Un giornalista italiano nel tentativo di pace tra Atanasio C. Aguirre e Venancio Flores

  1. Premessa

Nella storia della stampa migrante, la figura del giornalista che svolge ruoli diversi da quello professionale trova molte conferme. Era quasi la normalità fino a quando, con l’immigrazione massiva, non nacquero i grandi quotidiani coloniali e in qualche modo iniziò il giornalismo come professione più o meno come lo intendiamo ai giorni nostri. Fino ad allora le figure del letterato e del giornalista erano indistinte ed era usuale trovare docenti, avvocati, notai, medici, farmacisti, religiosi tra le file dei “giornalisti”[1]. I primordi della stampa italiana in Sudamerica, per esempio, hanno una matrice legata al Risorgimento e i primi fogli apparsi in Sud e in Nord America nell’Ottocento sono stati le palestre in cui si esercitò una schiera di esuli politici, costituita da giovani rivoluzionari che s’impegnarono in iniziative editoriali al fine di supportare la causa dell’Unità d’Italia: essi, però, per vivere svolgevano altre professioni. Non sono mancati, inoltre, gli avventurieri senza mestiere e senza professione che intravidero nel giornalismo un’opportunità di affermazione. Lo stesso, successivamente, è avvenuto in decine di testate d’emigrazione animate e frequentate da personaggi che, di certo, non avevano come priorità l’interesse di produrre e “vendere” informazione, ma solo quello di trovare una affermazione personale nei paesi che li avevano accolti.

La stampa italiana in Uruguay[2], che affonda le proprie radici nella prima metà dell’Ottocento e vanta una primogenitura nei paesi del Rio della Plata, non fu diversa. Solo a mo’ di esempio, il pioniere della stampa etnica in lingua italiana in tutto il Sudamerica, l’esule mazziniano Giovanni Battista Cuneo, uomo di mare e intellettuale, amico di Garibaldi e segretario della Legione italiana, oltre ad avere fondato, a Montevideo nel 1841, il settimanale “L’Italiano” d’intonazione mazziniana[3] e a scrivere per testate nazionali, per vivere era costretto lavorare nell’azienda dei fratelli Antonini, esuli liguri che si erano stabiliti in Uruguay e si occupavano di commerci e di piccolo cabotaggio sul Rio de La Plata[4].

Ai tempi del “caudillismo” e della guerra civile tra gli eserciti del presidente don Atanasio C. Aguirre e del generale Venancio Flores, si registrò il caso del giornalista italiano Gustavo Minelli, fondatore del quotidiano “L’Italia”. Questi traeva da vivere facendo da segretario al rappresentante italiano a Montevideo e si ritrovò con un ruolo para-diplomatico nelle dispute politico-militari del momento svolgendo un ruolo attivo in un fallito tentativo di pacificazione che da luglio a settembre 1864, dopo un analogo quanto inutile sforzo operato dalle diplomazie di Argentina, Brasile e Gran Bretagna e la ripresa delle ostilità da parte del generale Flores[5], su incarico del governo uruguayano impegnò il ministro d’Italia Raffaele Ulisse Barbolani, decano dei diplomatici accreditati in Uruguay[6]. Come scrisse al governo italiano lo stesso diplomatico, “lo sfavorevole risultato delle trattative” comunicato al governo uruguayano[7] che, di conseguenza, ritenne un dovere continuare la guerra[8], era dovuto al “rifiuto opposto dal Generale Flores alle basi definitive consentite dal Governo della Repubblica”[9].

Sulla base di fonti giornalistiche e diplomatiche relative al fallito tentativo di mediazione del ministro d’Italia, alla chiusura del quotidiano “L’Italia”, che rappresentò nella sua breve vita un punto di riferimento della colonia, e alle frizioni che ne seguirono, in questo lavoro s’intende ricostruire la singolare vicenda che si concluse con un provvedimento di espulsione di Minelli, ritirato dopo le proteste del suo protettore.

  1. Un avventuriero al Rio della Plata

Vediamo, intanto, chi era Gustavo Niccolò Giovanni Luigi Minelli (questo il suo nome completo)[10]. Viaggi e ricerca sono le parole chiave della sua vita. Viaggiò per scoprire nuove realtà e fare molteplici esperienze. Intelligente quanto sfrontato avventuriero che si improvvisò anche medico e ingegnere senza avere mai studiato medicina e ingegneria[11], Minelli nacque a Rovigo il 30 giugno 1831 dal noto e agiato tipografo e litografo Antonio Minelli[12] e da Luigia Kiriakri, e il 2 novembre 1886 morì misteriosamente a Las Palmas, nelle Canarie, dopo avere girato mezzo mondo per studiare gli uomini più che vedere i monumenti, come scrisse al re d’Italia Vittorio Emanuele II in una lettera nella quale, enfatizzando i propri meriti e quelli del suo “protettore” a Montevideo, chiedeva una “occupazione che gli permettesse di terminare una Geografia universale”[13]:

Nel Rio della Plata, ove fui Professore di storia universale nell’Università di Buenos Aires, ho abbandonato ogni mio interesse ed esercizio per collaborare come segretario onorario del conte Barbolani, allora colà Plenipotenziario di S. M., alle due grandi in imprese, che questo insigne diplomatico condusse a fine con immenso vantaggio e onore d’Italia. Intendo parlare dell’unione tra gli italiani del Rio della Plata (Argentina poi), che prima erano dilaniati dai partiti politici e propendevano al repubblicanesimo arrabbiato; della pace di Montevideo, per la quale furono salvi le vite e gli interessi di tante migliaia di italiani, minacciati da un governo insensato, che, nella disperazione della difesa, aveva giurato di far saltare per aria tutta Montevideo, come fece prima della disgraziata Paissanda! [sic!]. L’avrebbe fatto senza l’abilità del Barbolani…”.

