Emigrazione e assistenza a Marsiglia. Dalla Società italiana di beneficenza alla Casa d’Italia (1864-1945)

Nell’ultimo decennio la storiografia delle migrazioni sta percorrendo nuove direzioni d’indagine, per un approccio transnazionale e pluridisciplinare[1]. Prendendo spunto in particolare dalle tematiche sviluppate nell’ambito della storia culturale, in questo articolo ci concentreremo sulla questione dell’identità delle comunità italiane all’estero, indagando su uno degli aspetti centrali della quotidianità di queste popolazioni, e di istituzione di un sentimento di italianità: le opere di assistenza. La città di Marsiglia, caratterizzata da una forte presenza italiana tra XIX e XX secolo, rappresenta un eccellente punto di osservazione. Le prime associazioni di beneficenza nacquero nell’800; per sopperire alla mancanza di sanità pubblica per i migranti, proponevano assistenza sanitaria e assicurativa in cambio di una sottoscrizione. Nel 1901, a Marsiglia, già ve ne erano ben 20; 35 nel 1929[2]. La più importante tra queste, per numero di iscritti e perché legata direttamente all’autorità consolare, era la Società italiana di beneficenza (SIB)[3].

Queste società non offrivano solo assistenza, bensì costituivano dei veri e propri centri di italianità, luoghi di incontro e di discussione per la comunità degli emigrati. Ben presto assunsero, quindi, un’importanza politica ed economica che le portò a diventare un punto d’interesse per lo Stato italiano, da un lato; mentre, dall’altro, venivano strettamente sorvegliate dalle autorità francesi[4]. L’evoluzione del contesto internazionale e, soprattutto, l’avvento del fascismo in Italia, contribuirono in seguito a rafforzare l’attenzione francese verso questi centri. Allo stesso modo, il regime fascista si interessò sin dal 1921, con la nascita dei primi fasci all’estero, alla possibilità di avvicinare gli emigrati italiani alla propria ideologia; e, a partire dal 1927, intraprese la fascistizzazione di tutte le organizzazioni ed associazioni italiane di assistenza e di cultura all’estero, comprese l’Opera Bonomelli e la Società Dante Alighieri[5]. A Marsiglia, quest’operazione culminò nel 1935, con l’inaugurazione di un’immensa Casa d’Italia, in un’area di circa 4.000 m², nel centro della città. All’indomani della seconda guerra mondiale, l’assistenza rimaneva ad ogni modo uno dei punti nevralgici della politica estera dei nuovi dirigenti italiani.

Intendiamo qui, attraverso lo specifico caso di Marsiglia, mettere in luce come l’assistenza rappresenti (sia per i dirigenti che per la popolazione all’estero) un importante elemento identitario, e analizzare continuità e rotture dalla beneficenza dell’800 all’assistenza dell’immediato secondo dopoguerra, passando per la politica assistenziale fascista.

 

 

 

  1. La Società italiana di beneficenza contro “la miseria e l’ignoranza”[6]

Dopo l’Unità d’Italia, e con l’inizio della grande emigrazione (1876-1914), il governo liberale prese atto dell’importanza quantitativa della popolazione italiana fuori dai confini nazionali. Venne quindi istituito, nel 1901, il primo Commissariato dell’emigrazione, alle dipendenze del ministero degli Esteri, col duplice intento di tutelare i diritti e le richieste di queste larghe comunità di emigrati e di sviluppare al loro interno un sentimento patriottico, una “coscienza nazionale”, per “fare gli italiani” anche all’estero. Negli stessi anni, l’avvento della rivoluzione industriale portò molti italiani impiegati nelle fabbriche ad avvicinarsi ai sindacati operai, dove vennero a contatto con le teorie socialiste; contemporaneamente, alcuni grandi industriali italiani che avevano fatto la propria fortuna all’estero creavano società di assistenza sul modello della tradizione paternalista della fine del secolo. Questo nuovo assetto preoccupò il Vaticano che, vedendosi superato nell’assistenza ai poveri, campo storicamente di competenza ecclesiastica, e temendo un allontanamento dei fedeli, promulgò l’enciclica Rerum novarum (1891) con la quale fondò la prima dottrina sociale cattolica. La numerosissima popolazione italiana all’estero suscitò quindi una varietà di interessi (governativi, privati e religiosi) che spesso si intrecciavano intorno alle questioni dell’assistenza e del soccorso per queste comunità in difficoltà.

La Società italiana di beneficenza di Marsiglia nacque nel 1864 da un’iniziativa congiunta di industriali italiani di Marsiglia e del governo italiano, rappresentato dal console generale, il conte di Castellinard[7]. Pur se posta sotto l’alto patronato del Re d’Italia, la Società rimaneva indipendente. Sin dalla fondazione, fu fortemente legata alla famiglia Allatini, negozianti italiani in Inghilterra e in Francia, dove, a Marsiglia, erano proprietari di una saponeria. Gli Allatini finanziarono in buona parte la gestione del meccanismo assistenziale e furono alla presidenza della Società dal 1875 al 1922[8]. Nella memoria della colonia italiana dell’inizio del XX secolo a Marsiglia, “Allatini e Beneficenza sono sinonimi[9]”.

Fu proprio sotto l’impulso di Dario Allatini che la SIB sviluppò le sue attività e si mise in cerca di un locale più adatto per venire incontro al flusso continuo di nuovi migranti nella città. Un locale più vasto avrebbe permesso inoltre di accogliere nella sede stessa della Società il dispensario medico e la scuola femminile, allora distaccati dalla sede centrale[10]. Il progetto di Dario Allatini, di una “casa per gl’italiani”, si realizzò con l’acquisto da parte della SIB, il 14 novembre 1884, di un grande terreno (5.230 m²) con immobile, “cappella attinente” e un “grande cortile”, nel centro della città[11]. Questo nuovo spazio, detto “della rue d’Alger”, da una delle quattro vie che lo circonda, diede maggiori possibilità di azione alla Società, nonché maggiore visibilità, nel cuore stesso della città marsigliese, come centro di carità e di assistenza per gli italiani. La SIB si imponeva due missioni, sin dalla sua fondazione: soccorrere ed educare.

La prima missione, il soccorso, fu intesa in un primo momento sotto forma di liquidità e sussidio finanziario; ma presto – e per evitare le malversazioni e gli “sfruttatori” – si preferirono donazioni in natura, attraverso la distribuzione di “buoni di pane, minestra e carne” e pacchi di viveri e di vestiti. Nel 1903 venne inoltre costruita una vera e propria cucina all’interno della nuova sede, aperta gratuitamente alla comunità italiana[12]. Ma è soprattutto nel campo dell’assistenza sanitaria che la SIB svolse un’attività notevole di soccorso.

