Per le origini dei Centri Studi Emigrazione scalabriniani

Nel secondo Novecento molti convegni, volumi e soprattutto riviste e bollettini sulle migrazioni sono dovuti ai Centri Studi organizzati e coordinati dalla Congregazione scalabriniana[1]. Ancora oggi quest’ultima sostiene e dirige tantissime iniziative di ricerca attraverso i suoi Centri Studi federati in organizzazioni quali il SIMN (Scalabrini International Migration Network) e il SMSC (Scalabrini Migration Study Centers). La maggior parte di queste attività concerne adesso la mobilità su scala mondiale, pur se in diverse occasioni è approfondita soltanto quella italiana[2]. Nel passato invece l’analisi della mobilità degli italiani e dei modi con i quali è stata seguita dalla Chiesa cattolica è stata al centro dell’attenzione dei Centri Studi scalabriniani, in particolare di quello romano. Basti pensare ai volumi e alle mostre che hanno scandito l’evoluzione di questo settore di ricerca sino alla fine del secolo scorso e al gigantesco sforzo per la costituzione di un Museo nazionale dell’emigrazione a Roma, purtroppo rivelatosi di breve durata e oggi in attesa di una riapertura genovese[3]. La vicenda dei Centri Studi scalabriniani non è stata, però, mai studiata, se non in relazione ad alcune figure di studioso o ad alcune imprese, come quella del Museo[4]. Tuttavia una pubblicazione interna alla congregazione ci permette di seguire la nascita dei Centri studi sin dal loro inizio.

 

 

  1. La nascita dei Centri Studi

Nel 1982 lo scalabriniano Mario Francesconi pubblica un volume mimeografato, oggi disponibile sul web, nel quale ricostruisce gli ultimi decenni di storia del suo Istituto fondato nel 1887 da Giovanni Battista Scalabrini, vescovo di Piacenza. Nelle prime pagine del libro ricorda gli sviluppi successivi alla costituzione apostolica Exsul Familia (1952), che ha riformulato la strategia vaticana in merito alle migrazioni, ripercorrendo i rapporti tra Chiesa e queste ultime e spingendo ad assistere ogni forma di mobilità, volontaria o forzata. Per l’Italia Francesconi segnala come nel 1953 sia istituita la Direzione delle opere di emigrazione nazionale, con sede a Roma presso il Pontificio collegio dei sacerdoti per l’emigrazione in via della Scrofa 70 affidato dal 1949 alla Congregazione scalabriniana[5]. Il direttore nazionale delle Opere è anche vicepresidente della Giunta cattolica italiana per l’emigrazione e ne coordina le attività in ambito religioso: data l’ospitalità nel Collegio, il duplice compito è affidato allo scalabriniano Francesco Milini, che lo mantiene sino al 1969.

Nel secondo dopoguerra la Congregazione dei missionari di s. Carlo o scalabriniani, dal nome del loro fondatore, è dunque innervata nella struttura vaticana che si occupa della diaspora italiana. In questo rispetta la volontà del fondatore, il vescovo di Piacenza Giovanni Battista Scalabrini, nonché la propria peculiare vicenda[6]. Per problemi soprattutto economici, nel 1924 la Congregazione è ridotta al rango di Pia società, ovvero a semplice associazione di sacerdoti che vivono insieme senza voti pubblici, e inoltre commissariata dalla Concistoriale, il dicastero vaticano che dal 1912 si occupa delle migrazioni[7]. Il commissariamento dura sino al 1951 e porta gli scalabriniani a occuparsi dell’emigrazione italiana alle dipendenze del dicastero vaticano da cui sono controllati. Grazie a questa partecipazione ampliano il proprio raggio d’azione oltre le Americhe, cui li aveva destinati il fondatore, ed entrano in Europa e in Australia[8]. Nel 1947, quando da un anno è iniziato il processo che li riporta infine all’autonomia, chiedono addirittura a Pio XII la responsabilità su tutta la diaspora italiana[9]. Il progetto non si realizza, poiché la Concistoriale non li giudica in grado di sostenere uno sforzo così complesso; comunque in quegli anni gli scalabriniani seguono sempre più attivamente i flussi italiani, allora in crescita[10]. Si rendono quindi conto che tale mobilità produce risultati inattesi, perché i nuovi espatriati non si inseriscono tra quanti sono migrati decenni prima o tra i discendenti di chi è partito a fine Ottocento. Inoltre questi ultimi stanno fuoriuscendo dai quartieri, dove si sono tradizionalmente raggruppati, pur non rinunciando a rivendicare la propria origine italiana[11]. Si formano così, soprattutto nelle Americhe e in Australia, ma persino in Europa, nuove aree di insediamento immigratorio pluriculturali e plurilinguistiche. Sulla base di questa esperienza nei seminari scalabriniani fuori d’Italia ci si interroga sulle coeve problematiche migratorie e alcuni missionari integrano gli studi teologici con approcci sociologici e/o psicologici, spesso prendendo una seconda laurea in tali materie nelle università cattoliche o statali[12]. I primi frutti di questi studi sono pubblicati sui periodici della Congregazione, che in quegli anni raccolgono nuovi spunti sulla natura della mobilità umana.