Al di là del fatto che le due “imprese” di successo attribuite a Barbolani tali non sono state nonostante l’impegno del diplomatico[14], la lettera serve a chiarire la personalità di Minelli che mostra un’alta considerazione di sé e della propria attività di uomo di cultura che in verità poggiava su fondamenta molti deboli.

Minelli era fuggito dalla sua città natale nel 1848 andando a Venezia per arruolarsi in un “corpo italiano”[15]. L’anno dopo prese parte alla difesa di Roma[16]. E dopo il fallimento dei moti risorgimentali che si verificarono in quell’anno cominciò a viaggiare in tutto il mondo, studiando da autodidatta. Caduta Roma si rifugiò in Grecia, dove lavorò come domestico alle dipendenze di un medico. Nel 1851 lo troviamo a Ozieri, in Sardegna, alle dipendenze di un ingegnere del Genio Civile. Da lì collaborò alla Collezione di monografie sulle province italiane e a un giornale milanese. È presente nella campagna del 1856. In questo suo girovagare fu anche a Torino dove lavorò alla “Gazzetta Piemontese”, ma da Torino se ne andò anche se aveva un posto di lavoro sicuro e il passaporto del Regno sabaudo. Partito da Genova nel settembre 1859 (si fece ingaggiare come medico di bordo per potere viaggiare gratuitamente), arrivò per la prima volta in Sud America tra novembre e dicembre, sbarcando a Montevideo dopo circa tre mesi di navigazione durante i quali studiò giorno e notte alcune nozioni di medicina riuscendo a curare molti passeggeri. Si trasferì presto in Argentina, da dove nell’aprile 1861 decise di recarsi nell’interno del Brasile per scopi scientifici. Al rientro a Buenos Aires, nel 1862, fu nominato “profesor catedrático di Historia universal y filosofía de la Historia” in quella Università. Tenne in tutto quattro o cinque lezioni, sposando senza mai citarle le teorie evoluzioniste di Charles Darwin che tre anni prima aveva pubblicato il suo Origine della specie[17]. Tali lezioni furono molto contestate dagli ambienti cattolici perché Minelli, accusato di essere carente di rigore storico e criticando alcuni dogmi cattolici, si presentava come un razionalista sdegnoso di qualsiasi riferimento religioso. Contemporaneamente, però, furono osannate da un gruppo di studenti che, scrivendo in sua difesa a un giornale, si presentarono come “i discepoli di Minelli”[18]. Deflagrava il conflitto tra scienza e religione[19]. Fu questo acceso dibattito il primo incontro-scontro sulla scena pubblica tra darwinismo e cattolicesimo registrato in Argentina (un dibattito giornalistico sulla questione, oltre che a Buenos Aires, si ebbe anche a Tucuman)[20].

Tra le tante professioni che Minelli s’inventò, quella di giornalista già praticata a Torino lo vide attivo per alcuni anni su entrambe le sponde del Rio della Plata. Nel 1862 a Buenos Aires fondò una “Rivista mensile per gli italiani” con la collaborazione del genovese Benito Priuli. Era un periodico che non lesinava “la polemica più velenosa nel commentare sui giornali argentini vicende e personalità italiane”[21]. E sempre a Buenos Aires tenne una colonna in italiano sul quotidiano “La Tribuna” di Héctor F. Varela, un giornalista liberale formatosi alle idee mazziniane con Giovanni Battista Cuneo a Montevideo e per tutta la sua vita molto vicino alla colonia italiana argentina.

La permanenza di Minelli a Buenos Aires, tra detrattori e adulatori, non fu mai tranquilla per cui lasciò la città per un nuovo viaggio scientifico nelle province dell’Argentina, del Paraguay, del Cile. A novembre, tuttavia, era nuovamente nella capitale argentina con il desiderio di tornare nella Pampa. Nel 1863 era a capo della municipalità di Marchiquita, nella Provincia di Bueneos Aires, e da lì si trasferì in Uruguay. Anche per la sua “passione” per la carta stampata, quando si trasferì a Montevideo, non rinunciò a praticare il giornalismo. Diventato collaboratore del Ministro d’Italia conte Raffaele Ulisse Barbolani[22], un diplomatico per molti versi eccessivamente protagonista ma molto acuto nelle sue argomentazioni di diritto internazionale[23] che i due governi del Plata tennero quasi sempre in debito conto, Minelli affrontò un’altra avventura giornalistica necessaria all’attività esplicata dal rappresentante del Regno d’Italia: la fondazione, il 16 dicembre 1864, del quotidiano del pomeriggio “L’Italia”, caratterizzato da una forte impronta politica che aveva come propria missione di “favorire, difendere ed avvocare i nostri interessi morali e materiali nel Plata”[24]. Era il secondo quotidiano italiano apparso nel paese. Cinque anni prima, infatti, per iniziativa del milanese Teodoro Silva, era stata stampata “La Speranza”, giornale politico, letterario e commerciale”, primo quotidiano italiano di tutto il Sud America, un’impresa effimera che ebbe inizio il primo ottobre 1859 e cessò il 22 novembre successivo.

  1. Direttore di un giornale, segretario e messaggero diplomatico

Per il giornalismo dell’emigrazione italiana che già all’epoca manteneva solidi contatti con quello dell’altra sponda del Plata[25], il 1864 fu un anno di interessanti fermenti[26]. Basti pensare alla nascita del quotidiano “L’Italia, liberale e anticlericale” con le parole “Patria e Libertà” in bella vista sulla testata.

