L’emigrazione italiana in Belgio nel secondo dopoguerra vista attraverso la televisione.

Per potere valutare le modalità e il livello d’integrazione nella società d’arrivo è particolarmente interessante soffermarsi sul posto che occupano gli immigrati italiani nei mass media del paese di accoglienza. Quale importanza ebbero nella “rappresentazione” mediatica della società belga?

Il Belgio alla fine della seconda guerra mondiale necessitava di una nuova mano d’opera, poco qualificata e disposta e scendere in miniera, cosa che gli operai belgi non erano più disposti a fare. Questa domanda di mano d’opera venne colmata dagli operai stranieri, in particolare da italiani sopratutto nel primo decennio post-bellico. L’Italia è la prima nazione ad inviare i suoi uomini a lavorare in Belgio nell’ambito di accordi bilaterali per lo scambio tra mano d’opera e carbone. Il Belgio impiegò in seguito mano d’opera in prevalenza dai paesi mediterranei in ritardo economico. Non solo l’Italia dunque ma anche Grecia, Spagna, Marocco e Turchia. Appena due anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, il piccolo regno del Belgio poteva già contare sulla presenza di oltre 300.000 stranieri, la maggioranza dei quali italiani residenti in Vallonia, cuore industriale del paese. Con il passare dei decenni, i lavoratori italiani uscirono progressivamente dal loro iniziale isolamento inserendosi nella vita civile belga. La politicizzazione dei gruppi migranti si realizzò lentamente nonostante le forti pressioni. Si ricongiunsero le famiglie, passando dalla vita nelle baracche alla ricerca di una casa autonoma, spesso tenendo unite le comunità provenienti dalle medesime aree geografiche. Si crearono ghetti italiani, spesso nei quartieri minerari ostili. I bambini italiani iniziarono a frequentare le scuole locali, mettendo realmente in comunicazione per la prima volta due mondi paralleli. Anche le donne contribuirono a questo contatto con l’esterno. Affaccendarsi nelle attività domestiche di base e conoscere le usanze culinarie locali fanno parte del reciproco intreccio culturale.1
Quando arrivano i primi treni di lavoratori italiani, il clima culturale non è certo buono. Vengono principalmente assimilati al regime fascista, al nemico vinto. D’altro canto, le loro condizioni di vita sono disastrose. Ammucchiati nei vecchi campi di prigionia tedeschi la loro “immagine” non è certo rosea. Una promiscuità indiscutibile e le condizioni igieniche deplorevoli dei ghetti minerari belgi diventano un tema ricorrente di critica xenofoba contro gli italiani. Questi numerosi gruppi maschili, sporchi, rumorosi e a volte violenti vengono visti come una “minaccia” per l’ordine e la moralità. Nell’immaginario pubblico, l’italiano diventa la figura più negativa della scala sociale di pari passo con quella del “minatore”. Inoltre l’operaio italiano accetta, per mancanza di forza contrattuale, un lavoro mal remunerato, pericoloso ed insalubre. Nei quartieri dei minatori, vengono rapidamente definiti come “rovina lavoro” perché accettano condizioni lavorative estreme mostrando un eccessivo zelo. I lavoratori belgi li tratteranno spesso di crumiri. Non ultimo, il lavoratore italiano non è preparato al lavoro in miniera e spesso diventa oggetto/soggetto d’incidenti. Paradossalmente, sarà spesso tacciato di essere un lavativo, un commediante, pronto perfino a farsi male pur di non lavorare e di usufruire dei servizi della mutua.2 Nonostante i difficili pregiudizi della superficie, la dura realtà del lavoro di fondo permette invece una certa solidarietà tra i lavoratori.
Il primo periodo (1946-56), a ridosso del conflitto, si dipana negli anni difficili del dopoguerra e della ricostruzione. Gli italiani necessari per vincere la “Bataille du Charbon”, ma l’Italia rimane pur sempre dalla “parte” dell’occupante nazista. Fin da subito idee “a priori” entrano nell’opinione pubblica belga.
I pochi materiali audio-visivi presenti prima della sciagura di Marcinelle (8 agosto 1956) rende questo evento il vero spartiacque circa la rappresentazione nei mass-media degli italiani in Belgio. A sottolineare questo dato, nell’estate del 1956 rimangono aperti in via del tutto eccezionale, gli studi della RTBF, che riprende la catastrofe con i pochi mezzi disponibili. All’epoca la tv belga ancora sperimentale trasmetteva solo due o tre ore al giorno, sei giorni su sette. Le produzioni proprie erano limitate a due serate a settimana (mercoledì e domenica). Il resto del palinsesto veniva fornito dalla ORTF, la “rete di Parigi”. Il primo vero telegiornale interamente realizzato a Bruxelles andrà in onda il 1° settembre 1956: all’infuori del presentatore che legge il testo, non sono presenti immagini registrate.