L’attività medica della SIB nacque da un accordo del consolato con la marina mercantile italiana, stabilitasi nel porto della città, che metteva a carico della Società l’obbligo di “sopperire alle spese di ospedale dei marinari infermi, (che) lasciava tuttavia un largo profitto a favore dei poveri[13]”. Il primo studio medico fu aperto nel 1892 ed era aperto due volte a settimana. In seguito, a partire dal 1910, la nuova spaziosa sede permise alla SIB di centralizzare le proprie attività, e quindi di accogliere al proprio interno un’infermeria e un servizio farmaceutico. Due anni dopo l’apertura, si ricevevano 3.832 pazienti e venivano rilasciate 3.372 ricette all’anno. Nello stesso 1912, il consolato aprì il proprio ambulatorio, nel quartiere della Belle de Mai, a forte presenza italiana[14]. Per motivi di salute, incidente sul lavoro, e problemi familiari, la SIB aiutava gli emigrati anche a tornare in Italia. Il ritorno via terra era più lungo e costoso, e si preferì presto la via marittima, grazie all’accordo con la Reale marina italiana e la partecipazione di compagnie francesi, spesso gestite da italiani o che impiegavano molti italiani: Azienda Fraissinet et Cie, Compagnia Valery Frères et Fils, Società di navigazione Florio e Rubattino. Questi rimpatri conobbero un picco dopo l’episodio dei Vespri marsigliesi nel giugno 1881 (anno in cui saliranno fino a 600 persone su una nave) e durante l’epidemia di colera a Marsiglia negli anni 1884-1886[15]. Un rapporto del commissariato di Marsiglia, ancora nel 1898, indicava la cifra di 1.600 “rimpatri annuali” realizzati tramite l’opera della SIB[16].

Durante questa sua prima fase di vita, quindi, la SIB funzionò in gran parte con le quote dei membri più agiati, in primis la famiglia Allatini. Riceveva anche qualche finanziamento da parte dello Stato italiano e donazioni da parte di famosi italiani di Marsiglia, tra cui il marmista e mecenate Jules Cantini, e da aziende locali: le raffinerie Saint Louis, il quotidiano “Le Petit Marseillais”, il comitato della stampa italiana, la camera di commercio italiana di Marsiglia[17], ecc. Le donazioni provenivano anche dai comuni delle province italiane con un alto tasso di emigrazione e dalla croce rossa di Roma[18]. Qualche sussidio venne infine dato dal governo, con l’obbligo per la Società di darne il 40% a organi esteri. La SIB collaborò in questo modo con gli enti più attivi della città in materia di assistenza: gli ospizi civili, la Saint Vincent de Paul, Les petites soeurs des pauvres[19], ecc. Si trovò quindi ben presto inserita nel paesaggio marsigliese, con una rete di contatti sviluppata, specialmente nel mondo delle industrie, delle imprese e degli organismi di assistenza francesi.

Seconda missione della SIB era l’istruzione della comunità, all’interno della quale era molto alto il tasso di analfabetismo. Le donne giocarono un ruolo di primo piano in quest’ambito, con la costituzione, negli anni 1870, dell’Associazione delle signore per istruzione e beneficenza presieduta dalla moglie del console, la signora Teresa Strambio[20]. L’associazione partecipò al finanziamento, diviso al 50% con la SIB, necessario all’apertura della scuola femminile nel 1872 e si incaricò della sua gestione, dando un forte risalto all’insegnamento religioso[21]. La religione era in effetti un importante elemento di coesione per la comunità italiana, e in particolare con la nuova sede della SIB, che beneficò di una cappella già presente sul terreno all’atto di vendita. Come le altre attività, la scuola venne spostata all’interno della nuova sede, approfittando di un maggiore spazio: tre aule e un grande cortile interno “ombreggiato da begli alberi” per la ricreazione delle bambine. Il nuovo spazio disponibile permise anche la realizzazione di una scuola maschile, aperta nel 1896, sotto la direzione della SIB e della nuova Associazione dei Signori creata allo scopo[22]. Queste due scuole, e l’asilo infantile, collocati nei locali della SIB, godevano dell’assistenza medico-farmaceutica e della mensa a uso di refettorio. Per l’insegnamento della lingua italiana la SIB si appoggiò anche alla sezione locale della Società Dante Alighieri, aperta a Marsiglia nel 1902 “sotto la presidenza di Gustavo Fernandez, un commerciante membro dell’influente famiglia Allatini[23]”. Si formò così una rete di servizi per gli emigrati che gravitavano attorno alla Società di beneficenza ed i loro figli.

Il programma di istruzione della SIB non si limitava alle scuole: l’intento era anche quello di istruire gli emigrati attraverso un’offerta culturale che andava dall’apertura di una biblioteca con aula di lettura, a manifestazioni culturali, con l’obiettivo di “moralizzare[24]” queste popolazioni, in particolare allontanandole dal gioco d’azzardo, misura accolta positivamente dalle autorità francesi, come garanzia di ordine[25]. Ma le associazioni italiane per il tempo libero furono poche e poco sviluppate, e tranne qualche iniziativa sporadica, non riuscirono a diventare luoghi per una vera e propria coesione della comunità degli emigrati[26].

Il primo conflitto mondiale rallentò considerevolmente le attività delle SIB, che, in difficoltà finanziarie, si vide costretta, non senza rammarico, a rinunciare alla gestione delle scuole[27]. Nacque così la collaborazione della SIB con l’Opera Bonomelli di Marsiglia, che si stabilì nel 1922, in affitto, nei locali della Società, mettendo in comune le proprie strutture assistenziali. Nel primo dopoguerra si poté inoltre dar luce a un nuovo progetto assistenziale con la creazione di un orfanotrofio di guerra, “Principe Umberto”, all’Estaque (quartiere marsigliese a forte concentrazione italiana). Un altro orfanotrofio, strettamente maschile, creato dall’Opera Bonomelli e intitolato al re Vittorio Emanuele III, prendeva posto nei locali della SIB nel 1926[28].

L’avvento del fascismo in Italia incrementò le tensioni politiche in seno alla comunità italiana di Marsiglia[29]. Nel 1924, il direttore dell’Opera Bonomelli di Marsiglia, Enrico Druetti, lasciò il suo incarico perché in disaccordo con l’orientamento sempre più fascista che stava prendendo l’attività dei missionari. Allo stesso modo, il direttore della sezione marsigliese della Dante Alighieri Giacomo Vivanti fu costretto a dare le dimissioni perché “accusato di antifascismo e di un comportamento «immorale» nella sua vita privata”[30]. E furono proprio queste tensioni a indurre la SIB, in occasione della pubblicazione di un libretto per il suo sessantesimo anniversario, a ricordare da una parte la propria totale apoliticità e dall’altra la volontà costante di proseguire il sogno di una “casa per gl’italiani”[31]. Progetto condiviso anche dal consolato che, dal 1900, desiderava la fusione di tutte le società di assistenza e di mutuo soccorso della città nell’intento di centralizzare e di controllare la comunità degli emigrati[32].

Ma appunto l’avvento del fascismo nella Penisola e la conseguente presa di controllo sulle politiche assistenziali rivolte a coloro che d’ora in poi non saranno più emigrati ma “italiani all’estero[33]”, influirà sulla realizzazione di questa “casa degl’italiani” a Marsiglia conferendole un carattere più marcatamente propagandistico e ideologico.

 

  1. L’assistenza, un “compito essenziale” dei fasci all’estero[34]

Marsiglia ha, per il regime, una posizione strategica sul mare nostrum, oltre ad essere una delle città estere col maggior numero di emigrati; perciò le difficoltà legate allo stabilirsi di uno primo fascio nella città inducono Mussolini a nominare nel 1927 un nuovo console, Carlo Barduzzi[35]. Quest’ultimo era incaricato direttamente dal Duce di mettere in moto la nuova propaganda di tipo sociale, auspicata da Mussolini nel Decalogo del fascista all’estero e riaffermata con la promulgazione degli statuti ufficiali dei fasci all’estero nel 1928 – che indicavano come obiettivi primari, l’assistenza e la difesa dell’italianità[36] – e di aprire a Marsiglia un fascio che potesse divenire uno dei cinque segretariati maggiori della Francia[37].