Quando apparve, il giornalismo etnico italiano poteva già vantare un interessante rodaggio ultraventennale che aveva registrato la pubblicazione di testate che, pur nella loro breve presenza, testimoniavano la vivacità della colonia. Sebbene fino ad allora la stampa etnica apparsa non aveva avuto grande fortuna per la precocità dell’impresa in una realtà d’immigrazione precoce, le condizioni per affermare un nuovo giornale italiano non erano di sicuro completamente sfavorevoli a “L’Italia”. Non bisogna dimenticare, infatti, che nel paese c’erano circa 10.500 italiani la gran parte (7.500) nella sola Montevideo[27]. E per le tirature dell’epoca (poche centinaia di copie) potevano anche esserci lettori sufficienti a mantenere l’impresa. Tuttavia si può parlare di precocità anche per il giornale di Minelli: in gran parte mazziniani e garibaldini, molti emigranti non sapevano né leggere né scrivere e il giornale, per di più, vedeva la luce in una realtà lacerata dalla precaria situazione di una città in guerra. Ai diversi svantaggi per un’impresa di tal genere, bisogna aggiungere che il quotidiano si dimostrò molto carente dal punto di vista informativo anche per quelli che erano i canoni dell’epoca.

In ogni caso “L’Italia” rappresentò, e avrebbe potuto continuare a rappresentare nonostante le sue carenze, un punto di riferimento per una colonia italiana che, sebbene ben integratasi nella società uruguayana, da sempre era impegnata a preservare la propria identità etnica e culturale.

Il quotidiano fu  di fatto l’organo del conte Raffaele Ulisse Barbolani, il quale aveva necessità di una tribuna per replicare agli attacchi, da lui lamentati, contro i residenti italiani e il Regno d’Italia. Rappresentante diplomatico del nuovo Regno d’Italia dal 1862, Barbolani fu particolarmente attivo nelle iniziative di pacificazione dell’area del Plata[28]. E per questo anche molto criticato. Minelli, che era stato repubblicano intransigente, con la frequentazione di Barbolani accantonò le proprie idee e come tanti altri esuli di formazione mazziniana, “si convertì” presto alla monarchia, allineandosi alla volontà di ventidue milioni di italiani che avevano ormai accettato il Regno d’Italia[29], convinti che la monarchia fosse ormai simbolo di unità e sentimento nazionale:

[Non] abbiamo rinunciato alle nostre opinioni – scrisse a tale proposito Minelli – e molto meno […] ci siamo volti realisti per principio; no, vivaddio! Ciò vuol dire solamente che abbiamo fatto il nobile sacrificio delle nostre idee sull’altare delal patria e che vogliano essere italiani e liberi; nulla più[30].

All’epoca era in corso un sanguinoso conflitto tra l’Uruguay, guidato da Atanasio Aguirre, e l’ex presidente della Repubblica generale Venancio Flores: il caudillo con le truppe partite dall’Argentina nell’aprile 1863 avanzava verso Montevideo nella sua “Cruzada libertadora” godendo del sostegno dei governi argentino e brasiliano. L’esercito del governo era costituito anche da italiani, alcuni erano volontari, la maggior parte invece costretti ad arruolarsi[31]. Gli italiani erano notoriamente favorevoli ai colorados (“Le simpatie della maggioranza dei nostri connazionali […] propendono per il partito colorato, sia per le reminiscenze del passato, sia anche perché lo considerano meno ostile dell’altro agli interessi stranieri in genere”) e nessuno si sentiva al sicuro, perché, come spiegò Barbolani al governo italiano, tutti erano sospettati di essere segreti sostenitori di Flores. La stessa attività svolta a Buenos Aires da Giovanni Battista Cuneo, che era vissuto a lungo in Uruguay ed era stato vicino al presidente Mitre il quale segretamente supportava Flores, secondo quanto ipotizzato da Juan A. Oddone, era probabilmente collegata al reclutamento nell’esercito dei colorados di italiani che vivevano in Argentina[32]. D’altra parte Flores in prima persona fu direttamente interessato a reclutare italiani nella sua “crociata”[33]. Barbolani, infine, era visto come un diplomatico vicino ai blancos, anche se – come Minelli scrisse in sua difesa – “si mantenne sempre neutrale e rispettò, come il deve sempre un diplomatico, il governo esistente di Montevideo”[34].

Fu in tale contesto che Minelli, col sostegno di Barbolani, nella tipografia dei fratelli Marella – molto attivi nel settore editoriale etnico –  stampò il nuovo quotidiano che avrebbe dovuto difendere la collettività italiana ingiuriata e sospettata di connivenza con gli assedianti colorados e “molto imprudentemente maltrattata … dal ministro della guerra don Luis de Herrera”, come annotò il console generale di Francia a Montevideo, Martin de Maillefer[35], in uno dei tanti ironici e sprezzanti rapporti sulla immigrazione “macarrónica” sui quali si sofferma Juan Antonio Oddone[36]. In verità il sentimento dei governi uruguayani nei confronti dell’Italia era altalenante. Solo un anno prima, nel 1863, per esempio, sollecitato dal governo di Bernardo P. Berro che si sentiva minacciato dai potenti vicini, il ministro Barbolani propose l’istituzione di un Protettorato italiano sulla Banda Orientale come unico modo per salvare il paese[37], richiesta che fu respinta dal governo di Torino[38] e che gli procurò dure critiche da parte dei colorados e degli ambienti argentini favorevoli a Flores. Secondo questi ultimi il governo italiano gli aveva vietato di parlare di tale soluzione al conflitto politico-militare che si trascinava da tempo in Uruguay[39].

  1. Il quotidiano “L’Italia”: obiettivi e contenuti

La storia del quotidiano montevideano (quattro pagine, sei colonne) finì lì, anche se Minelli fin dal primo numero si era impegnato per “arruolare” corrispondenti tra gli abbonati e gli stessi lettori[40]. Inoltre, come molte pubblicazioni dell’epoca, per allargare la platea dei lettori su entrambe le sponde del Plata pubblicava a puntate anche un proprio romanzo d’appendice, ambientato in Sardegna dove aveva in precedenza lavorato.

