Per la storiografia tunisina, l’itinerario politico di Converti, un personnage à plusieurs dimensions: sociale, militante, journalistique, è stato singolare. Tali dimensioni, altrettanto chiavi di lettura, simboleggiano il compimento di una missione, dalla quale, en échange, ha ottenuto riconoscimenti tangibili: essere ritenuto un anarchico a livello internazionale più in Tunisia che in Italia e, nel contempo, reputato le pionnier d’un genre particulier de presse, quella ouvrière[1]. Michele Brondino, cultore e caposcuola della stampa italiana in Tunisia, sulla scorta di accurati studi (un repertorio ancora in progress), gli ha assegnato l’etichetta di antesignano dei giornali “di protesta sociale” in grado d’interpretare le istanze delle classi lavoratrici[2]. Ulteriori studiosi, franco-tunisini, a rinforzare la tridimensionalità, hanno, inoltre, scritto che può essere definito uno dei precursori, se non il precursore, del movimento operaio maghrebino[3]. Per lo storico dell’anarchismo, Max Nettlau, infine, a Tunisi gli anarchici, diffondendo concetti finalizzati a scalfire il tessuto tradizionale della società locale ed esplicandoli con l’ausilio di una incalzante pubblicistica, sono stati la coscienza dell’impegno libertario, e Converti, senza dubbio, un esponente di spicco perché li ha semplificati con l’ausilio di una incalzante pubblicistica[4].
Rebus sic stantibus, un’avvertenza è preliminarmente doverosa. Il presente saggio non è un’indagine sull’anarchismo dans les milieux européens en Tunisie, è soltanto l’elaborazione dell’esperienza umana di Converti, tra Italia e Tunisia e con un transito nella Francia meridionale. Il progetto originario prevedeva la compilazione di una scrupolosa monografia, ma saltato per accidentalità varie, ho dovuto rivedere il piano di lavoro, optando per una soluzione editoriale minore (la prima parte è uscita nel numero 16-17 del 2020-2021 di questa rivista), e, conseguentemente, per portarlo a termine, districarmi tra taluni accorgimenti: adattarmi a canoniche e corrette norme redazionali; adoperare, con parsimonia, le copiose fonti bibliografiche a disposizione ed utilizzare, con profitto e sagacia, l’autobiografia del personaggio oggetto di studio (Confessioni e battaglie), materiale indubbiamente prezioso ma che, pur sempre, tradisce un’ interpretazione oleografica antica[5]. Tutto ciò, sia per non reiterare nozioni risapute, sia per non correre il rischio di minimizzare o sovrastimare un protagonista del fuoruscitismo, tanto apprezzato dai contemporanei in quanto animato da una sincera lealtà nei confronti della nazione africana.
Concluso il rodaggio in terra francese (18 mesi) e svanito il sogno di trasferirsi a Parigi, la decisione più logica per Converti fu quella di cambiare aria: emigrare dall’Europa ed esplorare altri lidi. Convinto da un amico napoletano, già collega di redazione ai tempi del “Piccone” (1885), puntò su Tunisi, una Lugano mediterranea[6], caratteristica tappa de repli traditionelle degli anarchici. Imbarcatosi a Marsiglia en compagnie di Gaetano Grassi e con il denaro dell’ultimo vaglia spedito dal padre e, rifacendo la strada percorsa, mezzo secolo addietro, dai profughi politici, il 10 gennaio 1887, dopo, tre giorni di navigazione, approdò al porto della Goletta, dove ad attenderlo, pour faire la propagande, c’erano due compagni, Jean Bart Darniche e Antonio Filangieri[7].
Raggiunta la nuova destinazione, divenuta, frattanto, un Protettorato della Francia, di fatto una finzione giuridica per legittimare, con i trattati del Bardo e della Marsa (1881 e 1883), “une annexion pure et simple, comme celle de l’Algerie”[8], e vagliate, all’istante, le circostanze, decise di fermarsi in pianta stabile, fortemente intenzionato ad avviare un programma tassativo: la divulgazione del pensiero libertario e scrivere una bella pagina di storia.
L’arrivo dell’anarchico, avvenuto in un momento inusitato all’interno della comunità italiana (era sorto un certo screzio fra le divergenti fazioni), non trascorse inosservato[9]. Per non avere scontato la pena del Tribunale di Firenze, dovette tener testa ad una richiesta perentoria di arresto, inoltrata dal console generale d’Italia. Non potendo avvalersi della prerogativa dell’extraterritorialità, nel mentre abolita[10], il funzionario si rivolse alla polizia francese, ma, Converti, spalleggiato da Jules Montels, ex-colonnello della Comune di Parigi e redattore capo del quotidiano socialista, “Tunis Journal” (1884), si assicurò i buoni uffici di Paul Cambon, Résident Général[11].
Il sostegno del comunardo non fu l’unico. Risolutivo, per altre contingenze, il soccorso della Chiesa tunisina e presumibilmente del cardinale Lavigerie, arcivescovo di Cartagine e primate d’Africa. Il porporato, contattato, tramite padre Felice, priore dei Cappuccini, da Francesco Converti, arcivescovo di Reggio Calabria e zio paterno[12], lo affidò al religioso, il quale lo facilitò ad acclimatarsi, lo introdusse tra gli ammalati e lo agevolò nel conseguimento della laurea in medicina[13].
Il calabrese, in seguito, non ebbe fastidi; nelle relazioni al Ministero era descritto, complessivamente, come un uomo di indole pacifica, tutto dedito alla famiglia e all’impiego di medico ospedaliero. Era così mite e bonario che il console si chiedeva come potesse esserci concordanza tra le sue credenze così innovatrici e il carattere tutto l’opposto di quello che professava. “Lo credo più che altro un umanitario esaltato, un socialista ideologo”[14].
Tunisi, località “d’incontro e di scontro”, un crocevia di culture e lingue diverse, è stata una meta accogliente per l’Italia “vagabonda”, un sentiero, del tutto spontaneo, per le regioni meridionali e insulari. Dai primi avvicinamenti tra Amalfi e i villaggi rivieraschi della costa, risalenti all’anno mille[15], la vicinanza, una “più che intimità”, ha avuto un andamento di lunga durata. Un iter lunghissimo, che, attraverso un unicum inconsueto di esodi, ha accompagnato l’Italia migratoria sino all’ età contemporanea, dettagliatamente nei decenni a cavallo tra Otto e Novecento[16].
Disponibile, altresì, con la diaspora politica coinvolta nelle vicissitudini risorgimentali. Agli esuli, provenienti, in prevalenza, dal Regno delle due Sicilie e di Sardegna, durante la giurisdizione di Ahmed Bey (1837-1855), riformatore solerte ed artefice dell’abolizione della schiavitù, il governo tunisino concesse asilo ed offrì protezione alla cospirazione mazziniana[17]. Dal canto loro, questa elite politica, culturalmente operosa, qualificando la presenza in nome della comune mediterraneità, si riservò, nello spazio di pochi anni, un ruolo rilevante nel tessuto multietnico del paese[18]. Facendo di Tunisi un polo cosmopolita, ces réfugiés politiques rinsaldarono évidemment l’influence occidentale e diedero un prezioso impulso alla modernizzazione e alla formation de la pensée réformiste tunisienne[19]. Nel 1850, la collettività, qualitativamente non ingombrante ma preminente per l’eterogeneità degli immigrati, sfiorava le seimila persone, un nucleo compatto, capace di svolgere un compito di mediazione con le istituzioni locali[20].
Tra italiani e francesi, si azionava una gagliarda rivalità, una crisi perdurante, sottolinea Rainero[21], sulla bataille de chiffres. L’urgenza di tutelare l’egemonia numerica induceva i transalpini a camuffare la realtà, a truquer les statistiques officielles pour minimiser l’importance relative des Italiens[22] e a fomentare, giovandosi dello stereotipo dei siciliani, uomini violenti, una propaganda xenofoba, puntellata da un giornalismo francese, proteso a scorgere nel “peril italien” e nell’“invasion sicilienne”, una sindrome di accerchiamento con serie incognite di coabitazione[23].