Tuttavia la presenza italiana gode anche di riflesso del matrimonio del giovane Principe Albert con Paola Ruffo di Calabria avvenuto il 9 luglio 1959. La popolazione riserverà un accoglienza calorosa alla nuova principessa che venne così definita dai quotidiani belgi: “belle comme une Madonne fiorentine”.
Più passa il tempo di permanenza e meno gli italiani sembrano diversi agli occhi dei belgi, anche per l’arrivo di altri immigranti provenienti da lidi più esotici. L’Italia diventa anche un valido partner politico ed economico, prima di tutto partecipando alla CECA nel 1953. Nel 1957 con il Trattato di Roma, inizia il percorso di fondazione della comunità europea alla quale partecipano attivamente sia Italia che Belgio.
Gli anni 60, con la ripresa economica e le varie contestazioni operaie e giovanili favoriscono le aperture mediatiche al mondo sociale, anche se i servizi radiofonici e televisivi dedicati agli italiani sono ancora pochissimi.
Gli anni 70 rappresentano il periodo dell’inversione di tendenza dell’emigrazione italiana. Per la prima volta il saldo demografico è quasi nullo e a partire da questo momento saranno più numerosi i rimpatri che le partenze verso l’estero. Partono comunque circa 100.000 italiani all’anno fino al 1974 per le destinazioni europee. Quest’ultimo periodo è dunque principalmente dedicato al capovolgimento dell’ottica, in un momento storico di stagnazione migratoria italiana e di arrivo di nuovi immigranti. L’attenzione mediatica sulla comunità italiana cala ma permette agli emigrati di prendere la parola con trasmissioni radio e tv in lingua. L’espressione dei loro disagi e delle loro condizioni di vita quotidiana entra a far parte integrante del panorama belga. Dopo l’euforia della ricostruzione e del boom economico degli anni 60, la crisi economica porta alla chiusura delle industrie pesanti e delle miniere ormai obsolete. Il lavoro si ferma nei settori chiave dell’economia belga. Il governo Belga decide allora di arrestare il flusso migratorio ma il Trattato di Roma che stabilisce la libera circolazione dei cittadini europei rende il provvedimento inattuabile.
Sarcasmi e disprezzo sono sempre comunque presenti di fronte al “nuovo arrivato” sconosciuto. Il primo esempio è presente nel servizio sulla “Quinzaine de la semaine italienne” a Mons città mineraria dalla nutrita comunità italiana del Borinage, zona particolarmente povera a confine con la Francia.3 Il servizio inizia con il presentatore che, con tono decisamente ridicolizzante, declama la frase: “C comme canzonetta, c comme Cheratte (quartiere minerario), la “bella canzone” de la “settimana italiana” de Mons.” Il presentatore con aria spocchiosa, fumando e dall’aspetto poco interessato prosegue con “Che pecccattto, mammma mia, sole mmìo…” parodiando la lingua italiana con chiaro accento francese, sullo sfondo scorrono immagini di opere d’arte contemporanea di artisti italiani in mostra a Mons. Prosegue con « Les zours où nous avons tourné ces imazes, il y avait des artistes italiens de Belzique… » praticamente imitando il francese maccheronico parlato dagli italiani. Segue un’intervista al responsabile della manifestazione. Sullo sfondo è presente una torre di Pisa di cartone e alcune baracche per la degustazione di prodotti gastronomici. E’ la prima volta che viene presentata l’Italia in questo modo commerciale. Durante l’intervista si sottolinea che l’evento ha registrato 4000 visitatori in soli due giorni. I ristoranti si sono “inventati” piatti italiani di fantasia e le strade portano provvisoriamente nomi italiani come “Corso Garibaldi”, “Piazza Torre”, “Via Fatebene Fratelli”… L’intervistatore chiude il servizio con un “Grazie, signore” dal sonoro accento francese.
Questo piccolo spaccato locale descrive bene il clima di derisione che ancora negli anni 70 la comunità italiana doveva sopportare.
Altro esempio interessante è il servizio dedicato ad un ritardo dei treni arrivanti dall’Italia durante l’estate 1974.4 La presentatrice che intervisterà unicamente il capo stazione della stazione centrale di Bruxelles senza mai rivolgersi ai passeggeri italiani rimasti bloccati sul treno per 48 ore si informa in modo scherzoso sull’accaduto. Il ritardo della partenza del treno diretto in Sicilia era dovuto ad un arrivo posticipato del treno in provenienza dall’Italia. Il capo stazione sottolinea che gli italiani sono abituati ad aspettare e che dunque dopotutto non è un fatto talmente importante da scomodare la tv. Il capostazione sottolinea che tanto le notizie del ritardo erano girati negli ambienti italiani nei quali è usuale “parlare molto”. Il treno speciale porta 600 viaggiatori in partenza per la Sicilia, di questi 150 rimasero bloccati nel treno in partenza da Bruxelles. Dall’intervista si evince che dalle 20.000 alle 30.000 persone tornano in Italia ogni estate con treni speciali. Una cifra tutto sommato notevole in un periodo di grande crisi economica.