Poco dopo la riconquistata indipendenza, che tuttavia non indebolisce i legami con la Concistoriale, nella quale gli scalabriniani proseguono a lavorare, si apre il quarto Capitolo generale della Congregazione (1957). Fra altri temi, vi è affrontato un binomio assai interessante: il possibile abbinamento delle tradizionali attività di stampa e propaganda, in particolare per la “promozione vocazionale”, e di quelle di ricerca sulle migrazioni. A tal fine si propone di fondare un Centro Studi, che dovrebbe compilare un trattato di missionologia scalabriniana e pubblicare una rivista di emigrazione “a carattere scientifico”[13]. Nel corso del Capitolo questa idea non si concretizza, perché il dibattito prende altre direzioni. In particolare i partecipanti si affrontano a proposito delle parrocchie “nazionali”, cioè dedicate a un solo gruppo di migranti. Molti, soprattutto fra i più giovani, asseriscono che sia ora di abbandonarle e di tornare alle parrocchie “territoriali”, in modo da servire un intero quartiere e rivolgersi a tutti i suoi abitanti, autoctoni e migranti e quindi di varie provenienza e lingua.

Il confronto tra chi è favorevole e chi è contrario alle parrocchie nazionali prosegue negli anni seguenti, perché molti scalabriniani ritengono impossibile continuare con le sole parrocchie o missioni per gli “italiani”. Questi ultimi sono infatti divisi fra nuovi arrivati, che hanno ancora stretti legami con la madrepatria, e i discendenti dei flussi precedenti, ormai integratisi nei nuovi contesti. Un’importante caratteristica di questo dibattito è il suo essere portato avanti nei seminari scalabriniani d’oltre Atlantico: in quegli istituti la maggior parte degli studenti appartiene infatti alla seconda o alla terza generazione immigrata e dunque è estranea alla retorica “patriottica” dei confratelli provenienti dalla Penisola[14].

La discussione si infervora al girare del decennio e riprende nel quinto Capitolo generale (1963), che elegge superiore generale della Congregazione Giulivo Tessarolo, già rettore del seminario di Cermenate (1946-1949) e in seguito missionario negli Stati Uniti. Oltreoceano Tessarolo dirige il Seminario St. Charles di Staten Island NY (1952-1958), dal 1960 è parroco di Our Lady of the Rosary a Washington DC e nel 1962 pubblica un importante commento alla Exsul Familia e alla nuova pastorale per i migranti[15]. Il Capitolo del 1963 sceglie dunque una direzione consapevole di quanto si richiede nel Nuovo Mondo e decide di ampliare le finalità della congregazione: questa deve ancora assicurare l’assistenza agli espatriati italiani e ai loro discendenti, ma si deve occupare pure di quanti provengono da altri luoghi[16].

Per affrontare meglio la questione, il Capitolo promuove un’inchiesta fra tutti i missionari e questi si dichiarano 547 a 25 in favore del mutamento. D’altronde l’inchiesta, riassunta da Francesconi, mostra come gli scalabriniani gestiscano ormai realtà assai variegate. Tra Vecchio e Nuovo Mondo operano ormai in: 50 parrocchie territoriali con popolazione di origine italiana, ma quasi del tutto integrata nei rispettivi Paesi d’immigrazione; 20 parrocchie miste, dove gli italiani sono una semplice componente; 10 parrocchie con “cura animarum” degli italiani nel territorio circostante, ma anche con fedeli di altra lingua; 40 parrocchie nazionali solo per italiani, dove, però, iniziano ad affacciarsi altri migranti; una trentina di missioni per gli italiani con giurisdizione semi parrocchiale e una ventina senza giurisdizione[17].

La realtà quotidiana dell’azione missionaria scalabriniana è di conseguenza in trasformazione. Una commissione post-capitolare ne prende atto e cambia lo statuto della congregazione: si passa così dalla cura degli italiani all’estero a quella dei migranti tout court. Tuttavia i padri si rendono conto che tale mutamento necessita di ulteriori precisazioni e che queste possano venire soltanto da una migliore comprensione della realtà. Si decide dunque la fondazione di un Centro Studi a Roma, dove hanno sede la Casa generalizia scalabriniana e il già citato Collegio di via della Scrofa, e della rivista richiesta dal Capitolo del 1958. Il background statunitense acquisito da Tessarolo e altri missionari consiglia, però, di non limitarsi alla sola Italia e di operare sia nel Vecchio, sia nel Nuovo Mondo. Perciò nell’ottobre 1963 nasce il Centro Studi Emigrazione di Roma, affidato a Giovanni Battista Sacchetti sino al 1975, e l’anno successivo, grazie all’appoggio dell’American Committee on Italian Migration guidato dallo scalabriniano Cesare Donanzan[18], il Center for Migration Studies di New York, che viene affidato sino al 1974 a Silvano M. Tomasi[19]. Anche le riviste diventano presto due: la romana “Studi Emigrazioni” (1964) e la newyorchese “International Migration Review” (1966)[20].

Il Centro romano è istituito direttamente dalla Direzione generale della Congregazione che gli affida come compito principale “lo studio scientifico dei fenomeni migratori nei loro molteplici aspetti”. Inoltre deve “aiutare i Superiori responsabili nel settore specifico della formazione sociologica” [21]. A tal fine deve preparare i necessari sussidi didattici, organizzare corsi di istruzione e specializzazione, curare la formazione di personale scelto. Nel suo lavoro il Centro, che deve essere composto soltanto di scalabriniani, può organizzare una biblioteca, convegni scientifici, collaborare con altri enti, pubblicare riviste. Tutti gli impegni possono, però, essere presi soltanto con l’autorizzazione dei superiori.

 

  1. I centri di Roma e New York

I due centri, fra loro collegati come ricorda Silvano Tomasi[22], non si occupano soltanto di ricerca e pubblicazioni scientifiche, ma coordinano testate periodiche e imprese editoriali legate all’azione missionaria: riprendono così il desiderio di congiungere studio, stampa e propaganda enunciato dal Capitolo del 1957. Entrambi inoltre riflettono l’attenzione scalabriniana alle innovazioni nella pastorale migratoria indotte dal Concilio Vaticano II, in particolare alla sempre maggiore centralità accordata alla figura del migrante[23].