Con l’unificazione, nelle congiunture in cui la nuova Italia fu scossa da tensioni sociali e negli anni del fascismo, connazionali repubblicani, democratici, anarchici, i cosiddetti passeurs, per sottrarsi alle persecuzioni ed evitare la prigione, analogamente attraversarono le acque del canale per rifugiarsi nell’Africa del Nord.
Convulso fu il raggio di spostamento degli anarchici, rilevante tra il 1870 e il 1890: una mobilità composita dall’Europa alle Americhe o, semplicemente, in Tunisia ed Egitto[24]. Svariati preferirono tergiversare per un breve periodo in siffatte nazioni, altri prescelsero la Tunisia, convinti di veicolare le utopie rivoluzionarie ed internazionaliste, fare tirocinio di “rigenerazione” sociale e, assecondando un processo di interconnessione con gli indigeni, pervenire ad una straordinaria integrazione.
Tra i banditori “africani” è da annoverare Converti. Egli combinò il suo attivismo politico con la medicina, praticata nel pubblico (medico notturno nell’ospedale), e nel privato, alleviando i bisogni “dei derelitti di qualsiasi razza” nel solco della tradizione del socialismo italiano[25]. Anche se meno conosciuto di Malatesta, Merlino, Cafiero, Gori, Schicchi, Borghi, Fabbri, il suo operato e la sua umanità, tra Italia e Africa, “un sessantennio di lotte ed idee”, si armonizzano con la storia dell’anarchia, dalla Prima Internazionale alla fine degli anni Trenta del Novecento.
Accolto dallo sparuto manipolo libertario (i mesi a Marsiglia erano bastati a spianargli il terreno), agì con spigliatezza. Nonostante dovesse cimentarsi in una cerchia ristretta dove, a parte l’affissione sui muri della città, dicembre 1885, di alcuni messaggi firmati da un sedicente comitato rivoluzionario ed inneggianti ad una repubblica italiana, non c’erano mai stati indicatori anarcoidi[26], non si predispose all’ improvvisazione, non era nel suo carattere. Al contrario, impostò un cartello ben ponderato sull’anarchismo, imperniato, essenzialmente, su una persuasiva campagna di comunicazione.
Nel frattempo oltre a mantenere legami col movimento internazionale[27], fece di sé stesso un punto di riferimento per chi giungeva a Tunisi. Non c’era uno, anche solamente di passaggio, che non lo incontrasse nella sua modesta abitazione in Avenue Jean Jaurès.
Molteplici gli attivisti con i quali ebbe contiguità. Da Schicchi al nuorese Giovanni Dettori, caduto a Teruel nella guerra civile spagnola, all’altro sardo Francesco Cucca; i siciliani Vincenzo Mazzone, Gaetano Di Bartolo Milana e Antonino Azzaretti[28]; il socialista Bernardino Verro, profugo in Tunisia per lo scioglimento dei Fasci siciliani; Bruno Buozzi “col quale avevo quotidiani contatti”[29]. Inoltre Giuseppe Pasotti, socialista di Conselice, espulso dalla Francia e rifugiatosi col figlio Nullo minorenne a Tunisi nel gennaio del 1939. Sospettato di aver preso parte ad un attentato contro il dopolavoro di Bab El Khadra, fu trattenuto in carcere per qualche settimana[30]. Stimolante l’abboccamento con Cucca, uomo di buona cultura (narratore e poeta), di formazione anticlericale, anticolonialista, antinterventista. “In Tunisi ‒ scriveva ad un amico in Sardegna ‒ mi adopererò a ché il Dr. Converti, uno dei più vecchi del movimento rivoluzionario anarchico, una figura buona e simpatica, mi dia i suoi scritti per «Il Pensiero» ed aiuti Fabbri anche lui”[31]. Essenziale la familiarità con Gigi Damiani. L’anarchico romano, accasatosi a Tunisi, strinse con Converti una sincera e collaborativa amicizia[32].
Comportamenti similari si protrassero sia durante la spedizione in Libia, sia a ridosso della guerra mondiale ed anche nel ventennio fascista[33].
In virtù del suo estroverso dinamismo, a volte frenetico, le iniziali e multiformi vicende, portate a conclusione, lo accreditarono come il principale animatore, l’interprete più rappresentativo in un territorio di colonia[34]. A Tunisi, con l’anarchismo era peu influent mais persistant, le manifestazioni anarchiche “sont essentiellement d’origine ed d’influence italiennes […] d’un petit noyau de militants anarchiste, organisé par Converti, et autour duquel viennent a s’agréger les proscrits et les réfugiés politiques”[35].
La sua smania di rincorrere l’azione fu contrassegnata da un succedere di eventi: “cominciai a tenere conferenze in un circolo operaio di mutuo soccorso, scrissi due manifestini sulla guerra d’Eritrea, il 18 marzo commemorai la Comune di Parigi”. E le occasioni proseguirono senza sosta: un duello con un corrispondente del “Secolo” di Milano e della “Gazzetta” di Napoli che aveva esternato insinuazioni su “L’Operaio”, asserendo che Converti lo avesse dato alle stampe unicamente per rastrellare abbonati (l’esito fu che la corrispondenza venne conferita a Converti); la propagazione, nel 1888, di una locandina dell’anniversario dei martiri di Chicago, ed una sollecita sanzione (42 giorni di carcere) ed un’ammenda di 500 franchi, amnistiate in appello; il primo a recepire la deliberazione del congresso dell’Internazionale di Parigi e a celebrare la ricorrenza del 1° maggio 1890, in concomitanza con le altre città del mondo[36]; una condanna del Tribunale di Palermo, in data 29 novembre 1890, tre mesi di detenzione e lire 100 di multa per il libello Repubblica e anarchia; l’incarico di redattore per la Francia del giornale argentino, “La Questione sociale”, una rivista anarchica socialista, apparsa nel luglio 1896 a Buenos Aires, con direttore Fortunato Serantoni, iniziatore dell’anarchismo organizzato[37]. In collegamento con libertari palermitani (“Lo Scamiciato” di Palermo), apprestò una base d’appoggio per facilitare la fuga dei reclusi al domicilio coatto di Favignana e Pantelleria (Malatesta ed altri), ed organizzare leur accueil[38].
A porre maggiormente in risalto la fattibilità degli anarchici fu, sicuramente, la galassia, alquanto irregolare, di periodici, “mente e voce degli emigrati”, che andò pubblicando per quasi venti anni.
Converti, la cui biografia politica scandisce la storia dei movimenti di protesta, fu il più lesto ad interloquire e a concretizzare le sue ideologie. Rispettoso delle necessità delle non omogenee etnie della città, in un evolversi continuo, e con una predicazione metodica e coerente, si prefissò d’infondere i segnali, jusque là inconnues, di una coscienza di classe in ceti ben disposti[39].
Con l’avvento del protettorato, meno aperto alle disuguaglianze etnico-culturali, la pluralità italiana, in base ad un’indagine condotta dalla Società geografica italiana negli anni 1888-89, “la più antica, la più laboriosa e la più benestante di tutte le colonie europee qui residenti”, contava a Tunisi dai 18 ai 19.000 abitanti ed era divisa “in due categorie, un ceto commerciale che fa un commercio d’importazione e d’esportazione ed uno artigiano che lavora in tutte le professioni manuali”[40] .
Consolidatasi in uno status tra colonizzata e colonizzatrice, fu soggetta a cambiamenti tali da modificarne la configurazione sociale: da mercantile, eredità delle ondate migratorie della piccola e media borghesia d’inizio secolo, ad operaia ed agricola (molte le terre tunisine coltivate da italiani)[41]. Tutto questo per via di un accresciuto flusso di lavoratori, sia stagionali che stanziali, una componente scarsamente qualificata, proveniente per lo più dal Sud Italia e in gran parte determinato dagli imporranti lavori pubblici attivati, à la fin desquels beaucoup d’immigrés décidèrent de ne plus rentrer en Italie. Un realistico fattore di spinta per l’emigrazione dall’Italia, perché a questa fiumana, con migranti clandestini illegali, senza passaporto e senza visita medica, si affiancò una maestranza professionale, avvantaggiata da una esclusiva preferenza.
