Recensione di Marcella Bencivenni, Italian Immigrant Radical Culture

Marcella Bencivenni, Italian Immigrant Radical Culture. The Idealism of the Sovversivi in the United States, 1890-1940, New York, New York University Press, 2011.

 

Dopo gli studi pionieristici condotti e stimolati soprattutto da Rudolph J. Vecoli a partire dalla fine degli anni Sessanta, la pubblicazione di The Lost World of Italian American Radicalism (a cura di Philip V. Cannistraro e Gerald Meyer, Westport CT, Praeger, 2003) ha contribuito a suscitare nuovo interesse per la storia del sovversivismo italiano negli Stati Uniti. Le ricerche che sono scaturite da questa ridestata attenzione hanno teso a privilegiare la ricostruzione della militanza sindacale nel mondo del lavoro nonché le contrapposizioni e le sfaccettature ideologiche all’interno di una Sinistra italo-americana per lungo tempo divisa in molteplici componenti di cui l’anarchismo, il socialismo e – dal primo dopoguerra – il comunismo rappresentarono gli orientamenti principali fino al secondo conflitto mondiale.

Rispetto a questo filone d’indagine, la premessa da cui prende avvio l’articolata indagine di Marcella Bencivenni sul radicalismo italo-americano tra la fine dell’Ottocento e lo scoppio della seconda guerra mondiale è che l’ambito socio-economico della lotta di classe, vista soprattutto come scontro all’interno del sistema di fabbrica tra il proletariato industriale e il padronato, non esaurì le poliedriche manifestazioni delle iniziative dei sovversivi di ascendenza italiana negli Stati Uniti. L’autrice avvalora il proprio assunto, tracciando un ampio quadro della dimensione culturale, intesa in senso letterario e antropologico, del sovversivismo italo-americano nella stagione dell’immigrazione di massa e nel quindicennio immediatamente successivo al varo della legislazione restizionista alla metà degli anni Venti. Il lettore viene così introdotto in un mondo complementare a quello dei grandi scioperi che videro protagonisti gli organizzatori sindacali e i militanti italo-americani, principalmente nel corso delle agitazioni operaie della cosiddetta età progressista, come avvenne nei lanifici di Lawrence, Massachusetts, nel 1912 e nei setifici di Paterson, New Jersey, nel 1913.

Grazie a un ampio ricorso a fonti precedentemente inesplorate – in parte inedite – e a una solida conoscenza della storiografia statunitense e italiana, dalle pagine di Italian Immigrant Radical Culture emerge una realtà fatta di giornali eversivi, rappresentazioni teatrali, testi letterari soprattutto in forma di racconto breve e di poesia, feste legate al mondo del lavoro e della lotta antagonista al capitalismo (primo maggio, proclamazione della Comune di Parigi, presa del potere da parte dei bolscevichi in Russia), in alternativa alle celebrazioni del calendario ufficiale come l’anniversario della Dichiarazione d’Indipendenza, nonché università popolari e scuole festive per la formazione intellettuale degli operai, balli e picnic. Secondo Bencivenni, questi strumenti non costituirono soltanto i canali che servirono a diffondere nelle comunità italo-americane una propaganda transnazionale, declinata tra l’Italia e gli Stati Uniti sulla base dell’esperienza concreta dell’emigrazione e in una dimensione etnica, attraverso la quale venivano denunciati lo sfruttamento dei lavoratori, il militarismo, il nazionalismo, l’imperialismo e il fascismo. Tali mezzi svolsero anche il compito di fornire occasioni di socializzazione per rafforzare la solidarietà e la coscienza di classe del proletariato italo-americano. Inoltre, incentrandosi sul recupero della dimensione culturale del radicalismo, Bencivenni riesce a superare l’innegabile frammentazione ideologica dell’universo dei sovversivi, indicandone un elemento di unità nel comune sforzo per migliorare le condizioni di vita degli immigrati, per favorirne la crescita intellettuale e per promuovere il processo di democratizzazione della società americana e rendere gli Stati Uniti un paese più giusto e meno sperequato. In particolare, nel primo dopoguerra, tale mutuo intento si concretizzò in una tenace militanza antifascista.

