Studiare il frontalierato nell’Archivio di Stato d’Imperia, Sezione di Ventimiglia

Il 21 settembre 2013, a Ventimiglia, un migliaio di manifestanti si sono mossi in corteo sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione dei lavoratori frontalieri[1]. L’evento, organizzato dal gruppo Frontalieri IncaZZZati, è stato anticipato da un incontro con i sindacati e le altre associazioni dei frontalieri per discutere come fronteggiare i nuovi problemi fiscali e la perdita di entrate dopo l’adozione dell’euro. Da una parte, infatti, coloro che risiedendo in Italia lavorano in Costa Azzurra o nel Principato di Monaco non possono più giocare sul differenziale tra franco e lira. Dall’altra, sono sorte nuove difficoltà in merito alla tassazione, all’assistenza sanitaria, all’aumento del costo dei trasporti tra il Ponente ligure, la Francia o il Principato. Il problema è molto grave per un’area sovrappopolata dall’emigrazione post-seconda guerra mondiale dal meridione al circondario fra San Remo e Ventimiglia per beneficiare del lavoro in Francia.

Il fenomeno del frontalierato, così tornato alla ribalta, ha una lunga storia alle ed assieme a paralleli movimenti dal Piemonte è già stato studiato, in tutta la sua genesi[2]. I saggi appena ricordati in nota sottolineano come quella tra Nizza e Ventimiglia sia sempre stata un’area transfrontaliera, nella quale ci si è mossi nei due sensi. Dopo la seconda guerra mondiale lo sviluppo francese ha, però, incrementato la mobilità dall’Italia alla Francia e inoltre ha attirato nella Liguria occidentale molti meridionali, in particolare calabresi, che hanno rivitalizzato le “pigne”, cioè i vecchi centri storici collinari, e trovato impiego oltre la frontiera[3]. Uno studio pubblicato nel 1967 ricorda come tra Taggia e Ventimiglia (provincia di Imperia) risiedano 180.000 abitanti, dei quali 30.000 immigrati. L’arrivo di questi ultimi è stato particolarmente copioso nel quinquennio 1956-1961 e tra i nuovi arrivati almeno un terzo proviene da Calabria e Sicilia, con una maggioranza della prima[4]. In un altro contributo, dedicato alle statistiche del 1965, lo stesso autore spiega come la popolazione di Ventimiglia ammonti a 26.4000 abitanti, di cui 9.900 immigrati (parti al 37%). Di questi ultimi almeno un terzo vive del frontalierato. Molti, però, quando sono arrivati non avevano alcuna offerta di lavoro ed è stato necessario assisterli e assistere le loro famiglie[5]. Al Comune e all’Ufficio zonale del lavoro si è quindi aggiunta anche la parrocchia di S. Agostino, coadiuvati da numerosi volontari.

Agli inizi degli anni 1970-1980 la presenza dei frontalieri/immigrati aveva attirato l’attenzione delle strutture pubbliche, soprattutto per quanto riguardava gli accordi fatti con la Francia e il Principato di Monaco. Inoltre la locale Regione si era resa conto di quanto questa mobilità si innestasse sul più generale e non ancora del tutto assorbito arrivo d’immigranti dal Meridione: alla metà degli anni 1970 il 64% del frontalierato era infatti composto da calabresi e siciliani, mentre i liguri erano solo il 15% e forse per giunta non erano altro che la seconda generazione, nata in loco, dei primi[6]. Al tempo i frontalieri, come tutti gli immigrati meridionali, erano percepiti in Liguria come una sorta di gruppo estraneo, difficilmente assorbibile[7]. Tuttavia con il tempo si è finito per dare per scontato tale fenomeno senza interessarsene ulteriormente.