Al Centro romano, ospitato inizialmente a via della Scrofa, si pensa a “L’emigrato italiano”, testata scalabriniana fondata nel 1903 e diretta dal 1958 al 1961 da Sacchetti, e al bimensile “Selezione CSER” [24]. Quest’ultimo, fondato nel 1964, raccoglie testimonianze dalle missioni di, come si elenca un po’ a casaccio in ogni fascicolo: Roma, Milano, Città del Vaticano, Parigi, Colonia, Monaco di Baviera, Berna, Basilea, Londra, Ginevra, Bruxelles, Chicago, New York, Washington, San Francisco, Buenos Aires, Rio de Janeiro, Guaporé, Sydney, Melbourne, Montreal, Vancouver, Esch-sur-Alzette, L’Aia, Santiago, Caracas, Montevideo. Traccia dunque i contorni concreti dell’azione scalabriniana, ma riflette pure sul dibattito in corso.

Gli spunti del bimestrale sono ripresi su “Studi Emigrazione”, prima quadrimestrale e poi trimestrale, e nei rapporti del Centro per la Congregazione, per la Concistoriale e per altre istanze vaticane. L’ultimo numero del 1964 di “Selezione CSER”, per esempio, porta alla luce l’animato dibattito sulle parrocchie per i migranti[25]. L’autore del testo che avvia la discussione è p. Antonio Perotti, segretario di redazione del bollettino e della rivista del Centro Studi, nonché funzionario dell’Ufficio emigrazione della Concistoriale, dopo aver diretto “L’Emigrato italiano” dal 1961 al 1963. Il suo articolo prende spunto dalla chiusura di 5 parrocchie nazionali negli Stati Uniti per notare come nelle vecchie zone di arrivo nordamericane le comunità dei primi immigrati sono sparite, mentre i loro figli, ormai fluenti in inglese, preferiscono le strutture di quartiere. Perotti invita dunque ad abbondare le parrocchie nazionali e soprattutto ad abbandonare quella che definisce la mentalità di un cattolicesimo da ghetto. A suo parere bisogna assolutamente avviare una transizione morbida verso parrocchie territoriali multiculturali pienamente inserite nel contesto nazionale di arrivo. L’articolo suscita una furibonda reazione in difesa delle parrocchie per un solo gruppo di immigrati e il dibattito continua sul bimestrale e sulla rivista, quest’ultima infatti pubblica non solo una sintesi di Perotti, ma anche un’analisi dell’impatto della progressiva integrazione degli immigrati sulle strutture religiose e un caveat sulla necessità di strutture mono-gruppo soltanto per i nuovi migranti: i vecchi sono ormai integrati nei Paesi di arrivo[26].

Tutti questi materiali sono riassunti in due rapporti del Centro romano al Consiglio Superiore dell’emigrazione, dipendente dalla Concistoriale[27]. In essi si sottolinea la crisi strutturale delle parrocchie nazionali, ma anche la necessità di sostituirle gradualmente. Secondo gli estensori dei rapporti si può andare progressivamente verso parrocchie territoriali multiculturali e multilinguistiche per le seconde e terze generazioni immigrate, ma non si può fare altrettanto per chi è appena arrivato, come mostra il caso dei portoricani a New York.

Anche il Centro Studi di quest’ultima città ha attività editoriali collaterali e altre se ne aggiungono in seguito, come il bimensile “Migration World” (1986-2016). Inoltre segue la questione delle parrocchie nazionali e l’importanza delle parrocchie come strumento di integrazione morbida è ricordata da un interessante volume del suo direttore, Silvano M. Tomasi[28]. L’approccio è storico, attento soprattutto al passato, come testimoniano anche i lavori di Lydio F. Tomasi[29], fratello di Silvano, dal 1968 co/ e dal 1974 (sino al 2001) direttore del Centro newyorchese. Tuttavia nelle collane edite dal Centro non si ignora quanto avvenuto più recentemente e soprattutto si presta grande attenzione alla situazione coeva[30]. La stessa cura del presente è evidente nella rivista newyorchese, che prende il posto di precedenti tentativi, in particolare dell’“Emigration Digest”, diretto da Tessarolo tra il 1957 e il 1957 e poi trasformato nell’“International Migration Digest”. Quest’ultimo nasce “to encourage further advancements in the study of social and geographical mobility by presenting a multi-lateral coverage of activities and research in this field”, riassumendo articoli, sintetizzando nuove ricerche e dando notizie sulla legislazione americana riguardo all’immigrazione. L’“International Migration Review” approfondisce questo versante, affrontando una vasta serie di argomenti. Nel primo numero, per esempio, sono discussi il ruolo della comunità nel processo di assimilazione degli immigrati, la naturalizzazione degli immigrati messicani negli Stati Uniti, la politica immigratoria della Nuova Zelanda. Gli italiani sono ricordati soprattutto nelle recensioni, dove per altro l’attenzione alla diaspora italiana non tralascia i movimenti all’interno della Penisola. Il quinto numero è invece dedicato agli arrivi da Portorico[31]. Inoltre i redattori non si focalizzano soltanto sugli Stati Uniti e così il decimo numero (1969) è sul Canada e il diciottesimo (1972) sull’America latina. Gli Stati Uniti godono comunque della parte del leone e oltre ai singoli articoli, possiamo notare come tra il 1970 e il 1972 ben 5 fascicoli siano loro dedicati.