L’intensificazione dei contatti tra le due comunità permisero ai belgi di conoscere meglio gli italiani e vice-versa. Gli stereotipi si appiattirono fino a scomparire quasi del tutto. Per i nuovi migranti, più le realtà saranno distanti dalla vita e dalla cultura belga, più il sarcasmo si farà pesante. Gli anni 70, con l’enorme sviluppo delle comunicazioni e dei media, permisero però finalmente di “vedere” l’altro in una prospettiva sempre migliore.
Segue il periodo delle prime elezioni europee.5 In questo inizio anni 80 venne elaborata la controversa legge Jean Gol del 28 giugno 1984 che da una parte decise restrizioni assai severe all’ingresso di nuovi immigranti, soprattutto se provenienti da paesi extra-europei, ma che d’altro canto permise una successiva naturalizzazione belga a chi era già residente da due o più generazioni. Questa progressiva integrazione “forzata” degli stranieri inglobò in un solo anno, il primo dell’attuazione della legge, più di 63.000 stranieri. Si diventava così belgi di fatto.
A partire da quel anno non sembra significativo continuare l’analisi per vari motivi. Innanzi tutto l’emigrazione in arrivo dall’Italia è principalmente formata da lavoratori amministrativi presso la comunità europea, commercianti e studenti in trasferta che devono affrontare tematiche meno difficili di ambientazione. Possono usufruire di rapidi collegamenti aerei e di mezzi di comunicazione più aggiornati che rendono il distacco e il disaggio della trasferta meno pesante. Uno degli esempi più interessanti è l’inizio delle trasmissioni RAI in chiaro a partire dal 1986, inoltre giornali e riviste italiane arrivano ormai puntualmente nelle maggiori città belghe. Rimanere in contatto con l’Italia diventa praticamente molto più facile.

Per quanto riguarda il profilo storico della radio-tv di stato belga si può delineare uno sviluppo molto simile alle strutture italiane. Ma vige comunque una grande differenza nel tipo di pubblico che usufruisce dei mass-madia. Il pubblico belga non è d’estrazione agricola come lo sono la maggioranza dei radioascoltatori e telespettatori italiani degli anni 50-60. La maggior parte di loro fa parte del ceto operaio e della piccola borghesia urbanizzata. E anche da ricordare l’elevato tasso di alfabetizzazione visto che esiste una scuola laica statale fin dalla metà del 800. Inoltre da sottolineare l’importanza del teatro popolare e della nascita del fumetto come genere letterario di larghissima diffusione. La rivista settimanale Spirou, ad esempio, edita da Dupuis a Marcinelle esce ininterrottamente dal 21 aprile 1938. Tutti questi fattori rendono il palinsesto particolarmente “colto” e talvolta severo. Per quanto riguarda i radiogiornali e telegiornali la RTBF copre molto i fatti di cronaca e di politica interna, poco le visite ufficiali e gli appuntamenti protocollari, quasi per niente le lotte sindacali, le manifestazioni politiche… Questo tipo di materiale inizierà ad apparire in televisione negli anni 70 con la grande crisi economica industriale. L’importanza dello studio degli archivi della RTBF diventa capitale visto che detiene la maggioranza dei documenti audio/video della comunità francofona belga.

« Si la RTBF n’est pas le seul opérateur détenteur d’archives audiovisuelles, il est établi que la RTBF possède la majorité des archives audiovisuelles de la Communauté française. En outre, la RTBF détient, en raison de son ancienneté, des archives exclusives, partie intégrante du patrimoine de la Communauté française. » 6