Barduzzi si mise subito all’opera: organizzò il nuovo fascio e lo stabilì nei locali della SIB, vicino cioè alle opere di assistenza sulle quali doveva e voleva appoggiarsi per rivolgersi a un’utenza più vasta e popolare possibile. Rinforzò inoltre il controllo sui rifugiati politici e sugli antifascisti, particolarmente attivi a Marsiglia; infine, comprò il giornale l’“Eco d’Italia” e ne fece il suo primo strumento di propaganda[38]. Qualche anno soltanto dopo la nomina a console generale, Barduzzi aveva posto sotto l’autorità del consolato sia il fascio (seguendo la politica dettata da Roma[39]) che l’insieme degli organi italiani della città, dalle opere di assistenza alle associazioni culturali.

Nel 1928 venne inaugurata la prima Casa degli italiani di Marsiglia, in occasione del nono anniversario della fondazione dei fasci di combattimento[40]. Con l’istituzione di questa Casa, lo Stato fascista raggruppava sotto la propria gestione tutta l’infrastruttura e le attività della SIB o ad essa legate e ne annientava, assorbendola, la concorrenza. Nel 1930, anche la Dante Alighieri di Marsiglia venne trasferita in rue d’Alger, e la sua attività venne formalmente integrata alla politica del regime.

L’assistenza e l’istruzione diventavano quindi, in poco tempo, statali; gestite cioè dallo stato fascista, che ne fece un’importante strumento di diffusione della nuova ideologia tra gli emigrati[41]. Questo era il “concetto base”, secondo Piero Parini, direttore sia dei fasci all’estero sia della Direzione degli italiani all’estero (DGIE), per un’efficace politica assistenziale, e faceva parte, d’altronde, di un piano generale del regime per tutti i paesi esteri con importanti comunità italiane. Marsiglia rappresentava tuttavia un caso di particolare rilievo e interesse. Nel 1929 Parini affermava:

 

Se vi è un centro dove l’assistenza a favore dei connazionali ha rilievi particolari e interessanti questo è Marsiglia […]. Noi tutti ben sappiamo che, se pure molto si è ottenuto, molto ancora resta a fare per guadagnare alla “buona causa” tutto il grosso delle nostre masse emigrate e l’argomento più persuasivo ed efficace resta sempre quello dell’assistenza effettiva, del soccorso materiale e morale, di quel complesso di provvidenze insomma, che fanno sentire al lavoratore italiano all’estero che in ogni eventualità lo Stato Fascista è e sarà presente per lui e, soprattutto, per la sua famiglia[42].

 

La Società italiana di Beneficenza adottò quindi un nuovo statuto, che stabiliva che sei dei dodici membri del consiglio di amministrazione sarebbero stati d’ora in avanti nominati direttamente dal console, mentre si sarebbe continuato a scegliere tramite voto dell’assemblea dei soci gli altri sei. Tra gli obiettivi indicati dal nuovo statuto, inoltre, dopo assistenza ed istruzione, si aggiungeva il mantenimento della “fiaccola di italianità nella colonia”[43].

Il fascio di Barduzzi, per promuovere la “nuova italianità” anche presso i più piccoli, inaugurò anche le sezioni delle Organizzazioni giovanili italiane all’estero (OGIE), organizzando colonie per le vacanze estive in Italia, con l’intento di far conoscere la madre patria e le opere realizzate dal regime. Infine, bisogna ricordare l’attenzione nuova per le attività sportive – in coerenza con l’ideologia fascista dell’uomo nuovo, caratterizzato dal vigore fisico – e in particolare l’acquisizione da parte del consolato dell’unico club sportivo italiano della città, l’associazione Pro Patria[44].

Se l’avvento del fascismo impresse quindi un’impronta più forte dell’autorità consolare nelle attività delle comunità all’estero, nonché un nuovo orientamento più fortemente ideologico, gli elementi di continuità con la precedente politica di assistenza furono numerosi. Di fatto, il regime mussoliniano si impadronì delle infrastrutture già esistenti dalla fine del secolo precedente, aumentandone l’entità e l’efficacia, seppur relativamente, ma soprattutto pubblicizzando la propria opera. Sulle pagine de “Il Legionario”, organo dei fasci all’estero, furono pubblicate numerose immagini che riportavano la distribuzione dei pacchi di natale, della befana “fascista” e degli incontri sportivi. Allo stesso modo continuarono le attività di soccorso materiale e l’assistenza sanitaria nei locali della SIB. Le scuole, che avevano lasciato l’immobile della rue d’Alger, furono in seguito reintegrate, secondo la volontà politica del regime. A livello di “assistenza morale”, l’elemento religioso fu consolidato dal regime, soprattutto dopo la firma dei Patti Lateranensi, come vettore di propaganda ideologica, confondendo spesso religione di partito e religione cattolica nella retorica e nelle celebrazioni. A Marsiglia, la missione cattolica fondata nel febbraio 1931 e diretta da padre Carlo Rossi, poté usufruire della cappella dell’ormai Casa degli Italiani. In quegli stessi anni, nella regione, si organizzò il giro di conferenze del cappellano militare padre Giacomo Salza. Queste due iniziative sono esemplificative della nuova assistenza cattolica di stampo fascista[45].

Infine, dal ministero degli Esteri di Roma, la DGIE mandava all’estero circolari per uniformare e regolare l’assistenza. In una di queste, del 1933, si prevedeva l’istituzione di un libretto di assistenza nominativo e si insisteva sulla provenienza italiana (da ditte italiane) dei prodotti (pacchi di viveri e vestiti) distribuiti in assistenza. E in caso non fosse “assolutamente possibile (fare) a meno” dei prodotti “stranieri”, questi avrebbero dovuto portare un segno distintivo, indicante la provenienza del dono e del donatore: “un nastro tricolore con l’emblema fascista, una scritta, ecc.”

 

Meglio ancora sarebbe se la confezione e la consegna dei pacchi o dei viveri avvenisse per mezzo del Fascio Femminile, le cui componenti, più di qualunque altra persona, sono indicate per compiere tale opera di doverosa assistenza fascista[46].

 

Anche il ruolo delle donne, quindi, venne inquadrato dall’Italia mussoliniana, che ne fece simbolicamente le prime incaricate dalla “protezione dell’infanzia e della famiglia”. La moglie del console Barduzzi “visitava i necessitosi e i malati[47]”, mentre, il 15 gennaio del 1940, in occasione della festa della mamma, la segretaria del fascio e ispettrice della Gioventù italiana del littorio all’estero, celebrava i valori tradizionali e la figura della donna materna inviando alla moglie del Duce una medaglia raffigurante la Madonna, con dedica: “alla sposa del Duce, madre […] ed esempio di tutte le virtù domestiche e cristiane[48]”. Le signore che frequentavano lo spazio italiano della rue d’Alger erano anche invitate alla solidarietà e a partecipare alla vita della comunità, ad esempio cucendo le vesti degli uomini[49].