Anche la rivista e il bollettino del Centro romano trattano spesso degli Stati Uniti e, un po’ meno attentamente, del Canada, ben noto a Sacchetti che vi ha passato qualche mese, e dell’Australia. Gli studiosi scalabriniani giudicano infatti che queste sono le mete più importanti delle migrazioni cattoliche al di fuori del Vecchio Mondo. Nell’ottica dei due centri il caso italiano è centrale, ma non perché si ritenga abbia valore universale, quanto perché lo si conosce meglio, grazie al lavoro svolto tra i migranti dalla Penisola. D’altronde si vuole favorire una ricerca che nasca dall’esperienza missionaria e sia utile alla pastorale, come ha esplicitamente richiesto il cardinale Carlo Confalonieri, segretario della Concistoriale[32]. Dunque, muovendosi sulle orme di quanto discusso nei Capitoli generali della Congregazione scalabriniana, l’interesse si deve volgere progressivamente a tutti i migranti.

Questa attività ha forte eco nell’ambiente vaticano. D’altronde, soprattutto quando tutto è centralizzato a via della Scrofa, vi è una decisa osmosi tra personale vaticano e scalabriniano, presto inoltre tale raccordo coinvolge anche la Conferenza dei vescovi italiani. Dal 1965 il personale della Giunta Cattolica per l’Emigrazione è infatti travasato nell’Ufficio Centrale per l’Emigrazione Italia (UCEI), organo esecutivo della Commissione Episcopale per le Migrazioni, e in sostanza i vari livelli (vaticano, episcopale e scalabriniano) si confrontano ogni giorno, quando non sono portati avanti addirittura dalla medesima persona: si pensi al ruolo di Perotti. Talvolta la compresenza di istanze diverse crea problemi di gestione quotidiana, tanto è vero che nell’archivio del Centro Studi Emigrazione di Roma troviamo un memorandum del 1965, su carta intestata proprio di esso, nel quale si cercano di distinguere i vari ruoli e i vari spazi deputati, a partire dalla separazione fra Collegio e Congregazione.

Nelle sue memorie Sacchetti ricorda la frenetica attività dei primi anni del Centro romano. Ogni sei mesi si deve presentare un rapporto sui movimenti mondiali di popolazione e i possibili riflessi sulla azione della Chiesa[33]. Inoltre bisogna organizzare e partecipare a numerosissimi seminari, senza dimenticare i convegni della Commissione Cattolica Internazionale e gli incontri dei missionari per gli emigrati in Europa. Questa enorme mole di lavoro è resa possibile dall’attento coordinamento dei collaboratori di Selezione CSER, che sono quasi sempre scalabriniani e inviano regolarmente testimonianze e analisi dai luoghi di missione. Il legame internazionale è molto importante nella nascita e la crescita dei Centri studi, grazie anche alla mobilità dei missionari scalabriniani, secondo modalità non dissimili da quella del Centro romano.

 

  1. Verso lo studio di tutte le migrazioni

Subito dopo la sua fondazione il Centro italiano propone di modernizzare l’approccio sul campo, andando oltre quanto stabilito da Pio XII[34]. Perciò, è pronto a cogliere le implicazioni delle novità pastorali introdotte da Paolo VI[35]. In un memoriale interno, ispirato alle scelte del papa, si propone che i missionari muovano “dal gruppo etnico verso il mondo intero” e non si chiudano in una prospettiva particolaristica: “i cristiani, essendo nel mondo ma non del mondo, non devono volersi identificare con nessuna cultura, nemmeno con la propria, anche se di fatto […] ne sono stati fortemente condizionati”[36]. Il memoriale evidenzia la “funzione eminentemente missionaria delle migrazioni nel piano di Dio”, quindi il loro scopo provvidenziale, se giustamente compreso. Al di là delle conseguenze sulla riflessione teologica, ancora oggi avvertibili[37], vi sono in quel momento delle conseguenze pratiche nell’attività quotidiana. Il già citato Perotti in un commento alla lettera apostolica Pastoralis Migratorum Cura (1969) e ai mutamenti della strategia scalabriniana nel 1969-1971, evidenzia l’internazionalizzazione della Congregazione. Sono arrivati nuovi religiosi provenienti dai paesi di immigrazione e hanno mostrato come si debbano scegliere i “destinatari preferiti [dell’azione missionaria] non tanto con il metro della nazionalità, ma con quello dei bisogni reali, si tratti di emigrati italiani o di altra nazionalità”[38].

L’internazionalizzazione della Congrega-zione le ha rivelato la complessità dei mondi migranti. Il Centro Studi romano cerca allora di comprendere le nuove caratteristiche della realtà migratoria, pur quando affronta la sola emigrazione italiana. Sono quindi studiati chi espatria per sempre varcando l’oceano e gli sviluppi dell’emigrazione stagionale o comunque temporanea in Europa; inoltre si presta sempre più attenzione alle migrazioni interne alla Penisola e più in generale ai rapporti fra queste ultime e quella che viene chiamata allora la “questione meridionale”[39]. La mobilità verso il nord della Penisola, verso l’Europa e oltreoceano sembra infatti sempre più limitata al sud d’Italia e, secondo gli studiosi del Centro romano, bisogna in primo luogo capirne il perché, ma se possibile fare pure qualcosa di pratico. Rispetto alla questione meridionale sono, per esempio, proposti scambi tra il clero nazionale, di modo che quello settentrionale si abitui alla religiosità meridionale e quello meridionale possa avvertire i propri fedeli in partenza di quale sia la vita parrocchiale a nord, sia approfondimenti in loco. Il Centro romano e il Centro Migranti Scalabrini di Piacenza organizzano un viaggio di studio in Calabria nell’agosto 1973[40]. A questo partecipano tre giovani sacerdoti, Luigi Favero, Gianfausto Rosoli e Graziano Tassello, che daranno in seguito un enorme contributo allo studio delle migrazioni. I primi due sono al tempo già laureati, rispettivamente in Sociologia e in Scienze Politiche, il terzo sta studiando Sociologia. I tre registrano nel corso dell’esperienza quanto fatto nel Campo e ne traggono alcune conclusioni che condividono con gli altri partecipanti. In particolare annotano:

