La Direzione Generale degli Italiani all’Estero negli anni del fascismo

Nel marzo 1927, il Sottosegretario agli Esteri e gerarca del fascismo Dino Grandi parlò dei circa 10 milioni di italiani residenti all’estero come bisognosi della presenza “vigile” della madre patria “rinnovata” sotto la guida di Benito Mussolini. Questa, secondo la prospettiva fascista, non avrebbe dovuto limitarsi a fornire assistenza e tutela ai migranti; piuttosto le sue funzioni sarebbero state di natura prettamente politica grazie soprattutto all’azione del console, il quale “è […] qualcosa di molto più che il parroco o il sindaco di una colonia. Il console è l’elemento necessario e fondamentale dell’espansione italiana nel campo politico, economico e culturale”[1]. Proprio il 1927 fu un anno importante per le relazioni del regime con gli italiani fuori d’Italia, dal momento che Mussolini scelse di sopprimere il Commissariato Generale per l’Emigrazione, nato in età liberale, e di bloccare le partenze dei migranti. Contemporaneamente il Duce impose la sostituzione del termine “emigranti” con quello di “italiani all’estero”, al fine di valorizzare la loro italianità nei contesti esteri. Proprio tale valorizzazione era un obiettivo che Mussolini aveva rivendicato subito dopo la presa del potere, in virtù del fatto che riteneva prioritario che i migranti sentissero propri l’appartenenza alla nazione italiana e il vincolo con la terra di origine[2]. Pertanto, il regime si mosse per centralizzare la gestione dei rapporti con le comunità italiane all’estero, cosa che non si rivelò semplice a causa delle rivendicazioni dei militanti del Partito Fascista fuori d’Italia. Il saggio focalizzerà sull’evoluzione degli organi fascisti deputati a mantenere le relazioni con le collettività emigrate. Si concentrerà quindi sulle tensioni fra le sezioni estere del Partito Fascista e i diplomatici italiani, per poi delineare la nascita e le attività della Direzione Generale degli Italiani all’Estero, nonché la figura del suo direttore Piero Parini.15

  1. Stato contro Partito

Specialmente dopo la Guerra d’Etiopia (1935-1936) il regime pensò agli italiani all’estero come parte integrante del progetto mussoliniano di costruzione di una nuova “civiltà imperiale” italiana[3]. L’aggressività fascista rispetto ai migranti si manifestò specialmente in quei paesi dove il regime aveva delle rivendicazioni territoriali, in particolare Malta, Svizzera, Egitto, Tunisia, Gran Bretagna. Fu in questi contesti che i fasci italiani all’estero fecero sentire maggiormente la propria voce. Nate persino prima della Marcia su Roma, sezioni del Partito Nazionale Fascista si diffusero fuori d’Italia per lo più per l’iniziativa di veterani italiani della Prima guerra mondiale che erano emigrati all’estero e che vedevano nel fascismo un movimento capace di incarnare la loro volontà di rinnovamento politico dopo l’esperienza bellica[4].

Nel 1923 il Partito Fascista creò una propria Segreteria Generale dei Fasci Italiani all’Estero, la quale venne affidata al gerarca umbro Giuseppe Bastianini. Questi fu chiamato a gestire un movimento che avrebbe dovuto conquistare il consenso degli immigrati, ostacolandone la perdita della cittadinanza italiana e fascistizzando l’associazionismo etnico. I fasci si proposero quindi di realizzare politiche di sostegno a favore dei proletari italiani, ma più spesso all’estero i militanti di Mussolini si prodigarono piuttosto in scontri di strada contro gli antifascisti italiani, violenze che scoraggiarono gli immigrati ad interessarsi del fascio, sebbene molti esprimessero un aperto apprezzamento per ciò che Mussolini stava realizzando in Italia[5].