Un “quarto stato” nel quale cominciava ad avere effetto il proselitismo di una stampa specializzata, promossa da emigrati sovversivi, espressione delle diverse variegate culture politiche del movimento operaio e, soprattutto, da anarchici. Uomini prestigiosi o ignoti operai, che ‒ chiosa Rainero[42] ‒ davano un quadro fin troppo preciso dell’altra Italia in una terra estranea. Emigrati speciali autori della necessità di superare le barriere delle nazionalità, ma che dovevano rassegnarsi alle prevaricazioni delle autorità consolari[43].
Non appena messo piede in Tunisia e resosi conto che il proletariato, nella generalità, era sfruttato dalle grandi famiglie dell’imprenditoria, senza differenziazione, si accollò l’incombenza di caldeggiarne le rivendicazioni[44].
Con Gaetano Grassi, sodale di tante avventure e spronato dalla libertà dei giornali e da una proliferazione di fogli, nella capitale e in ambito regionale in lingua francese ed araba[45], il suo intendimento di passeur transgressant, fu orientato ad agitare le acque stagnanti dell’establishment cittadino ed accelerare un rinnovamento nel campo dell’occupazione. In tale obiettivo vi riversò tutte le sue energie intellettuali (anche magnetiche). E i giornali furono lo strumento, non con una stampa etnica (non appropriata), ma con una voce originale in condizione di aprire un dibattito provetto a favorire il coordinamento dei libertari e prospettare alle fasce più deboli della popolazione una percezione discordante della quotidianità[46].
Il 20 novembre 1887, ottemperato a due operazioni minori, tra Napoli e Nizza, “scrivevo da Tunisi”, il patrocinio a “Il Demolitore” di Francesco Cacozza e la direzione del nizzardo “Lo Schiavo”, variandolo da moderato ad anarchico-rivoluzionario, i due (Converti e Grassi), mettendo a frutto l’abolizione della caparra per i periodici, pubblicarono in italiano il primo giornale progressista “L’Operaio”, organo anarchico dei militanti di Tunisi e di Sicilia, in avanti “Organo Comunista Anarchico” ed infine “Organo internazionale dei lavoratori”. Stampato, per 26 numeri, in più tipografie fino a gestirne una al n. 10 della rue Sidi Alì Azous, il settimanale (quattro pagine, l’ultima per la pubblicità), uscì ininterrottamente fino al 14 aprile 1889, per riprendere, nel 1904, da febbraio a marzo. Apportandovi una dose di entusiasmo, “L’Operaio”, additato ad un esempio di “longevità e precarietà”, considerando la durata media della stampa anarchica[47], subì l’ostracismo delle caste dominanti. Fu costantemente ostacolato per i suoi contenuti e i toni accesi e, assillato da carenze finanziarie, spesso dovette ricorrere ai lettori per una raccolta di fondi (une souscription volontaire).
In aperta antitesi con la stampa borghese, in primis “L’Unione”, testata ufficiale dell’italianità, sotto il controllo del consolato[48], “L’Operaio”, con un lessico lineare e in uno stile scarno, rivolgendosi agli italiani e siciliani, più coesi, e dedicando le attenzioni anche agli operai tunisini, subalterni politicamente, centrò lo scopo di promuovere le tensioni ideali che solleticarono, stranieri e tunisini, a conquistare le prioritarie emancipazioni sociali[49]. Per “scuotere l’apatia dei lavoratori e della massa grigia degli indifferenti” dalla speculazione dei grandi consorzi, il giornale, il cui proposito era di adempiere ad un’opera di éducation ouvrière, attaccò le due fazioni cristiane, quella francese più moderna e quella italiana prettamente antifrancese[50]. La violenza “espressiva e di contenuto” destò preoccupazioni nelle autorità coloniali che, da questa circostanza, adottarono un’assidua sorveglianza, protrattasi negli anni successivi, su Converti e sui gruppuscoli anarchici[51].
Pur richiamandosi alle tematiche consuete dell’anarchismo internazionale, “L’Operaio”, in italiano, lingua sgradita ai francesi e non familiare ai tunisini, enunciò, in un paese coloniale come la Tunisia, idee nuove ed avanzate, tali da costituire un atto quasi temerario.
Gli aggiuntivi bollettini di Converti, “La Voce di Tunisi” (1890-1895), “La vera unione” (1896), titoli più asettici, imboccarono un identico indirizzo, anche se più moderato nella terminologia. Con “La Voix de l’Ouvrier” (1905), organo internazionale sindacalista, in italiano e francese, apparso a conclusione dello sciopero dei minatori del 1904, il primo indetto in città, con Converti magna pars nell’organizzazione, si gettarono le basi del movimento sindacale in Tunisia[52].
Un risultato dell’incisiva campagna di sensibilizzazione fu una consequenziale apparizione di organi di particolari corporazioni, di specifiche categorie sindacali o corporative che, scritti ugualmente in forma dialettale, dichiaravano di volersi modellare ai problemi socioeconomici di loro pertinenza ma, pragmaticamente, propugnavano aspirazioni che andavano al di là di quelle strettamente di categoria. Non erano affatto apolitici, due modelli esemplari ammirevoli “Il Minatore” (1907) e “La Voce del Muratore” (1907-1911), bensì organi di gruppi di lavoratori italiani emigrati, in forte incremento ed impegnati a sostenere il risveglio sociale delle loro categorie[53].
In un intermezzo delle sue campagne giornalistiche, 1896, si accollò un’altra impresa, “La Protesta Umana, Rivista di scienze sociali”, un mensile teorico con risonanza in Europa. Vi concorsero tra i più noti scrittori, Kropotkin, Fabbri, Cipriani, Delesalle, Louise, Hamon, Raveggi, Agresti, Louise Michel.
Converti curò la composizione di alcuni articoli teorici, Anarchismo e riformismo (n. 7 del 31 agosto); uno estemporaneo sul congresso socialista internazionale, tenutosi a Londra dal 26 luglio al 2 agosto 1896, per certificare l’ultima partecipazione anarchica; nel n. 6 la petizione al governo francese per aver coperto l’arresto di anarchici (tra gli altri Galileo Palla), da parte delle autorità italiane nei pressi di Tunisi. Uno scritto in tre puntate (nn.1-3), Idee generali per polemizzare con Haechkel, teorico tedesco del naturalismo, sul concetto di Stato, visto come “cervello” dell’organismo sociale.
La rivista non ebbe vita lunga, 10 fascicoli di 16 pagine cadauno. Nello stesso anno, a causa dell’entrata in vigore di una legge capestro che agli editori imponeva esosi versamenti in forma di cauzione, fu costretto a interromperla al decimo. Neanche il tentativo di traslocarla, in modo surrettizio, a Macerata (giugno1897) da parte di Luigi Fabbri, ebbe successo e il solo esemplare stampato, subito sequestrato dal fisco, risultò, quasi una simbolica ricompensa, l’unica pubblicazione anarchica in Italia[54].
Per ampliare le sue teorie, tra il 1894 e il 1913, non rifiutava di intervenire su periodici democratici, francesi ed italiani, anarchici e non, “La Petite Tunisie”, “L’Avenir social” e “Le Courier” di Tunisi, “L’Emancipateur” di Algeri, “Il Progresso” di Palermo, “Il Picconiere” di Marsiglia, “Il Secolo” e “La Gazzetta” di Milano, “Il Momento” di Parigi, e perfino su “L’Unione”. Più continuatamente con “L’Avvenire sociale” di Messina (con le edizioni di questo giornale pubblicò l’opuscolo Che cosa è il socialismo, 1900[55], apparso a puntate nei nn.8-10 della “Protesta umana”) e il “Sempre avanti” di Livorno.
“Ed ora mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa: ma che io non potrò perdonarmi mai”. A parecchi anni di distanza, abiurando la candidatura alle elezioni del 26 ottobre 1913 nel collegio di Cassano Jonio, Converti rievocava un caso politico eclatante per un anti-elezionista, una cesura, una mésaventure, nella sua militanza. L’investitura, un residuo di un “protosocialismo di stampo ottocentesco”, tale da poter essere correlata alle designazioni, in collegi periferici e senza prospettive, dei maggiori esponenti del partito socialista nei primordi del movimento, da un lato equivalse ad una sconfitta (ebbe 33 voti), dall’altro, ampliata dalla stampa, incappò nel dissenso dell’universo anarchico.
