Tra aghi e spilli : Giustizia e la questione italiana (1943-1946)

1. “Giustizia”, organo ufficiale dell’Ilgwu
Come è noto, all’inizio del Novecento, le organizzazioni sindacali statunitensi erano molto restie ad accogliere nel loro seno gli immigrati provenienti dall’Europa meridionale ed orientale2. Tale ostilità spinse i leaders di quelli che costituivano oramai una componente essenziale del movimento operaio americano a creare nuovi sindacati aperti a tutti i lavoratori, qualunque fosse la loro origine nazionale e razziale o la loro confessione religiosa3. Fra queste organizzazioni emergenti, si distinsero gli Amalgamated Clothing Workers of America (Acwa) e l’International Ladies’ Garment Workers’ Union (Ilgwu), che difendevano gli interessi dei lavoratori dell’industria tessile nella quale gli immigrati ebrei ed italiani erano predominanti4. Nel 1919, la creazione di una sezione specificamente italiana, chiamata “Locale 89” in omaggio alla rivoluzione francese, costituì una svolta decisiva nell’ascesa degli italo-americani nella gerarchia dell’Ilgwu5. Grazie all’impegno di Luigi Antonini – leader carismatico della Locale 89 – e di Edoardo Molisani – capo dei cloakmakers italiani della “Locale 48” – il ramo italiano del potente sindacato americano dei sarti per donna poteva vantare nel 1940 di rappresentare 42000 affiliati e di essere diventato una forza con la quale bisognava fare i conti6. La trasformazione in attivi “unionisti” – per riprendere il gergo italo-americano – da parte dei lavoratori italiani del tessile, noti fino ad allora per la loro diffidenza nei confronti dei sindacati, era stato il frutto di un’intensa campagna di propaganda nella quale il periodico “Giustizia” aveva svolto un ruolo fondamentale7. Creata nel 1919, questa testata aveva sostituito “L’operaia”, settimanale della Locale 48 diretto da Antonini, ed era nata dall’esigenza per i capi dell’Ilgwu di ristrutturare i giornali del sindacato e di raggiungere tutti i membri dell’organizzazione, inclusi gli immigrati che non conoscevano ancora l’inglese. In base alla considerazione che “la stampa sindacale [fosse] il sangue vitale della democrazia”, l’Ilgwu aveva quindi fatto la scelta di investire niente meno che 54.502,46 dollari nella pubblicazione di “Giustizia” e di “Gerechtigkeit”, che dovevano essere le versioni rispettivamente in italiano e in yiddish di “Justice”, l’organo ufficiale del sindacato8. In realtà, “Giustizia”, che si rivolgeva agli iscritti delle sezioni italiane ed il cui redattore capo era Raffaele Rende, non tardò a trasformarsi soprattutto nell’organo personale di Luigi Antonini.
2. L’anima di “Giustizia”: Luigi Antonini
Nativo della provincia di Avellino dove si era fatto notare “per i suoi sentimenti anarchici rivoluzionari”, Antonini era emigrato a New York nel 1910 e si era presto dimostrato un abile “organizzatore”, elevandosi rapidamente a posti di responsabilità nel sindacato9. Diventato primo vice presidente dell’Ilgwu nel 1934, intratteneva negli anni quaranta rapporti stretti con il mondo politico statunitense e aspirava sempre di più ad assumere il ruolo di portavoce della comunità italo-americana. Come sottolinea lo storico James E. Miller, il leader della Locale 89 seppe usare a questo fine il contesto particolare del periodo che seguì l’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale per rafforzare la sua posizione personale nella cerchia dei prominenti italo-americani10. Certo, l’impegno politico di Antonini non era cosa nuova. Dimostratosi un accanito antifascista già dal momento della marcia su Roma, Antonini aveva cercato negli anni trenta di mobilitare le forze del movimento operaio americano per contrastare la propaganda fascista in un momento nel quale l’opinione pubblica statunitense era ancora favorevole al regime di Benito Mussolini. Attivissimo nella politica locale americana, aveva anche contribuito con il presidente dell’Ilgwu, David Dubinsky, alla fondazione nel 1936 dell’American Labor Party, che radunava sindacalisti e socialisti in una formazione progressista destinata a sostenere la rielezione di Franklin Delano Roosevelt alla presidenza degli Stati Uniti11. Dopo l’attacco giapponese su Pearl Harbor, Antonini aveva capito che era giunta l’ora di affermarsi come il capofila degli antifascisti e aveva creato con i leaders dell’Acwa, August (Accursio) Bellanca e Joseph Catanalotti, l’Italian American Labor Council (Ialc)12. Questo consiglio italo-americano del lavoro il cui motto, ribadito sulle colonne di “Giustizia”, era “La vittoria d’America sarà la libertà d’Italia”, mirava innanzitutto a fare degli esponenti sindacali italo-americani gli interlocutori privilegiati delle autorità statunitensi sulle questioni riguardanti la politica italiana13. Allo stesso tempo, Antonini si era avvicinato ad una parte degli esuli italiani, soprattutto al conte Carlo Sforza, ed aveva tentato – anche se con scarso successo – di influenzare la Mazzini Society, un’associazione antifascista diretta da Max Ascoli. Benché si fosse rifiutato di fare parte di questa organizzazione nel timore di vedersi ridotto alla funzione di leader di un “sotto comitato sindacale”, Antonini intendeva tuttavia formare, grazie alla sua posizione nell’Ialc, un fronte antifascista unito di cui sarebbe stato il rappresentante e dal quale i comunisti sarebbero stati esclusi14.