Tuttavia, gli sforzi compiuti da Barduzzi non portarono ad accrescere il numero degli iscritti al fascio di Marsiglia. In effetti, su una comunità italiana stimata a più di 100.000 persone nel periodo fra le due guerre, il partito fascista di Marsiglia contava circa 400 membri[50]. Si possono avanzare varie ipotesi sul perché. Innanzi tutto, l’emigrazione a Marsiglia era antica, e la maggior parte degli emigrati erano già integrati alla popolazione francese, o almeno alla città di Marsiglia, dove vivevano organizzati per quartieri. Inoltre, le forti lotte politiche all’interno stesso della comunità degli italiani, di fatto coinvolgevano soltanto una minoranza, e inducevano la maggioranza a tenersi lontana da qualsiasi attività politica; anche perché l’appartenenza ad un partito e l’attivismo politico erano tra i primi motivi di espulsione. Né pro né antifascista, la maggioranza della comunità italiana di Marsiglia viveva lontana dalle lotte politiche e, integrata, esprimeva sempre di più le proprie rivendicazioni salariali e sindacali attraverso gli organi francesi.

Nonostante ciò Barduzzi concluse a pieno la missione affidatagli dal Duce e riuscì in poco tempo a dotare la città francese, non solo di un fascio, ma di una vera e propria Casa degli italiani. A Marsiglia e in altre città del mondo, nasceva così, sui resti dell’assistenza dell’800, una nuova forma di assistenza di stato, fascista, globale e unica. La DGIE, nel 1929 iniziò allora un lavoro di censimento e una politica di sviluppo di queste nuove “case”[51], di cui beneficò in particolar modo la città di Marsiglia, ricevendo finanziamenti da Roma per l’edificazione di una nuova “Casa d’Italia”, nel 1935.

 

 

  1. La Casa d’Italia, villaggio dell’Italia fascista: assistenza e cultura per una nuova italianità

L’edificazione della nuova Casa d’Italia di Marsiglia avvenne nel 1935, anno di svolta per le relazioni italo-francesi, dalla firma del patto Laval-Mussolini in gennaio, all’invasione dell’Etiopia, che vedrà l’Italia uscire dalla Società delle nazioni e avvicinarsi all’Asse, in ottobre.

In meno di dieci mesi la Casa d’Italia a Marsiglia fu completata. L’inaugurazione, il 10 novembre, suscitò numerose recensioni sulla stampa locale che ricordavano (ancora) l’amicizia italo-francese, mentre l’avanzamento delle truppe degli Italiani in Abissinia occupava le prime pagine di quegli stessi giornali[52]. In questo clima, e in presenza del gerarca Parini e del senatore Rossini venuti appositamente da Roma, del console generale Liberati e dei più noti membri della comunità italiana di Marsiglia nonché di francesi del comitato Francia-Italia, si aprirono ufficialmente le porte della nuova istituzione[53]. Quella di Marsiglia fu la seconda Casa d’Italia costruita in Francia dal regime fascista, dopo quella di Nizza (1932). Per mettere in piedi questo progetto, lo stato mussoliniano, che doveva essere legalmente in possesso del terreno, firmò nel 1935 un primo contratto enfiteutico con la SIB, la quale concesse, per la somma simbolica di un franco l’anno, l’usufrutto di un’importante parte del suo immenso terreno (4.410 m²) per stabilirvi la nuova Casa d’Italia[54].

Questo nuovo complesso – edificato dagli architetti Alès e Carrano e dall’ingegnere Lamaro[55] – è caratterizzato dall’imponenza dello stile architettonico fascista e da un forte impatto visivo con, nel cortile interno dell’edificio, affreschi del maestro Della Torre rappresentanti l’Europa e il Mediterraneo: dall’Italia partivano dei raggi che la collegavano alle colonie africane, corredata da velieri e da motti fascisti in caratteri romani[56].

L’assistenza materiale e quella sanitaria migliorarono nettamente la propria efficienza: la cucina e il dormitorio godettero di maggior spazio, e di attrezzature più moderne; il gabinetto medico – per un’assistenza “in linea di massima (gratuita)”[57] – accolse anche la croce rossa italiana, una sala di radiologia, una di odontoiatria e persino una sala operatoria. A dirigere lo studio di odontoiatrica fu chiamato proprio lo stomatologo del console generale, il dottor Jean Prudhomme, che poté esercitare con materiale molto moderno per l’epoca (in particolare poltrone dentistiche ereditate dalle truppe americane all’indomani della prima guerra mondiale) e, elemento medico di notevole novità, offrire cure preventive ai bambini della Casa[58].

La Casa d’Italia di Marsiglia del 1935, colpì, insomma, come venne sottolineato dai giornalisti francesi[59], per la sua modernità: i mobili nuovi erano stati fatti venire dall’Italia, un ascensore permetteva di salire i tre piani del consolato, c’erano decorazioni in marmo, un’istallazione sanitaria completa e moderna, nonché il riscaldamento dell’acqua centralizzato per tutti gli edifici, un sistema di illuminazione dei palazzi e per i giochi di luce nel nuovo teatrino.

E fu proprio la dimensione culturale, per lo svago come per l’istruzione, l’elemento nuovo di questa Casa. Il piccolo teatro riceveva finanziamenti dal ministero degli Esteri e dal ministero della Cultura Popolare, e poté accogliere ben 38 rappresentazioni durante la prima stagione (1936-37). Venne istallata una cabina cinematografica che permise la proiezione di filmati culturali e di propaganda; la prima pellicola proiettata fu Figaro e la sua gran giornata, fornita dal ministero per la Stampa e la Propaganda, nell’aprile 1936[60].

Ma la nuova Casa suscitò anche l’opposizione degli avversari politici del regime, i comunisti marsigliesi, che denunciavano la sua dimensione propagandistica: “Alla Casa d’Italia, si rappresentano film e scenette dal gusto discutibile tanto sul piano dell’istruzione che culturale e artistico”[61]. L’Unione popolare italiana di Marsiglia e il suo circolo regionale ebbero tuttavia difficoltà a lottare contro una struttura così imponente e con un’offerta culturale così ricca; progettarono così, a loro volta, l’edificazione di una “Casa popolare degli italiani” a Marsiglia[62].

In effetti, il successo del primo piccolo teatro ne fece uno dei luoghi di maggior affluenza di pubblico nella Casa d’Italia, tanto da spingere il consolato ad edificarne uno nuovo, su un terreno adiacente sempre di proprietà della SIB, che divenne dello Stato tramite un ulteriore contratto, nel 1939[63]. Lo stesso anno, apriva le sue porte il nuovo “teatro del dopolavoro” o “teatro degli italiani”, in grado di accogliere fino a 1.500 persone. La sua architettura venne concepita da Piacentini (architetto dell’Università la Sapienza di Roma), affiancato nella realizzazione tecnica dall’ingegnere Lamaro.

Con una programmazione regolare e vasta, e con l’invito: “Connazionali, frequentate la Casa d’Italia! In un ambiente di viva cordialità troverete fraterna accoglienza e le più attraenti distrazioni” sistematicamente scritto sugli opuscoli del programma settimanale – corredato da sponsor di grandi aziende italiane e di piccole imprese locali – il nuovo teatro aveva come obiettivo di attirare un più largo pubblico all’interno della Casa d’Italia. Ogni domenica pomeriggio erano proposti diversi spettacoli: recite di attori italiani, concerti di musica classica, rappresentazioni della filodrammatica della missione cattolica, spettacoli di divertimento e di prestidigitazione, proiezioni di film, anche in lingua francese, preceduti dai cinegiornali dell’Istituto Luce[64]. Spesso erano proiettate pellicole di propaganda in lingua italiana, come Gabriele d’Annunzio nella sua immortalità, Campo Spagna, Rapsodia in Roma, ecc. [65].