Come fu indotto a questa virata? Per sincerità e non per vanità. Motivata, non da interessi personali, ma dalla consapevolezza che, conducendo una campagna di “propagande politique pacifique” e anche le dottrine anarchiche potevano essere inculcate nelle masse, prevalse in lui la convinzione che il suffragio maschile, incoraggiando forme di politica diretta, che è la più efficace, avrebbe potuto imprimere un guizzo al suo circondario.
Un pretesto possibile può ricondursi alla visita ufficiale a Tunisi (1909) del vicepresidente della Camera dei deputati, Andrea Costa, il quale gli aveva preannunciato, con lettera, l’eventualità di vederlo. Tra i due, malgrado il concitato contrasto di opinioni, risalente agli anni della sua permanenza a Napoli, l’amicizia era immutata.
In Converti, stando a fonti svariate e diversificate, da anni, si erano, ad ogni buon conto, avvertiti presentimenti di una lenta evoluzione del pensiero politico e di un accostamento al socialismo “più tranquillo” di Costa, un socialismo romantico e patriottico, prestato dalla democrazia risorgimentale di Pisacane. Lo aveva congetturato il console italiano, quando scriveva che il suo ardore anarchico, a tinte accentuate, era scemato dal 1905[56]. Achille Riggio, biografo del Converti, antepone questa sua conversione addirittura al 1890, allorché dava alle stampe la “Voce di Tunisi”. Sebbene attratto, giorno e notte, dalla lotta barricadiera (nel 1894 divulgò un opuscolo sui Fasci siciliani), si convinceva che l’intransigenza bakuniniana non era più confacente, benché sempre viva rimanesse la sua inclinazione umanitaria di accordare ospitalità agli anarchici. Aggiunge che “L’Operaio”, raffigurò, comunque, l’ultimo balenio del suo estremismo[57].
Se Costa e Converti ebbero la disponibilità di vedersi (l’anarchico conferma l’avvenuto colloquio), la rimpatriata tunisina fu, senz’altro, decisiva per quando, recatosi in Calabria in un viaggio, programmato da qualche anno, per abbracciare la madre e le sorelle e “per cercare di prendermi la laurea, non per altri motivi”[58], fu trascinato da un moto di popolo inteso ad attirare il coinvolgimento nazionale sulla regione e sulle infrastrutture da eseguire.
Malatesta e Galleani disapprovarono la scelta. Il primo, sorpreso, interruppe un idillio di molti anni; il secondo commentò negativamente l’accaduto[59]. Ci fu, tuttavia anche chi lo giustificò. Ai biasimi degli anarchici seguì il plauso dei socialisti legalitari: De Felice Giuffrida gli comunicò di rimettersi alle sue valutazioni. Gigi Damiani, a posteriori, pur sostenendo “che le stesse contraddizioni che gli si possono addebitare, erano una conseguenza della sua volontà di fare e in nulla possono diminuire la sua figura perché non le programmatizzava, per lui stesso non restavano che un errore di calcolo, occasionale; errore del quale aveva pensato servirsi e non servirlo”[60]. Con il trascorrere degli anni la polemica si attenuò e nel 1932, Malatesta, per mezzo di Damiani e Fabbri, gli inviò i saluti.
A competizione ultimata, Converti lasciò definitivamente il paese natio. Viaggiando in possesso di passaporto francese[61], si soffermò a Trapani per salutare l’anarchico Francesco Sceusa, di ritorno dall’Australia. Quindi rientrò in Tunisia, convinto più che mai che non è possibile ad un anarchico conciliarsi con l’elezioni per qualsiasi cosa.
Con un imprevisto anomalo, si stemperava la fase “leggendaria” del suo apostolato ed incominciava una nuova fase. Rinnovò la propaganda ma non si occupò di nuovi giornali, anche perché la stagione della stampa proletaria e sindacale italiana in Tunisia, alla vigilia della grande guerra, segnava il passo, ridimensionandosi nettamente per scomparire, risolutivamente, nel dopoguerra. Seguitò a conservare approcci amichevoli con gli ambienti anarchici di Francia e di America e continuò nell’aiuto ai compagni che capitavano a Tunisi ed anche la famiglia e la professione recuperarono un posto importante nella sua vita[62].
All’indomani immediato della guerra (non si hanno sue indicazioni sul conflitto, solo un cenno sulla Rivoluzione russa che acclamava nelle riunioni pubbliche indette per l’evento), l’estremizzarsi delle tensioni fra le due etnie franco-italiane, con una politica coloniale ostile (il culmine nel 1918, quando la Francia dichiarò, formalmente, di abolire le Convenzioni del 1896 mediante preavviso di 12 mesi), inflisse un duro colpo alla comunità italiana che parve essere più indebolita.
L’incentivazione del processo di naturalizzazione e il ripopolamento della Tunisia con l’apporto di nuovi cittadini francesi e non, le paure del nascente movimento nazionalista tunisino, la creazione di sindacati a carattere protezionistico, invogliarono gli italiani ad allontanarsi dal movimento operaio, per quanto i capitalisti francesi mostrassero di prediligerli. Logicamente questi elementi, secondo storici e testimoni, spinsero la colonia (meglio parte di essa), patriottica più che fascista, a piegarsi al clima politico italiano in netta mutazione[63].
L’opera d’indottrinamento e di fascistizzazione, esportata in tutti i luoghi d’emigrazione, nei quali gli italiani avevano conseguito una buona reputazione, fu diffusa anche nella nazione mediterranea e, all’occorrenza, attentamente rifinita ed emendata. Il console a Tunisi era una sorta di ambasciatore con una polizia segreta al servizio dell’Ovra e con compiti “di spionaggio” e “provocazione”. Questa particolare premura, dai mille risvolti, per un paese annoverato nel “persistente desiderio fascista” di annessione “al futuro grande Impero italiano”[64], registrò, dunque, prima della riapparizione di una stampa antifascista, di ispirazione socialista e comunista, la decadenza dei movimenti rivendicativi e delle associazioni operaie e sindacali, irrimediabilmente indebolite e fagocitate.
L’atteggiamento del Converti, ai margini, ormai, della politica attiva, fu nettamente avverso al regime “contro cui parla e scrive abbastanza frequentemente”[65]. Lo enfatizzava lo stesso console, segnalandolo come un antagonista irriducibile quantunque perseverasse nel fornire aiuto ed assistenza ad adepti intenzionati a commettere atti criminosi. Gli riconosceva la sua passione per le opere assistenziali della Reggenza.
Non più editore, si limitò ad appoggiare “Il Vespro anarchico” di Schicchi (1924), prosecutore dell’omonimo periodico di Palermo (1921-23), l’“Adunata dei refrattari”, “Il Martello” di Carlo Tresca e in questi suoi scritti ‒ sottolinea Riggio ‒ “ritornava la fraseologia vulcanica della giovinezza” (p. 87). Si aggregò a “Il Risveglio anarchico” di Tunisi e allo zelo antifascista del comitato direttivo incessantemente pronto a far recapitare, nelle province di Trapani e Palermo, plichi di manifestini inneggianti all’insurrezione contro il regime[66]. Non trascurò neanche i suoi trascorsi di sindacalista. Nel 1922, riprendendo un suo intervento sull’appalto dei trasporti urbani attraverso una lettura critica del bilancio annuale dell’azienda concessionaria (“L’Operaio”, 7 gennaio 1888), e, rispolverando la sua vecchia anima di ribelle, patrocinò (“L’Avenir social” di Tunisi, 10 gennaio 1920), ma senza successo, l’occupazione dei tram come in Italia (il biennio rosso docet) [67].