3. “Giustizia”, una pedina chiave della scacchiera antifascista di Antonini
Nella sua militanza sindacale e politica, Antonini aveva subito capito l’importanza di disporre da strumenti di propaganda all’altezza sia delle proprie ambizioni, sia dell’ardua missione di cui si sentiva investito. Aveva dichiarato nel 1939 al convegno delle democrazie americane di Montevideo:
Se molti immigrati vivono ancora sotto l’influenza ideologica e politica dei loro consolati, degli agenti dei governi dei loro paesi di origine, è perché vivono ancora segregati nelle loro rispettive piccole “isole linguistiche” dove la propaganda attraverso i programmi locali in lingua straniera, la stampa in lingua straniera, i contatti condotti in lingua straniera con le loro società di mutuo soccorso e le loro fratellanze, ecc, è praticamente l’unica voce che abbiano l’opportunità di sentire, l’unica fonte di informazione sugli avvenimenti del mondo. Toccare il cuore e la mente di questi immigrati con fatti, argomenti, e idee che, benché scritti nella loro lingua madre rappresenterebbero il contrario della propaganda che essi ricevono dagli agenti dei regimi totalitari, sarebbe, seconde me, una misura molto utile di garanzia democratica. 15
Organizzare la propaganda antifascista era tuttavia un’impresa problematica. La stessa Mazzini Society, per esempio, era incorsa nella difficoltà di trovare un canale di comunicazione attraverso il quale diffondere il proprio messaggio politico. Dopo il fallimento del tentativo di acquistare il controllo del più influente quotidiano in lingua italiana degli Stati Uniti, “Il Progresso Italo-Americano” di New York, aveva dovuto accontentarsi di stampare un opuscolo di poche pagine, “Mazzini News” (ribattezzato “Nazioni Unite” nel 1942) la cui tiratura non superava le tremila copie16. Antonini, invece, poteva contare su diversi organi per difendere le proprie posizioni. Oltre ad essersi conquistato uno spazio su “Justice”, in cui aveva una pagina tutta sua in inglese, Antonini era riuscito ad avere accesso pure al “Progresso Italo-Americano”. All’inizio del 1934, infatti, aveva stipulato un patto tacito con il potentissimo proprietario del giornale Generoso Pope perché fossero periodicamente pubblicati gli appelli dell’Ilgwu17. L’alleanza di un esponente sindacale della statura di Antonini con un milionario noto per il suo sostegno al duce aveva suscitato una violenta controversia negli ambienti dell’antifascismo italo-americano ed aveva provocato una profonda polemica tra il capo della locale 89 e i principali esponenti dell’Acwa. Incidentalmente, il fatto che Pope “avesse dato ospitalità ai comunicati dell’Ilgwu” aveva suscitato anche il risentimento del regio console generale Antonio Grossardi che aveva esercitato grandi pressioni sul direttore del “Progresso Italo-Americano”, perché venissero stampati invece “gli articoli del noto Ettore Frisina che era stato sempre un accanito avversario della cricca Antonini e conosceva a fondo le loro malefatte”18. Le pressioni di Grossardi produssero i loro frutti. La pubblicazione sul “Progresso Italo-Americano” della trascrizione integrale delle conversazioni settimanali che Antonini teneva ogni sabato alla radio, che nell’ottobre del 1934 aveva finito quasi per monopolizzare la rubrica “Nel campo del lavoro” sull’edizione domenicale del quotidiano di Pope, si ridusse a una breve sintesi degli interventi del leader della Locale 89 alla fine di novembre del 193419. A partire dall’inizio del mese successivo lo spazio concesso a Antonini sul “Progresso Italo-Americano” venne soppresso. Malgrado il suo carattere provocatorio, la breve intesa di Antonini con Pope, per quanto fosse anche rivelatrice della notevole spregiudicatezza tattica di Antonini, aveva contribuito in misura considerevole alla promozione dei rappresentanti italo-americani dell’Ilgwu. Ciononostante, anche prima della rottura con Pope, Antonini era ben consapevole che né “Justice” né il “Progresso” gli potevano concedere la libertà di espressione di cui godeva invece in “Giustizia” e nella “Voce della locale 89”, il programma radiofonico che Antonini si era ritagliato a partire dal 1934 all’interno del palinsesto delle stazioni Wevd e Whom20. Gli anni quaranta videro quindi il consolidamento dell’influenza su questi due mezzi di comunicazione di massa da parte di Antonini e del suo fedele amico Vanni Buscemi Montana, benché quest’ultimo tendesse a rimanere dietro le quinte. “Giustizia” rispecchiò infatti nel dopoguerra le posizioni socialdemocratiche del segretario generale della Locale 89 e le lotte di quest’ultimo per influire sulla politica interna ed estera degli Stati Uniti.
4. Gli italo-americani come mediatori legittimi tra Italia e Stati Uniti
A leggere “Giustizia”, si potrebbe affermare che per Luigi Antonini, il dopoguerra iniziò nel 1943. Certo, Antonini era consapevole che la guerra non fosse finita, ma come altri esponenti antifascisti quali Sforza, presagì già nel 1942 il probabile crollo del fascismo21. A gennaio del 1943 riteneva così che fosse arrivata la “vigilia di bel tempo” [sic] e che il nuovo anno sarebbe stato portatore di “un promettente domani”22. Credeva che la sconfitta dell’esercito tedesco fosse inevitabile e che fosse già necessario preparare il futuro dell’Italia liberata. Questo sentimento era condiviso dallo stesso governo statunitense che, da qualche mese, cercava presso gli antifascisti italo-americani e i fuorusciti italiani degli interlocutori con cui elaborare una politica postbellica soddisfacente per gli Stati Uniti. Nel novembre 1942 il vice-segretario di stato Adolph Berle aveva infatti ricordato ai membri dell’Ialc e della Mazzini Society che l’Italia avrebbe dovuto schierarsi dalla parte delle potenze democratiche e dare “una prova convincente” della sua avversione alla tirannide per poter essere considerata un’entità politica distinta da quella fascista. Berle aveva insistito sul fatto che il governo statunitense sapesse tuttavia che “con la guida giusta” il popolo italiano avrebbe dato tale prova di attaccamento ai valori delle nazioni Unite23.
Toccava ad Antonini ed ai suoi amici il nobile compito di trasmettere il messaggio che i dirigenti statunitensi volevano inviare agli italiani e di incitare quest’ultimi a ribellarsi contro Mussolini per affrettare la caduta del regime. Il leader della Locale 89 aveva sempre dichiarato che se l’Italia era in guerra contro l’America era “perché l’Italia [era] stata tradita”: era dunque pronto ad appoggiare la politica del presidente statunitense Roosevelt la cui candidatura aveva sistematicamente promossa sulle colonne di “Giustizia”24. Anche in ragione delle proprie entrature politiche e dei media che poteva utilizzare per veicolare le proprie campagne, Antonini si vedeva quindi perfettamente nel ruolo di quella “guida giusta” che avrebbe condotto il popolo italiano sul cammino della redenzione politica del paese. Non era l’unico infatti a pensare che spettasse ai membri della comunità italo-americana servire da mediatori tra l’Italia e gli Stati Uniti. In quanto immigrati e figli d’immigrati, gli italo-americani potevano vantare una buona conoscenza della lingua italiana e offrirsi per servire da interpreti sia nelle operazioni condotte dall’esercito statunitense in Italia, sia nelle trattative diplomatiche con i rappresentanti delle diverse forze politiche italiane. Non a caso l’Office of War Information (OWI) chiese a diverse personalità italo-americane, quali il sindaco di New York City Fiorello La Guardia, di partecipare alla propaganda di guerra25. La comunità italo-americana era inoltre ansiosa di farsi perdonare l’atteggiamento filofascista che aveva complessivamente adottato fino al dicembre 1941. L’annuncio fatto dal procuratore generale Francis Biddle, d’intesa con Roosevelt, il 12 ottobre 1942 che dal quel momento sarebbe stata abrogata la qualifica di “enemy aliens” (stranieri nemici) per gli italiani non naturalizzati residenti negli Stati Uniti costituì una grande vittoria per l’Ialc, Antonini e tutti quelli che avevano lottato per ottenere il cambiamento di una condizione giuridica tale da provocare limitazioni alla libertà personale di oltre seicentomila immigrati italiani nonché l’internamento in campi di reclusione per alcune centinaia di loro26.