In effetti, la frequentazione argentina di Minelli era ben evidente, frutto della popolarità e dell’appoggio che a Buenos Aires aveva goduto anche dalla stampa locale. Il quotidiano prestava molta attenzione agli avvenimenti della capitale argentina, città che considerava italiana e nella quale gli immigrati primeggiavano in ogni settore[41]. Gran parte della stessa pubblicità che occupava per intero la quarta pagina proveniva da aziende italiane di Buenos Aires e in ciò s’intravede lo zampino di Barbolani che era accreditato anche nella capitale argentina. Per il resto le pagine de “L’Italia” furono occupate prevalentemente da temi politici e da articoli in difesa di Barbolani o, pur sforzandosi di preservare la neutralità italiana nel conflitto, velatamente critici nei confronti di Flores e dei brasiliani come nel caso del bombardamento indiscriminato di Paysandù, secondo Minelli avvenuto “contro ogni diritto delle genti”[42].

A puntate, e con grande spazio, il giornale avviò la pubblicazione degli Elementi di Statistica di Alexandre Moreau de Jonnès, tradotti e annotati dallo stesso Minelli che li aveva pubblicati a proprie spese nel 1858, in verità materiale giornalisticamente indigesto anche per i canoni dell’epoca. E per ultimo, come sottolinea Juan Andrés Bresciano, “offriva una variegata informazione commerciale, pubblicando dati preziosi su partenze e arrivi di navi”[43].

A Minelli viene attribuita una intensa attività giornalistica in Uruguay. Ancora prima di dare vita al quotidiano “L’Italia” per conto di Barbolani, avrebbe infatti tentato altre imprese editoriali. Tra il 1863 e il 1864 avrebbe pubblicato il periodico monarchico “L’Italiano” e quindi “L’Europa” nel 1864. Entrambi i periodici sono citati in un repertorio sulla stampa italiana nel mondo nell’Ottocento[44]; però, non ci sono altre tracce. Nello stesso periodo, secondo la stessa fonte, gli italiani immigrati avrebbero avuto a disposizione anche un giornale mazziniano, “L’Italia del giorno”, del quale era direttore il dottor Bartolomeo Odicini, massone, medico della famiglia Garibaldi e chirurgo combattente, col grado di tenente, nella Legione Italiana che si distinse nella Defensa di Montevideo[45]. Il figlio Giovacchino Odicini pochi anni dopo sarebbe diventato uno dei principali artefici della stampa italiana d’emigrazione, dirigendo per molti anni, assieme a Desteffanis, il più grande quotidiano etnico mai stampato in Uruguay, “L’Italia”, poi “L’Italia al Plata”.

Tornando al quotidiano “L’Italia”, il tentativo montevideano di Minelli, osteggiato dai colorados e nemmeno gradito dai blancos, non ebbe fortuna. Furono stampati soltanto 28 numeri. Il 18 gennaio 1865, infatti, il quotidiano fu chiuso d’autorità dal Capo Politico di Montevideo che intimò a Minelli di lasciare il paese in 24 ore.

  1. La chiusura del giornale, l’espulsione e le tensioni tra Italia e Uruguay

La chiusura del giornale e l’espulsione di Minelli, divennero un caso diplomatico. Barbolani, addirittura, informò il Generale La Marmora, ministro degli esteri del Regno d’Italia.

Nella situazione eccezionale in cui trovasi questa città ed a fronte delle restrizioni a cui è sottoposta la stampa, il giornale LItalia si è trovato in gravi di difficoltà, ed ha finito per essere sospeso, come scorgerà V. E. dalla lettera da me diretta a tal uopo al signor de Las Carreras. Al direttore di quel periodo, signor Minelli, fu intimato di partire da Montevideo in 24 ore, ma questo ordine a mia istanza fu subito rivocato[46].

In effetti, Barbolani definì Minelli suo “segretario volontario” nella lettera inviata al ministro degli Esteri di Montevideo Antonio de Las Carreras e protestò in maniera ferma per la decisione di chiudere il giornale, minacciando ritorsioni se il provvedimento non fosse stato ritirato[47]:

Il redattore del giornale LItalia, signor Minelli, mi fa conoscere avere egli ricevuto dal signor Capo-Politico l’intimazione di sospendere la pubblicazione del suo giornale e di lasciar Montevideo entro le 24 ore. Quanto alla prima di siffatte disposizioni, io debbo fare osservare, Signor Ministro, che il regime restrittivo cui è assoggettata la stampa in questi frangenti, non può essere interpretato siccome assenza totale d’ogni legge ed ogni procedura. Si potrebbe sino ad un certo punto comprendere che a cagione dello stato d’assedio si sopprimano tutti i giornali. Ma poiché il Governo della Repubblica non ha intimò dover adottare siffatta misura estrema, non si vede perché ai giornali che si credono officiosi abbia ad essere concesso il privilegio di insultare quotidianamente il Regio Governo e la nazione italiana senza che alcuno abbia il diritto di rispondere. Il Governo della Repubblica nella sua imparzialità non potrebbe sostenere una siffatta tesi, e per conto mio io che debbo dichiarare a vostra eccellenza che per riguardo alla dignità del Governo del re e dei miei compatrioti non potrò mai ammetterla.

Proseguendo nella sua lettera di protesta all’ultra conservatore ministro degli Esteri e giudicando inaccettabile l’accaduto, il diplomatico italiano affrontò anche la questione dello “sfratto” di Minelli da Montevideo e le possibili conseguenze nei rapporti tra Italia e Uruguay:

Tanto meno posso io accettare, Signor Ministro, la misura violenta che fu presa contro il suddito italiano signor Minelli con ordinarne lo sfratto dal paese. […] Il signor Minelli fu recentemente minacciato da uno dei redattori del giornale L’Artigas di vie di fatto sulla sua persona; io ho m’affrettai a segnalare il reato all’attenzione del Governo della Repubblica per domandare la punizione del colpevole: il governo mi risponde collo sfratto dell’offeso. Confesso, Signor Ministro, che un tal procedere mi riesce inesplicabile. Per quanto mi dolga di vedere posti a repentaglio i buoni rapporti tra i due governi io non posso dispensarmi dal prosciogliere la mia responsabilità per tutte le conseguenze funeste che per ambe le parti le potrebbero conseguire.