Se, da questo frangente, sporadiche furono le sue comparse pubbliche (un articolo per la morte di Galleani, “i cui scritti, raccolti in volume, sarebbero tanto utili per la propaganda, per la comprensione delle nostre idee”, in “La Voce nuova”, giornale antifascista; il 18 settembre 1935 commemorazione dell’anarchico Metello Evangelisti (da notizie fiduciarie avrebbe fatto apologia delle teorie anarchiche), pur rimanendo appartato, non cessò di desistere, sempre più, dai rituali scambi epistolari con gli anarchici e antifascisti residenti a Tunisi nonché con la massoneria francese e la Lidu e con anarchici in Francia e in America[68]. Il 14 agosto 1936, inflessibile nei suoi ideali ribelli di anarchico militante ed irriducibile, aderì alla dimostrazione in favore della Spagna repubblicana, alla quale parteciparono un migliaio di persone e i rappresentanti del partito nazionalista tunisino. Nel prendere la parola, verosimilmente il suo conclusivo intervento politico, proclamò la sua fede “in un avvenire migliore per l’umanità rigenerata e più fraterna e per inviare un saluto ai compagni di fede che lottano per il trionfo della libertà”[69].
Sulla scia della sua attività primaria, dipanata da Napoli a Tunisi, tra il mese di agosto e settembre 1935, non venne meno il suo contributo al periodico “Il Domani”, rassegna libera di idee uomini e cose, fondato da Antonino Casubolo, antifascista e simpatizzante anarchico. Alla riunione preliminare, tenuta nella fabbrica di sapone, di proprietà del Casubolo, presenziarono Converti, Damiani ed antifascisti della città, fra essi Loris Gallico, “giovane intelligente e abbastanza colto”[70].
Presentatosi come l’organo de la famille anarquiste de Tunis, i sette numeri pubblicati, rompendo il monopolio della stampa fascista, riuscirono a far “perdere i sonni tranquilli a un’infinità di brave persone”. Col fascismo che perdeva popolarità, la pubblicazione, insieme con “Il Liberatore”, portavoce del partito comunista tunisino, fu un’avvisaglia del rilancio dell’antifascismo[71].
Negli ultimi anni, Converti dovette barcamenarsi tra fascisti e comunisti. Gli uni, accaparratisi con uomini di fiducia i sodalizi di ogni tipo, sorti per l’ingegnosità degli immigrati, persuasero nel 1933 i dirigenti dell’ospedale a dargli il benservito. Gli altri (segnatamente le nuove leve), lo ignorarono, lo offuscarono, sia per l’età avanzata, sia perché, fuori del loro giro (uno dei tanti anarchici di Tunisi), non poteva giovare al loro disegno politico rigorosamente affine alla realtà europea. Col fronte popolare vittorioso in Francia, il partito, bene assortito, un laboratorio all’avanguardia, conobbe un allargamento del consenso e in ottemperanza a questo, l’antifascismo assunse uno sbocco autenticamente comunista[72], generando una rottura quasi istintiva con “l’ambiente, spesso colonialista anche quando era antifascista”[73]. Per i comunisti e la loro rigidità ideologica, l’opposizione, contro il fascismo e il colonialismo, era un patrimonio elitario e poteva essere espletata, specificatamente, da affiliati appartenenti al loro interno, e non da individui genericamente antifascisti e, per altri versi, addirittura anticomunisti.
Morì il 14 settembre 1939 (era nato il 18 marzo 1855)[74]. “Si è spento senza disperare ‒ scriveva Gigi Damiani – più rigido che mai nelle sue convinzioni”. E Pasotti, che, da ragazzo, insieme con il padre, esiliato a Tunisi, era andato a trovarlo più volte a casa, lo riveriva, “era povero così come era arrivato, avendo dato molto senza mai chiedere nulla”[75].
Claude Liauzu scriveva che Converti è stato una personalità che “domine l’histoire de l’anarchisme en Tunisie. Il est de tous les dirigeants ouvriers de la Régence, le seul qui ait eu une dimension internationale”. La più contemporanea storiografia francese, nella fattispecie Isabelle Felici, associandosi a quello che può essere individuato come l’archetipo degli studi sull’anarchismo tunisino e, pertanto, sul “patriarca” Converti, ha condiviso il travaglio del libertario italiano “Lorsqu’on évoque le mouvement anarchiste italien et ses manifestations en Tunisie, on pense aussitôt au Dr Nicolantonio (Nicolò) Converti (1855-1939)”.
Se, in chiusura, è permessa una postilla, si può affermare che Converti, sognatore e rivoluzionario, uomo dell’Ottocento, emerge nel panorama dell’emigrazione politica. Con la pubblicistica, alla quale collaborò e promosse nello stesso tempo e pur avendo dovuto ritoccare certuni punti di vista, ha meritato di scrivere un capitolo di vita. Se ogni fatto storico è storia contemporanea, egli è stato una testimonianza di libertà e di critica.
[1] Habib Kazdaghli, Niccolò Converti, un précurseur de la presse ouvrière en Tunisie, in Memorie italiane di Tunisia, a cura di Silvia Finzi, Tunisi, Finzi Editore, 2000, pp. 185-188 e Les Italiens de Tunisie. Ces éternels oubliés des commémorations, in Storie e testimonianze politiche degli Italiani di Tunisia, a cura di Silvia Finzi, Tunisi, Éditions Finzi, pp. 35-40. Rammaricato che nessuno lo ricordi e che non siano stati sufficienti 52 anni ad includerlo nel Pantheon del sindacalismo tunisino e della memoria plurale del paese.
[2] Michele Brondino, La stampa dei mestieri, in Mestieri e professioni degli Italiani di Tunisia, a cura di Silvia Finzi, Tunisi, Finzi Editore, 2003, pp. 156-165; Id., La stampa italiana in Tunisia. Storia e società 1838-1956, Milano, Jaca Book, 1998; Id. e Yvonne Fracassetti Brondino, La Presse italienne en Tunisie, Paris, Publisud, 2005.
[3] Claude Liauzu, Des précurseurs du moviment ouvrier: les libertaires en Tunisie à la fin du XIX siècle, “Les Cahiers de Tunisie”, 81-82 (1973), pp. 153-182.
[4] Max Nettlau, Breve storia dell’anarchismo, Cesena, Edizioni L’Antistato, 1964, p. 186 e 271.
[5] Asserzione di Jacques Le Goff, nella recensione a Olivia Gomolinski, May Picqueray (1898-1983). Un mémoire du mouvement libertaire, “Rivista storica dell’anarchismo”, gennaio-giugno 1996, p. 160.
[6] Pier Carlo Masini, Storia degli anarchici italiani nell’epoca degli attentati, Milano, Rizzoli, 1981, p. 67.
[7] René Bianco, Le Mouvement Anarchiste à Marseille et dans les Bouches du Rhone 1880-1914, Marseille, Éditions du Cira, 1978, p. 19. Darniche, un marsigliese membro del Circolo dell’Indipendenza, si rifugiò a Tunisi nel marzo del 1883. Al posto del Filangieri, del quale non si hanno notizie, più verosimile Antonio Vitale, che, da “dove egli si trovava e dove io avrei largamente potuto lavorare come medico”, aveva consigliato Converti a privilegiare l’Africa.
[8] Jean Poncet et André Raymond, La Tunisie, Paris, Presses universitaires de France, 1971, p. 27 ss. Per il Bardo, cfr. Stefania Milella, Gli italiani all’estero: breve storia della comunità italiana in Tunisia, “The Lab’s Quarterly / Il Trimestrale del Laboratorio” (Laboratorio di ricerca sociale dell’Università degli Studi di Pisa), 5, 2 (2003), pp. 1-11.
[9] Achille Riggio, Un libertario calabrese in Tunisia: Niccolò Converti, “Archivio storico per la Calabria e la Lucania”, 16, I-IV (1947), pp. 65-88.
[10] Leila El Houssi, La comunità italiana in Tunisia: una presenza secolare mai interrotta, “Prisma”, 21 (2001), p. 100; Henri De Montety, Les Italiens en Tunisie, “Persée”, 2, 5 (1937), pp. 409-425.