Era con una certa soddisfazione che gli immigrati italiani, disprezzati fino ad allora, intravedevano la possibilità di rendersi utili al governo americano. La posizione di intermediario era dunque vista dagli italo-americani come particolarmente lusinghiera. Alla fine del 1942, Antonini aveva lanciato lo slogan: “Columbus fece l’America, l’America rifarà l’Italia”27. All’alba del 1943, questo motto prendeva un peso particolare per i prominenti italo-americani che tentavano di diventare gli artefici di questa ricostruzione.
5. “Aghi e spilli” per difendere il “fronte unito”
In tale contesto, Antonini scelse di dedicare “Giustizia” quasi esclusivamente alla situazione italiana e di relegare così il problema del sindacato in secondo piano. Il mensile dell’Ilgwu divenne il suo pulpito, soprattutto grazie a due pagine inaugurate nel gennaio 1941: “La tribuna mensile” e “Aghi e Spilli”. Entrambe le rubriche erano firmate da Antonini, ma si distinguevano dallo stile usato per gli articoli. “La tribuna mensile” permetteva ad Antonini di esporre in maniera relativamente pacata -da vero leader sindacale e politico- la sua visione della politica interna ed estera. “Aghi e spilli”, invece, era uno spazio di piena libertà editoriale, nel quale Antonini dava tutta la misura del suo senso polemico. Ripreso dallo spettacolo musicale omonimo creato dall’Ilgwu nel 1937, il titolo di questa rubrica attestava la volontà da parte di Antonini di nutrire con fiele e passione i dibattiti che agitavano la comunità italo-americana28. In “Aghi e Spilli”, poteva pungere i suoi avversari con una maligna delizia che scatenava una valanga di lettere e di commenti ai quali rispondeva con nuove punture.
Il 26 luglio 1943, il giorno successivo al crollo del regime fascista, la creazione dell’American Council for Italian Democracy (Acid), diede a Antonini numerose occasioni di appuntire la matita che usava come ago. Fondato su iniziativa di Antonini e del giudice della Corte Suprema dello Stato di New York Ferdinando Pecora, l’Acid – il cui acronimo sembrava presagire le future liti suscitate dalla sua nascita – era un’organizzazione che intendeva “realizzare l’unità di tutte le forze italo – americane” con lo scopo di aumentare “le contribuzioni dei sei milioni di italo-americani allo sforzo di guerra”, di “creare in America un’opinione pubblica, sia ufficiale che privata, a favore di una giusta pace per l’Italia” nello spirito del patto dell’Atlantico, di “favorire una soluzione democratica del problema italiano” e di “cooperare con le Agenzie assistenziali americane in ogni attività di soccorso, di ricostruzione e di riabilitazione in Italia”29. Sulla prima pagina del numero di agosto 1943, Antonini si congratulava con se stesso che la storia gli avesse “dato ragione” in considerazione del fatto che si era realizzata la fine del regime di Mussolini. Tuttavia riteneva che non fosse utile “incrudelire sulle masse traviate dal fascismo”30. Tale strategia spiegava il motivo per il quale egli avesse accettato di essere il vice presidente di un’associazione che aveva Generoso Pope come tesoriere. Ovviamente, la costituzione di un fronte unito dei prominenti italo-americani nell’Acid non poteva che peggiorare i rapporti già difficili tra le diverse fazioni antifasciste. I leaders dell’Acwa, in particolare, si risentivano che Antonini si ostinasse a voler conferire a noti simpatizzanti del fascismo quali Pope una legittimità crescente nel loro nuovo ruolo di antifascisti. Secondo Antonini, i comunisti e certi membri della Mazzini Society che come Randolfo Pacciardi deploravano “il pastrocchio Antonini-Pope” e criticavano l’alleanza tra l’Ilgwu, i rappresentanti della stampa commerciale italiana e la potente associazione dell’Order Sons of Italy in America (Osia), non erano che “caste Susanne” i cui falsi pudori potevano avere gravi conseguenze sulla sorte dell’Italia31. Antonini era dell’opinione di Giuseppe Prezzolini, secondo cui “coloro che [accusavano] Pope in quel tempo non si [rendevano] conto degli effetti che avrebbe prodotto una [sua] condanna”32.
Dopo la caduta di Mussolini, Antonini voleva rafforzare a tutti i costi la posizione degli italo-americani in quanto potenziali emissari degli Stati Uniti in Italia. Tale progetto comportava la necessità di stabilire un compromesso con gli ex simpatizzanti del regime mussoliniano. Infatti, né il governo statunitense, né gli antifascisti italo-americani potevano sperar di riuscire a mobilitare le forze finanziarie della comunità, che al fascismo erano state in larga parte legate, senza che si fosse costituita questa alleanza.
Sia il Dipartimento di Stato sia la Foreign Language Division – che aveva l’incarico di controllare la stampa in lingua straniera negli Stati Uniti – condividevano questa analisi e operavano affinché i prominenti italo-americani che avevano rinnegato il fascismo recuperassero la propria posizione di autorità nelle piccole Italie33.
Quando aveva preso il controllo della Mazzini Society, nel giugno del 1943, grazie all’elezione di due suoi amici, James Battistoni alla presidenza e Umberto Gualtieri nel Consiglio, Antonini aveva già dimostrato di voler eliminare ogni influenza dei comunisti e del Congress of Industrial Organizations (Cio), l’organizzazione sindacale statunitense più progressista, nelle istituzioni antifasciste di rilievo. La rigidità del leader della locale 89 con i suoi ex compagni di lotta aveva causato le dimissioni di Max Ascoli e di altri membri della Mazzini. Con la formazione dell’Acid, Antonini sapeva di fare un passo avanti verso la destra. Mentre sembrava non aver più motivo per criticare la stampa “coloniale”, Antonini si accaniva invece in aspre invettive contro giornali della sinistra italo-americana quali “La Parola”, “L’Adunata dei refrattari”, “Il Martello”, “L’Unità del Popolo”, e contro il quotidiano comunista statunitense “The Daily Worker”. Le sue posizioni anticomuniste provocarono la scissione dell’Ialc e la creazione di un’associazione rivale dell’Acid: il Free Italy Labor Council il cui presidente era Joseph Catalanotti.