 

Il problema del Mezzogiorno e dell’emigrazione (che, in pratica, in parte si identificano) sono diventati da tempo problema nazionale. Partiti, sindacati, organizzazioni le più svariate hanno fatto di questi problemi la loro bandiera. Quanto c’è in questi movimenti di rappresentazione della “volontà del Sud” a voler cambiare le cose, e quanto invece di sovrapposizione a questa volontà di schemi e dogmatismi esterni ad essa? E c’è una volontà del Sud a cambiare le cose e quali cose? I campi di partecipazione al Sud, in Calabria, partono da questi interrogativi e sono aperti a coloro che lavorano a stretto contatto con gli immigrati al Nord o che hanno fatto l’esperienza della realtà migratoria all’estero.

 

L’importanza delle migrazioni interne è sottolineata da un intervento redazionale della rivista “Studi Emigrazione” già nel 1969, nel quale si sottolinea come l’Italia assista allo stesso tempo alla fuga dai campi e alla trasformazione di Emilia e Veneto da regioni di partenza in regioni di arrivo[41]. A margine dello studio sulle migrazioni italiane, il gruppo romano si occupa anche delle comunità di connazionali all’estero e riflette sul sistema scolastico in Italia e in Europa. Sembra infatti loro che esso ghettizzi i meridionali non solo all’estero, ma anche a Torino o Milano. Le scuole, ivi comprese quelle italiane all’estero, sono così diventate uno strumento di segregazione, condannato in un breve dattiloscritto, con alcune annotazioni a mano, oggi disponibile nella Biblioteca del Centro romano[42].

Negli anni Settanta gli studiosi scalabriniani analizzano la sorte degli italiani in Italia e in Europa, in particolare mediante inchieste condotte da Favero, Tassello e Rosoli[43], e ben presto scoprono che, persino nella Penisola, i problemi dei loro connazionali sono condivisi da altri nuclei di immigrati. Lo stesso avviene negli Stati Uniti, dove si verifica come le difficoltà italiane sono condivise dai gruppi successivamente immigrati e dove ci si interroga sulla strategia migliore per accogliere i nuovi venuti[44].

 

  1. Conclusioni

A cavallo tra il 1971 e il 1972 si tiene un Capitolo speciale scalabriniano per elaborare le nuove costituzioni della Congregazione[45]. In esse il fine di quest’ultima diviene quello di sostenere tutti i migranti, senza alcuna differenza[46]. Quasi contemporaneamente molte parrocchie scalabriniane divengono di fatto miste e comunque sempre di meno italiane. Al settimo Capitolo regolare, tenuto a San Paolo del Brasile nel 1974, si insiste sull’assistenza a tutti i migranti e sulla necessità di studiarne la realtà. La scelta coincide con quelle della Santa Sede, che infatti designa nel 1975 Tessarolo quale segretario della Pontificia Commissione per la Pastorale delle Migrazioni e del Turismo, voluta da Paolo VI[47]. Per irrobustire la spinta l’assemblea dei superiori maggiori della Congregazione scalabriniana del 1976 insiste sull’impegno missionario a 360 gradi e sullo studio, anche specializzato: a proposito di quest’ultimo si chiede un coordinamento dei Centri Studi e degli organismi analoghi, nel frattempo sorti. Di conseguenza si decide nel 1975 di affidare il Centro romano a Gianfausto Rosoli e di lasciare libero Sacchetti, che potrà così occuparsi del coordinamento dei Centri di Roma e New York e di quelli nati subito dopo[48]. Tra questi possiamo ricordare il Centro de Estudios Migratorios di San Paolo nel Brasile (1969), il Centro Studi e Ricerche per l’Emigrazione di Basilea (1971), il Centre d’information et d’études sur les migrations méditerranéennes di Parigi (1973, dal 1975 Centre d’information et d’études sur les migrations internationales[49]), il Centro Argentino Documentación y Estudios Migratorios Scalabriniano di Buenos Aires (1975, dal 1985 Centro de Estudios Migratorios Latinoamericanos), sviluppatosi grazie all’impegno di Favero e all’aiuto del Centro romano[50],

 

il Centro Estudios de Pastoral y Asistencia Migratoria di Caracas, per non menzionare una miriade di altri centri e istituzioni, per esempio a Porto Alegre, Londra e Toronto.

A metà anni Settanta alcuni sono già avviati, altri solo in via di organizzazione[51]. Alcuni continueranno a crescere, altri avranno vita breve, ma questa è una storia ancora da approfondire. Da tutti, comunque, vengono interessanti contributi allo studio dell’emigrazione italiana e della mobilità internazionale, spesso presentati in specifiche collane e/o riviste. Inoltre, sotto il coordinamento di Sacchetti, sono organizzati incontri biennali fra i responsabili dei centri di ricerca, in modo da condividere analisi e informazioni[52].

[1]           La ricerca di archivio alla base di questo testo è iniziata anni fa, riordinando le carte del Centro Studi Emigrazione di Roma assieme a René Manenti, che ne era allora il direttore. Ulteriori informazioni mi sono state fornite da: Kevin Appleby, Mary Brown e Don Kerwin (Center for Migration Studies, New York); Graziano Battistella (Scalabrini Migration Center, Quezon City); Lorenzo Prencipe (Direzione della Regione Beato Giovanni Battista Scalabrini, Basilea); Giovanni Terragni (Archivio Generale Scalabriniano, Roma); Silvano M. Tomasi (cofondatore del Centro di New York e in seguito, tra altri prestigiosi incarichi, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti dal 1989 al 1996 e rappresentante della Santa Sede presso l’Organizzazione internazionale per le migrazioni dal 2011 al 2016).