L’intrattenimento e le attività culturali furono così tra i primi elementi di novità e di sviluppo dell’attività, non più solo assistenziale, della Casa d’Italia. Tra queste ebbe un ruolo notevole il dopolavoro di Marsiglia, sito nella Casa d’Italia, che comprendeva una vasta palestra e 14 “sezioni” tra spettacolo, balli, banda musicale, coro e attività sportive come calcio, escursionismo, bocciofila, ciclismo, tiro a segno, scherma, ginnastica e atletica, biliardo, ecc. Nel 1937, inoltre, “è allo studio l’assorbimento del “circolo italiano di tennis” e “in via di organizzazione anche la sezione sciistica e la pugilistica[66]”. Anche le altre Case d’Italia del sud-est francese puntarono molto sull’attività sportiva e si organizzarono incontri che erano talvolta oggetto di manifestazioni antifasciste[67]: “(la partita di calcio) aveva finito coll’essere considerata una specie di «pericolo fascista» e scatenava sui campi di gioco conflitti nei quali più che la passione sportiva cercavano sfogo i più bassi istinti dell’antifascismo[68]”.

Anche la missione cattolica sviluppò l’organizzazione di gite e di spettacoli, per favorire il coinvolgimento e la partecipazione della comunità. Diretta da padre Luigi De Biasi dal 1935 al 1940, svolse attorno alla cappella della Casa d’Italia un’intensa attività: oltre al calendario liturgico, le feste religiose e le celebrazioni dei santi con processioni, si organizzavano “pellegrinaggi annuali a Notre-Dame de La Garde, al monastero della Visitazione [nel quartiere della Blancarde], al santuario di Santa Marta”[69]. Nel febbraio 1936, la commemorazione dei Patti Lateranensi a Marsiglia accolse una conferenza di Mons. A. Mariani, professore al seminario di Pavia, sul tema “valore spirituale e politico della conciliazione”, che venne accompagnata da un concerto (arie cantate) e da una rappresentazione della filodrammatica della missione del dramma in tre atti di P.C. Ambissi Le Vie dell’Abisso[70]. Qualche mese dopo venne anche inaugurata con la benedizione del Papa la “nuova” cappella della Casa d’Italia, ristrutturata e ridecorata dal maestro Della Torre, che aveva affrescato il cortile interno. In quest’occasione il sacerdote Don Luigi De Biasi, celebrando la prima messa – in presenza dei bambini dell’orfanotrofio “Principe Umberto” – illustrava “il valore che assume per gli italiani all’estero il culto cattolico, elevato vincolo spirituale che li unisce alla Madre Patria”, e sottolineava “come il regime fascista, supremo difensore dell’italianità, si sia sempre adoperato per restituire alla Chiesa quel prestigio che dottrine e movimenti politici di origine straniera avevano cercato di menomare[71]”. Seguì alla cerimonia la rappresentazione di una commedia in tre atti, 18 Novembre 1935 (data delle sanzioni economiche date dalla Società delle nazioni all’Italia fascista in seguito al attacco contro l’Etiopia), scritta e messa in scena dall’attore cinematografico Mario Guaita Ausonia[72]. Nel maggio dello stesso 1936, si celebrava la prima comunione di 80 bambini, iscritti alle OGIE del fascio della Casa d’Italia[73]. Il legame forte stabilito tra religione cattolica e religione di partito e l’uso della prima come instrumentum regni[74] della seconda vennero quindi a realizzarsi pienamente all’interno della Casa d’Italia di Marsiglia.

Le scuole continuavano a promuovere la lingua italiana tra i figli degli emigrati e sollecitavano il loro patriottismo assegnando temi come “L’Italiano dell’era fascista”. Borse di studio universitarie erano distribuite dalla Dante Alighieri per favorire il ritorno in patria di questi giovani per gli studi superiori[75]. All’interno della Casa, l’offerta educativa si estendeva anche agli adulti attraverso una vasta biblioteca di 2.000 volumi, fornita regolarmente da libri e giornali di propaganda fascista – come ad esempio Storia del movimento fascista, Bonifica integrale, Assistenza e previdenza[76] “che facevano un largo utilizzo di illustrazioni, così come il settimanale “Il Legionario”, per arrivare anche ad un pubblico semianalfabeta. Come ricorda il console di Nizza nel 1938:

 

[…] hanno più successo gli opuscoli ampiamente illustrati e presentati in veste più ricca; data la sua gratuità sono considerati dai nostri lavoratori come dei veri regali e molto apprezzati. Sono invece di più difficile distribuzione, data la conformazione di questa nostra collettività, gli opuscoli a carattere politico teorico, quali quelli pubblicati in forma polemica contro il comunismo […]. La propaganda a mezzo della fotografia ottiene il massimo successo […][77].

 

Nel 1938, con la promulgazione delle leggi razziali e l’inasprimento della dittatura, il fascismo intraprese una “politica estera decisamente rivolta contro la Francia[78]”. Da quel momento, molti italiani interruppero la frequentazione della Casa di Marsiglia e delle altre Case in Francia. Un’altra svolta avvenne con la dichiarazione di guerra dell’Italia fascista alla Francia, il 10 giugno 1940. La Casa d’Italia di Marsiglia si ritrovò allora circondata dalle truppe senegalesi e posta sotto stretta sorveglianza, ma poté continuare le sue attività durante il periodo bellico: le scuole non smisero l’attività neanche quando Marsiglia fu bombardata, così come il teatro, lo studio medico, ecc.

Il 20 aprile 1945 le forze dell’ordine francesi e i partigiani del comitato italiano di liberazione regionale entrarono nella Casa d’Italia di Marsiglia; lo Stato maggiore e i partigiani di Italia libera vi si stabilirono e ne fecero subito un centro di alloggio e di accoglienza per gli italiani, tra cui molti soldati della IV armata, in transito a Marsiglia[79]. Questo centro, posto sotto l’egida della “commissione mista di assistenza”, si appoggiava nuovamente sulla storica Società di beneficenza che, ritrovata all’indomani della guerra una certa autonomia gestionale, nel “febbraio 1945, procedeva alla soppressione delle modifiche vessatorie introdotte dal fascismo, alla restituzione al consiglio direttivo e ai soci della loro autorità sovrana, alla rivendicazione degli immobili della Casa d’Italia di cui indebitamente, con la solita violenza, aveva preso possesso il vorace regime mussoliniano” [80]. E anche allora l’assistenza fu uno dei modi di avvicinare gli italiani di Marsiglia, appellandosi alla loro solidarietà e generosità per la realizzazione di un’opera di rinnovamento dello spazio italiano, ex villaggio fascista, che intraprese così una rifondazione sotto un nuovo profilo. Fu soltanto nel 1947 che la SIB riprese un’attività del tutto autonoma e nel 1951 che adottò un nuovo statuto, nel quale appariva, tra gli obiettivi, quello di “sviluppare attivamente l’affratellamento del popolo italiano al popolo francese”[81].