Le manifestazioni in camicia nera e le violenze di strada, unite alla volontà di affermarsi politicamente nelle comunità, portarono a un accesa diatriba con i diplomatici che, in qualità di rappresentanti dello Stato, desideravano atteggiamenti moderati nonché ubbidienza da parte degli esuberanti militanti fascisti. Questi, al contrario, non riconoscevano spesso l’autorità degli ambasciatori e dei consoli causando forti imbarazzi a Roma, dove si temeva che venissero compromesse le relazioni diplomatiche con i paesi esteri. Emblematica fu in tal senso nel 1929 la decisione del Duce di sopprimere la Fascist League of North America, associazione che raggruppava i fasci italiani negli Stati Uniti ma che fu denunciata dalle autorità statunitensi per il proprio radicalismo[6]. Dal canto loro i militanti rivendicavano per sé una “purezza fascista” al punto di consacrare in una pubblicazione i propri “martiri” caduti negli scontri contro gli antifascisti[7].

A fronte di queste esuberanze, Mussolini decise di regolamentare l’operato dei fasci esteri subordinandoli alle direttive dei diplomatici, riproponendo quindi la scelta fatta in Italia di privilegiare le istituzioni statali rispetto a quelle di partito. Nel 1927 l’estremista Bastianini venne sostituito da Cornelio Di Marzio con l’obiettivo di normalizzare i rapporti con il Ministero degli Esteri, ma avendo questi delle tensioni con Grandi già nel 1928 venne rimpiazzato da Piero Parini[8]. Proprio dal 1927 si diede inizio a un processo di accentramento dei poteri che si concluse nel 1932 con la nascita della Direzione Generale degli Italiani all’Estero, posta alle dipendenze del Ministero degli Affari Esteri. Dopo la soppressione del Commissariato Generale dell’Emigrazione, la nuova Direzione inglobò progressivamente vari enti fascisti impegnati a favore degli italiani all’estero quali la Segreteria Generale dei Fasci all’Estero, la Direzione Generale delle Scuole all’Estero e la Direzione degli Italiani all’Estero (queste due si erano unite nel 1929 divenendo la Direzione degli Italiani all’Estero e Scuole) e la Direzione Generale del Lavoro Italiano all’Estero, assumendo così il compito di raggruppare “tutti i servizi di espatrio e rimpatrio, di tutela, di propaganda, di cultura di quanti sono italiani sparsi nel mondo”[9]. L’accentramento si legò anche a una ristrutturazione degli uffici consolari, che dal 1927 registrarono l’immissione di un certo numero di personalità fedeli al regime mentre nel 1928 un nuovo Statuto per i fasci all’estero stabilì che il Segretario della sezione sarebbe stato alle dipendenze dei rappresentanti dello Stato[10].

Secondo Fabio Grassi Orsini la fascistizzazione della diplomazia fu un processo lento e parziale, al punto che il Duce sembrò accontentarsi di un’adesione formale al regime da parte degli ambasciatori. Una maggiore politicizzazione si ebbe nei consolati, i cui funzionari erano ritenuti assai funzionali per la ricerca del consenso tra le comunità immigrate. Questi collaborarono spesso fattivamente con la Direzione Generale degli Italiani all’Estero, la quale fu uno dei settori del Ministero degli Esteri maggiormente fascistizzati[11]. Roma mantenne legami strettissimi con le collettività all’estero tramite l’invio di propagandisti, conferenzieri, intellettuali, giornalisti e più in generale personalità che si ritenevano utili per la promozione dell’Italia mussoliniana. Notevole fu l’investimento in materiali di propaganda, fossero questi a stampa, pellicole cinematografiche o documentari, ma anche messaggi radiofonici, mentre i giornali etnici furono generosamente finanziati affinché assumessero posizioni filo-mussoliniane. Il battage propagandistico raggiunse il suo apice negli anni della guerra d’Etiopia (1935-1936), quando le comunità furono sottoposte a un “bombardamento” di informazioni su di un conflitto che nel maggio 1936 portò Mussolini alla proclamazione dell’Impero italiano in Africa Orientale[12].