Facendo un balzo nel tempo si riesce a capire la prontezza dell’emittente per quanto riguarda la copertura nazionale. Quando, il 10 maggio 1940, il Belgio venne invaso dalle truppe tedesche l’I.N.R. (istituto nazionale radiofonico poi RTBF) diffondeva gli ultimi comunicati di guerra alla popolazione. Il giorno dopo le trasmissioni giunsero al pubblico da una località segreta e iniziò uno smantellamento puntuale dei trasmettitori con sabotaggio programmato. Il 14 giugno 1940 l’I.N.R. interruppe completamente le sue attività. Tutti i trasmettitori furono smantellati. Il Belgio diventò così l’unico paese europeo a non lasciare nessuna infrastruttura comunicativa in mano ai tedeschi. La “Maison de la Radio” venne diretta da un ufficiale tedesco durante gli anni dell’occupazione e le trasmissioni andarono in onda con materiale tedesco. La radio belga resistente trasmetteva ormai dagli studi della BBC di Londra. Il governo belga esiliato a Londra ricreò di fatto “l’Office de Radiodiffusion Nationale Belge” (R.N.B.). Questo ente radiofonico statale trasmetterà dal 1943 a partire da Londra, New York e Léopoldville in Congo da dove operava una potente antenna ad onde corte. Il 4 settembre 1944 Bruxelles venne liberata e RNB trasmise la notizia direttamente dal Belgio dove erano stati istallati trasmettitori segreti durante l’operazione di resistenza “Samoyède”. La sezione militare della RNB riprese prontamente possesso della “Maison de la Radio”. Altri trasmettitori regionali furono successivamente istallati in tutto il paese. Questa ripresa immediata delle trasmissioni permise all’I.N.R. l’inizio repentino della sperimentazione televisiva, anche grazie al contatto con i mezzi e i metodi di produzione della B.B.C. e anche tramite il contatto con le nuove tecnologie di broadcast in arrivo dagli Stati Uniti sperimentate durante la guerra. E così che spettacolarmente, il 2 giugno 1953, la televisione sperimentale belga diffonde in diretta l’incoronamento di Elisabetta II d’Inghilterra. La televisione sperimentale inizia così una serie di programmi che saranno alla base delle attività future della RTBF. In occasione dell’esposizione universale di Bruxelles del 1958, la televisione belga acquista alcuni furgoni equipaggiati per la trasmissione esterne e istalla nuovi trasmettitori che raggiungono il 96% del territorio. Inizia la stagione dei grandi reportages con il programma « Neuf Millions » ispirato ai grandi servizi d’informazione della BBC e le prime prove di scambi di programmi nell’ambito dell’Eurovisione. Il numero dei radiogiornali e poi telegiornali aumenta sensibilmente passando da 5 edizioni al giorno nel 1947, 8 nel 1952, 9 edizioni al giorno con cinque “flash dell’ultima ora” nel 1960. Una particolarità tutta belga, nel 1961-2 venne introdotta la « teledistribution » a Liegi e Namur. E’ iniziata di fatto la prima forma di televisione via cavo sul continente europeo. A partire da questo periodo la radio-televisione percepisce un canone che permette di potenziare non solo il palinsesto ma di modernizzare le apparecchiature così di mandare in onda nel 1971 la prima trasmissione a colore “Le Jardin extraordinaire”, una serie di trasmissioni sulla natura largamente ispirata ai servizi della BBC, ma interamente realizzata dalla nutrita scuola di documentaristi-naturalisti belgi. Nel 1973 venne prodotto il primo telegiornale a colore seguendo ormai la tendenza europea.
In questo clima di rinnovamento diffuso e di utilizzo di nuove tecnologie di broadcasting, il 1974 vede la nascita di una serie di trasmissioni radio e tv intitolata «Interwallonie». Queste trasmissioni destinate alle varie comunità straniere permettono per la prima volta agli emigrati di prendere la parola liberamente e di autogestire il proprio spazio radiofonico e televisivo. Ecco che nasce la trasmissione “Ciao Amici” per la comunità italiana, “Para Vosotros” per gli utenti di lingua spagnola e “Ileîkoum” per la comunità araba e marocchina in particolare.

Nell’ambito della ricerca nell’archivio della RTBF è doveroso ricordare l’iter seguito. L’accesso agli archivi della RTBF, servizio Imadoc, si è svolto presso la sede centrale di Bruxelles. Dopo avere ricevuto il permesso di consultare la banca data interna sia dell’archivio radiofonico che di quello televisivo è stata data la possibilità di avere accesso a circa un centinaio di schede relative a filmati archiviati dal 1951 sul tema “italiani in Belgio”. I filmati di varie lunghezze possono durare pochi minuti per i servizi diffusi del telegiornale fino ad alcune ora per quanto riguarda i documentari sulla tragedia del “Bois du Cazier” del 1956 o sulla crisi dell’alloggio degli italiani negli anni 70 a Bruxelles. La consultazione dell’intero gruppo di trasmissioni “Ciao Amici” realizzate in lingua italiana è stata particolarmente interessante.7 Si tratta infatti di una “rarità” dell’archivio della RTBF. Questa trasmissione tv deriva direttamente da una trasmissione radiofonica dallo stesso nome che andava in onda a Liegi per la comunità italiana. La trasmissione radio ebbe un tale successo che La RTBF pensò di portarla in tv in uno spazio autogestito. Ricordando che nella metà degli anni 70 la RTBF va incontro ad un generale riammodernamento con programmi a colore, destinati a nuove fasce di pubblico come i giovani e gli emigrati. Questa trasmissione era realizzata in completa autogestione ma con l’utilizzo del materiale di produzione messo a disposizione dalla RTBF. La formula denominata “émission concédée”, permetteva a gruppi autogestiti di esprimersi in piccoli spazi del palinsesto nazionale, una volta a settimana. La trasmissione durava all’incirca mezz’ora e faceva il punto sulle notizie italiane, proponendo un servizio della Rai e un servizio realizzato in Belgio sulla realtà italiana locale.
La rarità e l’importanza di questa modesta trasmissione risiede nel fatto che i diritti della trasmissione non appartengono alla RTBF che in teoria non avrebbe dovuto archiviare le bobine. Il fatto stesso che le trasmissioni siano ancora su bobine 35 millimetri con doppio nastro sonoro/film non ancora digitalizzate diventa un’ulteriore fattore di rarità. L’archivio RTBF sta infatti operando da alcuni anni la digitalizzazione completa dei suoi materiali.8 La visualizzazione è stata dunque possibile solo su tavola di montaggio e ha richiesto un tempo più lungo rispetto alle video-cassette in formato Umatic, vhs o Digitalvideo. E’ stato possibile visionare anche una decina di bobine delle trasmissioni destinate al pubblico di lingua araba “Eleikoum” e di lingua spagnola “Para vosotros” così come altri filmati delle serie “A suivre”, “Antenne soir”. Quest’ultime destinate ad pubblico più ampio per l’utilizzo esclusivo della lingua francese così come le trasmissioni della serie “tv scolaire” dedicate alla didattica dei giovani e degli adulti.