Le motivazioni che portarono alla chiusura del quotidiano restano tuttavia sconosciute. Forse la lite tra Minelli e il redattore de “L’Artigas” non era andata a genio al governo e al giornalismo blanco il tono anticlericale, massone e liberale del quotidiano. O forse, come è più probabile, si era trattato di un “dispetto” per il fatto che “L’Italia” fosse emanazione di Barbolani e che Minelli, nel corso della sua permanenza a Montevideo, fosse stato utilizzato come messaggero diplomatico nella fallita mediazione tra il governo blanco e il caudillo Flores. Minelli, a quanto pare, dalla capitale si recava al quartier generale di Flores per recapitare i messaggi del ministro d’Italia e le bozze d’accordo o per accompagnare Barbolani. L’intervento di Barbolani per fare ritirare il provvedimento ebbe parzialmente successo. Il giornale non riprese più le pubblicazioni, ma il provvedimento di espulsione fu annullato.

Ciò nonostante, Minelli decise di trasferirsi nuovamente a Buenos Aires, dove ripubblicò il suo giornale con l’obiettivo dichiarato – come scrisse sul primo numero – di diffondere “la concordia, l’unione e la gratitudine cosciente” per la Nazione che ospitava lui e tanti altri suoi compatrioti. Secondo Diego Abbad de Santillàn, il giornale ebbe uno scarso impatto nella realtà argentina[48], a causa dei contrasti all’interno della comunità. E, a conferma di una mobilità che ha caratterizzato la vita di molti giornalisti italiani nelle due americhe, Minelli abbandonò presto l’impresa argentina per fare ritorno in Uruguay[49].

Nel frattempo la rivoluzione di Flores aveva trionfato. Nel febbraio 1865 il Generale si era presentato sotto le mura della capitale. Il nuovo governo del presidente Villaba scelse di consegnargli il potere. Barbolani il 17 febbraio, per conto di Villaba incontrò José Maria da Silva Paranhos, rappresentante diplomatico del Brasile, paese protettore di Flores, per avviare colloqui di pace. La mediazione del rappresentante italiano sorprese Paranhos[50] che fu – come racconta lo stesso Barbolani – più irremovibile dello stesso Flores, il quale ovviamente, partecipava all’incontro[51]. Due giorni dopo una Convenzione sanzionò il ritorno dei colorados alla guida dell’Uruguay. Flores assunse l’incarico di Governatore provvisorio della Repubblica e la vita di Montevideo ripresa con ritmi nuovi, offrendo nuove opportunità.

Il nuovo corso politico, nonostante il favore degli italiani per il governo dei colorados, iniziò male per quanto riguarda i rapporti tra Uruguay e Italia. Sul finire de1 1864, infatti, il ministro degli Esteri del moribondo governo di Aguirre aveva concesso all’Italia l’isola della Libertà, a poche miglia dal porto di Montevideo, perché vi impiantasse una stazione della Regia Marina[52]. I lavori per allestire la stazione erano appena terminati, quando, appena insediatosi, il nuovo ministro degli Esteri colorado, Carlos de Castro, ne chiese ufficialmente la restituzione[53], con un “atto poco amichevole” e ostile che Barbolani non mancò di sottolineare[54]. La tensione tra i due governi rischiò di sfociare in un duro conflitto diplomatico. Il presidente del consiglio del Regno, generale La Marmora, pur approvando l’atteggiamento molto critico di Barbolani e non mancando di sottolineare l’atto poco amichevole del nuovo governo uruguayano nei confronti dell’Italia, fece tuttavia restituire l’isola. Subito dopo, per “far salva la dignità del governo del Re”, si decise di “stabilire al Plata una Divisione navale”, incaricata di estendere “la protezione sua ad ogni punto delle coste dell’America del Sud”, ove lo avessero richiesto gli interessi italiani[55]. L’obiettivo poco nascosto di quella dimostrazione di forza, invece, era di rafforzare il prestigio del Regno appannato dopo le tensioni con Montevideo, secondo qualcuno addirittura nel tentativo di “stabilire una qualche improbabile forma di protettorato nell’Area Platina”[56]: protettorato che in verità era stato respinto dal governo italiano solo due anni prima, sebbene una parte significativa dei gruppi dirigenti del paese auspicasse una soluzione del genere e alla questione si fossero interessati anche i rappresentanti diplomatici di Francia, Spagna e Brasile[57].

  1. Epilogo

Se anche “L’Italia” di Minelli non ebbe fortuna, come il tentativo di pacificazione di Barbolani, la testata non si perse e fu più volte in seguito riproposta. La scomparsa del giornale, intanto, stimolò nuove iniziative, poiché per la comunità italiana era ormai diventata un’acquisita esigenza avere un proprio organo di stampa. Meno di due mesi dopo, il 2 marzo 1865, nacque allora “Il Garibaldino”, trisettimanale della sera di carattere politico e informativo. In formato piccolo, come complemento di testata aveva le parole “Libertà, Verità. Politico e informativo”. Il periodico, anticlericale ma molto prudente sulla soluzione istituzionale in Italia, volle rimarcare la propria indipendenza e si dichiarò subito “senza patrocinio diplomatico” quasi per prendere le distanze dal predecessore legato a filo doppio al ministro d’Italia. Nel primo numero, affermando di contare sull’aiuto “di quel popolo che diede al Generale Flores il suo contingente di Legionarii, che crede nell’unità futura d’Italia e si leva il berretto quando ode pronunziare il nome di Garibaldi e dell’eroe di Palestro e di San Martino”, inneggiò al generale Flores definendolo “il Garibaldi orientale” ed esaltandone la rivoluzione. Tuttavia rese omaggio al conte Barbolani riconoscendogli il merito di avere intensamente operato a favore della pace. “Il Garibaldino” fu una meteora: stampò soltanto dodici numeri, l’ultimo il 30 marzo 1865. Due giorni dopo gli diede il cambio un altro trisettimanale che ne era la continuazione, perché gli editori avevano “divisato d’intitolarlo qui dinnanzi Il Commercio Italiano, titolo, che non escludendo la politica, indica soltanto, che non deve esser essa il suo principale obbiettivo. Periodico della sera, “Il Commercio Italiano” si spense il 30 settembre 1865 dopo avere pubblicato 75 numeri.