  1. Piero Parini e la Direzione Generale degli Italiani all’Estero

Nel 1937 “Il Legionario”, organo ufficiale dei fasci italiani all’estero, parlò della rete mussoliniana nel mondo che contava (apparentemente) su 481 fasci, 244 sezioni dopolavoristiche, 171 Case d’Italia, 200 scuole fra sussidiate e governative; inoltre, le organizzazioni giovanili del regime raccoglievano all’estero 65.000 iscritti[13]. Nella retorica fascista tale rete si poneva a disposizione delle esigenze “proletarie” degli immigrati, offrendo una serie di servizi (“provvidenze”) quali ambulatori medici, orfanotrofi, cucine popolari[14]. L’idea di fondo era di creare una grande “famiglia italiana sparsa nel mondo” che si caratterizzasse per forme di solidarietà nazionale sotto l’egida del fascio, spingendo così l’associazionismo etnico ad abbandonare le identità localistiche a cui molti italiani all’estero facevano ancora riferimento. In tal senso, le Case d’Italia, edifici pensati per ospitare le organizzazioni degli immigrati sotto il controllo del console, sarebbero dovute diventare riferimenti sociali fondamentali per le collettività[15].

Quindi, nel suo progetto politico rivolto agli italiani all’estero il regime creò proprie strutture, oppure tentò di fascistizzare quelle esistenti. Oltre ai fasci e alle Case d’Italia, si promosse la nascita di sezioni del Dopolavoro che, sulla scia di quanto fatto in Italia, si posero l’obiettivo di nazionalizzare i migranti. Presente particolarmente fra gli italiani nel continente latinoamericano, il Dopolavoro si incaricò di organizzare il tempo libero, coinvolgendo “fascisticamente” gli immigrati in attività sportivo-ricreative e promuovendo campagne contro l’uso dell’alcool e le malattie veneree, spingendo invece a favore della cura dell’igiene personale[16].

Un’attenzione particolare venne riservata alle nuove generazioni nate all’estero da emigranti italiani, giovani che spesso non erano mai stati in Italia e che avevano legami assai labili con la cultura di origine. Il fascismo si adoperò per promuovere il più possibile fra loro l’uso della lingua italiana, la quale avrebbe dovuto costituire un potente strumento “spirituale” per preservare i contatti con la terra di origine. Appoggiandosi a una rete scolastica preesistente a Mussolini, il regime si mosse per fascistizzare le scuole governative (diffuse soprattutto in Europa e nel bacino del Mediterraneo) e quelle parrocchiali e etniche presenti specialmente nelle Americhe[17]. Inoltre, anche la Società Dante Alighieri, attiva dal 1889 a favore della diffusione della lingua e della cultura italiana nel mondo, venne progressivamente politicizzata e le proprie scuole entrarono a far parte del network degli istituti culturali che Roma sosteneva con l’invio di insegnanti, finanziamenti e materiale scolastico[18]. I consoli presenziavano spesso alle cerimonie di chiusura degli anni scolastici delle scuole, in occasione delle quali venivano premiati i migliori studenti di italiano[19]. Fra questi alcune migliaia annualmente avevano la possibilità di visitare l’Italia a spese del regime partecipando alle colonie estive marine e montane, dove venivano esposti a una vita di stampo militare. L’apice di questi “bagni d’italianità” nella madre patria era la partecipazione nella capitale a raduni pubblici alla presenza del Duce[20].