 

[2]           La nuova emigrazione italiana, a cura di Matteo Sanfilippo e Luigi Maria Vignali, “Studi Emigrazione”, 207 (2017).

 

[3]           Giuseppe Lucrezio, Antonio Perotti e Nino Falchi, L’emigrazione italiana negli anni ’70, Roma, CSER, 1966 (aggiornato e ampliato nel 1975); La società italiana di fronte alle prime migrazioni di massa. Il contributo di Mons. Scalabrini e dei suoi primi collaboratori alla tutela degli emigranti, a cura di Antonio Perotti, Roma-Brescia, Centro Studi Emigrazione-Morcelliana, 1968; Un secolo di emigrazione italiana 1876-1976, a cura di Gianfausto Rosoli, Roma, CSER, 1978; Scalabrini tra vecchio e nuovo mondo, a cura di Id., Roma, CSER, 1989; Paolo Borruso, Missioni cattoliche ed emigrazione italiana in Europa (1922-1958), Roma, Istituto Storico Scalabriniano, 1994; The World in My Hand. Italian Emigration in the World, 1860/1960, catalogo della mostra organizzata ad Ellis Island (23.6.-26.10.1997) con la partecipazione del CSER, Roma, CSER, 1997; Antonio Paganoni e Desmond O’Connor, Se la processione va bene… Religiosità popolare italiana nel Sud Australia, Roma, CSER, 1999; Fabio Baggio, La Chiesa argentina di fronte all’immigrazione italiana tra il 1870 ed il 1915, Roma, Istituto Storico Scalabriniano, 2000; Museo nazionale delle migrazioni. L’Italia nel Mondo. Il Mondo in Italia, a cura di Norberto Lombardi e Lorenzo Prencipe, Roma, Ministero degli Affari Esteri, 2008; Museo nazionale emigrazione italiana, a cura di Alessandro Nicosia e Lorenzo Prencipe, Roma, Gangemi, 2009.

 

[4]           Un grande viaggio. Oltre… un secolo di emigrazione italiana. Saggi e testimonianze in memoria di P. Gianfausto Rosoli, a cura di Gianmario Maffioletti e Matteo Sanfilippo, Roma, CSER, 2001; Lorenzo Prencipe e Matteo Sanfilippo, L’Italie, l’émigration et le Museo nazionale dell’emigrazione italiana, in Musées histoire migrations, a cura di Marianne Amar, Yves Frenette, Mélanie Lanouette e Martin Pâquet, Québec, PUL, 2015, pp. 167-180.

 

[5]           Mario Francesconi, Storia della Congregazione Scalabriniana, VI, Dal 1941 al 1978, Roma, CSER, 1982, p. 16. I volumi di Francesconi sono disponibili nel sito http://www.simn-global.org/Publish. Per il Collegio: Antonio Perotti, Il Pontificio Collegio per l’Emigrazione Italiana, 1920-1970, Roma, P. Collegio per l’Emigrazione – UCEI, 1972.

 

[6]           Giovanni Terragni, Scalabrini e la congregazione dei missionari per gli emigrati: aspetti istituzionali 1887-1905, Napoli, Autorinediti, 2014, e P. Domenico Vicentini, Superiore Generale dei Missionari di S. Carlo (Scalabriniani) dal 1905 al 1919, Napoli, Autori Inediti, 2017.

 

[7]           Dal 1912 un ufficio della Concistoriale si occupa delle migrazioni: Matteo Sanfilippo, L’emigrazione nei documenti pontifici, Todi, Tau, 2019, cap. 2. Tale iniziativa recepisce un suggerimento dello stesso Scalabrini: Giovanni Terragni, Un progetto per l’assistenza agli emigrati cattolici di ogni nazionalità. Memoriale di Giovanni Battista Scalabrini alla Santa Sede, “Studi Emigrazione”, 159 (2005), pp. 479-503.

 

[8]           Per le vicende che hanno portato al commissariamento e all’embricarsi degli scalabriniani nell’organigramma della Concistoriale, cui è affidata sino al 1964 l’assistenza vaticana alle migrazioni: Mario Francesconi, Storia della Congregazione Scalabriniana, V, Il primo dopoguerra (1919-1940), Roma, CSER, 1975.

 

[9]           M. Francesconi, Dal 1941 al 1978, cit., p. 16.

 

[10]          Michele Colucci, Lavoro in movimento. L’emigrazione italiana in Europa, 1945-57, Roma, Donzelli, 2008; Andreina De Clementi, Il prezzo della ricostruzione: L’emigrazione italiana nel secondo dopoguerra, Roma-Bari, Laterza, 2010.

 

[11]          Les Petites Italies dans le monde, a cura di Marie-Claude Blanc-Chaléard, Antonio Bechelloni, Bénédicte Deschamps, Michel Dreyfus ed Éric Vial, Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2007, e Maria Susanna Garroni, Interpreting Little Italies: Ethnicity as an Accident of Geography, in The Routledge History of Italian Americans, a cura di William J. Connell e Stanislao G. Pugliese, New York, Routledge, 2017, pp. 163-178. Sull’abbandono delle Piccole Italie: Matteo Pretelli e Anna Ferro, Gli Italiani negli Stati Uniti del XX secolo, Roma, CSER, 2005, e Danilo Catania, Stefano Luconi e Gianfranco Zucca, Guardando l’oceano da un grattacielo, Viterbo, Sette Città, 2013.