I dissensi tra gli antifascisti sull’opportunità di associare allo sforzo di ricostruzione dell’Italia non solo Pope, ma anche il giudice Eugene V. Alessandroni, grande venerabile della Gran Loggia della Pennsylvania dell’Osia e noto fascista fino al dicembre del 1941, continuarono nel dopoguerra34. Ma Antonini non temette di usare aghi e spilli contro tutti quelli che misero in dubbio la lealtà di Pope. Nel marzo del 1943, nella sua famosa rubrica, Antonini aveva già spiegato che “Gene” fosse “un patriota americano al mille percento”, se non altro perché doveva “pensare ai suoi milioni americani, i quali meritano di essere difesi molto più sinceramente ed accanitamente dei ciondoli mussoliniani”35. Il blando cinismo di Antonini non aveva tardato a mutarsi in un’amicizia appassionata. “Io sono amico di Pope”, scriveva Antonini nel 1944, perché so che si è sinceramente convertito”36. E’ difficile immaginare che Antonini avesse creduta sincera la conversione di Pope, ma egli aveva scelto il suo campo e preferiva difendere ex simpatizzanti fascisti piuttosto che rischiare di appoggiare -anche soltanto in modo parziale – i comunisti italo-americani. Il suo spietato anticomunismo, evidenziato tra l’altro da ripetuti attacchi contro il rappresentante comunista del distretto di Brooklyn Pete Cacchione37, condusse Antonini a dimenticarsi dei suoi vecchi amici rivoluzionari. Incidentalmente, pur di preservare l’unità di una comunità italo-americana che, per ovvie ragioni, dimostrava in gran parte una piena solidarietà nei confronti di Pope, Antonini finì per abbracciare nel proprio atteggiamento assolutorio perfino Domenico Trombetta, direttore della rivista fascista e antisemita “Il Grido della Stirpe”. Infatti, quando “l’Accademico tiberino, quello del Grido della Trippa” venne scarcerato nel luglio del 1945 dal campo di internamento dove le sue attività “antiamericane” lo avevano portato, Antonini prese in contropiede addirittura amici fedeli come Carmelo Zito, direttore del settimanale antifascista “Il Corriere del Popolo”, per lodare in “Giustizia” la “misericordia democratica” del governo statunitense ed approvare il “gran numero di influenti prominenti [che avevano] firmato la petizione per il perdono” di Trombetta38.
6. “Giustizia” per una “pace giusta”
Definito con disprezzo dai suoi avversari “il boss della politica estera”, Antonini si vedeva come l’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, l’interprete dell’Italia negli Stati Uniti e il rappresentante degli italo-americani nelle due nazioni39. Le pagine di “Giustizia” attestano l’incredibile energia adoperata da Antonini per persuadere il dipartimento di stato a contrastare la politica per l’Italia del primo ministro britannico Winston Churchill. In effetti, quest’ultimo aveva richiesto nel gennaio 1943 l’imposizione di una pace punitiva all’Italia e non voleva che dopo la dichiarazione di guerra del governo Badoglio alla Germania il 13 ottobre 1943, l’Italia potesse acquistare sul campo di battaglia meriti da far valere alla conferenza di pace per ridimensionare le conseguenze della sconfitta militare. Churchill aveva inoltre continuato nei mesi successivi ad opporsi a che venisse concesso il riconoscimento di nazione alleata ad un paese che aveva combattuto a fianco della Germania, ed il cui recente cambiamento di fronte nella fase finale della guerra era stato provocato dallo sbarco delle truppe alleate in Sicilia e dalla capitolazione di un esercito oramai impotente. Dall’altra parte, l’amministrazione Roosevelt aveva optato, in un primo momento, per il principio di non ingerenza negli affari interni dell’Italia fin quando non sarebbe finita la guerra.
In tali circostanze, non era facile per Antonini raggiungere l’obiettivo che si era fissato: coinvolgere il governo statunitense nella vita politica dell’Italia e indurre Roosevelt ad ostacolare i disegni di Churchill. Tuttavia, come sottolinea Elena Aga-Rossi, la scelta del Dipartimento di Stato di non intervenire nella politica italiana “non teneva conto della situazione reale”40. Antonini, che si era proiettato nel dopoguerra già dall’inizio del 1943, usò dunque i legami privilegiati che lo univano a Roosevelt e Berle per tentare di fare capire al governo americano l’urgenza di cambiare le sue posizioni. Tale responsabilità non lo spaventava. Anzi, nel marzo del 1943, aveva chiaramente esposto la sua visione del ruolo del sindacato, affermando che “il movimento operaio” non era solo la “forza sociale che [contribuiva] di più alla preparazione della vittoria” ma si dimostrava “anche un fattore per l’ottenimento di quella pace stabile di libertà e di giustizia cui tutti i popoli anelano”41.
Orgoglioso che la sua organizzazione non fosse “rinchiusa in un gretto concetto trade-unionista”, Antonini credeva che il compito del sindacato fosse quello di uscire dalla sfera generalmente assegnata al movimento operaio negli Stati Uniti42. L’Ilgwu, che si era caratterizzato dalla sua partecipazione attiva – tramite la sua collaborazione con il Jewish Labor Committee – al salvataggio degli ebrei europei, voleva essere presente a tutti i livelli della vita politica, nazionale ed internazionale43. Era in quel contesto che si collocava la lotta di Antonini per una “pace giusta”. Questa pace doveva essere “non punitiva”, e doveva rispettare i principi della Carta dell’Atlantico44. Nell’agosto del 1944, Antonini ribadiva così per l’ennesima volta che l’Italia era stata “il primo paese a subire il dispotismo” e che il popolo italiano non doveva, ormai che aveva partecipato alla propria liberazione, pagare per un regime di cui era stato la vittima45. La Gran Bretagna rimaneva sorda a queste professioni di buona fede italiana. Perciò la gestione britannica dell’Italia liberata divenne sempre di più il centro delle preoccupazioni di Antonini. Secondo Federico Romero, quando Antonini venne in missione in Italia nell’estate del 1944 deplorò pubblicamente che i britannici volessero “fare dell’Italia una colonia”. Tali denunce, furono, però, censurate dalla stampa statunitense per preservare i buoni rapporti tra le forze alleate46. Neppure in “Giustizia” Antonini si azzardò ad attaccare apertamente Churchill prima del 1945. Tuttavia le critiche velate non mancarono. Nel numero di luglio 1944, per esempio, la redazione di “Giustizia” pubblicò un articolo intitolato Tutela, nel quale veniva criticato il “regime di tutela che si vuole imporre agli schiavizzati di tutto il mondo” e in cui in realtà si accennava in parte al presunto atteggiamento imperialistico della Gran Bretagna nel bacino Meditteraneo47. Malgrado gli sforzi di Antonini e del Joint Committee on Italian Affairs, l’Italia rimase esclusa dalla conferenza di San Francisco del 26 giugno 1945 che vide la fondazione delle Nazioni Unite48.
Nel febbraio del 1945, Churchill era stato chiaro. “We need Italy no more than we need Spain,” aveva dichiarato il premier britannico, suscitando l’ira di Antonini49. Benché la Gran Bretagna avesse del tutto rinunciato alle sue velleità egemoniche sul Mediterraneo nell’estate del 1945, continuava, assieme alla Francia e all’Unione Sovietica, a voler sfruttare la sconfitta dell’Italia. L’Italia non fu quindi autorizzata a partecipare all’elaborazione del trattato di pace. Antonini non rinunciò in ogni caso a difendere l’idea che l’Italia potesse trovare il suo posto nel nuovo ordine mondiale50. Non esitò ad appellarsi al potere elettorale di sei milioni di italo-americani per esercitare nuove pressioni sul governo americano, anche dopo la morte di Roosevelt. Ugualmente sensibile al peso del voto italo-americano nelle elezioni, il nuovo presidente Harry Truman sembrava infatti l’unico tra i leader delle nazioni vittoriose ad essere disposto a prendere in considerazione le rivendicazioni italiane51. Nel giugno del 1945, l’Ialc approvò così “l’opera dei dirigenti per migliorare la posizione dell’Italia democratica e per salvaguardare l’italianità di Trieste”52. Un anno dopo, Antonini riuscì a farsi inviare alla conferenza della pace di Parigi in quanto rappresentante dell’Ialc presso la delegazione americana. Il suo obiettivo era di evitare “il sabotaggio della pace”, di “aiutare l’Italia”, e di farne rispettare “l’integrità territoriale”53.