A Roma si stamparono periodici, come “Il Tamburino” e “Aquilotti d’Italia”, appositamente pensati anche per i giovani della Gioventù Italiana del Littorio all’Estero – dipendente dalla Direzione Generale degli Italiani all’Estero – impegnata per l’inquadramento di stampo paramilitare soprattutto di coloro che frequentavano le scuole di italiano[21]. Nelle retorica mussoliniana l’insegnante scolastico assumeva le funzioni di “sentinella avanzata” e di “pioniere e soldato” della patria all’estero in edifici che non erano altro che un “faro splendente d’italianità”[22]. Inoltre, libri di testo e curricula vennero ristampati affinché gli studenti potessero venire a conoscenza della supposta “grandezza” del Duce, leggendo così pagine che invitavano a “ritornare” in una patria finalmente “rinnovata” grazie al fascismo[23]. Del resto proprio il viaggio turistico in Italia dei migranti fu incentivato in ogni modo da parte di un regime che era ansioso di presentarsi come alla guida di un paese moderno e all’avanguardia. Si invitarono pertanto sia gli stranieri sia gli italiani residenti all’estero a spendere un periodo nell’Italia mussoliniana, magari visitando le esposizioni come la Mostra della Rivoluzione Fascista, aperta nel 1932 per celebrare i dieci anni di potere di Mussolini[24]. Più in generale la Direzione Generale degli Italiani all’Estero si fece fautrice di una cospicua produzione pubblicistica a uso sia degli adulti sia dei più giovani, pensata – insieme alla radio e al cinema – proprio per avvicinare i migranti al regime mussoliniano[25].

Deus ex machina di queste iniziative fu, fino al 1937 (quando venne sostituito da Attilio De Cicco), Piero Parini. Nato a Milano nel 1894 e di professione giornalista, Parini si legò al Partito Fascista dal 1922, collaborando anche al “Popolo d’Italia” per il quale fu un inviato speciale all’estero. Amico di vecchia data di Dino Grandi, fu da questi spinto alla carriera diplomatica e inviato in Siria, salvo poi essere nominato alla Segreteria Generale dei Fasci all’Estero e divenire successivamente il responsabile della Direzione Generale degli Italiani all’Estero. Sebbene la sua Direzione fu molto chiacchierata per presunti illeciti finanziari, Parini agì a tutto tondo per promuovere il credo fascista fra gli italiani all’estero e, insieme a Grandi, fu l’artefice di una “normalizzazione” dei fasci, i quali vennero posti sotto il controllo dei consolati ed epurati degli elementi più turbolenti, anche per mezzo di un inasprimento delle sanzioni disciplinari. Superando poi la pretesa dei militanti di percepirsi come una sorta di selezionata “aristocrazia” all’estero, spinse per una maggiore partecipazione degli immigrati alle attività dei fasci, dando loro un’immagine di associazione patriottica più che di partito[26].

Parini viaggiò molto nelle comunità italiane all’estero, comprese quelle lontane negli Stati Uniti, Canada e America Latina[27]. In questo incarnò la volontà del Duce di “palesare” la patria agli italiani all’estero attraverso la visita dei dignitari fascisti e di note personalità italiane; oppure per mezzo delle crociere navali o aeree che davano un’immagine di forza e modernità, fra cui la più nota fu sicuramente la trasvolata del gerarca Italo Balbo che nel 1933 sorvolò l’Atlantico con una squadra di idrovolanti[28]. Sempre a fini propagandistici, nel corso della guerra d’Etiopia guidò una sua speciale Legione di volontari provenienti dall’estero che combatterono in Africa Orientale. Sebbene la loro funzione militare fosse assai ridotta, questi legionari furono chiamati a compiere il viaggio nel continente africano per riscattare simbolicamente la partenza dei milioni di emigranti italiani fra Otto e Novecento[29].

  1. Conclusione

Con l’approssimarsi dello scoppio del secondo conflitto mondiale il militarismo fascista tentò di avvicinare nuovamente gli italiani all’estero, promuovendo dal 1939 il loro rientro in patria grazie al lavoro di una speciale Commissione Permanente per il Rimpatrio degli Italiani all’Estero. Tale iniziativa, però, si rivelò un insuccesso, dal momento che pochi furono coloro che decisero di ritornare e quelli che lo fecero furono spinti dalla paura di vivere all’estero in tempo di guerra più che da una reale convinzione ideologica. Come conseguenza la Commissione venne esautorata e le sue funzioni furono affidate a un Commissariato delle Migrazioni Interne[30]. Parimenti, durante il conflitto coloro i quali risposero positivamente dall’estero alla chiamata alle armi da parte delle forze armate italiane – compresi i giovani che erano stati il principale obiettivo della retorica fascista – furono un numero assolutamente insignificante rispetto ai milioni di residenti all’estero che semmai decisero di sostenere lo sforzo bellico dei paesi alleati in cui molti vivevano[31].