[11] Su Montels, cfr. Dictionnaire biographique du mouvement ouvrier francais, a cura di Jean Maitron, Paris, Editions Ouvrières, 1964-1997; C. Liauzu, Des précurseurs du moviment ouvrier cit., p. 157; Cantiere biografico degli anarchici in Svizzera, http://www.anarca-bolo.ch/cbach/, a cura delle Edizioni La Baronata di Lugano, del Circolo Carlo Vanza di Locarno e del Centro Internazionale di Ricerche sull’Anarchismo di Losanna. Riggio menziona la cordialità tra Montels e Converti, a dispetto del disaccordo sul pacifismo di Tolstoj. Alla morte del francese (21 settembre 1916), l’italiano pronunciò l’orazione funebre: Pierre Soumille, L’anarchisme en Tunisie a la fin du XIX, “Bulletin du C.I.R.A”, 18 (1981), p. 2.
[12] Come si legge nelle memorie, Padre Felice e il fratello, professore, erano molto amici della famiglia Converti. Ricerche effettuate nell’archivio diocesano di Reggio non hanno sortito risultati. I frati cappuccini furono tra i primi pazienti di Converti.
[13] Archivio Centrale dello Stato (ACS), Casellario politico centrale (Cpc), fasc. Converti. Il prefetto di Cosenza, in data 26 luglio 1894, nel compilare la scheda registrava che “ottenne la laurea di medico per le raccomandazioni del cardinale Lavigerie”. Il sistema sanitario tunisino consentiva di esercitare anche a chi ne era privo. Converti era un medico tollerato (decreto beylicale del 16 giugno 1888), fino a quando, nel 1909, non completò gli studi a Napoli. Adriano Salmieri, Lavoro e lavoratori italiani nella Tunisia precoloniale e coloniale, in Mestieri cit., pp. 14-54; Salvatore Speziale, Per una storia della presenza italiana in Tunisia: medici, agenti sanitari, infermieri, farmacisti e levatrici dal XVI al XX secolo, ibid., pp. 220- 246
[14] ACS, Cpc, rapporto del 24 giugno 1913, rifacentesi ad una nota del 20 settembre 1905.
[15] Emanuele Riverso, Amalfi et la Tunisie au moyen àge, “Les Cahiers de Tunisie”, 178 (1997), p. 12-28. Nei primi secoli, le repubbliche di Genova e Pisa si servivano del porto di Trapani per il commercio con l’Africa mediterranea: Eliyahu Ashtor, Il commercio marittimo di Trapani nel Trecento, “La Fardelliana”, 1 (1984), pp. 5-20).
[16] Tra la recente produzione storiografica: Salvatore Speziale, Più a Sud del nostro Sud: spunti e problemi per lo studio dell’emigrazione italiana in Africa mediterranea tra le due guerre, “Meridiana”, 92 (2018), pp. 95-116; Antonio Cortese, L’emigrazione italiana verso i paesi della riva Sud del Mediterraneo dall’Unità d’Italia al 1925, “Culture e Studi del Sociale”, 2, 2 (2017), pp. 129-141; Non più a sud di Lampedusa. Italiani in Tunisia tra passato e presente, a cura di Laura Faranda, Roma, Armando Editore, 2016; Francesca Fauri, L’emigrazione italiana nell’Africa mediterranea (1876-1914), “Italia contemporanea”, 277 (2015), pp. 34-62. Inoltre Giuseppe Masi, Quando i calabresi (e gl’italiani) cercavano la “terra promessa” in Tunisia, in La Calabria dei migranti. Partenze, rientri, arrivi, a cura di Id., Vittorio Cappelli e Pantaleone Sergi, Arcavacata di Rende, Centro di ricerca sulle migrazioni, 2014, pp. 23-34.
[17] Nicola Gabriele, La rivoluzione interrotta. La comunità italiana in Tunisia tra ideali risorgimentali e interessi coloniali, “Ammentu”, 8 (2016), pp. 51-62; Francesco Atzeni, Italia e Africa del Nord nell’ottocento, “RiMe”, 6 (2011), pp. 785-810. Cfr. anche Achille Riggio, Riflessi del Risorgimento italiano a Tunisi (1847-1870), “Rassegna storica del Risorgimento”, XXXVIII, 3-4 (1951), pp. 617-626; Giancarlo Pizzi, Tremila anni di storia in Tunisia, Milano, Jaca Book, 1996, p. 33.
[18] Salvatore Costanza, Sicilia risorgimentale, Trapani, Istituto trapanese per la storia del risorgimento italiano, 2011, p. 52.
[19] Leila Adda, Les apports culturels des refugiés politiques au XIXe siècle, in Da maestrale e da scirocco. Le migrazioni attraverso il Mediterraneo, a cura di Federico Cresti e Daniela Melfa, Milano, Giuffré Editore, 2006, pp. 65-82; Kmar Bendana, Un terrain d’histoire culturelle: la Tunisie, “Correspondances”, 71 (2002), pp. 3-9. Lo storico tunisino scrive che “ces intellectuelles «etrangers» et de passage souvent ont laissé des traces de toutes sortes”.
[20] Fiorenzo Toso, Tabarchini e tabarchino in Tunisia dopo la diaspora, “Bollettino di Studi sardi”, 3 (2010), pp. 65-75; Marinette Pendola, Gli Italiani di Tunisia. Storia di una comunità (XIX-XX secolo), Foligno, Editoriale Umbra, 2007; L’Italia e il Nord Africa. L’emigrazione sarda in Tunisia (1848-1914), a cura di Gianni Marilotti, Roma, Carocci, 2006; Giovanna Gianturco e Claudia Zaccai, Italiani in Tunisia, Passato e presente di un’emigrazione, Milano, Guerini scientifica, 2004; Nullo Pasotti, Italiani e Italia in Tunisia. Dalle origini a 1970, Roma, Finzi Editore, 1970; Id., Italiani e Italia in Tunisia prima del protettorato francese, Tunisi, Edizioni Corriere di Tunisi, 1964. L’incidenza della collettività era tale che l’italiano, oltre ad essere la seconda lingua nelle transazioni commerciali e nella navigazione, fu abile ad infiltrarsi (segnatamente col siciliano) nel lessico arabo-tunisino. Marinette Pendola, La lingua degli italiani in Tunisia, in Memorie italiane cit., pp. 13-18; Domenico Giorgio, Letture di Italiani in Tunisia, “Critica letteraria”, 38 (1983), pp. 131-143.
[21] Roman Rainero, Les italiens dans la Tunisie contemporaine, Paris, Editions Publisud, 2002, p. 19.
[22] La Tunisie coloniale, in Italiens 150 ans émigration en France et ailleurs, a cura di Laure Teulières, Toulouse, Éditalie, 2011, p. 211; Silvia. Finzi, La condizione lavorativa degli italiani in Tunisia, in Mestieri cit., p. 63 ss.
[23] A difesa degli italiani: Raymond Colrat, La Tunisie jugèe par un passant, Tunis, Imprimerie du Republicain, 1904. pp. 7-9. L’autore, antropologo e giornalista svizzero, dopo aver visitato la Tunisia e preso atto dell’apporto che gli emigrati recavano all’economia locale, andava oltre, addentrandosi nel dissidio tra l’essere italiani e il nuovo stato di residenti in Tunisia. “Le peuplement italien repose en effet sur deux bases solides: l’amour du sol et l’esprit familial […] Car le colon italien qui s’expatrie revient rarement à son pays d’origine parce qu’il y a souffert. Il pense souvent à la chaumière paternelle, conserve pur l’Italie des semtiments profonds d’amour, mais garde à la terre nourcière, à celle qui le fai vivre lui et son enfants, le meilleur de son affection”. Oggi, Alì Noureddine, Les étrangers et la justice pénale francaise à Sousse. Le cas de la “criminalité sicilienne”- Sousse 1888-98, “Correspondances”, 70 (2002), pp. 3-8, al quale va dato il merito di demolire la falsa raffigurazione del siciliano “violento e arretrato”. Cfr. anche Michele Brondino, I siciliani nell’immaginario coloniale francese al tempo di Scalesi, in Sicilia, Tunisia e la poesia di Mario Scalesi, a cura di Salvatore Mugno, Palermo, ISSPE, 1998, pp. 32-40.