In effetti, erano piuttosto rilevanti i problemi legati ai territori di confine e alle colonie africane dell’Italia. Le pretese francesi e jugoslave rispettivamente sulla Val d’Aosta e la Venezia Giulia avevano suscitato l’inquietudine di Antonini fin dalla primavera del 1945. Le aspirazioni territoriali del maresciallo Tito avevano scatenato il furore del leader della locale 89 che si era allora vendicato sui comunisti italo-americani. Aveva biasimato in particolare il deputato Vito Marcantonio, ribattezzato ironicamente Vitowsky Marcantonioff sulle pagine di “Giustizia”. Invece di rivolgersi al governo americano per chiedergli di accelerare il processo di pace, scriveva Antonini, Marcantonio avrebbe fatto meglio a chiedere aiuto a Josef Stalin e al suo ministro Vjaceslav Molotov le cui vedute sull’Eritrea e la Tripolitania avevano contribuito a ritardare le negoziazioni alla conferenza dei ministri degli affari esteri a Londra, nel settembre del 194554.
Sulla vicenda coloniale, Antonini adottò una condotta sorprendente per un uomo che esaltava le virtù della democrazia e lottava per la libertà dei popoli. Se dava per scontato che i territori conquistati dal regime fascista non dovessero essere conservati dall’Italia, invece chiedeva in “Giustizia” che le vecchie colonie rimanessero amministrate dalla futura “Repubblica italiana”55. La distinzione arbitraria che Antonini faceva tra vecchie e nuove colonie, gli permetteva, da una parte, di liberarsi dall’accusa di voler conservare l’ingombrante patrimonio fascista e, dall’altra, di appoggiare la richiesta fatta dal presidente del Consiglio Alcide De Gasperi di mantenere la sovranità italiana sui possedimenti prefascisti della Libia, della Somalia e dell’Eritrea. Al ministro degli affari esteri britannico Ernest Bevin, che sottolineava l’assurdità di “far ritornare gli italiani nelle vecchie colonie dove contro di essi vi [era] l’opposizione degli indigeni”, Antonini precisava con una logica tutta relativa che “l’Italia non aveva l’intenzione di usare i vecchi sistemi di dominio coloniale”, e che mirava invece a “preparare la futura indipendenza dei popoli coloniali” ed a “estendere i benefici della sua nuova democrazia alle sue vecchie colonie”56. Anche in questa occasione Antonini marcava il suo allontanamento dai valori di sinistra.
7. “Aiutare l’Italia con i fatti”
Dal 1943, “aiutare l’Italia con i fatti”, divenne una delle priorità di Antonini. Praticamente, si trattava non solo di influenzare il governo per preparare una pace giusta, ma anche di organizzare il futuro politico del paese e di cercare di compensare i disastrosi effetti della povertà provocata dalla guerra e dall’inflazione. Antonini aveva chiesto a Roosevelt che l’Acid esercitasse il controllo sull’assistenza alle popolazioni italiane, ma questa richiesta era stata rigettata nel marzo 1943, in seguito alle proteste sia di Bellanca e del Free Italy Labor Council, sia di altri prominenti italiani quali Luigi Criscuolo, potente uomo d’affare italo-americano57. Il primo vice-presidente dell’Ilgwu, tuttavia, non si lasciò scoraggiare ed usò i canali sindacali per adempiere il compito che si era fissato. “Giustizia” si rivelò nuovamente un elemento fondamentale nella campagna “pro vittime della guerra” che lanciò Antonini per sensibilizzare gli operai americani alla sorte degli italiani dal 1944 al 1946.
Il primo obiettivo era di raccogliere soldi ed indumenti per spedirli in Italia58. Tale operazione conobbe un grande successo. Le “sartine” delle Locali 89 e 48 organizzavano la raccolta, lo smistamento e l’imballaggio dei vestiti che venivano poi consegnati alla Croce Rossa Americana od ad altre organizzazioni. Il peggioramento della crisi economica in Italia condusse il governo americano a creare alla fine del 1944 un’istituzione specifica dedicata all’assistenza della popolazione italiana: l’American Relief Committee for Italy (Ari). Alla testa dell’Ari fu messo Myron Taylor, il rappresentante personale di Roosevelt presso il Vaticano. Per accontentare gli italo-americani con i quali aveva rapporti complessi, Taylor scelse il giudice democratico Juvenal Marchisio come vice-presidente, approvò la creazione di un consiglio consultativo presieduto dal giudice Pecora, e diede ad Antonini la responsabilità di un sotto-comitato preposto alla fornitura del vestiario. L’esistenza di una tale istituzione tonificò l’opera dell’Ilgwu e consolidò la collaborazione tra Antonini e Pope. Nel febbraio 1946, “Giustizia” fu addirittura associata all’iniziativa condotta dal “Progresso Italo-Americano”, sotto gli auspici dell’Ari, per un aiuto immediato all’Italia. “Giustizia” si appellava così alla generosità dei suoi lettori, invitandoli a dare l’equivalente di una giornata di paga per manifestare la loro solidarietà con questa nobile causa59. L’assistenza agli italiani era un motivo di orgoglio perché dava al periodico sindacale l’occasione sia di misurare il proprio impatto sulla comunità italo-americana, sia di far vedere quanto il contributo degli operai italo-americani era importante per la ricostruzione dell’Italia. “Giustizia” elencava tutte le mansioni svolte dalle sarte e si compiaceva nel pubblicare articoli che lodavano la beneficenza italo-americana60. Che mostrassero una “Dress americana provata ad una donna di Roma”, o la distribuzione di pacchi per la “Befana americana ai bimbi di Anzio”, le fotografie pubblicate in “Giustizia” evidenziavano il rapporto verticale, di subordinazione all’incontrario, che si stava stabilendo tra gli immigrati italiani e il loro paese di origine, tra gli Stati Uniti e l’Italia61. Non era poco gratificante infatti per coloro che si definivano oramai americani di discendenza italiana poter far valere il percorso che avevano realizzato e tentare di esportare i benefici del loro paese di adozione.