In tutte queste produzioni svetta il caso “Bois du Cazier”. L’8 agosto 1956 segna infatti un punto cardine del rapporto tra media e comunità italiana locale. Nella catastrofe del “Bois du Cazier” oltre la metà delle vittime furono italiane. Il Belgio prende finalmente atto della presenza italiana nella società civile belga. Questo battesimo funereo fa scrivere nei quotidiani: “désormais, ils sont des nôtres!”.9 E da segnalare che dal secondo dopoguerra in poi, gli incidenti in miniera sono sempre più numerosi e sempre più violenti, spesso causando numerose vittime e feriti. Tra il 1946 e il 1963 morirono un totale di 867 italiani in seguito ad incidenti in miniera.Si registra unamedia di circa 50 decessi l’anno.

Morti in miniera dal 1946 al 1972.10
Anno Località N° di decessi
Maggio 1946 Dampremy 16
Maggio 1950 Mariemont-Bascoup 39
Marzo 1951 Châtelet 3
Giugno 1952 Monceau-Fontaine 10
Gennaio 1953 Wasmes 20
Settembre 1953 Baudour 12
Ottobre 1953 Ougrèe-Marihaye 26
Maggio 1954 Quarengnon 7
Febbraio 1956 Quarengnon 7
Agosto 1956 Marcinelle 256
Maggio 1962 Lambusart 6
Novembre 1972 Monceau-Fontaine 6

Se molti incidenti dipesero da manovre azzardate da parte dei minatori è anche vero che la fatiscenza della maggioranza delle miniere belghe favoriva l’insorgere degli incidenti. I dirigenti delle miniere infatti non investivano più da tempo sull’ammodernamento delle strutture perseguendo in tal modo la logica del massimo profitto e della minima spesa. Fu così che venne maggiormente penalizzato il fattore sicurezza.11In questo panorama di numerosi incidenti spicca il disastro della miniera di “Bois du Cazier” a Marcinelle che sopraggiunge l’8 agosto 1956. Dopo l’ingresso del primo turno dei 274 minatori si verificò un guasto tecnico all’ascensore adibito al trasporto del carbone grezzo. Un vagone si incastrò al livello – 975, recidendo alcuni cavi elettrici. Divampò così uno spaventoso incendio nelle gallerie più basse. L’incidente provocò di fatto la più grande sciagura mineraria del dopoguerra europeo. Dei due manovratori di vagone si salvò solo Ianetta che fuggi in Canada. Un incredibile resoconto testimonia dell’atroce incidente:

“A l’étage des 975 mètres, de longues flammes bleues sortent en rugissant de la galerie et les trois hommes, l’espace d’un éclair, ont la vision infernale d’une fournaise aveuglante.”12

Mentre si organizzavano i primi soccorsi sul piazzale della miniera, i soccorritori, tutti minatori formati al salvataggio iniziarono le loro terribili discese alla ricerca dei sopravvissuti. Pochi di loro si salvarono. Il 22 agosto, dopo innumerevoli tentativi di salvataggio una squadra capitanata da Angelo Berto tornava dal livello 1.035. Berto si lasciò scappare la frase che fece il giro del mondo: “Tutti cadaveri”. Avevano ritrovato decine di cadaveri, tutti morti in seguito all’inalazione dei fumi dell’ossido di carbone. Le ricerche erano finite. Perirono 136 italiani, 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 5 francesi, 3 ungheresi, 1 inglese, 1 russo, 1 ucraino, 1 olandese. La catastrofe toccò 248 famiglie e fece 417 orfani.

