L’emigrazione dal Lazio meridionale nel secondo dopoguerra

L’analisi del quadro socioeconomico e delle vicende storiche che ne hanno caratterizzato la nascita costituiscono punti di riferimento obbligato per l’individuazione dei caratteri dei movimenti migratori che hanno interessato la provincia di Frosinone nel secondo dopoguerra.
Istituita nel 1927, la provincia nasceva dall’unione di due aree storico-geografiche differenti, il circondario di Frosinone e quello di Sora, appartenuti il primo alla provincia di Roma e il secondo a quella storica di Terra di Lavoro, cioè Caserta. Il circondario di Sora era stata una zona di forte emigrazione fin dall’età moderna, mentre quello di Frosinone non aveva una forte tradizione migratoria, soprattutto perché mancava una mentalità propensa alla mobilità. Infatti il governo pontificio non aveva mai giudicato positivamente l’emigrazione e, dunque, non aveva rilasciato con facilità i passaporti, scoraggiando gli abitanti a partire. Per di più agiva un altro aspetto che faceva del frusinate un’area di scarsa emigrazione al di fuori dei confini dello Stato Pontificio dovuto all’attrazione esercitata da alcune sue zone interne, come la Campagna Romana, che aveva generato un sistema migratorio intra-territoriale dove affluivano circa 100.000 lavoratori stagionali ogni anno.

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L’emigrazione italiana in Belgio nel secondo dopoguerra vista attraverso la televisione.

Per potere valutare le modalità e il livello d’integrazione nella società d’arrivo è particolarmente interessante soffermarsi sul posto che occupano gli immigrati italiani nei mass media del paese di accoglienza. Quale importanza ebbero nella “rappresentazione” mediatica della società belga?

Il Belgio alla fine della seconda guerra mondiale necessitava di una nuova mano d’opera, poco qualificata e disposta e scendere in miniera, cosa che gli operai belgi non erano più disposti a fare. Questa domanda di mano d’opera venne colmata dagli operai stranieri, in particolare da italiani sopratutto nel primo decennio post-bellico. L’Italia è la prima nazione ad inviare i suoi uomini a lavorare in Belgio nell’ambito di accordi bilaterali per lo scambio tra mano d’opera e carbone. Il Belgio impiegò in seguito mano d’opera in prevalenza dai paesi mediterranei in ritardo economico.

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Modelli regionali di emigrazione

Appunti sul fenomeno migratorio in Campania

La Campania ha conosciuto due grandi esperienze migratorie verso l’estero: la cosiddetta “grande emigrazione”, a cavallo tra la fine del XIX secolo e il primo ventennio del XX, e l’emigrazione del secondo dopoguerra, stimolata soprattutto dalla domanda di manodopera dei paesi latinoamericani (in particolare Argentina, Brasile, Uruguay e Venezuela) e dei paesi del Nord Europa. L’emigrazione campana nel corso degli anni Cinquanta ha cambiato sostanzialmente la sua direzionalità, in quanto, da una parte, si sono affievoliti progressivamente i flussi verso le Americhe e, dall’altra, sono cresciuti di molto quelli diretti verso l’Europa settentrionale.
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Asei 1 – La stampa italiana nel secondo dopoguerra

Acquista la rivista nel BookShop di Sette CittàLa stampa in lingua italiana dopo il 1945 LA STAMPA ITALIANA NEL SECONDO DOPOGUERRA
di Emilio Franzina

ASEI 001 – 88-7853-013-1 – 2005 – 216 p. – € 25,00

Leggi le prima 10 pagine (178,61 KB)

Non tutti coloro che si sono occupati di storia dell’emigrazione italiana vi hanno attinto in forma sistematica, tuttavia è abbastanza noto che per molti decenni l’esistenza di una stampa “etnica” ha svolto un ruolo importante nelle vicende dei gruppi provenienti dalla penisola. Recentemente Bénédicte Deschamps, che partecipa anche in questa sede al lavoro di équipe sull’argomento, ha tracciato un breve profilo di quel microcosmo giornalistico durato in vita quasi un secolo in varie parti del mondo sotto le insegne della comune appartenenza, più che “nazionale”, linguistica. Questi “echi d’Italia”, che in certi momenti hanno raggiunto tirature davvero ragguardevoli e significative, ebbero nei grandi quotidiani in lingua italiana d’oltreoceano, ma anche in qualche vivace settimanale del vecchio continente, le loro punte di diamante e difficilmente si potrebbe oggi prescinderne volendo ripensare alla parabola delle cosiddette “comunità immigratorie” di alcune capitali americane ed europee. Quella stampa fece infatti a lungo leggere e commentare notizie e informazioni nella lingua degli immigrati, o, se si preferisce, in una lingua che molti di essi cominciarono per paradosso ad apprendere e a capire […]
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