Lo stesso concetto potrebbe essere applicato al modo nel quale Antonini e George Baldanzi in quanto rappresentanti rispettivi dell’American Federation of Labor (Afl) e del Cio condussero le loro missioni in Italia nell’estate 1944. I due leader facevano parte di una delegazione sindacale anglo-americana che doveva esaminare la situazione italiana e favorire il dialogo tra le formazioni britanniche e statunitensi e le organizzazioni italiane. L’approvazione data dal dipartimento di stato a questo viaggio, il cui scopo era quello di stimolare la ricostruzione di sindacati “liberi” in Italia, la diceva lunga ormai sulle velleità interventiste degli Stati Uniti negli affari interni dell’Italia e lasciava presagire dell’atteggiamento del governo americano nelle future elezioni del 194862. Naturalmente, “Giustizia” non mancò né di coprire con attenzione le peregrinazioni del leader della Locale 89 nel suo paese natio, né di appoggiare gli sforzi svolti dalle organizzazioni operaie americane per aiutare l’Italia a forgiare “libere unioni”, il cui lavoro avrebbe presumibilmente creato le condizioni necessarie per il ristabilimento della democrazia nella Penisola63. Tuttavia, nell’estate 1944, l’idea di voler “offrire assistenza [all’Italia] sviluppando le sue organizzazioni operaie” sembrava poco idonea a Myron C. Taylor, la cui pratica quotidiana del terreno gli suggeriva il seguente commento a Roosevelt:
Mi risulta un po’ difficile capire perché questi leader sindacali statunitensi e britannici debbano presentarsi in Italia in questo momento quando sembrerebbe che i problemi delle organizzazioni sindacali dovessero occupare un posto secondario rispetto al tentativo di sfamare e di vestire la popolazione […] Nessuna organizzazione potrà accelerare né la vera ricostruzione dell’industria né la creazione di posti di lavoro per i disoccupati. […] Cibo, indumenti e alloggio sono le considerazioni vitali di questo momento. 64
Antonini pensava invece che oltre a queste considerazioni – indubbiamente vitali –, si giocasse in quel momento il futuro politico dell’Italia. Riteneva quindi che ci si dovesse impegnare quanto prima per impedire – con un’adeguata propaganda e grazie al finanziamento delle strutture associazionistiche locali – che i comunisti si appropriassero del movimento operaio italiano e se ne servissero per accedere al potere. In queste circostanze, Antonini confermò l’abbandono del suo passato “ribelle”, e il suo progressivo spostamento verso il centro dello schieramento politico; un’evoluzione che, partendo da un angolo di visuale strettamente americano dei problemi europei, lo stava conducendo ad un acceso anti-comunismo.
8. Conclusione
Gli anni quaranta segnarono quindi un passaggio decisivo nella vita di “Giustizia”. Da rivista che esprimeva prioritariamente le posizioni di un’organizzazione sindacale, il mensile si trasformò progressivamente in una tribuna riservata di Antonini. Strumento privilegiato delle campagne propagandistiche condotte dal suo leader, “Giustizia” sviluppò rapidamente un vero culto della personalità e non lasciò più spazio per le voci dissonanti. Secondo Harry Wander, organizzatore dell’Ilgwu, gli operai italiani consideravano la Locale 89 “come una sorta di chiesa-madre” nella quale Luigi Antonini svolgeva il “ruolo del Pontefice”65. Di conseguenza la rivista seguì l’itinerario politico del suo capo e, con notevole spregiudicatezza, non esitò ad abbracciare le posizioni dei prominenti italo-americani più potenti, nonostante il loro passato politico fascista. Infine, nel medesimo periodo, “Giustizia” portò a compimento un’evoluzione già iniziata negli anni trenta, che marcava il passaggio degli aderenti delle Locali 89 e 48 da un identità esclusivamente comunitaria – ovvero di membri della comunità italo-americana – ad un identità chiaramente definita come americana – ovvero di cittadini americani di origine italiana. Nel corso di un incontro con il Harry Truman, quando il presidente formulò l’ipotesi che la Locale 89 avesse come interesse prioritario l’Italia, Antonini ebbe una reazione che illustra perfettamente tale evoluzione. Alla battuta di Truman, Antonini mostrò infatti di offendersi e rispondendo rimarcò: “no, il mio primo pensiero è l’America”66.

Note

1 La ricerca sulla quale si basa questo saggio è stata resa possibile grazie ai programmi di borse del John F. Kennedy Institute di Berlino e del Franklin and Eleanor Roosevelt Institute (FERI), Hyde Park, NY.
2 James Barrett, David Roediger, Inbetween Peoples: Race, Nationality and the “New Immigrant” Working Class, “Journal of American Ethnic History”, 16, 3 (1997), pp. 3-44.
3 Si veda per esempio, Catherine Collomp, Entre classe et nation. Mouvement ouvrier et immigration aux États-Unis, Paris, Belin, 1998.
4 Elisabetta Vezzosi, Sciopero e rivolta. Le organizzazioni operaie italiane negli Stati Uniti, in Storia dell’emigrazione italiana, II, Arrivi, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina, Roma, Donzelli, 2002, pp. 271-282; Edward Fenton, Immigrants and Unions. A Case Study: Italians and American Labor 1870-1920, Arno Press, New York, 1975; International Ladies Garment Workers’ Union, The History of the ILGWU, New York, ABCO Press, 1935.
5 Il termine “locale” era usato nel gergo italo-americano per definire le diverse sezioni che costituivano i sindacati e che raggruppavano gli operai della stessa competenza: i tagliatori, i pressatori, i sarti che facevano mantelli (cloakmakers), quelli che facevano gli abiti da donna (dressmakers) e così via. Durante lo sciopero del 1913, l’Ilgwu aveva approvato la creazione di un “ramo” italiano nella locale 25 dei waistmakers. Pasquale di Neri ne era stato il primo segretario generale, ma pochi mesi dopo, questa carica era stata affidata a Luigi Antonini. Dall’altra parte, nel 1916, Salvatore Ninfo – uno dei pionieri del movimento operaio italo-americano – era stato autorizzato a creare una sezione italiana per i cloakmakers : la “Locale 48”. Nel 1919, la nascita della Locale 89 coronò finalmente sei anni di sforzi condotti da Luigi Antonini per trasformare il ramo italiano della Locale 25 in una sezione, del tutto separata, per i dressmakers e i waistmakers italiani. Per dettagli sulla creazione della Locale 89, si vedano: Genesi ed attività della locale 89 delle sartine italiane, “La Parola del Popolo”, 9 (1958-1959), pp. 200-205; Federal Writers’ Project, Gli italiani di New York, New York, WPA, Labor Press, 1939, pp. 147-167; sulle sezioni italiane e sul loro funzionamento nell’Ilgwu, si veda Nicoletta Pardi Corbella, Storia di un sindacato operaio italiano a New York (I sarti), in Rudolph J. Vecoli et alii, Gli italiani negli Stati Uniti. L’emigrazione e l’opera degli italiani negli Stati Uniti, Firenze, Istituto di Studi Americani, 1972, pp. 365-381.
6 Philip V. Cannistraro, Luigi Antonini and the Italian Anti-Fascist Movement in the United States, 1940-1943, “Journal of American Ethnic History”, 5, 1 (1985), p. 25.