I servizi realizzati durante questa sciagura sono purtroppo andati persi per via di una cattiva conservazione delle pellicole che ha permesso il dilagare della “sindrome dell’aceto”.13Esistono di fatto pochi secondi di girato originale dell’epoca della sciagura. Questi piccolissimi frammenti di pellicola non sono più disponibili presso l’archivio allo stato originale (su pellicola) ma sono stati riversati su nastro magnetico e in formato digitale. Rimane storico il primo servizio completo realizzato sulla sciagura. « Il y a 20 ans, Marcinelle » realizzato da Christian Druitte.14 Il documentario è parte di una serie di reportage intitolati “Mémoires d’hommes” realizzati nel 1976, anno di apertura della sede distaccata della RTBF di Charleroi, comune limitrofe a Marcinelle. Il giornalista in una intervista personale racconta la serie di difficoltà che ha dovuto sormontare per realizzare il documentario. Non solo limiti tecnici ma anche problemi politici non indifferenti. Non gli venne infatti concessa l’autorizzazione per riprendere l’area interna del sito della miniera. Il clima tutto sommato ancora pesante intorno all’area della sciagura viene inasprito soprattutto da parte dei dirigenti minerari inoltre la zona della miniera, abbandonata solo alcuni prima, offriva un terreno non ancora bonificato e particolarmente pericoloso. Riprendere l’interno della miniera sarebbe stato comunque tecnicamente impossibile visto che le gallerie sotterranee si riempiono d’acqua molto rapidamente quando non funziona il sistema di pompaggio delle acque sotterranee d’istillazione. Inoltre Druitte trovò particolari difficoltà nel reperire i testimoni diretti della sciagura. Gran parte dei minatori coinvolti erano ormai in pensione e quasi tutti erano sprovvisti di telefono a testimoniare lo stato di relativa povertà nel quale versavano nonostante gli anni passati a lavorare in miniera. Druitte dovette dunque prendere contatto con loro tramite un gigantesco “porta a porta”. Per ultimo il minatore reputato colpevole della tragedia, Iannetta, era emigrato in Canada dove fu contattato tramite un provvidenziale elenco del telefono locale. La sua intervista fu particolarmente difficile e durò infatti solo alcuni minuti. Il giornalista si ricorda questo triste episodio, nella quale intervista Ianetta sembrava letteralmente violentato dalle domande del suo ex-compagno minatore presente durante le riprese.

All’epoca dei fatti l’opinione pubblica fu scandalizzata dalla tragedia. Le due commissioni d’inchiesta, una statale e l’altra del patronato minerario, riusciranno a placare per poco la sete di giustizia dei minatori e delle famiglie coinvolte. Il quotidiano di Charleroi “L’Indépendance” “inventava” ogni giorno una notizia pur di rendere i fatti più sensazionali. Ogni giorno proponeva interviste e servizi speciali, spesso senza attenersi alla verità.
Il documentario televisivo di Druitte è di fatto il primo “documentario” realizzato criticamente su basi scientifiche. Diventerà l’archetipo per tutti i documentari futuri e servirà da modello per tutte le commemorazioni future. E’ il primo documentario che cerca di ripercorrere gli attimi della sciagura con animazioni e spiegazioni scientifiche. Druitte traccia anche il clima dell’epoca con interviste a minatori, delegati sindacali e ingegneri delle miniere. Il documentario riesce così ed evidenziare il vero e proprio “Far-west” industriale minerario belga che vigeva all’epoca, dove la legge del massimo profitto era l’unica legge rispettata e dove tutti erano a conoscenza delle pessime condizioni di lavoro e di sicurezza. All’uscita del documentario vi fu un grande dibattito pubblico su quotidiani e riviste. Il quotidiano “La Wallonie” scandalizzato dal reportage scrisse una serie di articoli contro Druitte e la sua equipe. Sia la confindustria locale che gli ingegneri minerari si schierano apertamente contro la ricostruzione di Druitte. Il pubblico accolse però con favore il reportage anche perché Druitte citò a sua difesa i verbali inequivocabili del processo della sciagura del “Bois du Cazier”. Dopo questo documentario i servizi sul “Bois du Cazier” si alternano ad ogni commemorazione. I documentari così realizzati e denominati “round-up” vengono puntualmente realizzati per i 30 anni, 40 anni e finalmente per i 50 anni della sciagura. Per l’ultima commemorazione, simile ad una festività nazionale, venne ideato un intero palinsesto affiancato dall’uscita in commercio di un doppio dvd contenente un film fiction e il documentario di Druitte, rimasto unico esempio di lucidità giornalistica. Tutti i successivi documentari e servizi realizzati sulla sciagura citano le immagini di Druitte così come i pochi frammenti originali.