La questione del frontalierato non era invece risolta e soprattutto avrebbe continuato ad avere il suo peso anche in altre regioni settentrionali. In Lombardia, per esempio, i frontalieri italiani si sono risentiti negli ultimi anni per le reazioni svizzere contro lavoratori che percepiscono lo stipendio pagando meno tasse dei locali. C’è stato così un paradossale scontro fra “leghismi” lombardo, in questo caso favorevole agli emigranti, ed elvetico, senza per altro rilevare come tutta la Confederazione protesti oggi per la pressione dei lavoratori non residenti[8]. In effetti in Svizzera la polemica non è soltanto contro gli italiani, ma colpisce soprattutto i francesi, cui appartiene la maggior parte dei pendolari come attestano storiografia e statistiche[9]. Anche per quest’area è ben studiata la genesi storica della realtà più recente[10], ma gli archivi mostrano come sia una faccenda plurisecolare che affonda le sue radici nell’interscambio lavorativo fra Ducato di Milano, Ticino e Grisoni[11]. Anche qui naturalmente lo sviluppo novecentesco della Svizzera ha mutato gli equilibri e la grande migrazione interna del secondo dopoguerra ha fatto sì che molti frontalieri non siano più lombardi di vecchia data, ma altri migrati spostatisi nella regione frontaliera dal Nord-Est o dal Meridione[12].

Esiste un terzo confine, quello con l’Austria, contraddistinto da migrazioni di vecchia data e recente frontalierato, ma in questo caso gli studi mancano, se non per i periodi più lontani, che qui non ci interessano. Mentre i lavoratori frontalieri non sembrano essere stati nei decenni passati più di qualche centinaio[13].

Complessivamente non difettiamo di piste di studio sui frontalieri. Non sappiamo, però, molto sulla documentazione relativa. Dunque è interessante affrontare uno degli archivi che possono svelarci aspetti specifici del fenomeno: a Ventimiglia, ultima città ligure prima del confine con la Francia, esiste una sezione distaccata dell’Archivio di Stato di Imperia. Lo stesso edificio ha una storia che ci interessa. La villetta fu costruita nel 1886 da uno spedizioniere di Milano e nel 1920 fu acquistata dalla Società Umanitaria di Milano per essere trasformato in ricovero di emigranti. Cinque anni dopo fu espropriata dallo Stato, senza cambiare di funzione, visto che divenne sede del Regio Ufficio per l’emigrazione – Ispettorato di frontiera per gli italiani all’estero, comprendente pure un dormitorio per una ventina di migranti[14]. Nel 1952 l’ispettorato fu sciolto, ma continuò a funzionare in attesa di essere sostituito da altro ente, come accadde infine quando l’Ufficio provinciale del lavoro d’Imperia creò un punto di assistenza a Ventimiglia incaricato di sovrintendere agli espatri, definitivi o giornalieri, e ai rimpatri.

Negli anni 1960-1970 gli espatri spesso stagionali iniziavano a convivere con il crescente e non facilmente governabile fenomeno dei frontalieri, creando non pochi grattacapi alle strutture pubbliche[15], quindi la documentazione ventimigliese ha un notevole interesse anche per afferrare le dimensioni numeriche della vicenda. Grazie all’aiuto del personale di questa sezione distaccata dell’Archivio di Stato di Imperia è stato possibile procedere a una prima sommaria ricognizione.

Le due serie che ci interessano sono quelle dell’Ufficio per l’emigrazione e dell’Ufficio provinciale del Lavoro. La prima è suddivisa in sottoserie, che coprono anche gli anni 1950-1960: Affari Generali (relativa a passaporti, documenti e tessere), Amministrazione (rendiconti e inventari), Stampati-Pubblicazioni, Statistiche e relazioni (qui troviamo per alcuni periodi addirittura rapporti giornalieri su emigranti e frontalieri), Assistenza. L’Ufficio provinciale del lavoro raccoglie documentazione successiva al 1961 e qui troviamo gli elenchi degli espatriati e quelli dei rimpatriati, nonché le domande per le tessere di frontaliere e gli elenchi di questi migranti peculiari. Nei fascicoli di questa serie troviamo poi spesso statistiche ripartite su tre sezioni: espatri, rimpatri e frontalieri. Inoltre abbiamo indagini specifiche: nella serie dell’Ufficio provinciale del lavoro, faldone 11, fascicolo 5, abbiamo un’indagine sul fenomeno dei lavoratori italiani operanti nel Principato di Monaco e nella Costa Azzurra. Inoltre reperiamo materiali sull’attività alla frontiera e all’estero dell’ONARMO (Opera Nazionale di Assistenza Religiosa e Morale degli Operai, fondata nel 1926 sotto il patronato della Congregazione Concistoriale). Per esempio il fascicolo 7 dell’appena citato faldone contiene documenti sugli anni 1965-1967.