7 Sulla difficoltà di organizzare i lavoratori italiani – e in particolare le donne – si veda: Colomba M. Furio, The Cultural Background of the Italian Immigrant Woman and its Impact on her Unionization in the New York City Garment Industry, 1880-1919, in Pane e Lavoro: The Italian American Working Class, a cura di George Pozzetta, Toronto, The Multicultural History Society of Ontario, 1980, p. 3-27; Theresa Serber Malkiel, The Diary of a Shirtwaist Striker, (1910), Ithaca, ILR Press, School of Industrial and Labor Relations, Cornell University, 1990, p. 141.
8 International Ladies’ Garment Workers’ Union, Report of the General Executive Board to the Fifteenth Biennial Convention of the International Ladies’ Garment Workers’ Union, ILGWU, Chicago, 1920, p. 61; ILGWU, Financial Report, May 1, 1918 to March 31, 1920, Fifteenth Biennial Convention, ILGWU, Chicago, 1920, p. 13.
9 Lettera della prefettura di Avellino alla Direzione della Pubblica Sicurezza, Ministero dell’Interno, 22 novembre 1926, Archivio Centrale dello Stato (ACS), Roma, Casellario Politico Centrale (CPC), b. 160, f. 2113, “Luigi Antonini”. Per maggiori dettagli su Antonini si veda: John Stuart Crawford, Luigi Antonini, His Influence on Italian-American Relations, Educational Department of the Italian Dressmakers’ Union Local 89, ILGWU, New York, 1950.
10 James E. Miller, La politica dei “prominenti” italo-americani nei rapporti dell’OSS, “Italia Contemporanea”, 139 (1980), p. 52.
11 Per maggiori dettagli sull’American Labor Party, si veda Gerald Meyer, American Labor Party 1936-1956, in Encyclopedia of Third Parties in America, a cura di Immanuel Ness e James Ciment, I, Armonk, Sharpe, 2000, pp. 132-144.
12 Per un quadro generale delle forze antifasciste negli Stati Uniti e per il ruolo svolto da Antonini al loro interno all’inizio degli anni quaranta, si vedano John P. Diggins, Mussolini and Fascism: The View from America, Princeton, Princeton University Press, 1972, pp. 399-421; Antonio Varsori, Gli alleati e l’emigrazione democratica antifascista (1940-1943), Firenze, Sansoni, 1982, pp. 32-43.
13 Sulla nascita dell’Ialc, si veda Vanni B. Montana, Amarostico. Testimonianze euro-americane, Livorno, Bastogi, 1975, pp. 171-181; Nasce l’Italian American Labor Council e Scrive sulla sua bandiera: “La vittoria d’America sarà la libertà d’Italia!”, “Giustizia”, gennaio 1942, p. 8.
14 Sul di far parte della Mazzini Society fino al 1943, si veda P. V. Cannistraro, Luigi Antonini, cit., p. 28. Sul ruolo della Mazzini Society nella comunità antifascista italiana negli Stati Uniti, si veda Maddalena Tirabassi, La Mazzini Society (1940-1946): un’associazione degli antifascisti italiani negli Stati Uniti, in Italia e America dalla grande guerra a oggi, a cura di Giorgio Spini, Gian Giacomo Migone e Massimo Teodori, Padova, Marsilio, 1976, pp. 141-158.
15 Luigi Antonini, The Policy of Democracy in the Struggle Against Fascism, International Congress of American Democracies, Montevideo, Uruguay, 29-30 marzo 1939, pp. 5-6, Tamiment Library, New York City, Radical Pamphlet Literature, bobina 3, R1745.
16 Sulla rivista della Mazzini Society, si vedano: Mazzini News, Organo della “Mazzini Society” (1941-1942), a cura di Lamberto Mercuri, Foggia, Bastogi, 1990; Maddalena Tirabassi, “Nazioni Unite” (1942-1946): l’organo ufficiale della Mazzini Society, in L’antifascismo italiano negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, a cura di Antonio Varsori, Roma, Archivio Trimestrale, 1984, pp. 295-315; Charles Killinger, Nazioni Unite and the Anti-Fascist Exiles in New York City, 1940-1946, “The Italian American Review”, 8, 1 (2001), pp. 157-195.
17 Cf. Philip V. Cannistraro e Elena Aga Rossi, La politica etnica e il dilemma dell’antifascismo italiano negli Stati Uniti: il caso di Generoso Pope, “Storia Contemporanea”, 17, 2 (1986), pp. 235-236.
18 Regio Console generale Grossardi, al Ministro degli Affari Esteri, 26 nov. 1934, ACS, Min dell’interno, Dir. Gen. PS- Div. AA. GG. RR. Cat. G1, f. 1014, “555 New York, Unione Internazionale Lavoratori Sarti (Ilgwu), 1934-1937”.
19 Il messaggio settimanale della Locale 89, “Il Progresso Italo-Americano”, 21 ottobre 1934, p. 2; L’attività settimanale della Locale 89, ivi, 28 ottobre 1934, p. 5; Nel campo del lavoro, ivi, 25 novembre 1934, p. 5. Sono grata a Stefano Luconi di avermi segnalato questi articoli.
20 Sulla trasmissione radiofonica di Antonini e sulla lotta condotta dai fascisti e dagli antifascisti per controllare le onde, si veda Stefano Luconi e Guido Tintori, L’ombra lunga del fascio: canali di propaganda fascista per gli “italiani d’America”, Milano, M&B Publishing, 2004, pp. 106-107.
21 James E. Miller, Carlo Sforza e l’evoluzione della politica Americana verso l’Italia, “Storia Contemporanea”, 7, 4 (1976), p. 846, e Antonio Varsori, Sforza, la Mazzini Society e gli alleati (1940-1943), in L’antifascismo italiano negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, a cura di A. Varsori, cit. pp. 129-154.
22 L. Antonini, L’arcobaleno, “Giustizia”, gennaio 1943, p. 3.
23 Adolph A. Berle, Assistant Secretary of State, The position of Italy, discorso al Joint Committee della Mazzini Society e dell’Italian American Labor Council, Hotel Commodore, New York City, 13 novembre 1942, Roosevelt Library (RL), FERI, Berle Papers, box 145, f. “Speeches 1942”.
24 Anonimo, La storica dimostrazione dell’Italian American Labor Council del 31 gennaio, “Giustizia”, febbraio 1942, p. 2.
25 La Guardia aveva un programma radiofonico settimanale destinato agli italiani e intitolato “Mayor La Guardia calling Rome”: Thomas Kessner, Fiorello H. La Guardia and the Making of Modern New York, New York, McGraw-Hill Publishing Company, 1989, p. 519.
26 Anonimo, Gli italiani amici d’America, “Giustizia”, novembre 1942, p.1-2. Sull’internamento degli italiani, si veda Guido Tintori, New Discoveries, Old Prejudices: The Internment of Italian Americans during World War II, in Una Storia Segreta: The Secret History of Italian American Evacuation and Interment During World War II, a cura di Lawrence DiStasi, Berkeley, CA, Heyday Books, 2001, pp. 236-254.