Con queste testate nasceva un nuovo giornalismo etnico, più moderno perché proiettato verso l’informazione. Le questioni risorgimentali che per alcuni decenni avevano appassionato migliaia d’immigrati, infatti, andarono sempre più sfumando e furono sostituite dalle notizie di attualità che facevano da ponte con la madrepatria.

Minelli, instancabile e spavaldo, riprese a viaggiare in tutto il mondo; Barbolani proseguì nella sua brillante carriera e fu, tra l’altro, Ministro plenipotenziario a Costantinopoli, Pietroburgo, Tokio e Monaco di Baviera.

[1] Pantaleone Sergi, Stampa migrante. Giornali della diaspora italiana e dell’immigrazione in Italia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010.

[2] Pantaleone Sergi, Storia della stampa italiana in Uruguay, Montevideo, Fondazione Italia nelle Americhe, 2014, pp. 41 e ss.

[3] Luce Fabbri Cressatti, Comienzos del periodismo italiano en el Rio de la Plata, “Revista Garibaldi”, 7 (1992), pp. 7-23.

[4] Uno dei fratelli Antonini, Paolo, nel 1834 partecipò alla fallita spedizione mazziniana in Savoia e fu condannato a morte. Fuggì dall’Italia e si stabili a Montevideo facendo fortuna.

[5] Cfr. Documentos relativos a la pacificación de la República, Montevideo, Imprenta de La República, 1864.

[6] Si veda il carteggio tra il diplomatico italiano, il Presidente della Repubblica e il ministro degli Esteri dell’Uruguay in Tentativa de pacificación interna por interposición de S. E. el Caballero R. U. Barbolani, Ministro Residente de S. M. el Rey de Italia. Negativa de D. Venancio Flores, Montevideo, Imprenta de la “Reforma Pacifica”, 1864.

[7] Il Cavaliere Ulisse Barbolani al Signor de Herrera, Ministro delle Relazioni straniere, Montevideo, 6 settembre 1864, in Documenti diplomatici presentati al Parlamento dal Ministro degli Affari Esteri Presidente del Consiglio dei Ministri il 12 dicembre 1865, Firenze, Eredi Botta, s.d., p. 439.

[8] Juan José de Herrera, Ministro de Relaciones Exteriores, a S. E. D. Rafael U. Barbolani, Ministro Residente de S. M. el Rey de Italia, Montevideo, 6 settembre 1864, in Tentativa de pacificación interna, cit., p. 14.

[9] Il Cavaliere Ulisse Barbolani al Cavaliere Visconti-Venosta, Montevideo, 14 settembre 1864 (ricevuto il 21 ottobre), CLXII, in Documenti diplomatici, cit., p. 433.

[10] Per una biografia di Minelli si rinvia a Edoardo Piva, Una pagina della vita di un avventuroso polesano in America. Gustavo Minelli, in Miscellanea in onore di Roberto Cessi, vol. III, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, 1958, pp. 91-102.

[11] Completò il Liceo a Padova e s’iscrisse anche alla facoltà di medicina, ma già a 18 anni era volontario con Garibaldi a Roma e subito dopo scappò in Grecia. Nei momenti di bisogno lavorò anche come facchino, zappatore, commerciante e “rivendivolo” (uno che comprava e vendeva qualcosa).

[12] Cfr. Marco Cavriani, Minelli, Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 74, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2010, http://www.treccani.it/enciclopedia/antonio-minelli_(Dizionario-Biografico)/.

[13] Di tale lettera, pubblicata da Piva (Una pagina della vita, cit., p. 91), esiste solo una minuta senza data.

[14] Il ministro Barbolani si impegnò per unificare le associazioni italiane della colonia, ma si ritrovò in una situazione imbarazzante allorquando queste, pur aderendo alla sollecitazione, decisero che la presidenza onoraria della futura organizzazione doveva essere offerta a Garibaldi, proposta che a Barbolani e al governo italiano era indigesta. Cfr. Archivio Storico Ministero degli Affari Esteri (Roma), Serie Politica A, Uruguay, Serie III, Barbolani, 8.14.1863 (cit. da Juan A. Oddone, Italians in Uruguay: Political Participation and Country Con-solidation during Mass Immigration, in The Columbus People: Perspectives in Italian Immigration to the Americas and Australia, https://onlinelibrary.wiley.com/doi/pdf/10.1111/j.2050-411X.1994.tb00761.x, p. 219.

[15] Si veda Luigi Barbirolli, Cronaca rodigina. 1 giugno 1848 – 1 gennaio 1853, a cura di Luigi Lugaresi, Rovigo, Minelliana, 1983, p. 58.

[16] Edoardo Piva, I Masnadieri, “Gazzetta Veneta”, 21 novembre 1949.

[17] Di quelle lezioni è testimonianza la pubblicazione Curso de Historia Universal – Discurso preliminar – Pronunciado por el Profesor Gustavo Minelli en la Universidad de Buenos Aires el 27 de Enero de 1862, Buenos Aires, Imprenta de La Tribuna, 1862.