La manifesta empatia per i sovversivi italo-americani non ottenebra l’obiettività dell’autrice e non le impedisce di segnalare alcuni limiti delle iniziative dei radicali. Uno dei più rilevanti che, in un’opportuna prospettiva di genere, Bencivenni mette a ragion veduta in luce riguardò l’insufficiente incisività con la quale la Sinistra italo-americana affrontò la questione femminile nelle Little Italies, in parte come riflesso transnazionale della denuncia della subalternità e dell’oppressione delle donne in Italia. Infatti, i proclami ufficiali di sostegno alla parità tra i sessi si affiancarono all’incapacità di apprezzare il considerevole contributo delle militanti al movimento operaio e ad atteggiamenti maschilisti soprattutto nella vita privata e nei rapporti interpersonali.

Tra i protagonisti di questa intensa stagione di militanza l’autrice si sofferma su alcune figure di radicali italo-americani generalmente trascurati dalla storiografia precedente quali la poetessa anarchica Virgilia D’Andrea, originaria di Sulmona come il ben più celebre attivista anarchico Carlo Tresca, il palermitano Michele (alias Ludovico) Caminita, giornalista e autore di testi teatrali, oppure l’immigrato calabrese Fortunato “Fort” Velona, un popolarissimo caricaturista socialista che metteva alla berlina Benito Mussolini e i suoi sostenitori tra i prominenti italo-americani. Di altri già noti, come l’agitatore Arturo Giovannitti, approfondisce aspetti solo in apparenza secondari quali la sua produzione letteraria.

Costoro furono gli intellettuali “organici” delle Little Italies (p. 4), come li definisce Bencivenni fino dall’incipit della sua monografia, in omaggio alla moda di ricorrere alle categorie gramsciane che è oggigiorno largamente diffusa nell’Accademia statunitense. Al riferimento ad Antonio Gramsci, però, sarebbe stato opportuno affiancare un più approfondito richiamo a Edward P. Thompson e ai suoi epigoni statunitensi come Herbert G. Gutman. Infatti, proprio The Making of the English Working-Class di Thompson (London, Gollancz, 1963) ha costituito, oramai mezzo secolo fa, l’avvio di quella riflessione della storiografia sull’esistenza di una cultura operaia, fatta anche di una serie di ritualità collettive, sulla quale si fonda la specifica accezione antropologica utilizzata da Bencivenni.

Sul piano interpretativo, invece, desta qualche perplessità la collocazione del tramonto del radicalismo italo-americano nel secondo dopoguerra. La lotta antifascista negli anni Trenta costituì senza dubbio una rivitalizzazione delle iniziative dei sovversivi dopo che l’esecuzione degli anarchici Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti nel 1927 era sembrata in un primo momento aver posto fine alle forme di attivismo più acceso. Tuttavia appare opinabile parlare di “vittoria contro il fascismo” da parte della Sinistra italo-americana (p. 224). Il regime di Mussolini, infatti, raggiunse l’apice del consenso nelle Little Italies in occasione della guerra d’Abissinia, nonostante la durissima campagna scatenata dagli antifascisti. Perse, invece, la sua popolarità nelle comunità italo-americane non certo in seguito alle iniziative dei radicali, bensì a causa del fatto che gli immigrati e i loro figli non ritennero più opportuno identificarsi con il governo della loro nazione d’origine una volta che Washington ebbe abbandonato la sua precedente politica di appeasement nei confronti del Duce che l’amministrazione Roosevelt aveva continuato a praticare anche durante l’invasione dell’Etiopia. Inoltre, Bencivenni pare talvolta non prestare sufficiente attenzione alla deriva moderata, o addirittura conservatrice, a cui andarono soggetti già nel primo dopoguerra proprio alcuni dei protagonisti del suo libro. Per esempio, negli anni Trenta Giovannitti collaborò con esponenti del sindacalismo istituzionalizzato dal New Deal come Luigi Antonini, divenuto un inveterato oppositore del partito comunista dopo avervi militato, e Caminita abbracciò il nazionalismo, aderendo addirittura al fascismo.

Malgrado questi rilievi, Italian Immigrant Radical Culture getta luce da una prospettiva originale su elementi e vicende del radicalismo italo-americano che erano rimasti precedentemente in ombra. Come tale, il volume di Bencivenni costituisce un importante contributo per accrescere la conoscenza di questo significativo aspetto dell’esperienza italiana negli Stati Uniti.