Alcune unità archivistiche ci descrivono il funzionamento degli uffici in questione. Per quanto riguarda l’Ispettorato vediamo come dopo la guerra funzionasse con due dattilografi, due impiegati e due inservienti e comprendesse un piccolo dormitorio per donne e bambini e una sala di sosta (Ispettorato di frontiera per gli italiani all’estero, faldone 12, fasc. E/1, fasc. 1). Esso inoltre beneficiava di altre strutture nel territorio, talvolta requisite a privati. Nella vicina Bordighera, è requisito nell’aprile 1947 l’Hotel Continentale, sino allora utilizzato per i sinistrati di guerra, ed è trasformato in Centro raccolta lavoratori. L’ispettore di frontiera che si interessa dell’operazione scriveva al Ministero degli Affari Esteri per avvertire che aveva cercato di ottenere anche l’Hotel Angst “attualmente adibito a Campo Profughi”. Nella confusione del dopoguerra vi era dunque una vera e propria concorrenza fra strutture che assistendo categorie diverse finivano per riflettere sulla possibilità dell’emigrazione come valvola di sfogo[16].

Da notare che l’ispettore aveva proposto di occupare tutti gli alberghi sfitti (Hotel Miramare, Londra, ecc.) per insediarvi gli emigranti, ma la popolazione locale si era opposta (Ispettorato di frontiera per gli italiani all’estero, faldone 12, fasc. E/1, fasc. 2). Il prefetto aveva sostenuto la protesta dei bordigotti, mentre l’ispettore ribadiva a Roma l’importanza dell’emigrazione, ricordando, tra le argomentazioni a suo favore, non soltanto il bisogno di avviare oltre frontiera il sovrappiù di manodopera italiana e straniera allora stazionante nella Penisola, ma anche “quella relativa alla fornitura di carbone al nostro paese”[17].

Dai documenti risulta che l’emigrazione degli anni successivi alla guerra non fosse ancora prevalentemente giornaliera. Anzi, soprattutto nei primi anni 1950, si veniva ancora da lontano: nel 1953 troviamo infatti nei registri migranti da Bergamo, Verona, Perugia, Catanzaro e Reggio Calabria (Ispettorato di frontiera per gli italiani all’estero, faldone 12, fasc. D/3, relativo al 1953). Alcuni sono stagionali, per esempio sono arruolati dall’Ufficio del lavoro di Bergamo 38 boscaioli destinati alle Alpi francesi per soli tre mesi.

Con il tempo gli stagionali sono, però, sostituiti dai giornalieri che vengono monitorati con grande attenzione nel decennio successivo. L’Ufficio di lavoro di Ventimiglia ricordava l’11 luglio 1961 che era stato elaborato una schedario apposito, tanto più che l’assistenza malattia ai lavoratori nel Principato di Monaco e ai loro familiari aveva comportato la creazione di un ufficio monegasco a Ventimiglia (Ufficio Provinciale del Lavoro, Sezione Collocamento Ventimiglia, cartella 11, 1961-1967, fasc. 5). Per cooperare con quest’ultimo era stata quindi ricostruita la storia di ogni lavoratore frontaliere dal 1945 (prova indiretta, ma interessante dell’esistenza di frontalieri già nel primissimo dopoguerra).

Nel quadro di questi accertamenti si provvedeva a controllare il numero dei lavoratori che risultava essere per quanto riguardava il Principato di 1180 unità: 1100 impiegate a Monaco e 80 a Montecarlo, la città nuova sorta ai piedi del vecchio centro storico monegasco. Durante tali indagini i funzionari schedavano persino i treni presi dai lavoratori diretti a Monaco: questi risultavano così partire a seconda dei lavori alle 5.45, 6.28, 7.39 e 8.20, mentre i rientri nella città italiana erano alle 16.29, 16.57, 19.05, 19.30 e 20.05.