[1]           Dino Grandi, La politica estera dell’Italia dal 1929 al 1932, vol. 1, Roma, Bonacci, 1985, p. 121.

[2]           Philip V. Cannistraro e Gianfausto Rosoli, Fascist Emigration Policy in the 1920s: An Interpretative Framework, “International Migration Review”, 48 (1979), pp. 673-692; Emilio Gentile, La politica estera del partito fascista. Ideologia e organizzazione dei fasci italiani all’estero (1920-1930), “Storia Contemporanea”, XXVI, 6 (1995), pp. 897-956.

[3]           Silvio Petrucci, Fascismo all’estero, in AA.VV., Panorami di realizzazioni del fascismo, Roma, Edizioni Giovanissima, 1942, p. 506.

[4]           Il fascismo e gli emigrati. La parabola dei Fasci italiani all’estero (1920-1943), a cura di Emilio Franzina e Matteo Sanfilippo, Roma-Bari, Laterza, 2003.

[5]           Cfr. E. Gentile, La politica estera, cit.; Domenico Fabiano, I Fasci italiani all’estero, in Gli Italiani fuori d’Italia. Gli emigranti italiani nei movimenti operai d’adozione 1880-1940, a cura di Bruno Bezza, Milano, Angeli, 1983, pp. 221-236; Luca De Caprariis, “Fascism for Export”? The Rise and Eclipse of the Fasci Italiani all’Estero, “Journal of Contemporary History”, 35, 2 (2000), pp. 151-183.

[6]           Philip V. Cannistraro, Blackshirts in Little Italy: Italian Americans and Fascism, 1921-1929, West Lafayette, Bordighera, 1999.

[7]           Fasci italiani all’estero, 45 morti, 283 feriti, Roma, Nuova Europa, 1933.

[8]           L. De Caprariis,Fascism, cit., p. 179.

[9]           Fabio Grassi Orsini, La diplomazia, in Il regime fascista. Storia e storiografia, a cura di Angelo Del Boca et al., Roma-Bari, Laterza, 1995, p. 301; Giorgio Floriani, Scuole italiane all’estero. Cento anni di storia, Roma, Armando Editore, 1974, p. 76. La citazione è tratta da Piero Parini, Gli italiani nel mondo, Milano, Mondadori, 1935, p. 35.

[10]          D. Fabiano, I Fasci, cit., pp. 230-232.

[11]          F. Grassi Orsini, La diplomazia, cit., pp. 298, 301.

[12]          Matteo Pretelli, Mussolini’s Mobilities: Transnational Movements between Fascist Italy and Italian Communities Abroad, “Journal of Migration History”, 1 (2015), pp. 100-120.

[13]          L’Italia nel campo internazionale, “Il Legionario”, 19 maggio 1937.

[14]          P. Parini, Gli Italiani, cit., pp. 58 sgg.

[15]          La fusione dei sodalizi italiani, “Il Legionario”, 20 aprile 1930; Case d’Italia, Ibid., 13 ottobre 1937; S. Petrucci, Fascismo, cit. p. 505.

[16]          Il “Dopolavoro” all’estero, “Il Legionario”, 22 marzo 1930; Irene Guerrini e Marco Pluviano, L’Opera Nazionale Dopolavoro in Sud America: 1926-1941, “Studi Emigrazione”, 119 (1995), pp. 518-536.