[24] Maurizio Antonioli, Banditi senza tregua. Le vite degli altri anarchici lombardi ed emigrazione tra Otto e Novecento, in Emigrazione lombarda: una storia da riscoprire, Cuggiono, Ecoistituto della Valle del Ticino, 2018, pp.159-68; L’anarchismo italiano. Storia e storiografia, a cura di Giampietro Berti e Carlo De Maria, Milano, Biblion Edizioni, 2016; L’esilio nella storia del movimento operaio e l’emigrazione economica, a cura di Maurizio Degl’Innocenti, Manduria, Lacaita, 1992. L’Africa mediterranea (Algeria, Egitto e Tunisia) nel complesso ha raccolto il 6,2% degli anarchici.
[25] Giuseppe Manfrin, La storia di un medico socialista, “Critica sociale”, 12 (1990), pp. 19-32. Nicola Badaloni, un medico al servizio del popolo, si laureò a Napoli nel 1877, nello stesso periodo in cui Converti, più giovane di un anno si divideva tra Giovanni Bovio, i corsi di medicina e i circoli anarchici.
[26] C. Liauzu, Des précurseurs du moviment ouvrier cit., p. 168. Ad un circolo democratico sociale accenna anche Renato Zangheri, Storia del socialismo italiano, 2, Dalle prime lotte nella Valle padana ai Fasci siciliani, Torino, Einaudi, 1997, p. 183.
[27] Malatesta gli comunicava il trasferimento a Tunisi di una spia, già infiltratasi tra gli anarchici di Roma, e, per non cadere in un tranello, insisteva “lo raccomando dunque”. In un’altra missiva, con animo accorato, gli esprimeva il rammarico sull’impotenza del movimento anarchico (Errico Malatesta, Epistolario 1873-1932: lettere edite ed inedite, a cura di Rosaria Bertolucci, Carrara, Centro Studi sociali, 1984, ad indicem). Cfr. anche Giampietro Berti, Errico Malatesta e il movimento anarchico italiano e internazionale, 1872-1932, Milano, Franco Angeli, 2003, ad indicem; Franco Bertolucci, Anarchismo e lotte sociali a Pisa 1871-1901, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 1988, p. 142.
[28] Natale Musarra, Nel cuore dell’anarchismo trapanese, “Sicilia libertaria”, giugno 2006, p. 5.
[29] Acs, Cpc, 25 marzo 1931. Su Buozzi a Tunisi: Juliette Bessis, Les Italiens en Tunisie francaise, in Gli Italiani in Francia 1938-1946, a cura di Gianni Perona, Milano, Franco Angeli, 1995, pp. 77-90.
[30] “La Risveglia” quadrimestrale di varia umanità, Follonica, 3-4 (2000).
[31] Francesco Cucca, Lettere ad Attilio Deffenu (1907-1917), a cura di Simona Pilia, Cagliari, Centro Studi Filologici Sardi- Cuec, 2005, p. 177.
[32] Per approfondimenti sugli anarchici (incluso Converti) vedi il Dizionario biografico degli anarchici italiani, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2004. A Converti, a “chi tanto fece per la causa che ci è comune”, dopo la morte, Damiani dedicò Attorno ad una vita, Newark, Biblioteca de L’Adunata dei Refrattari, 1940, cenni biografici a puntate, Un sessantennio di propaganda, apparsi prima nell’analogo periodico.
[33] Con una raccolta di fondi aiutò il socialista Benito Mussolini, disertore al tempo della Libia, a rifugiarsi in Svizzera (Attorno ad una vita, pp. 33-34).
[34] Nelle rimembranze, scherzosamente “il pontefice massimo degli anarchici di Tunisi”.
[35] P. Soumille, L’anarchisme en Tunisie, cit., pp. 3 ss.; Adrien Salmieri, Notes sur la colonie sicilienne entre 19 e 20 siecles, in Ailleurs, d’ailleurs, a cura di Jean Charles Vegliante, Paris, Presses Sorbonne Nouvelle, 1986, pp. 31-53.
[36] Durante la cerimonia, Converti, a capo di un centinaio di manifestanti, tenne un comizio al Café du Chalet Marseillais (H. Kazdaghli, Niccolò Converti cit., p. 186). Nel 1891 all’Arena Tunisina (“Il Proletario”, Marsala, 20 maggio 1891). Fino al 1905, anno in cui il governo francese accettò ufficialmente la festa, fu immancabilmente coinvolto.
[37] Adriano Paolo Giordano, L’editore errante dell’anarchia. Appunti per una biografia di Fortunato Serantoni, “Rivista Storica dell’Anarchismo”, VI, 1 (1999), pp. 41-70.
[38] Kevin Giacalone, Il movimento anarchico palermitano tra il 1889 e il 1900, “In trasformazione”, 6, 1 (2017), pp. 110-167. Per liberare Luigi Galleani, affiancò Eliseo Reclus, finanziatore dell’operazione.
[39] M. Brondino, La stampa dei mestieri cit., p. 157.
[40] Indagini sulla emigrazione italiana all’estero fatte per cura della Società geografica italiana (1888-89), Roma, Società Tipografica italiana, 1890, p. 100.
[41] Martino Oppizzi, “L’assalto alla diligenza”: la penetrazione del fascismo nella comunità italiana di Tunisia negli anni Venti, “Italia contemporanea”, 290 (2019), p. 233. La colonia, composta da operai per l’80 % e da classe media per il 20, rimase in buona parte “operaia” fino alla guerra. Salvatore Speziale, Gli Italiani di Tunisia tra età moderna e contemporanea. Diacronia di un’emigrazione multiforme, in Non più a sud di Lampedusa cit., p. 33; R. Rainero, Les Italiens cit., pp. 27-28; Giuseppe Zecca, L’emigrazione italiana in Tunisia, “Africa”, 2 (1963), pp. 55-62.
[42] Roman Rainero, La rivendicazione fascista sulla Tunisia, Milano, Marzorati Editore, 1978, p. 48.
[43] M. Brondino, La stampa dei mestieri cit., p. 157.
[44] Gabriele Montalbano, The Making of Italians in Tunisia: A Biopolitical Colonial Project (1881-1911), “California Italian Studies”, 2019, n. 9, p. 7.
[45] Mohamed Hamdane, Presentation monographique de la presse regionale parue en Tunisie pendant la colonisation, “Les Cahiers de Tunisie”, 141-142 (1987), pp. 145-160.
[46] M. Brondino, La stampa cit., p.76
[47] Giorgio Sacchetti, La presse anarchiste italienne en Egypte et en Tunisie à la fin du XIX siècle, comunicazione al convegno Presse et exil dans l’Europe du long XIXe siècle, Roma 23-25 settembre 2013, https://exil.hypotheses.org/169.
[48] Su “L’Unione”, quotidiano dal 1897, fonte interessante sulla questione operaia e sindacale, Steefania Milella, La stampa operaia di un giornale di estrazione borghese: l’esempio dell’Unione, in Mestieri cit., pp. 166-172.
[49] M. Brondino, La stampa dei mestieri cit., p. 157, scrive che, per la prima volta i proletari arabi vengono presi in conto dalla stampa europea in Tunisia; Claude Liauzu, La presse ouvrière européenne en Tunisie (1881-1939), “Annuaire de l’Afrique du Nord”, 1970, pp. 933-955.
[50] C. Liauzu, Des précurseurs cit., p. 166; R. Rainero, Les Italiens cit., p. 53.
[51] Come supponibile, Converti non fu sopportato a lungo: il tribunale correzionale di Tunisi il 24 novembre 1888 lo condannò per articoli sovversivi, ordinando la sospensione del periodico. M. Brondino, La stampa dei mestieri cit., p. 159; P. Soumille, L’anarchisme en Tunisie cit., p. 6 ss.
[52] M. Brondino, La stampa cit. pp. 70 ss; Ahmed Jaafar, Le prime organizzazioni operaie italiane e gli albori dei sindacalismo tunisino, in Storie e testimonianze cit., pp. 121-129.