 

  1. Conclusioni

L’ex-Casa d’Italia fascista assunse quindi un nuovo volto nel dopoguerra e, senza cambiare il nome, che risaliva al “sogno” di Dario Allatini alla fine dell’800, continuò ad essere uno spazio di assistenza nonché centro di cultura italiana[82]. Ma l’assistenza e l’istruzione tornavano ad essere indipendenti. Le scuole dovettero lasciare la Casa d’Italia di Marsiglia nel dopoguerra, mentre la SIB, antica proprietaria del terreno, prolungò il contratto con lo Stato italiano e poté rimanere ancora in quei locali[83]. Anche il teatro del dopolavoro, costruito ex-novo dal regime fascista, poté riprendere una programmazione autonoma, cambiando nome in “teatro Verdi”, per aprirsi anche alla comunità francese, pur non rinunciando alla propria identità italiana. Entrarono inoltre a far parte del complesso nuovi elementi, tra i quali il più significativo è certamente l’Istituto di cultura italiano – frutto dell’accordo culturale tra la Francia e l’Italia nel 1949 – che aprì le porte nel 1952[84]. La collocazione di questo nuovo ente in seno a un’infrastruttura segnata dal marchio del regime era stata fortemente auspicata dal nuovo governo italiano per cambiare l’immagine di questi luoghi segnati dal fascismo[85]. Nel gennaio dello stesso anno si ricostituiva la sezione della Dante Alighieri, che condivideva i locali e la biblioteca con il nuovo Istituto di cultura[86].

Oggi il complesso architetturale costruito dal regime fascista è ancora in piedi e rimane uno spazio strettamente italiano. Ricostruendo la sua particolare vicenda abbiamo voluto iniziare une riflessione sull’assistenza come elemento fondante per veicolare un sentimento di italianità e di comunità presso gli emigrati. In effetti, questo intento sembra l’elemento di continuità degli interessi che girano attorno al terreno acquisito dalla Società italiana di beneficenza nel 1884, diventata Casa d’Italia durante il Ventennio e che ritrovò, nel secondo dopoguerra, un volto democratico. L’assistenza fu insomma uno dei primi vettori di coesione, nonché di controllo, delle comunità italiane all’estero, e vide impegnarsi una molteplicità di attori tra governo italiano, privati e chiesa cattolica. Se il fascismo sviluppò e pubblicizzò in modo considerevole quest’aspetto per avvicinare gli italiani all’estero alla propria ideologia, in particolare con l’edificazione di Case d’Italia che permisero di riunire in un unico luogo le opere di assistenza e le organizzazioni di partito, lo fece, tuttavia, in continuità con le infrastrutture e gli intenti delle associazioni preesistenti. È d’altra parte significativo che già Dario Allatini parlasse di una “casa degl’italiani”; così come la scelta dei nuovi dirigenti, nell’immediato secondo dopoguerra, di conservare sia le strutture architettoniche che quelle assistenziali al fine di mantenere, ancora una volta, la coesione di questa comunità all’estero.

L’assistenza fu quindi, durante il periodo di maggiore emigrazione italiana e per più di sessant’anni, un canale essenziale di diffusione del sentimento nazionale italiano all’estero. Oggi, pur essendo ancora attiva, non è più l’assistenza il veicolo di questo sentimento, che d’altra parte ha assunto diversi e meno ideologici obiettivi, oltre ad indirizzarsi ad un pubblico diverso. Così, oggi, il centro delle attività della ex Casa d’Italia, è rappresentato dalla diffusione e dall’insegnamento della lingua e della cultura italiane, svolto dall’attuale Istituto di cultura che richiama ancora, nello spazio italiano della Rue d’Alger, italiani e francesi di origine italiana, o persone semplicemente interessate alla cultura italiana.

[1]           Migranti e migrazioni. Tra storia, storiografia e didattica, a cura di Laura Benedettelli e Fabio Masotti, Grosseto, Tipografia Ombrone, 2006; Storia d’Italia, Annali 24, Migrazioni, a cura di Paola Corti e Matteo Sanfilippo, Torino, Einaudi, 2009; Paola Corti, Temi e problemi di storia delle migrazioni italiane (Archivio storico dell’emigrazione italiana, Quaderni 08), Viterbo, Edizioni Sette Città, 2013.

 

[2]           Per un panorama più completo delle diverse società di mutuo soccorso di Marsiglia si rimanda a Stéphane Mourlane e Céline Regnard, Empreintes italiennes: Marseille et sa région, Lyon, Ed. Lieux-Dits, 2013, pp. 70-71.

 

[3]           Nel secondo dopoguerra, la Società italiana di beneficenza verrà chiamata Società italiana di beneficenza e di assistenza (SIBA).

 

[4]           Archives départementales des Bouches-du-Rhône (d’ora in poi ADBdR), Marsiglia, 4 M 958, rapporto del commissariato di Marsiglia, Marsiglia, 18 aprile 1898.

 

[5]           Philip V. Cannistraro e Gianfausto Rosoli, Emigrazione, Chiesa e fascismo: lo scioglimento dell’Opera Bonomelli: 1922-1928, Roma, Studium, 1979; Beatrice Pisa, Nazione e politica nella Società Dante Alighieri, Roma, Bonacci, 1995.

 

[6]           Lenzi, Un debito sacro. Cenni storici della Società italiana di Beneficenza, Marsiglia, Tipografia Biau Frères, 1924, p. 22.

 

[7]           Ibid., copia del processo verbale d’istituzione dell’associazione, Marsiglia, 23 ottobre 1864.

 

[8]           Il primo presidente, dal 1864 al 1875 fu il console generale d’Italia a Marsiglia. In seguito furono presidenti: Dario Allatini (1875-1887), suo fratello Salomone Allatini (1887-1892), Guido Allatini (1892-1922) figlio di Salomone.

 

[9]           Lenzi, Un debito sacro, cit., p. 16.

 

[10]          Nel 1865 la sede della Società, che per il primo anno di attività fu sita nei locali del consolato, si trasferì sulla Piazza Reale (oggi Place du général de Gaulle). Si spostò nuovamente, nel 1867 (in Via Imperiale, oggi Rue de la République) e nel 1885 (sul terreno acquisito dalla stessa Società nel 1884 e dove ha tutt’ora sede). Cfr. Lenzi, Un debito sacro, cit. p. 18.

 

[11]          Ibid., p. 20. Quest’edificio era stato messo in vendita “all’incanto” dal Tribunale Civile di Marsiglia, in seguito a un’espropriazione forzata.

 

[12]          Ibid., pp. 24 e 34.

 

[13]          Ibid., p. 25.

 

[14]          Questo secondo ambulatorio, intitolato a Cesare Bianchi (il console che aveva ottenuto i finanziamenti necessari), funzionava, anche economicamente, in modo autonomo, ma godeva tuttavia dell’appoggio e del sostegno della SIB.

 

[15]          Lenzi, Un debito sacro, cit., pp. 22-23.

 

[16]          ADBdR, 4 M 958, rapporto del commissariato, cit.

 

[17]          La Camera di commercio italiana di Marsiglia era stata creata dagli stessi Allatini e da altri negozianti italiani, tra i quali Enrico Luzzatti commerciante d’olio, nel 1901, e stabilì la sua sede nei stessi locali della SIB. René Lopez ed Émile Temime, Migrance, Histoire des migrations à Marseille, t.2: L’expansion marseillaise et “l’invasion italienne” (1830-1918), Aix-en-Provence, Edisud, 1990, p. 89.

 

[18]          Lenzi, Un debito sacro, cit., p. 42.

 

[19]          Ibid., pp. 39-40.

 

[20]          Ibid., p. 33. Le mogli dei consoli seguiranno quest’incarico finché, nel 1893, non venne affidato a Sofia Allatini, moglie di Salomone Allatini.