Sempre nello stesso fascicolo leggiamo una relazione del 24 maggio 1961, dove si spiega che i frontalieri occupati giornalmente nel Principato di Monaco e nei comuni francesi tra Mentone e Nizza, la cosiddetta Costa Azzura, risiedevano a Ventimiglie e nei comuni limitrofi: Airole, Olivetta S. Michele, Camporosso, Vallecrosia, Dolceacqua, Isolabona, Seborga, Bordighera, Ospedaletti e Sanremo. Il loro numero ammontava a circa 2500 unità (dunque, visti i 1180 per il Principato, i frontalieri verso la Francia sono un po’ più di 1300), che viaggiavano sui treni, sulle corriere e sui mezzi propri, talvolta combinando questi vari trasporti.

Come commenta l’estensore del rapporto:

 

Usano la ferrovia i lavoratori che abitano in Ventimiglia e nei comuni limitrofi serviti da treni sino alla stazione di confine di Ventimiglia stessa (Bordighera – Ospedaletti – Sanremo). I lavoratori che risiedono in Comuni della Valle Roja, della Valle Nervia e della Valle Crosia, in genere, si portano al mattino a Ventimiglia con mezzi propri (biciclette, motocicli, motorette) o con le autocorriere di servizio dal Comune di residenza a Ventimiglia per prendere il treno operaio in partenza da Ventimiglia per la Francia alle 93 6,28 o in quelli successivi delle ore 7,15, 7,44 e 8,25. I lavoratori che sono giunti a Ventimiglia con mezzi propri lasciano nei posteggi all’uopo allestiti davanti alla Stazione ferroviaria di Ventimiglia i loro mezzi di trasporto e si servono dei treni in partenza da Ventimiglia per la Costa Azzurra ed il Principato di Monaco alle ore sopramenzionate […]

 

Secondo l’ispettore gli abbonamenti ferroviari (i pendolari prediligevano quelli settimanali) erano circa 1300, mentre gli altri si recavano oltre confine con mezzi propri o con le autocorriere. Queste ultime erano in genere usate dai residenti nelle frazioni di confine di Ventimiglia, cioè Latte, Mortola e Grimaldi. La prossimità alla frontiera è stata studiata ed è un tema interessante, sia per i fenomeni di attraversamento clandestino, sia per l’abitudine a crearsi uno spazio, lavorativo e mentale, a cavallo di due mondi[18]. Tuttavia non facciamocene distrarre e continuiamo con il nostro rapporto, perché affronta il discorso sui documenti che devono avere i frontalieri.

Innanzitutto, premette l’estensore, essi devono essere in possesso di passaporto e contratto di lavoro. Inoltre essi sono sottoposti a norme legislative diverse e quindi devono essere in possesso di documenti diversi a seconda se svolgano le loro attività in territorio francese o monegasco. Nel primo caso devono avere una carta di soggiorno, pur continuando a mantenere la propria residenza effettiva nei comuni della Provincia di Imperia. Tale carta deve essere domandata al commissariato del posto di lavoro, che sia temporanea, ordinaria o privilegiata (la prima ha validità da 3 a 12 mesi, la seconda di 3 anni e la terza di 10). Inoltre devono avere una carta di lavoro: temporanea (1 anno), ordinaria (3 anni), ordinaria permettente di esercitare più professioni (validità illimitata), permanente. I lavoratori impiegati nel Principato devono invece avere un visto di ingresso e un permesso di lavoro provvisorio.