[17]       G. Floriani, Scuole italiane, cit., pp. 58-96; Gabriella Ciampi, Le scuole italiane all’estero, in Amministrazione centrale e diplomazia italiana (1919-1943). Fonti e problemi, a cura di Vincenzo Pellegrini, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1998, pp. 115-122; Patrizia Salvetti, Le scuole italiane all’estero, in Storia dell’emigrazione italiana, II, Arrivi, a cura di Piero Bevilacqua et al., Roma, Donzelli, 2009, pp. 535-549.

[18]          Beatrice Pisa, Nazione e politica nella Società «Dante Alighieri», Roma, Bonacci, 1995; Patrizia Salvetti, Immagine nazionale ed emigrazione nella Società «Dante Alighieri», Roma, Bonacci, 1995.

[19]          P.Z. Bolzan, Come e dove suona nel mondo la lingua di Dante, “L’Avvenire d’Italia”, 24 maggio 1936.

[20]          Claudia Baldoli, Le Navi. Fascismo e vacanze in una colonia estiva per i figli degli italiani all’estero, “Memoria e Ricerca”, 6 (2000), pp. 168-169; Colonie estive dei Fasci italiani all’estero, Le mie giornate in patria. Diario di un balilla, Roma, Stabilimento Tipografico Europa, 1931.

[21] Pietro Caporilli, L’educazione giovanile nello Stato fascista, Roma, Sapientia, 1930, pp. 175-184; L. Giannantonio, Le scuole italiane all’estero, “I Diritti della Scuola”, marzo/maggio (1935), pp. 31 sgg.

[22]          L. Giannantonio, Le scuole, cit. pp. 17-18.

[23]          Matteo Pretelli, Il ruolo della storia nei libri di lettura per le scuole italiane all’estero durante il fascismo, “Storia e Problemi Contemporanei”, 40 (2005), pp. 37-56.

[24]          P. Parini, Gli italiani, cit. p. 68; Francesco Gargano, Italiani e stranieri alla Mostra della rivoluzione fascista, Roma, S.A.I.E, 1935.

[25]          Matteo Pretelli, Direzione generale degli italiani all’estero e delle scuole, editrice, in Teseo ‘900. Editori scolastico-educativi del primo Novecento, a cura Giorgio Chiosso, Milano, Editrice Bibliografica, 2008, pp. 163-65.

[26]          Per un profilo di Parini cfr. João Fábio Bertonha, La Legione Parini. Gli italiani all’estero e la Guerra d’Etiopia (1935-1936), Milano, Unicopli, 2018, pp. 53-69; L. De Caprariis, Fascism, cit., pp. 179-181.

[27]          Le virtù, la tragedia e la fedeltà degli Italiani esaltate da Piero Parini dinanzi alla collettività di San Paolo, “Il Legionario”, 2 gennaio 1932; I problemi delle collettività italiane nel Sud-America esposti da Piero Parini in un discorso a Buenos Aires, Ibid., 20 febbraio 1932; L’elogio degli Italiani del Cile. Il Discorso di Piero Parini a Santiago, Ibid., 27 febbraio 1932; Tra gli Italiani d’America, Ibid., 31 marzo 1934.

[28]          Giovanni Giuriati, La crociera italiana nell’America Latina, Roma, AGAR, 1925; Italo Balbo, La centuria alata, Milano, Mondadori, 1933.

[29]          J.F. Bertonha, La Legione, cit.

[30]          Stefano Gallo, Senza attraversare le frontiere. Le migrazioni interne dall’Unità a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2012, pp. 134-135.

[31]          João Fábio Bertonha, Emigranti nelle forze armate italiane. Il caso dei volontari tunisini nella Seconda guerra mondiale, “Diacronie”, 38, 2 (2019), pp. 1-17; S. Petrucci, Fascismo, cit. pp. 508-509; Matteo Pretelli e Francesco Fusi, Fighting with the Allies in Italy: The War of Soldiers of Italian Descent Against the Land of Their Ancestors, in Italy and the Second World War: Alternative Perspectives, a cura di Emanuele Sica e Richard Carrier, Leiden, Brill, 2018, pp. 299-324.