 

[12]          Per i rapporti fra scalabriniani, e più in generale clero cattolico, e sociologia: Matteo Sanfilippo e Jean-Philippe Warren, Hervé Carrier, Studi Emigrazione e la sociologia come strumento (1964), “Studi Emigrazione”, 209 (2018), pp. 154-163. Vedi inoltre il dossier Sociologies catholiques, a cura di Olivier Chatelan, Denis Pelletier e Jean-Philippe Warren, “Archives de sciences sociales des religions”, 179 (2017).

 

[13]          M. Francesconi, Dal 1941 al 1978, cit., p. 23.

 

[14]          Ibidem,  p. 24.

 

[15]          The Church’s Magna charta for migrants, a cura di Giulivo Tessarolo, Staten Island NY, St. Charles Seminary, [1962].

 

[16]          M. Francesconi, Dal 1941 al 1978, cit., p. 27-28.

 

[17]          Ibidem.

 

[18]          Comunicazione privata di suor Mary Brown, in data 2 marzo 2018. Le carte di Donanzan sono presso il Center For Migration Studies di New York: http://cmsny.org/wp-content/uploads/2016/07/cms_067.pdf (inventario e biografia).

 

[19]          Vedi le brochure per il CMS silver anniversary gala al Waldorf-Astoria (New York, CMS, 1989) e CMS 1964 – 1994: 30th Anniversary Luncheon (New York, CMS, 1994), entrambe disponibili nella biblioteca  del CSER.

 

[20]          M. Francesconi, Dal 1941 al 1978, cit., pp. 29-30.

 

[21]          Le due citazioni vengono dal documento intitolato “Centro Studi Emigrazione (CSE)” nell’Archivio scalabriniano generale (Roma), JA08-04/05.

 

[22]          Silvano Tomasi, Da Roma a New York: i Centri Studi Emigrazione Scalabriniani, “Studi Emigrazione”, 192 (2013), pp. 658-661.

 

[23]          Center for Migration Studies, Migration in the light of Vatican II, Staten Island NY, CMS, 1967; Cesare Zanconato, Pastorale emigratoria alla luce del Concilio, “Studi Emigrazione”, 16 (1969), pp. 273-282.

 

[24]          Matteo Sanfilippo, Selezione Centro Studi Emigrazione – Roma (Selezione CSER), “Studi Emigrazione”, 192 (2013), pp. 583-605, e “L’emigrato italiano in America”, la congregazione scalabriniana e la grande guerra, “Archivio storico dell’emigrazione italiana, 13 (2017), pp. 107-111.

 

[25]          Antonio Perotti, Le parrocchie nazionali negli Stati Uniti. Invito a un dialogo, “Selezione CSER”, 15-16 (15 dicembre 1964-1° gennaio 1965), pp. 1-8.

 

[26]          Cfr. Antonio Perotti, Riflessioni sociologiche e pastorali sulle parrocchie nazionali, “Studi Emigrazione”, 2 (1965), pp. 45-52; Andrew M. Greeley, Quali sono le prospettive della parrocchia nazionale negli Stati Uniti, “Studi Emigrazione”, 5 (1966), pp. 99-109; Joseph P. Fitzpatrick, Il ruolo della parrocchia nell’assistenza spirituale dei nuovi immigrati (i Portoricani a New York), “Studi Emigrazione”, 7 (1966), pp. 1-24.

 

[27]          II Rapporto del Centro Studi Emigrazione al Consiglio Superiore di Emigrazione. Osservazioni sociologiche sulla funzione della “parrocchia nazionale” nella assistenza religiosa agli immigrati, Roma, CSER, dicembre 1966, e IV Rapporto del Centro Studi Emigrazione al Consiglio Superiore di Emigrazione. Nuove osservazioni sulle parrocchie nazionali negli Stati Uniti, Roma, CSER, dicembre 1967 (disponibili nella Biblioteca del CSER).

 

[28]          Silvano M. Tomasi, Piety and Power: The Role of the Italian Parishes in the New York Metropolitan Area, 1880-1930, CMS, New York, 1975. Questa e altre pubblicazioni del Center sono disponibili sul sito web http://cmsny.org/.

 

[29]          Lydio F. Tomasi, The Italian American Family: The Southern Italian Family’s Process of Adjustment to an Urban America, Staten Island NY, CMS, 1973.

 

[30]          Silvano M. Tomasi, Ethnic Heritage and Cultural Pluralism in the U.S.A., Staten Island NY, CMS, 1973; Id. e Charles B. Keely, The Disposable Worker: Historical and Comparative Perspectives on Clandestine Migration, Staten Island NY, CMS, 1976.

 

[31]          Leo Grebler, The Naturalization of Mexican Immigrants in the United States, “International Migration Review”, 1 (1966), pp. 17-32; The Puerto Rican Experience on the United States, “International Migration Review”, 5 (1968).

 

[32]          Carlo Confalonieri, Migrazioni e nuove prospettive pastorali, “Studi Emigrazione”, 1 (1964), pp. 1-2.

 

[33]          Giovanni Battista Sacchetti, Testimonianze saggi poesie, a cura di Giovanni Terragni, Napoli, Grafica Elettronica, 2009, pp. 34-35.

 

[34]          Rapporto del Centro Studi Emigrazione al Consiglio Superiore dell’Emigrazione. Per una revisione della Costituzione Apostolica “Exsul Familia”, Roma, CSER, maggio 1966, seguito da un volume di Sussidi per una revisione della Costituzione Apostolica “Exsul Familia”, ivi, stessa data.