Non sono queste le sole serie disponibili nella sezione ventimigliese dell’Archivio di Stato di Imperia. Alcuni fondi del Comune di Ventimiglia sono ricchi d’informazione. Per esempio, si può qui citare  il fondo Comune di Ventimiglia, serie II, faldone 54, che contiene notizie relative alle migrazioni nella locale sottoprefettura dal 1868 al 1878. In esse si rileva come coesistano una migrazione verso l’interno e una verso l’estero. La prima è giudicata come frutto della mancanza di lavoro e quindi della ricerca disperata di impiego in altri luoghi della Penisola. La seconda è definita come “ricerca di maggior lucro” è quasi sempre a carattere temporaneo e mirata alla Francia, salvo due espatri “per le Americhe”. I numeri mostrano un andamento ondeggiante, con picchi non sempre sincronizzati, inoltre non ci informano se e quanti siano gli eventuali frontalieri:

 

Verso l’interno Verso l’estero
1868 14 25
1869 10 35
1870 17 50
1871 33 18
1872 36 25
1873 60 36
1874 95 62
1875 22 34
1876 16 37
1877 6 25

 

 

Pur se non ci troviamo di fronte a migrazioni quotidiane, è evidente come la partenza verso la Francia sia eminentemente temporanea e tale di fatto resta un secolo dopo. La relazione del posto di sosta migranti di un secolo dopo nel 1966 (Ufficio provinciale del lavoro, sezione di Ventimiglia, faldone 3, fascicolo 9) ci mostra come, frontalieri a parte, tutti i 499 migranti assistiti siano stagionali: in grandissima parte impegnati nella vendemmia (417), ma anche nella raccolta della mimosa (14), della lavanda (30) e del gelsomino (3). Provengono in genere dalla Liguria (340) o dal Piemonte (95), mentre sono di meno i calabresi (32) e i lombardi (11). Si dirigono verso le Alpi Marittime (boscaioli, mimosisti, raccoglitori di lavanda e gelsomino) o il Var (vendemmiatori), cioè in zone ben più lontane di quelle (Costa Azzurra e Principato di Monaco) preferite dai frontalieri.

[1]           In 1.000 a Ventimiglia contro fisco, 21 settembre 2013, http://www.ansa.it/web/notizie/regioni/liguria/2013/09/21/1-000-Ventimiglia-contro-fisco_9336476.html.

 

[2]           Cfr. il fascicolo monografico L’esodo frontaliero: gli italiani nella Francia meridionale, curato da Paola Corti e Ralph Schor, “Recherches Régionales. Côte d’Azur et contrées limitrophes”, 132 (1995); Laurent Dornel, La frontière (le voisin) et l’étranger. Les enjeux identitaires d’un conflit frontalier, “Revue d’Histoire du XIXe siècle”, 24, 1 (2003), pp. 111-124; il dossier Terres et gens de frontières: le cas exemplaire des migrations dans l’espace frontalier des Alpes du Sud, XIXe et XXe siècle, coordinato da Yvan Gastaut, “Migrations Société”, 140, 2012.

 

[3]           Gaetano Ferro, L’immigrazione calabrese nelle valli più occidentali della Liguria, “Quaderni di geografia umana per la Sicilia e la Calabria”, 3 (1958), pp. 137-152, e Movimenti di popolazione nella regione ligure: 1951-1971, Genova, Agis, 1973.

 

[4]           Giuseppe Boero, L’Assistenza sociale ed il fenomeno della “migrazione interna” interessante Ventimiglia e comuni viciniori, “Rassegna di servizi sociali e civili”, VI, 2 (1967), pp. 111-117.

 

[5]           Giuseppe Boero, L’assistenza ai frontalieri di Ventimiglia, “Esperienze sociali”, VIII, 1 (1967), pp. 3-13.

 

[6]           Regione Liguria, Il frontalierato in Liguria. Analisi delle problematiche sociali e territoriali nel comprensorio ventimigliese, Genova, Istituto F. Santi, [1977?].

 

[7]           Bruno Gozzi, I frontalieri della Liguria occidentale: analisi sociologica del fenomeno frontaliero nelle aree occidentali della Liguria, Roma, Abete, 1974. Per il quadro generale: Luciano Cavalli, Gli immigrati meridionali e la società ligure, Milano, FrancoAngeli, 1964.