 

[21]          Ibid. Sulle scuole italiane all’estero si rimanda a Patrizia Salvetti, Le scuole italiane all’estero, in Storia dell’emigrazione italiana, II, Arrivi, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina, Roma, Donzelli, 2001, pp. 535-549.

 

[22]          Lenzi, Un debito sacro, cit., p. 34.

 

[23]          S. Mourlane e C. Regnard, Empreintes italiennes, cit., p. 74.

 

[24]          R. Lopez ed É. Temime, Migrance, t. 2, cit., p. 98.

 

[25]          S. Mourlane e C. Regnard, Empreintes italiennes, cit., p. 73.

 

[26]          Si ricorda in particolare la Società filarmonica corale, istituita nel 1872, per “ricondurre verso i passatempi onesti, utili e gentili alcuni giovani italiani che forse avrebbero scelto impiego meno lodevole delle ore d’ozio” (Lenzi, Un debito sacro, cit., pp. 42-43), e il Club nazionale italiano di Marsiglia, creato nel 1881, che proibiva i giochi d’azzardo.

 

[27]          Lenzi, Un debito sacro, cit., p. 34-35.

 

[28]          Ibid., p. 55 ed Émile Temime, Les Italiens dans la région marseillaise pendant l’entre-deux-guerres, in Les Italiens en France de 1914 à 1940, a cura di Pierre Milza, Rome, Ecole française, 1986, p. 568. Sull’orfanotrofio dell’Estaque, cfr. Regina Terruzzi, L’orfanotrofio italiano “Principe Umberto” a Marsiglia, “Il Legionario”, n. 28, 13 luglio 1935, pp. 10-11.

 

[29]          Colette Berger, L’antifascisme italien à Marseille et dans les Bouches-du-Rhône de 1922 à 1934, Tesi di “maîtrise”, Università Aix-Marseille I, 1988.

 

[30]          S. Mourlane e C. Regnard, Empreintes italiennes, cit., p. 74-75.

 

[31]          Lenzi, Un debito sacro, cit., p. 56-57.

 

[32]          ADBdR, 1 M 783, rapporto di polizia del 27 maggio 1903 sulle società italiane di mutuo soccorso, citato da S. Mourlane e C. Regnard, Empreintes italiennes, cit., p. 71. Il programma di fusione di tutte le società di assistenza e di mutuo soccorso era stato posto all’ordine del giorno delle varie assemblee generali ma non fu adottato.

 

[33]          Sulla politica del regime fascista verso gli italiani all’estero si rimanda a: Emilio Gentile, La politica estera del partito fascista. Ideologia e organizzazione dei Fasci italiani all’estero (1920-1930), “Storia contemporanea”, XXXVI, 6 (1995), pp. 897-956; João Fábio Bertonha, I fasci all’estero, in Storia dell’emigrazione italiana, I, Partenze, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina, Roma, Donzelli, 2000, pp. 527-533; Enzo Collotti, Fascismo e politica di potenza: politica estera, 1922-1939, Firenze, La Nuova Italia, 2000; Il fascismo e gli emigrati; la parabola dei fasci italiani all’estero, 1920-1943, a cura di Emilio Franzina e Matteo Sanfilippo, Roma-Bari, Laterza, 2003; Benedetta Garzarelli, Parleremo al mondo intero: la propaganda del fascismo all’estero, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2004; Francesca Cavarocchi, Avanguardie dello spirito. Il fascismo e la propaganda culturale all’estero, Roma, Carocci, 2010; Matteo Pretelli, Il fascismo e gli italiani all’estero, Bologna, Clueb, 2010.

 

[34]          Articolo 6 dello Statuto dei fasci all’estero, Roma, 29 gennaio 1928, pubblicato nel Foglio d’ordini, n. 44 del 3 marzo 1928.

 

[35]          Sul primo fascio di Marsiglia si rimanda a É. Temime, Les Italiens, cit., pp. 547-575 e in particolare pp. 564-566, e a Caroline Wiegandt-Sakoun, Le fascisme italien en France, in Les Italiens en France, cit., pp. 431-469 e in particolare pp. 439-441.Carlo Barduzzi era stato deputato fascista di Trento e già nel 1926 era stato incaricato di un giro di conferenze nel sud-est francese per promuovere l’Intesa latina (di cui era un fervente difensore) e rendere conto dello sviluppo degli ambienti fascisti di quelle regioni.

 

[36]          C. Wiegandt-Sakoun, Le fascisme, cit., p. 436.

 

[37]          Ibid., p. 441. Metz, Nancy, Lione e Nizza erano gli altri segretari di zona e Parigi assumeva invece il ruolo di segreteria nazionale dei fasci francesi.

 

[38]          Colette Berger, L’antifascisme italien, cit., pp. 143-151 ed É. Temime, Les Italiens, cit., p. 567-568.

 

[39]          Caroline Pane, Le Case d’Italia in Francia. Organizzazione, attività e rappresentazione del fascismo all’estero, “Memoria e Ricerca”, 41 (2012), pp. 161-180.

 

[40]          Archivio storico del ministero degli Affari Esteri, Roma, Fondo Ambasciata italiana a Parigi (d’ora in poi ASMAE, Aip), s. 141, f. 3, C. Barduzzi all’ambasciata italiana a Parigi, Marsiglia, 26 marzo 1928.

 

[41]          Bisogna precisare che d’altra parte gli antifascisti si organizzarono per mantenere vive strutture di assistenza in concomitanza con gli ambienti francesi. In particolar modo collaborarono militanti francesi ed italiani nel partito comunista francese e portarono assistenza materiale alle “vittime del fascismo” e ai fuorusciti in arrivo a Marsiglia. Cfr. C. Berger, L’antifascisme, cit., p. 55.

 

[42]          ASMAE, Aip, s. 194, f. 3, P. Parini al consolato generale d’Italia a Marsiglia, Roma, 14 maggio 1929.

 

[43]          Archivio storico del consolato generale d’Italia a Marsiglia (d’ora in poi ASCM), Marsiglia, (non inventariato), scatola “Fascicoli ricevuti dalla SIBA”, Statuto della Società italiana di beneficenza, Marsiglia, 22 dicembre 1929.

 

[44]          S. Mourlane e C. Regnard, Empreintes italiennes, cit., p. 81.

 

[45]          Caroline Wiegandt-Sakoun, Les missions catholiques italiennes dans l’entre-deux-guerres: l’exemple français, in Les Italiens en France, cit., pp. 471-480.

 

[46]          ASMAE, Fondo Direzione generale degli Italiani all’estero, s. 194, f. 52, circolare della DGIE n.0012 del 12 dicembre 1933.

 

[47]          C. Berger, L’antifascisme, cit., p. 146.

 

[48]          C. Wiegandt-Sakoun, Le fascisme, cit., p. 444.

 

[49]          Testimonianze orali delle Sig.re Civallero-Flosi e Basso, raccolte dall’autrice, il 15 aprile 2008, al consolato generale d’Italia a Marsiglia.

 

[50]          É. Temime, Les Italiens, cit., p. 569.

 

[51]          Sulle Case d’Italia del regime fascista si rimanda a C. Pane, Le Case d’Italia, cit.

 

[52]          “Le Petit Provençal”, 11 novembre 1935.

 

[53]          Cfr. sulla stampa regionale: La “Casa d’Italia” à Marseille,Sud Magazine”, 132 (1935), p. 46-47, ed i quotidiani “Le Petit Marseillais” del 16 ottobre e dell’11 novembre 1935, “Marseille Matin” dell’11 novembre 1935, “Marseille Soir” del 10 novembre 1935.