[53] Sul “Minatore”, un giornale dalla vita fugace ma intensa, R. Rainero, Les Italiens cit., pp. 39-50 (già in “Les Cahiers de Tunisie”, 115-116, 1981, pp. 83-99); Nadia Neji, Il linguaggio politico della stampa operaia italiana a Tunisi attraverso “Il Minatore”, in Storie e testimonianze cit., pp. 141-46; Pantaleone Sergi, Stampa migrante. Giornali della diaspora italiana e dell’immigrazione in Italia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010, p. 51; L’Italia e il Nord Africa cit., pp. 177-211; Patrizia Manduchi, Per una storia degli italiani di Tunisia. Gli anni dell’antifascismo: la figura e il ruolo di Velio Spano, in Studi mediterranei ed extraeuropei, a cura di Vittorio A. Salvadorini, Pisa, Edistudio, 2002, pp. 193-220.
[54] Leonardo Bettini, Bibliografia dell’anarchismo, vol. I, t. I, Periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana pubblicati in Italia (1872-1971), Firenze, Cp Editrice, 1972, p. 132.
[55] Gino Cerrito, I periodici di Messina bibliografia e storia, Milano, Feltrinelli Editore, 1961, ad indicem. Un foglio al quale collaborarono anarchici di chiara fama e Converti, che si fece carico di diffonderlo nel protettorato.
[56] Cpc, 24 giugno 1913 si riallaccia ad un documento del 20 settembre 1905.
[57] Per Riggio in Tunisia: ACS, Cpc, ad nomen; Giuseppe Masi, Achille Riggio, in Dizionario biografico della Calabria contemporanea, a cura di Pantaleone Sergi, Arcavacata di Rende, Istituto calabrese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea, http://www.icsaicstoria.it/riggio-achille/.
[58] Fausto Mancini, Le carte di Andrea Costa conservate nella biblioteca comunale di Imola, Roma, Archivi di Stato, 1964, ad indicem; Marinette Pendola, Quelques considérations sur deux lettres de Niccolò Converti, in Storie e testimonianze cit., pp. 197-208; Katia Massara e Oscar Greco, Rivoluzionari e migranti, Dizionario biografico degli anarchici calabresi, Pisa, Bfs Edizioni, 2010; Giuseppe Masi, Socialismo e socialisti di Calabria (1861-1914), Catanzaro-Salerno, Società editrice meridionale, 1981.
[59] “Il Risveglio”, Ginevra, 10 gennaio 1914. Malatesta, il 25 settembre 1913, scrisse a Converti “Che significa questo? Immagino che sia una cosa fatta a tua insaputa e contrariamente alla tua volontà. In ogni modo ti sarei gratissimo se tu volessi darmi una spiegazione”(Epistolario cit. p. 114).
[60] Attorno ad una vita cit., pp. 4-5.
[61] Sulla cittadinanza francese di Converti, discordi i pareri tra prefetto di Cosenza e console italiano di Tunisi. Come e quando l’abbia richiesta non è possibile datarla. Si può supporre che per procurarsi la laurea e lavorare, abbia richiesto la naturalizzazione. Il prefetto, favorevole alla cittadinanza, il 28 gennaio 1933, precisava che non aveva chiesto né ottenuto il passaporto dalla locale Questura. Il console, il 21 dicembre del 1929, annotava che “è tuttora cittadino italiano”. Sul processo di naturalizzazione, cfr. Silvia Finzi, Oltre i mestieri. Memorie, identità politica e rappresentazioni sociali dei lavoratori italiani in Tunisia, in Non più a sud di Lampedusa, pp. 43-68.
[62] Sui figli Gustavo Florian ed Ernesto (la terza, Bettina, viveva in Calabria), poche sono le notizie. Vicini, entrambi, all’anarchismo, il primo era amministratore de “Il Proletario”, organo sindacalista internazionalista, diretto da A. Boisson. Cfr, Acs, Cpc, ad nomen; il secondo, iscritto alla Lidu, era in corrispondenza con compagni residenti all’estero. Scriveva per “La Voce nuova” di Tunisi (Acs, Cpc, cit., rapporto del console 26 maggio 1933). Come medico, Converti fu tra gli artefici della realizzazione dell’Ospedale italiano Garibaldi. Nell’agosto 1894 creò la “Società internazionale volontaria di soccorso e assistenza pubblica” (la Croce Verde), della quale fu nominato presidente. Preposta alla salute degli italiani poveri e di tutte le altre comunità bisognose di Tunisi, ebbe il riconoscimento ufficiale del Bey di Tunisia Ali Pacha, che lo nominò membro della delegazione tunisina per l’Esposizione universale del 1900 a Parigi.
[63] M. Oppizzi, “L’assalto alla diligenza” cit., p. 236.
[64] João Fábio Bertonha, Emigrazione e politica estera: la «diplomazia sovversiva» di Mussolini e la questione degli italiani all’estero, 1922-1945, “Altreitalie”, 23 (2001), pp. 37-59; P. Manduchi, Per una storia degli italiani cit.; Antonello Mattone, Velio Spano. Vita di un rivoluzionario di professione, Cagliari, Edizioni della Torre, 1978, p. 45-74. Si consiglia Paul Nizan, Les problèmes de la Tunisie actuelle, “Revue des deux mondes”, 15 marzo 1936, pp. 412-414.
[65] Acs, Cpc, cit.,1 marzo 1933.
[66] Gaetano Manfredonia, Marco Rossi, Giorgio Sacchetti, Franco Schirone e Claudio Venza, La Resistenza sconosciuta. Gli anarchici e la lotta contro il fascismo, Milano, Edizioni Zero in condotta, 1995, p. 226.
[67] Claude Liauzu, Les traminots de Tunis du début du siècle à la deuxième guerre mondiale, “Les Cahiers de Tunisie”, 89-90 (1975), pp.141-190 e 91-92, pp. 235-282. Un precedente supporto nel 1910 sosteneva le rivendicazioni degli italiani (“La Patria” di Tunisi).
[68] Acs, Cpc, cit., 4 e 12 febbraio 1932. Per Converti massone, presto caduto in sonno: Attorno ad una vita, cit., pp. 43-45; S. Speziale, Più a Sud del nostro Sud cit., pp. 111-112; Santi Fedele, La Massoneria italiana nell’esilio e nella clandestinità 1927-1938, Milano, Franco Angeli, 2005, p. 52-53.
[69] Acs, Cpc, cit., 24 agosto 1936.
[70] Il console, 9 novembre 1935, ignaro dei contatti per il giornale, informa che il raduno “potrebbe essere in relazione alla ripresa attività politica per la propaganda contro le nostre operazioni militari in A.O”. Le successive adunanze si svolsero nello studio di Gallico in rue de Lorraine.
[71] Isabelle Felici, Domani … Tunis 1935. Une pubblication antifasciste et anticolonialiste à l’initiative des anarchistes italiens de Tunisie, in Storie e testimonianze cit., pp. 173-186. In data 28 agosto 1935 il Ministero dell’Interno, emanò una circolare ai prefetti del Regno per vietarne “l’introduzione e la circolazione”. Sull’antifascismo in Tunisia, Leila El Houssi, L’urlo contro il regime. Gli antifascisti italiani in Tunisia tra le due guerre, Roma, Carocci, 2014.
[72] Giuseppe Galasso, Prefazione a Italiani e antifascisti in Tunisia negli anni trenta. Percorsi di una difficile identità, a cura di Lucia Valenzi, Napoli, Liguori, 2008, p. XI e ss., accenna a Tunisi come uno dei centri più vivaci.
[73 Loris Gallico, L’altro Mediterraneo tra politica e storia, Chieti, Vecchio Faggio editore, 1989, p. 169, e Fascismo e movimento nazionale in Tunisia, “Studi Storici”, 19, 4 (1978), pp. 863-868.
[74] Al funerale i comunisti, già espulsi dalla Lidu alla firma del patto russo-tedesco, non presero parte, così come la confederazione generale dei lavoratori e i medici dell’ospedale.
[75] Attorno ad una vita cit., p. 4; Nullo Pasotti, Nicolò Converti, emigrato, medico e rivoluzionario: un calabrese a Tunisi, “Regione Calabria”, 4-5 (1993), pp. 35-41.