La trasmissione “Ciao amici” parte alcuni anni prima di questo memorabile documentario. E’ l’unico caso di televisione in lingua italiana presso la RTBF. La trasmissione « Ciao Amici » è particolarmente interessante non solo per i motivi già citati ma anche perché non esistono registrazioni archiviate della omonima trasmissione radio. E’ stato così perduto un patrimonio di programmazione in lingua italiana con interventi del pubblico e musica italiana. La trasmissione televisiva di 30 minuti circa andava in onda il sabato mattina verso mezzogiorno, se tuttavia non sussistevano altre priorità nazionali come elezioni o dibattiti politici oppure se il sabato in questione era festivo. In questo caso la trasmissione saltava senza essere recuperata. « Ciao Amici » era presentato sia alla radio che alla tv da Francesca Adam in lingua italiana anche se alcune parti erano tradotte in francese. Alcune interviste, in particolare alle seconde e terze generazioni si svolgevano interamente in francese, poiché spesso non riuscivano ad esprimersi con un italiano comprensibile. Le trasmissioni seguivano una griglia interna assai regolare e ripetitiva. Alcune notizie dall’Italia provenienti da registrazioni dalla RAI (non presenti nell’archivio RTBF) precedevano un piccolo documentario sulla realtà italo-belga. Venivano presentati eventi culturali, mostre e concerti di artisti italiani residenti in Belgio oppure eventi sportivi con interviste ad atleti italiani così come messaggi in burocratese del console o dell’ambasciatore di turno presumibilmente incomprensibili per la maggior parte degli utenti. La trasmissione accordava un certo spazio ad incontri con studenti di lingua italiana e associazioni italiane. Seguiva una ricetta di cucina eseguita da uno chef italiano di qualche ristorante locale o da una persona anziana particolarmente legata alle tradizioni regionali, qualche brano di musica leggera in provenienza dall’Italia o da qualche manifestazione canora in Belgio. Gli ultimi minuti erano dedicati alle notizie sportive, la maggior parte delle volte le cronache di calcio italiano di serie A e B.
Questa griglia proponeva nella sua apparente semplicità un programma che portava facilmente alla creazione di stereotipi semplicistici, così tenaci su lungo periodo. Paradossalmente una trasmissione gestita da italiani e creata per un pubblico italiano poteva dare una idea ripetitiva e stereotipata della vita quotidiana degli emigrati.
Ma alcune trasmissioni sono particolarmente toccanti e aiutano a rompere il blocco delle idee preconcette. Ne sono esempio i reportages eseguiti dopo i terremoti italiani del 78-80. In questo caso la troupe di « Ciao Amici » si recò personalmente sui luoghi del disastro intervistando numerose persone. L’obiettivo era chiaro: informare la numerosa comunità italiana originaria delle zone colpite. I presentatori seguirono anche i vari treni della solidarietà partiti da Liegi… Uno sforzo davvero notevole se si ricorda gli esigui fondi messi a disposizione dei giornalisti di « Ciao Amici ».15 In questo modo si riallacciava un legame con l’Italia. Gli emigrati in un gesto di estrema solidarietà non solo mandavano viveri, strumentazioni mediche e perfino una intera squadra di soccorso ma ospitavano i famigliari italiani rimasti senza casa.
Questa “piccola trasmissione” in autogestione, di fatto aiutò nel suo piccolo l’integrazione della comunità Italia ancora visibilmente difficile in alcuni servizi.16 Nella sua semplicità, la trasmissione godeva di un relativo seguito tanto che all’annuncio della chiusura nel 1986 un gran numero di lettere di reclamo arrivarono alla redazione per chiederne il prolungamento. Ma nel 1986 iniziarono le trasmissioni di RAI UNO in chiaro sul territorio belga e terminava così un’epoca. La trasmissione “Ciao Amici” aveva comunque saputo lasciare una traccia senza eguale nella comunità italo-belga.