 

[35]          Rapporto del Centro Studi Emigrazione al Consiglio Superiore dell’Emigrazione. La “Pastoralis migratorum cura” e la preparazione dei missionari di emigrazione, Roma, CSER, dicembre 1969. Per l’attenzione scalabriniana alle innovazioni di Paolo VI: Velasio De Paolis, La cura dei migranti secondo il motu proprio “Pastoralis migratorum cura” e l’Istruzione “De pastorali migratorum cura”, “Studi Emigrazione”, 55 (1979), pp. 341-409, e Giovanni Terragni, Il Magistero pontificio da Leone XIII a Paolo VI, ibidem, pp. 413-440; Abramo Seghetto, Paolo VI e le migrazioni, Casalvelino Scalo, La Piroga editrice, 1990.

 

[36]          La preparazione dei missionari d’emigrazione. Materiale di discussione per un opuscolo di note di Pastorale migratoria, a cura del Centro Studi Emigrazione, Roma, Centro Studi Emigrazione, maggio 1970.

 

[37]          Per alcuni interventi del nostro millennio: Missione con i migranti, missione della Chiesa, a cura di Gioacchino Campese e Daniel G. Groody, Città del Vaticano, Urbaniana University Press, 2007; Gioacchino Campese, Beyond ethnic and national imagination: toward a Catholic theology of U.S.immigration, in Religion and Social Justice for Immigrants, a cura di Pierrette Hondagneu-Sotelo, New Brunswick NJ, Rutgers University Press, 2007, pp. 175-190; Fabio Baggio, La diversità nella comunione trinitaria. Spunti di riflessione per una teologia delle migrazioni, “Concilium”, 44, 5 (2008), pp. 92-104. Vedi anche la sintesi di Sandra Mazzolini, Chiesa pellegrina, in Migrazioni. Dizionario socio-pastorale, a cura di Graziano Battistella, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2010, pp. 145-150, che richiama quanto si veniva scrivendo proprio attorno al 1970: in particolare i contributi di Cesare Zanconato e Tarcisio Rubin, Chiesa peregrinante. Note di teologia pastorale, Piacenza, Seminario Scalabrini, 1968, e di Cesare Zanconato, Chiesa migrante. Una pastorale in movimento, Roma, CSER, 1972.

 

[38]          Antonio Perotti, I rapporti giuridico-pastorali tra chiesa di emigrazione e chiesa di immigrazione, [Roma, CSER], s.d.

 

[39]          Umberto Cassinis, Emigrazione e industrializzazione del Mezzogiorno, “Studi Emigrazione”, 13 (1968), pp. 513-545.

 

[40]          CSER – CMS (Piacenza), Campo di partecipazione Taverna, agosto 1973, [Roma, Centro Studi Emigrazione, 1973], mimeografato.

 

[41]          La Redazione, Le migrazioni interne italiane oggi, “Studi Emigrazione”, 16 (1968), pp. 225-272.

 

[42]          L’emigrazione italiana ai nostri giorni. Prospettive a breve termine e corrispondenti linee di intervento, Strasburgo 8-10 marzo 1968, a cura del Centro Studi Emigrazione di Roma.

 

[43]          Vedi, per esempio Gianfausto Rosoli e Luigi Favero, La crisi delle istituzioni nel campo dell’assistenza all’emigrazione, “Studi Emigrazione”, 31 (1973) pp. 304-346, e 35-36 (1974), pp. 365-485, e I lavoratori emarginati, “Studi Emigrazione”, 38-39 (1975), pp. 155-329; Luigi Favero e Graziano Tassello, La gioventù italo-inglese. Alcuni risultati di un’inchiesta, “Studi Emigrazione”, 51 (1978), pp. 299-324, e Caratteristiche demografiche e sociali della comunità italiana in Australia e della seconda generazione, “Studi Emigrazione”, 69 (1983), pp. 58-80.

 

[44]          Andrew M. Greeley, The Church, National Parish and Immigration: Same Old Mistakes, Staten Island NY, CMS, 1972; Silvano M. Tomasi, The Response of the Catholic Church in the United States to Immigrants and Refugees, Staten Island NY, CMS, 1984.

 

[45]          Per le trasformazioni allora e prima, cfr. Antonio Perotti, L’aggiornamento costituzionale della congregazione scalabriniana, “Servizio Migranti”, VIII, 3 (marzo 1972), pp. 17-22.

 

[46]          M. Francesconi, Dal 1941 al 1978, cit., p. 33.

 

[47]          Ibidem, p. 35.

 

[48]          In Archivio CSER, cassette, B2, Statuto del Centro, dedicato alla rielaborazione dello statuto nel 1973 e alle discussioni con il MAE per far riconoscere nel 1977 il Centro come una Fondazione, vi è una copia di uno Statuto interno dei Centri, comprese le minute di preparazione. Vedi inoltre la dichiarazione di Velasio De Paolis, rappresentante legale della congregazione il 2 febbraio 1977, AGS, HA08-17.

 

[49]          Luca Marin, Le CIEMI d’Antonio Perotti: le chemin difficile d’une association militante forte des avancées de la recherche, “Migrations Société”, 170 (2017), pp. 21-32.

 

[50]          Alicia Bernasconi, Partir acompañado: el CSER y los comienzos del CEMLA, “Studi Emigrazione”, 192 (2013), pp. 652-657.

 

[51]          M. Francesconi, Dal 1941 al 1978, cit., pp. 39-40.

 

[52]          Antonio Perotti, Il ricordo di un amico e di un maestro, “L’emigrato italiano”, LXXXIX, 1 (gennaio 1992), p. 25.