[18] Con un articolo su “La Tribuna” firmato da “Los discípulos de Minelli” veniva duramente attaccata la virulenta e apologetica contestazione delle lezioni dell’italiano che il giovanissimo (all’epoca aveva meno di venti anni) e combattivo José Manuel Estrada aveva pubblicato a puntate sullo stesso periodico sotto il titolo El génesis de nuestra raza. Al profesor de Historia Universal, Dr. Gustavo Minelli. Questi articoli furono poi raccolti in volume: El génesis de nuestra raza. Refutación de una lección del Dr. D. Gustavo Minelli sobre la misma materia, Buenos Aires, Imprenta La Bolsa, 1862. Sulla polemica si veda: Nestor Tomás Auza, Racionalismo y tradicionalismo en el Río de la Plata, Gustavo Minelli – José Manuel Estrada, “Teología” (Revista de la facultad de teología de la Pontificia Universidad Católica Argentina), 73,1 (1999), pp. 99-121.

[19] Diego Castelfranco, La ciencia en disputa. El vínculo entre la ciencia y el catolicismo en la Argentina del siglo XIX (1860-1900), Tesis de Maestría en Ciencias sociales 2011-2015, Universidad Nacional del General Sarmiento, 2015.

[20] Miguel de Asúa, El darwinismo y los católicos en la Argentina, in Darwin y el darwinismo. 150 años después, a cura di Héctor A. Palma, San Martin, UNSAMEdita, 2012, p. 26.

[21] Ludovico Incisa di Camerana, L’Argentina, gli italiani, l’Italia. Un altro destino, s.l., SPAI, 1998, P. 183.

[22] Raffaele Ulisse Barbolani nacque il 13 agosto 1818 e morì il 19 ottobre 1900. Appartenente a un’antica famiglia aristocratica, nel 1847 entrò della diplomazia del Regno delle Due Sicilie. Da giovane ebbe anche un’esperienza giornalistica: nel 1848, infatti, occupandosi di politica estera collaborò attivamente a “Il Nazionale”, il quotidiano liberale fondato a Napoli da Silvo Spaventa, patriota italiano che partecipò al Risorgimento e fu nominato senatore del Regno d’Italia. Per il sovrano Borbone, Barbolani fu segretario di legazione a Vienna, a Londra e a Pietroburgo, e quindi incaricato d’affari a Rio de Janeiro. Collocato in disponibilità da Garibaldi, nel marzo 1861 fu chiamato a prestar servizio al Ministero degli Esteri a Torino; quindi dal 14 giugno 1862 fu incaricato d’affari presso le Repubbliche del Plata che aveva sede a Montevideo. Nominato ministro residente nel 1864, divenne inviato straordinario e ministro plenipotenziario nel 1867. Si vedano anche: Le scritture del ministero degli Affari Esteri, a cura di Ruggero Moscati, Roma, Tipografia riservata del ministero Affari Esteri, 1953, p. 17n.; Marisa Di Russo, Raffaele Ulisse Barbolani. Un diplomatico abruzzese nel Giappone di fine Ottocento, in “Oggi e Domani”, CCLXX, 10 (1999), pp. 3-12, e Un principe di Casa Savoia e un diplomatico del Regno d´Italia conquistano la corte Meiji, in Associazione italiana per gli studi giapponesi, Atti del XXVI Convegno sul Giappone, Venezia, Cartotecnica Veneziana Editrice, 2002, pp. 157-175.

[23] Cfr., per esempio, Barbolani a S. E. el Dr. D. Rufino de Elizalde, Ministro de Relaciones Esteriores, Buenos Aires, 7 giugno 1865, in Memoria presentada por el Ministro de Estado, Departamento de Relaciones Esteriores al Congreso Nacional en 1866, Buenos Aires, Imprenta del “Comercio del Plata”, 1866, p. 204, nonché ivi, Correspondencia cambiada con la Legacion de Italia sobre la detencion en el puerto de Buenos Aires de varias goletas de aquella nacionalidad, procedentes de puertos del Paraguay, despues de la declaración de guerra, pp. 210-246.

[24] Gustavo Minelli, L’Italia, “L’Italia”, 21 dicembre 1864.

[25] Pantaleone Sergi, Más inmigrantes y más periódicos. Presencia y misión en Argentina y Uruguay de la prensa étnica italiana, “Estudios migratorios latinoamericanos”, 1 (2016), in corso di stampa.

[26] Il 1º gennaio 1864 era apparso il trisettimanale “Il propagatore italiano”, diretto da Alessandro Pesce, che in Italia aveva guidato “Il Proletario” di Torino nel 1849. “Organo di interessi economici e politici”, come annunciò nel primo numero Il propagatore italiano aveva due obiettivi dichiarati: “il culto della patria lontana” e “la fusione dell’elemento nazionale con lo straniero”. Di tendenza monarchica conservatrice e cattolica, il giornale era vicino alle autorità diplomatiche (dedicava pagine intere ai comunicati consolari) e per tale motivo era spesso in polemica con “L’Italia del giorno” di Buenos Aires diretta dal cremonese Luigi Daniele Desteffanis, che era di tendenza repubblicana e appoggiava apertamente il Partito Colorado uruguayano e don Venancio Flores.

[27] Ernesto Mario Campagna Caballero, La población italiana en Uruguay. Movimientos inmigratorios y estructuras sociodemográficas, “Bollettino di demografia storica”, 12 (1990), p. 239. Il flusso massiccio di immigrati peninsulari iniziò dopo il 1865 e proseguì a ritmi intensi fino agli anni Novanta del secolo. A Montevideo nel 1889 vivevano 46.991 italiani, pari al 21,8% sul totale di 181.222 abitanti.

[28] Sull’attività diplomatica di Barbolani a Montevideo si veda Juan Antonio Oddone, Una perspectiva europea del Uruguay. Los informes diplomáticos y consulares italianos 1862-1914, Montevideo, Universidad de la República Oriental del Uruguay, Facultad de Humanidades y Ciencias, 1965, pp. 4-15.

[29] L. Fabbri Cressatti, Periodismo italiano en el Plata, cit., p. 43.