 

[8]           Samuel Jaberg, con Sonia Fenazzi, Frontalieri, una realtà svizzera sempre più contestata, 2 luglio 2013, http://www.swissinfo.ch/ita/politica/Frontalieri,_una_realta_svizzera_sempre_piu_contestata.html?cid=36294570.

 

[9]           Claudio Bolzman e Marie Vial, Migrants au quotidien: les frontaliers. Pratiques, représentations et identités collectives, Zurich, Seismo, 2007; http://www.bfs.admin.ch/bfs/portal/it/index/themen/03/02/blank/key/erwerbstaetige0/ grenzgaenger.html.

 

[10]          Franco Pittau, I frontalieri italiani in Svizzera: problemi e prospettive, “Studi Emigrazione”, 67 (1982), pp. 387-403; Anna De Bernardi, Sul confine del lavoro. I frontalieri italiani in Ticino nel secondo dopoguerra, “Studi Emigrazione”, 180 (2010), pp. 812-827.

 

[11]          Si vedano gli echi negli studi di Paolo Barcella, in particolare nei volumi Emigrati italiani e missioni cattoliche in Svizzera, Roma, Fondazione Migrantes, 2007, e “Venuti qui per cercare lavoro”. Gli emigrati italiani nella Svizzera del secondo dopoguerra, Bellinzona, Pellegrini Canevascini, 2012.

 

[12]          Per due bilanci recenti: Franco Narducci, I lavoratori transfrontalieri in Svizzera, in Fondazione Migrantes, Rapporto Italiani nel mondo 2008, Roma, Edizioni Idos, 2008, pp. 349-359, e Raffaele Iaria, I frontalieri italiani nell’attuale periodo di crisi, in Fondazione Migrantes, Rapporto Italiani nel mondo 2010, Roma, Edizioni, Idos, 2010, pp. 91-94.

 

[13]          Franco Pittau, Regioni nordorientali minoranze e migrazioni, Pordenone, Istituto Regionale Studi Europei del Friuli Venezia Giulia, 1987.

 

[14]          Vedi http://www.asimperia.beniculturali.it/index.php?it/153/sezione-di-ventimiglia.

 

[15]          Vedi i già citati contributi di Giuseppe Boero.

 

[16]          Cfr. Matteo Sanfilippo, Per una storia dei profughi stranieri e dei campi di accoglienza e di reclusione nell’Italia del secondo dopoguerra, “Studi Emigrazione”, 164 (2006), pp. 835-856.

 

[17]          Per il quadro dell’epoca, cfr. una ormai ricchissima bibliografia, attenta anche agli espatri irregolari: Michele Colucci, Lavoro in movimento. L’emigrazione italiana in Europa, 1945-57, Roma, Donzelli, 2008; Sandro Rinauro, Il cammino della speranza. L’emigrazione clandestina degli italiani nel secondo dopoguerra, Torino, Einaudi, 2009, e La frontière irrésistible: l’immigration irrégulière des Italiens en France après la Deuxième Guerre mondiale, “Migrations société”, 141-142 (2012), pp. 13-25; Andreina De Clementi, Il prezzo della ricostruzione L’emigrazione italiana nel secondo dopoguerra, Roma-Bari, Laterza, 2010; Elia Morandi, Governare l’emigrazione. Lavoratori italiani verso la Germania nel secondo dopoguerra, Torino, Rosenberg & Sellier, 2011.

 

[18]          Enzo Barnabà, Grimaldi, cohabiter avec la frontière, “Migrations Société”, 140 (2012), pp. 159-164. Per l’illegalità: Simonetta Tombaccini-Villefranque, La frontière bafouée: migrants clandestins et passeurs dans la vallée du Roja (1920-1940), “Cahiers de la Mediterranee”, 58 (1999), pp. 79-95. Si tenga inoltre presente il film La legge è legge (La loi, c’est la loi, 1958, regia di Christian-Jaque) interpretato da Fernandel e Totò e latamente ispirato alla vicenda di Briga Marittima, nella Val Roja, passata dall’Italia alla Francia nel 1947.