Soldati di origine italiana alla scoperta del Bel Paese

Fighting Paisanos è un bel documentario storico realizzato con l’obiettivo di far conoscere uno spaccato dell’esperienza dei tanti soldati di origine italiana che nel corso della Seconda Guerra Mondiale combatterono con l’esercito statunitense contro l’Italia di Benito Mussolini. Prodotto nel 2013 dal regista romano Marco Curti e trasmesso in varie occasioni dalla RAI, il documentario mostra al grande pubblico la difficile situazione di molti figli di emigranti, costretti dalle vicende belliche a dover combattere per la democrazia nella terra dei propri antenati. Il rischio era infatti di dover affrontare in battaglia membri della propria famiglia, una possibilità che attanagliava le coscienze di molti.
La storia raccontata da Curti è poco battuta dagli storici. In generale le esperienze delle minoranze negli eserciti rimangono spesso nascoste dalla retorica della nazione in guerra e dell’esercito coeso etnicamente e razzialmente. Nel caso degli immigranti italiani all’estero, molti studiosi hanno quasi sempre prestato attenzione più che altro alla tragica esperienza di coloro che, nel corso del secondo conflitto mondiale, furono etichettati come “nemici” nei paesi alleati e in guerra contro l’Italia, venendo spesso sottoposti a restrizioni della propria libertà personale e, in taluni casi, detenuti in speciali campi di prigionia.
La ricerca di testimonianze da parte di Curti non è stata facile, in virtù anche dell’età avanzata di molti veterani della Seconda Guerra Mondiale. Fra quelli che il regista ha avuto modo di intervistare ne ha selezionati quattro, due nati in America da genitori italiani e due italiani riparati oltre oceano per sfuggire alle persecuzioni del regime fascista. Con uno stile narrativo agile e accattivante, supportato da immagini di guerra a colore, Fighting Paisanos racconta così la storia di Eugene Giannobile, Ferdinando (Fred) Baldino, Frank Monteleone e Albert (Al) Soria.
Eugene, nato in Italia dove da bimbo era stato inquadrato nelle organizzazioni giovanili fasciste, nel 1938 in quanto ebreo fu costretto alla fuga dall’Italia per trovare riparo in America. Paradossalmente, il fatto che al momento della guerra non avesse ancora acquisito la cittadinanza americana spinse le autorità americane a identificarlo come “enemy alien”. Un’etichetta che nel documentario racconta come un’onta personale, anche perché le autorità americane gli chiesero poi di entrare nell’esercito statunitense per combattere i fascisti. Eugene prestò servizio in Italia con la 10th Mountain Division, con i veterani della quale tornò spesso in Italia nel dopoguerra per visitare i cimiteri e i luoghi dove avevano combattuto.
Diversamente da Eugene, Fred Baldino era nato negli Stati Uniti, precisamente in Pennsylvania, da genitori calabresi. Nella sua testimonianza racconta gli anni difficili della grande depressione vissuta dalla sua famiglia numerosa in cui, prima che italiani, ci si sentiva americani. Entrato volontario nell’esercito statunitense, ebbe una fase vita militare soporifera in Nord Africa per poi approdare in Italia dove il conflitto si fece assai più duro, sebbene alla cacciata dei nazisti le truppe americane vennero accolte trionfalmente dalla popolazione italiana.
Nato a Brooklyn nel 1925, Frank Monteleone fu fra i molti americani di origine italiana che prestarono servizio per l’Office of Strategic Service, organismo precursore della CIA, che si occupava di azioni di sabotaggio, spionaggio e controspionaggio dietro le linee nemiche. Figlio di una famiglia modesta, Frank era in grado di comunicare sia in inglese sia italiano, cosa che lo rese adatto per svolgere missioni in Italia. Per Frank all’epoca essere giovani significava vivere insensatamente lo spirito di avventura, mentre non disdegnava l’idea di prestare servizio in Italia, preferendo questa meta di gran lunga al fronte del Pacifico. Subito dopo il suo sbarco a Salerno con le truppe americane, Frank ricorda la sensazione di aver assaporato gli stessi sapori di casa sua a Brooklyn e di udire voci a lui familiari. Sebbene non fosse mai stato prima in Italia – così come molti italo-americani della sua generazione – si sentì subito a suo agio. Per lui pertanto l’incontro con l’Italia, nonostante la guerra, rappresentò una esperienza incredibile che lo rese subito felice, sebbene tali sentimenti furono presto attenuati dalla vista di Napoli profondamente danneggiata dai bombardamenti e dalla popolazione allo stremo per la fame. Anch’egli rammenta i festeggiamenti della popolazione all’arrivo delle truppe alleate, mentre ricorda con grande stima i partigiani italiani, anche se questi si erano rifiutati di consegnare Mussolini agli Alleati decidendo autonomamente per la sua fucilazione. Inoltre, come molti altri soldati di origine italiana, Fred si recò nel paese di origine dei genitori in Sicilia per far visita a membri della famiglia rimasti in Italia.
Come Eugene, anche Al Soria era nato in Italia, trovando rifugio in America nel febbraio 1940 all’età di 15 anni in quanto di religione ebraica. Per lui gli anni giovanili in Italia in cui era stato costretto a vestire la camicia nera erano stati momenti difficili per la capacità dei fascisti di “lavare” il cervello alla gente. All’arrivo a New York la vista della Statua della Libertà sancì per lui il ritorno alla libertà, spingendolo in seguito a unirsi alle forze militari americane per sconfiggere il fascismo.
Fighting Paisanos ci offre uno spaccato vivo di un’esperienza complessa e articolata come quella dei molti soldati di origine italiana che prestarono servizio nelle forze armate alleate di Stati Uniti, Canada, Brasile, Australia, Gran Bretagna, paesi in cui erano emigrati i loro padri. Non esiste una stima ufficiale del numero di questi soldati, anche se per il caso statunitense storici come Peter Belmonte hanno ipotizzato una cifra variabile fra le 500.000 e 1.500.000 unità, mentre Salvatore J. LaGumina ha parlato di 750.000. Si tratta quindi di una quota consistente delle truppe americane impegnate nel secondo conflitto mondiale. È pertanto un grande merito di Marco Curti di avere restituito alla memoria pubblica le vicende di questi uomini.