[30] Gustavo Minelli, La bandiera italiana ed il Ministro Barbolani, “L’Italia”, 21 dicembre 1864.

[31] Gustavo Minelli, El aluvión inmigratorio italiano en el Uruguay de hace un siglo, “Garibaldi”, 5 (1990), p. 53.

[32] J.A. Oddone, Italians in Uruguay, cit.

[33] Leonello Pio Vecchi, Uruguay, Parana, Paraguay, Bozzetti, 1870-1873, Genova, Tipografia del R. Istituto Sordo-Muti, 1885.

[34] G. Minelli, L’Italia, cit.

[35] Rapporto di M. de Maillefer al Ministro degli Affari Esteri di Francia Conde N. Darù, Montevideo 29 settembre 1863, cit. in Informes Diplomáticos de los representantes de Francia en el Uruguay, “Revista Histórica”, 52-54 (1955), pp. 52-53.

[36] Juan Antonio Oddone, La politica e le immagini dell’immigrazione italiana in Uruguay: 1830-1930, in L’emigrazione italiana e la formazione dell’Uruguay moderno, Torino, Edizioni della Fondazioni Giovanni Agnelli, 1993, pp. 77-119.

[37] Raffaele Ulisse Barbolani al Ministro de Relaciones Exteriores del Reino de Italia, Caballero Emilio Visconti Venosta, Montevideo 7 luglio 1863, in Informes Diplomáticos del representante del Reino de Italia en el Uruguay, 1863, “Revista Histórica” (Montevideo), 100-102 (1963), pp. 451-452.

[38] Archivio Storico Ministero Affari Esteri (Roma), Serie Politica A, Uruguay, Serie III, Rapporto di Ulisse Barbolani al Ministro degli Esteri, Montevideo, 29 settembre 1863, p. 192.

[39] G. Minelli, La bandiera italiana ed il Ministro Barbolani, cit.

[40] Al giornale collaborò anche il repubblicano Luigi Daniele Desteffanis, che nel frattempo si era installato a Montevideo dove, in seguito, divenne un leader tra più ascoltati all’interno della collettività italiana e, col sostegno del generale Flores, fu nominato professore di Storia Universale all’Università.

[41] Si vedano i tre articoli Gli Italiani a Buenos Aires, 22, 23 e 24 dicembre 1864.

[42] Gustavo Minelli, I bombardamenti e il diritto pubblico, “L’Italia”, 19 dicembre 1864. La Società Filodrammatica, molto legata a Barbolani, avviò una raccolta di fondi per i superstiti: cfr. Gustavo Minelli, La Società Filodrammatuca Italiama e le vittime di Paysandù, “L’Italia”, 20 dicembre 1864.

[43] Juan Andrés Bresciano, Órganos representativos de la colectividad italiana, in La prensa de la inmigración europea en Uruguay (1860-1960). Indice analítico, a cura di Dante Turcatti, Montevideo, Facultad de Humanidades y Ciencias de la Educación. Universidad de la República, s.a., p. 14.

[44] Nicola Bernardini, Guida della stampa periodica italiana, Lecce, Tipografia editrice Salentina, 1890, p. 739.

[45] Ibidem. Su Bartolomeo Odicini si veda Sergio Goretti, Bartolomeo Odicini. L’esperienza massonica di un Garibaldino tra Uruguay e Italia, “Revista Garibaldi”, 11 (1996), pp. 61-62.

[46] Il Cavaliere Ulisse Barbolani al Generale La Marmora, Montevideo, 29 gennaio 1865 (ricevuto il 10 marzo) in Documenti diplomatici presentati al Parlamento dal Ministro degli Esteri Presidente del Consiglio dei Ministri il 12 dicembre 1865, Firenze, Eredi Botta Tipografi della Camera dei Deputati, 1865, p. 474.

[47] Il cavaliere Ulisse Barbolani al signor de Las Carreras, Montevideo 19 gennaio 1865, ibidem, p. 476.

[48] Diego Abbad de Santillàm, Gran Enciclopedia Argentina, Buenos Aires, Ediar, 1956, p. 198.

[49] Nel 1866 tuttavia era in Italia per combattere tra le fila dei volontari garibaldini nella campagna del Trentino, con il ruolo di commissario di guerra del 18° Reggimento. In seguito viaggiò in Asia e in Africa.

[50] Armando de Senna Bittencourt, O Almirante Tamandaré na Campanha Oriental, “Navigator”, III, 6 (2007), p. 35.

[51] Il Cavaliere Ulisse Barbolani al Generale La Marmora, Montevideo, 27 febbraio 1865 (ricevuto l’8 marzo), CLXXIX, in Documenti diplomatici, cit., p. 498.

[52] Il Cavaliere Ulisse Barbolani al Generale La Marmora, Montevideo, 29 novembre 1864 (ricevuto il 5 gennaio 1865), CLXVIII, ibidem, p. 459.

[53] Il Signor de Castro, Ministro degli Affari Esteri dell’Uruguay, al Cavaliere Ulisse Barbolani, Montevideo 11 aprile 1865, ibidem, p. 509.

[54] Il Cavaliere Ulisse Barbolani al Generale La Marmora, Montevideo 28 marzo 1865 (ricevuto il 4 maggio), ibidem, p. 507.

[55] Il Generale La Marmora al Cavaliere Ulisse Barbolani, Firenze 5 settembre 1865, ibidem, p. 537.

[56] Cfr. Antonio J. S. Mottin ed Enzo Casolino, Italianos no Brasil. Contribuicões na Literatura e nas Ciências seculos XIX e XX, Porto Alegre, Ediprucs, 1999, p. 242.

[57] Mario Etchechury Barrera, Periferias imaginadas. Guerras facciosas y sueños protectorales en el Río de la Plata (1838-1865), “Prohistoria” (Rosario), XVII, 22 (2014), pp. 55‑79.