 

[54]          ASCM, s. “Fascicoli ricevuti dalla SIBA”, Atti di proprietà della SIBA. Fu firmato un primo contratto enfiteutico, il 19 marzo 1935, tra il presidente della SIB e il console generale d’Italia a Marsiglia. Questo correva per una durata di 99 anni e comprendeva tutto il primo terreno acquisito dalla SIB nel 1884.

 

[55]          Figura di spicco è quella di Antonio Lamaro, che partecipò anche alla realizzazione della Casa d’Italia di Nizza e del teatro del dopolavoro della Casa d’Italia di Marsiglia, impiegando a titolo gratuito la propria impresa edile, composta al 98% di manodopera italiana. Sostenne anche finanziariamente, per due anni, l’affitto della Casa d’Italia di Villafranca; appare quindi come una sorta di “mecenate” delle Case d’Italia nel sud-est francese.

 

[56]          La “Casa d’Italia” di Marsiglia, “Il Legionario”, 44, 20 novembre 1935, p. 11.

 

[57]          ASMAE, Aip, s. 252, f. 4, console generale d’Italia a Marsiglia al ministero degli Esteri, Marsiglia, 5 maggio 1936.

 

[58]          Ringraziamo il dott. Jean-Louis Blanc, attuale stomatologo all’ospedale della Timone a Marsiglia per la segnalazione del suo contributo: Parcours extraordinaire d’un médecin marseillais: Jean Prudhomme, “Histoire des sciences médicales”, XLVII, 3 (2013), pp. 369-378.

 

[59]          La “Casa d’Italia” à Marseille,Sud Magazine”, cit.

 

[60]          ASMAE, Aip, s. 252, f. 4, console generale d’Italia a Marsiglia al ministero degli Esteri, Marsiglia, 28 marzo 1936.

 

[61]          Valbruna, La “Casa d’Italia” n’est pas la Maison du Peuple des Italiens, “Rouge Midi”, 25 maggio 1937.

 

[62]          Ibid. Da notare che a Tolone, nel 1937, il termine “Casa degli italiani” era usato per designare la sede dell’Unione popolare italiana: cfr. C. Wiegandt-Sakoun, Le fascisme, cit., p. 449.

 

[63]          ASMAE, Aip, s. 267, f. 1; ASCM, s. “Beni Demaniali SIBA-Spartizione-I Parte”, doc. s.d. (1968): Engagement concernant la réglementation des rapports juridiques entre l’administration de l’Etat italien et la SIBA de Marseille. Un secondo contratto enfiteutico era stato firmato, il 9 giugno 1939, tra la Società italiana di beneficenza e il consolato generale d’Italia a Marsiglia, per una durata di 99 anni. Questo portava sul terreno immediatamente affianco, di 1.280m², comprato dalla SIB alla società Fouquet et Cie due anni prima.

 

[64]          ASMAE, Aip, s. 267, f. 1.

 

[65]          Archivio centrale dello Stato, Roma, Fondo Ministero della cultura popolare, Direzione generale dei servizi di propaganda presso stati esteri (d’ora in poi ACS, Minculpop, Dgpe), s. 87, f. 23.14, consolato generale d’Italia a Nizza al ministero della cultura popolare, Nizza, 14 novembre 1938.

 

[66]          ASMAE, Aip, s. 267, f. 1, consolato generale d’Italia a Marsiglia al ministero degli esteri, Marsiglia, 28 agosto 1937.

 

[67]          Cfr. C. Pane, Le Case d’Italia, cit., p. 169.

 

[68]          ASMAE, Aip, s. 267, f. 1, consolato generale d’Italia a Tolone al ministero degli Esteri, Tolone, 31 luglio 1937.

 

[69]          C. Wiegandt-Sakoun, Les missions catholiques, cit., p. 479.

 

[70]          ACS, Minculpop, Dgpe, s. 78, f. 1.26.76, consolato generale d’Italia a Marsiglia al ministero degli Esteri, Marsiglia, 20 febbraio 1936 e A la maison italienne. La commémoration du traité de Latran, “Marseille Matin”, 18 febbraio 1936.

 

[71]          ACS, Minculpop, Dgpe, s. 78, f. 1.26.76, consolato generale d’Italia a Marsiglia al ministero degli Esteri, Marsiglia, 22 aprile 1946. Sull’inaugurazione, cfr. i numerosi articoli sulla stampa regionale, conservati in: ASMAE, Aip, s. 252, f. 4.

 

[72]          ACS, Minculpop, Dgpe, s. 78, f. 1.26.76.

 

[73]          ASMAE, Aip, s. 252, f. 4, consolato generale d’Italia a Marsiglia al ministero degli Esteri, Marsiglia, 4 giugno 1936.

 

[74]          Emilio Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 1993, p. 123.

 

[75]          ASMAE, Fondo Gabinetto del Ministro e della Segreteria Generale (d’ora in poi Gab), 1923-43, s. 818, f. “1930-Italiani all’estero e scuole”.

 

[76]          ACS, Minculpop, Dgpe, s. 77, f. 1.26.3, Direzione generale Stampa e Propaganda al consolato generale d’Italia a Marsiglia, Roma, 10 dicembre 1936.

 

[77]          ACS, Minculpop, Dgpe, s. 87, f. 23.14, consolato generale d’Italia a Nizza al ministero degli Esteri, Nizza, 17 maggio 1938.

 

[78]          Pierre Milza, Le fascisme italien à Paris, “Revue d’Histoire moderne et contemporaine”, XXX (1983), p. 451.

 

[79]          ACS, Fondo Presidenza del Consiglio dei Ministri, f. 35532 / 15.2, 1944-47, Stato Maggiore generale, Uff. I-2da sez., centro speciale n°1, a Capo sez. Uff. I, promemoria riservato del 30 aprile 1945.

 

[80]          A Marsiglia la Società di Beneficenza riprende la sua attività, “Italia Libera”, 29 marzo 1947.

 

[81]          ASCM, s. “Fascicoli ricevuti dalla SIBA”, Statuto della SIBA, 1951.

 

[82]          La Casa degli italiani di Barcellona, aperta nel 1911, sembra seguire lo stesso percorso storico: cfr. Caroline Wiegandt-Sakoun, Le fascisme, cit., p. 449, ed il sito internet dell’attuale Casa degli italiani di Barcellona alla pagina http://www.casaitaliani.com/chi-siamo.

 

[83]          ASCM, s. “Beni Demaniali SIBA–Spartizione–I Parte”, doc. s.d. (1968): Engagement, cit. Soltanto nel 1968 verrà messo fine ai beni enfiteutici e sistemati i rapporti giuridici tra il consolato e la Società italiana di beneficenza.

 

[84]          Per un panorama dell’attività di quest’Istituto dal 1951 al 1986 si rimanda a Caroline Pane, Histoire d’un espace italien à Marseille: de la Casa d’Italia à l’Institut culturel 1935-1986, Tesi di “Master 1”, Università Aix-Marseille 1, 2008.

 

[85]          ASMAE, Gab, 1944-1958, s. 107, De Gasperi (ministro degli Esteri) alle rappresentanze diplomatiche, circolare (bozza), gennaio 1946.

 

[86]          Archivio storico della Società Dante Alighieri, Roma, s. 261, f. 367.