Bisogna ricordare che la comunità italiana che arriva in Belgio alla fine della seconda guerra mondiale non ha strumenti culturali che possano aiutare l’adattamento alla vita belga e alla lingua francese. Fatto ancora peggiore, non dispone di nessun strumento per un ipotetico ritorno in Italia. Nessuna scuola d’Italiano, nessun quotidiano o rivista in arrivo dall’Italia, nessuna trasmissione radio in italiano, nessuna proiezione di film in lingua italiana…Ne sono esempio i primi corsi per figli d’immigrati in lingua italiana istituiti verso la metà degli anni 60. Finalmente nel 1973 vanno in onda le prime trasmissioni radio e tv di « Ciao Amici ».
Più di 20 anni sono passati dall’arrivo dei primi convogli di lavoratori. Per la prima generazione è già troppo tardi. D’altro canto la seconda generazione s’impossessa rapidamente di ogni mezzo di comunicazione per rivendicare l’appartenenza alle due culture. Gli anni 70 permettono dunque la creazione di una moltitudine d’attività culturali, sportive, associative. Le associazioni più attive come il CASI-UO di Bruxelles che propone una innovativa forma di “università operaia” nascono in quegli anni d’impegno socio-politico. Sono letteralmente creatrici d’una nuova sensibilità che lega cultura di alto livello17 alla riscoperta della lingua, dei dialetti e della vita quotidiana italiana. Gli anni 70 diventano dunque il simbolo della presa di coscienza e dell’integrazione attraverso l’elogio della differenza culturale. Non si tratta più di lasciare libero corso alla vergogna della differenza sociale ed economica tipica dei primi emigrati.
E’ evidente che la radio e in seguito la tv sperimentale non avrebbero potuto dare voce ai primi arrivati per via di una sensibilità diversa da quella di oggi. Altri grandi temi monopolizzavano la storia belga e i notiziari (la ricostruzione post-bellica, la questione reale, gli scioperi violenti del 1960, la decolonizzazione del Congo…). L’arrivo dei primi convogli era pudicamente nascosto nelle stazioni minori e nei settori riservati al movimento delle merci. Le trasmissioni radio non ne parlavano nè quelle tv. E praticamente impossibile sapere oggi se alcune trasmissioni furono comunque dedicate al fenomeno emigrazione, perché ricordiamo che la tv ha iniziato a registrare immagini e suono solo molto tardivamente (anni 70), visto i costi di sviluppo delle pellicole. Bisogna aspettare l’avvento del nastro magnetico, economico e molto più resistente nei vari formati Umatic e Vhs per permettere una registrazione sistematica dei programmi. I documenti presenti presso gli archivi RTBF hanno dunque una importanza capitale per capire che tipo di cambiamenti hanno potuto occorrere nella coscienza nazionale. Il “melting pot” di culture e di sensibilità della comunità immigrata italiana è diventato così lentamente parte integrante della vita quotidiana belga ed europea non solo tramite una progressiva integrazione ma soprattutto tramite la rappresentazione di se stessa all’interno di un processo di creazione mediatica.

Note

1 Questo articolo è parte integrante della ricerca di dottorato attualmente in corso: “Italiani fuori d’Italia, immagini stereotipate tra xenofobia e realtà. Migranti italiani nei mass-media belgi (1946-84).” In questa ricerca si cerca di tracciare l’evoluzione nella rappresentazione della figura del migrante italiano nella radio e televisione belga a partire dal secondo dopo guerra.

2 La canzone “A la mutuelle” del cantante belga “Grand jojo”, deride apertamente il modo facile di usufruire della mutua da parte degli italiani.

3 RTBF; IMADOC, Nastro del 25 ottobre 1970, 8 minuti circa all’interno del telegiornale, B/N.

4 RTBF; IMADOC, Nastro del 8 luglio 1973, 2,50 minuti all’interno del telegiornale, B/N.

5 10 giugno 1979 e 17 giugno 1984

6 Sessione del “Parlement de la comunauté française” del 17 febraiio 2005. [Trad: Se la RTBF non è l’unico operatore detentore di archivi audiovisivi, è stabilito che la RTBF ne possiede la maggioranza della Comunità francese. Inoltre, la RTBF detiene, per la sua storia, degli archivi esclusivi, parte integrante del patrimonio della Comunità francese.]

7 156 trasmissioni dal 8.9.1973 al 18.02.1989.

8 Operazione già completata per quanto riguarda i materiali radio.

9 [Trad: Ormai sono dei nostri…]

10 AAVV, … per un sacco di carbone, Op. cit., p. 121.

11 Delaet, Forti, Groff, Op. cit., p. 69.

12 W. Bourgeois, Marcinelle 1.035m., Verviers, De Gerard, 1956, p. 10. [Trad : al piano 975, lunghe fiamme blu uscivano ruggendo dalle gallerie e i tre uomini ebbero, nello spazio di un lampo, la visione infernale di una fornace abacinante.]

13 Processo di decomposizione chimica che, come lo indica il nome, produce un particolare odore di aceto.

14 Il documentario è diretto da Robert Mayence, storico regista della Tv belga. (1976, 1h55, colore, betacam)

15 RTBF; IMADOC, “Ciao amici” del dicembre 1980, 23,22 minuti, 35mm, colore. RTBF; IMADOC, “Ciao amici” del 3 e 5 marzo 1981, 32,43 minuti, 35mm, colore.

16 Quartieri poveri e fatiscenti di Bruxelles dove vive la comunità italiana, difficoltà di esprimersi, giovani senza lavoro, razzismo, crisi dell’alloggio… RTBF; IMADOC, “Ciao amici” del 6 febbraio 1981, 27,07 minuti, 35mm, colore.

17 Teatro della commedia dell’arte, classici della letteratura italiana (Dante, Pirandello), mostre di archeologia e di opere del Rinascimento… RTBF; IMADOC, “Ciao amici” del 2 aprile 1988, 29,57 minuti, 35mm, colore., RTBF; IMADOC, “Ciao amici” del 7 aprile 1983, 9,39 minuti, 35mm, colore., RTBF; IMADOC, “Ciao amici” del 25 febbraio 1984, 8,02 minuti, 35mm, colore.