passos a Umbertina (1979) di Helen Barolini. Infine, allargando il discorso all’intero Stato di New York, Ottorino Cappelli e Rodrigo Praino hanno ricostruito i criteri di assegnazione dei fondi pubblici da parte dei senatori statali in carica di ascendenza italiana per attestare la sopravivenza della politica etnica in quanto gran parte di tali stanziamenti continuano ad andare a beneficio di organizzazioni italo-americane.

Nonostante il forte interesse per New York, l’esperienza italo-americana è stata esaminata anche in altre città. Per quanto riguarda Boston, sulla scorta di un suo studio precedente (Il faro di Beacon Street. Social workers e immigrate negli Stati Uniti, Milano, Angeli, 1990) Maddalena Tirabassi ha ripercorso la condizione delle immigrate italiane a Boston, soprattutto sul posto di lavoro e all’interno della famiglia, in base alle inchieste coeve svolte dalle assistenti sociali che facevano riferimento all’International Institute tra la vigilia della prima guerra mondiale e la Depressione, mostrando come le conclusioni di tali indagini abbiano anticipato quanto la storiografia avrebbe acquisito soltanto a partire dagli anni Settanta. Avvicinandosi maggiormente ai giorni nostri, James Pasto ha tratteggiato la questione della diffusione dell’alcolismo e del consumo di stupefacenti tra gli italo-americani del North End prima della gentrification di questo quartiere nel corso degli anni Ottanta. Invece, Teresa Fava Thomas ha indicato le caratteristiche salienti dell’immigrazione veneta nelle contee centrali del Massachusetts.

L’ubicazione del convegno ha finito per conferire un ruolo privilegiato anche alla città che ne è stata sede. Così Anthony Riccio si è soffermato sulle operaie italo-americane negli sweatshops di New Haven, mentre Michael Parenti è partito dalle sue passate ricerche sui rapporti tra assimilazione e politica nell’esperienza degli italo-americani in questa città prima degli anni Settanta (Ethnic Politics and the Persistence of Ethnic Identification, “American Political Science Review”, 61, 3, 1967, pp. 717-26) per delineare le successive tappe del loro inserimento nel più vasto ambito nazionale. Inoltre, attingendo in particolare a testimonianze orali, Nancy C. Carnevale ha analizzato l’interazione tra italo-americani e afro-americani nei sobborghi del New Jersey, cercando di ridimensionare la tesi dell’ostilità dei primi nei confronti dei neri. L’ambito delle indagini non è stato limitato ai soli Stati Uniti. Per esempio, Stephen Fielding ha mostrato come la collaborazione tra le associazioni italo-americane di Vancouver e il governo di Roma abbia consentito di sfruttare la politica canadese di sostegno al multiculturalismo, adottata da Pierre Trudeau nel 1971, per rilanciare le feste italiane e potenziare l’identità etnica della comunità locale.

Altre relazioni non sono state ancorate a una specifica realtà urbana o geografica. Vincenzo Milione ha illustrato una serie di dati sull’entità numerica dell’immigrazione italiana nei diversi Stati delle Americhe. Bénédicte Deschamps ha esaminato la posizione della stampa italo-americana sui provvedimenti per sospendere l’immigrazione cinese alla fine dell’Ottocento. Danielle Battisti ha ricostruito gli interventi dell’American Committee on Italian Migration per procurare impieghi agli italiani che erano giunti negli Stati Uniti in qualità di profughi grazie al Refugee Relief Act del 1953. Maddalena Marinari si è occupata dell’immigrazione clandestina italiana negli anni Venti e delle organizzazioni criminali che ne trassero profitto. Sulla linea tracciata dagli studi di Barbara Alexander (The Rational Racketeer. Pasta Protection in Depression Era Chicago, “Journal of Law and Economics”, 40, 1, pp. 175-202), John Alcorn ha proposto un modello economico in tre stadi dello sviluppo delle attività della criminalità organizzata italo-americana verso l’instaurazione di forme di cartellizzazione del mercato in rapporto alla protezione dell’industria della pasta.

È da segnalare anche una sessione commemorativa dedicata alla figura di Rudolph J. Vecoli, lo storico scomparso pochi mesi prima dell’assise. Al di là di effimere frasi di circostanza e testimonianze personali, il workshop ha fornito l’occasione per tracciare un bilancio del suo contributo scientifico non solo alla crescita della ricerca sull’esperienza italo-americana, ma soprattutto allo studio dell’immigrazione negli Stati Uniti, specialmente in ragione del superamento del paradigma dello “sradicamento” elaborato invece da Oscar Handlin.

Rispetto alle conferenze dell’American Italian Historical Association degli anni precedenti, dove era stata registrata una crescente presenza di specialisti della critica letteraria e degli studi culturali in genere, l’incontro di New Haven ha segnato il ritorno a una nutrita partecipazione degli storici. Si è trattato di un segnale di buon auspicio per lo sviluppo di un campo disciplinare, ritenuto da alcuni in fase di stagnazione se non addirittura di declino (cfr., per esempio, Elisabetta Vezzosi, Sull’immigrazione italiana negli Stati Uniti: alcune considerazioni di metodo, “Altreitalie”, 18, 32, 2006, pp. 55-59), non tanto per il numero degli studiosi coinvolti quanto per la definizione di tematiche finora poco considerate dalla ricerca come, nel caso della relazione di Danielle Battisti, l’immigrazione negli anni Cinquanta oppure, per quanto concerne l’intervento di Bénédicte Deschamps, i rapporti tra italiani e cinesi.