27 Slogan pubblicato in un inserto indipendente in fondo all’ottava pagina del numero di “Giustizia” del febbraio 1942.
28 Sull’attività teatrale dell’Ilgwu e lo spettacolo “Pins and Needles” si veda Gary L. Smith, The International Ladies Garment Workers’ Union’s Labor Stage, A Propagandistic Venture, Tesi di dottorato, Kent University Graduate College, 1975.
29 Anonimo, È nato l’American Committee for Italian Democracy, “Giustizia”, agosto 1943, p. 2.
30 L. Antonini, Seppellire il fascismo, salvare l’Italia!, “Giustizia”, agosto 1943, p.1.
31 Citato in Gli antifascisti italiani in America (1942-1944), La “legione” nel carteggio di Pacciardi con Borgese, Salvemini, Sforza e Sturzo, a cura di Alessandra Baldini e Paolo Palma, Firenze, Felice Le Monnier, 1990, p. 72. Antonini incominciò ad usare l’espressione “caste Suzanne” per riferirsi al gruppo dei suoi opponenti nel 1942, ma ci si era affezionato in tale modo da ricorrerci sistematicamente negli anni che seguirono. Si veda in tema “Caste Suzanne e mozzonari”, “Giustizia”, aprile 1944, p. 10.
32 Giuseppe Prezzolini, America in Pantofole, Firenze, Vallecchi, 2002 (1950), p. 231.
33 James E. Miller, A Question of Loyalty: America, Liberals, Propaganda, and the Italian-American Community, 1939-1943, “The Maryland Historian”, 9 (primavera 1978), p. 64.
34 Sulle attività fasciste di Alessandroni e dell’Osia in generale, si veda Stefano Luconi, La “diplomazia parallela”. Il regime fascista e la mobilitazione politicia degli italo-americani, Milano, Angeli, 2000, p. 62-84.
35 Antonini, “Tenzonando” con la realtà, “Giustizia”, aprile 1943, p. 10.
36 Antonini, Limonate post-elettorali, “Giustizia”, dicembre 1944, p.10.
37 Si veda per esempio, Antonini, Un Pitale, una Serpicina, un Cacchione e un solo padrone, “Giustizia”, maggio 1943, p. 10.
38 Antonini, Corri quanto vuoi, sempre lì t’aspetto, “Giustizia”, luglio 1945, p. 10.
39 Si veda Anonimo, Luigi Antonini nostro Ambasciatore presso gli operai d’Italia, “Giustizia”, luglio 1944, p. 1.
40 Elena Aga-Rossi, La politica estera americana e l’Italia nella seconda Guerra mondiale, in Italia e America dalla grande guerra a oggi, cit., pp. 159-177.
41 Antonini, Per l’avvenire d’Italia, “Giustizia”, marzo 1943, p. 3.
42 Antonini, Da un anno all’altro, “Giustizia”, gennaio 1945, p. 3.
43 David Dubinsky e A. H. Raskin, David Dubinsky, A Life with Labor, New York, Simon and Schuster, 1977, p. 247-250. Sul ruolo svolto dalll’Ilgwu nella seconda Guerra mondiale si veda Gus Tyler, Look for the Union Label, A History of the International Ladies’ Garment Workers’ Union, Armonk, NY, M. E. Sharpe, 1995, pp. 245-261.
44 Anonimo, In che cosa consiste la Carta dell’Atlantico, “Giustizia”, gennaio 1945, p. 1; Anonimo, L’Atlantic Charter all’Italia, “Giustizia”, febbraio 1945, p. 1.
45 Antonini, La Ricostruzione, “Giustizia”, agosto 1944, p.1.
46 Federico Romero, Gli Stati Uniti e il sindacalismo europeo, Roma, Edizioni Lavoro, 1989, p. 60.
47 Anonimo, Tutela, “Giustizia”, luglio 1944, p.12.
48 Il Joint committee aveva organizzato anche una manifestazione a Washington per rivendicare la partecipazione dell’Italia a quella conferenza: Anonimo, L’Opera feconda del Joint Commmittee in missione a Washington, “Giustizia”, maggio 1945, p.6.
49 Antonini, Churchill Excuses Himself, “Giustizia”, febbraio 1945, p. 3.
50 Antonini, Calendimaggio, ‘Giustizia”, maggio 1945, p. 10.
51 Sulla politica statunitense verso l’Italia dall’armistizio alla trattato di pace, si veda James E. Miller, The Search for Stability: An Interpretation of American Policy in Italy: 1943-1946, “Journal of Italian History”, Summer 1978, pp. 264-286. Sul ruolo di Antonini e dell’Ialc nello stesso periodo si veda Ronald L. Filippelli, Luigi Antonini, The Italian-Amerivan Labor Council, and the Cold War Politics in Italy, 1943-1949, “Labor History”, 33,1 (1992), pp. 102-125.
52 L’Italian American Labor Council per l’Italia Democratica, “Giustizia”, giugno 1945, p.2.
53 Antonini, Aiutare l’Italia e Il sabotaggio della pace, “Giustizia”, giugno 1946, p. 3.
54 Antonini, Il Babbo di Vitowsky Marcantonioff, “Giustizia”, novembre 1945, p. 10.
55 Antonini, La nostra Voce, “Giustizia”, settembre 1946, p. 3.
56 Antonini, Radioconversazione di Luigi Antonini, “Giustizia”, ottobre 1946, p. 3.
57 Per maggiori dettagli sull’aiuto americano all’Italia e il ruolo svolto dalla comunità italo-americana in questa istanza, si veda James E. Miller, The Politics of Relief: The Roosevelt Administration and the Reconstruction of Italy, 1943-1944, “Prologue, Journal of the National Archives”, 13, 3 (1981), pp. 193-208.
58 Si veda, per esempio, Eduardo Molisani, La raccolta degli indumenti, “Giustizia”, settembre 1944, p. 4.
59 Anonimo, Aiutiamo subito l’Italia, “Giustizia”, febbraio 1946, p. 1.
60 Antonini, Come vengono guardati e distribuiti i soccorsi in Italia, “Giustizia”, gennaio 1946, p. 6.
61 Didascalie di due foto pubblicate alla settima pagina del numero di gennaio 1946.
62 Stefano Luconi, Anticommunism, Americanization and Ethnic Identity: Italian-Americans and the 1948 Parliamentary Elections in Italy, “Historian”, 62, 2 (2000), pp. 285-302.
63 Si veda per esempio: Antonini, Luigi Antonini e la sua missione in Italia, “Giustizia”, settembre 1944, p. 1; Anonimo, Un milione di dollari per le libere unioni operaie, “Giustizia”, febbraio 1945, p.1.
64 Lettera di Myron C. Taylor a Franklin D. Roosevelt, 1° settembre 1944, RL, FERI, President’s Secretary Files (PSF), Vatican Diplomatic Files, Box 52, Folder “Taylor Myron C.: Sept-Oct. 1944”.
65 Ilgwu, Ultra: Strenna commemorativa del XV anniversario della fondazione dell’Italian Dressmakers Union, Local 89, Ilgwu, New York, 1934, p. 31.
66 Anonimo, Il presidente Truman nelle impressioni di Antonini, “Giustizia”, luglio 1945, p. 3.