L’epoca della Grande Emigrazione V° Parte

Dentro o fuori della chiesa: storie di vita della prima immigrazione italiana in Canada

Negli ultimi venti anni è rinata l’attenzione per le esperienze quotidiane dell’emigrazione transatlantica otto-novecentesca e in particolare per il modo con il quale sono state ricostruite ex post dagli stessi protagonisti. Il tema aveva già affascinato i sociologi della prima metà del Novecento, ma verso la fine del secolo ha avuto un vero e proprio revival, sia per quanto riguarda le lettere degli emigranti, sia per quanto concerne le memorie autobiografiche1. Sul versante statunitense, la ricerca si è mossa su un duplice canale: riflessione sui meccanismi della memoria, soprattutto femminile, e pubblicazione di autobiografie significative2. Su quello canadese, è più difficile identificare un sentiero univoco. John Potestio ha curato l’edizione inglese delle Ricordanze di Giovanni Veltri, piccolo appaltatore di lavori per la ferrovia tra Colombia Britannica e Ontario settentrionale3. Bruno Ramirez ha raccolto materiali autobiografici in un libro sulle origini della comunità italiana di Montréal e ne ha utilizzato una parte per sceneggiare la nomina di Antonio Cordasco a “re” dei lavoratori di quella città nel documentario Caffé Italia di Paul Tana (1985)4. Infine Gianfausto Rosoli ha proposto un approccio d’assieme alle autobiografie degli emigranti e Mauro Peressini ha trattato della memoria così come si esprime nelle interviste5.

L’insieme di questi contributi ondeggia tra approccio letterario (la scrittura autobiografica, la lettera dell’emigrante, la scrittura femminile), sociologico (la cultura delle classi subalterne, le storie di vita) e storico (una nuova fonte documentaria). Il dibattito è ancora in corso e non saremo di certo noi a cercare di dire una parola definitiva sul tema. In questo capitolo ci interessa soprattutto vedere se gli archivi ecclesiastici possano anche rivelarsi un deposito di storie di vita quotidiana. In parte abbiamo già risposto a tale quesito, discutendo i rapporti tra le comunità italiane e i loro sacerdoti nei capitoli precedenti. Le prime scrivono ai loro vescovi e a Roma, lagnandosi delle difficoltà incontrate e descrivono, sia pure per grandi linee i loro problemi di adattamento sociale e religioso. I secondi narrano a volte le loro vicende personali, specie in occasione delle querelles nelle quali sono coinvolti. In alcuni casi, le varie tessere del mosaico permettono di ricostruire minibiografie eccezionali, come quella di Angelo Inglesi, già ricordata nel primo capitolo di questa parte del nostro volume. Oppure, sempre fra i casi già citati, possiamo ricordare quello di Antonio Sanguinetti: tra i documenti relativi al suo scontro con l’arcivescovo Hughes troviamo belle analisi sugli italiani di New York e sulla possibilità di aprire una chiesa per loro a Canal Street. L’ipotesi non è poi peregrina: lo conferma Jeremy Cummings, ex-allievo del Collegio Urbano di Propaganda, lo provano il numero di firmatari di una lettera a quest’ultima, lo dimostrano i soldi depositati in banca dagli immigrati6. Quando la vicenda evolve sotto l’arcivescovo John McCloskey, Sanguinetti sblocca il denaro in cambio di aiuto: è nel frattempo rientrato in Italia, dove ha litigato con i propri superiori, ed è poi riscappato in America. Il prelato newyorchese ha dunque il denaro per una parrocchia italiana, mentre il sacerdote trova impiego negli Stati Uniti dove resta per lungo tempo, apparentemente senza altre difficoltà.

Di altre vicende abbiamo trattato nel terzo capitolo e non vale la pena di tornarvi. È utile invece interrogare le carte della delegazione apostolica in Canada alla ricerca di ulteriori percorsi eterodossi, che confermino quanto già rilevato per gli Stati Uniti. I percorsi individuali canadesi offrono infatti ulteriori informazioni sulle comunità locali, se si riesce a guardare oltre all’elemento scandalistico. Basti pensare alle peripezie di Leonardo Mazziotta, o a quelle di Giuseppe (Joseph) A. Accorsini, sacerdote italo-canadese. Il primo fugge da Newark nel New Jersey per i debiti contratti e finisce a Montréal. Qui entra in conflitto con il già citato “boss” degli immigrati italiani Antonio Cordasco, ma vive tutto sommato pacificamente. Tuttavia cerca in più di un’occasione di essere spostato a un’altra sede e si offre pure per la nascente parrocchia italiana di Toronto7. Il secondo nasce a Sault-au-Récollet, Ontario, da famiglia italiana, ma trova lavoro a New York, dove cura i cattolici di lingua francese, quindi torna in Canada per badare agli italiani di Copper Cliff. Successivamente vaga tra le due nazioni ed è coinvolto in numerosi scandali per le tendenze alcoliste. Ciò nonostante si preoccupa degli immigrati e una sua missiva al delegato a Ottawa Donato Sbarretti segnala la mancata assistenza alle comunità italiane in Canada8.

Il caso più emblematico di tutti è quello di Francesco Crociata. Nel 1911 Albert Pascal, vescovo di Prince Albert, Saskatchewan, riferisce all’allora delegato apostolico Francesco Pellegrino Stagni di aver conosciuto Crociata, che si trova da sette anni negli Stati Uniti, dove è stato anche in prigione. Crociata gli ha chiesto un posto, ma nella sua diocesi non vi è lavoro per lui, tanto più che parla male l’inglese e non sa il francese. Pascal chiede a Stagni di aiutare il povero sacerdote e gli scrive che Crociata ha curato per quattro anni gli italiani di Whitehall nello stato di New York. Stagni si rivolge a Joseph G. Rice, vescovo di Burlington, per avere informazioni e questi gli rivela che Crociata è stato in prigione per complicità in omicidio. Inoltre suggerisce che il prete ha persino contraffatto le proprie credenziali9. Da un’altra fonte sappiamo che in effetti Crociata non è persona del tutto raccomandabile, avendo effettivamente aiutato un compaesano a tendere un agguato per questioni di donne10.

Crociata tuttavia riesce a trovare lavoro in Canada alcuni anni dopo e inizia un vero e proprio vagabondaggio di diocesi in diocesi e di parrocchia in parrocchia, lasciandosi dietro una scia di scandali. Inizialmente si trasferisce nell’Ontario, dove visita quasi tutte le comunità italiane della diocesi di Sault Ste-Marie. Nel 1914 è allontanato dalla parrocchia di Fort William, per malversazione, ma una parte della comunità lo difende contro il vescovo David J. Scollard. Stagni riceve addirittura una petizione con 199 firme, nella quale si dichiara che Scollard “con istinto selvagio [sic!] da inglese” è avverso a Crociata, perché questi non vuole sfruttare i poveri per arricchire la chiesa. Il nostro sacerdote nel frattempo trova posto a Cobalt nel vicariato apostolico del Témiscamingue, al confine tra l’Ontario e il Québec, dove cura una cinquantina di famiglie italiane ed ha anche una missione a Timmins nell’Ontario. Sollecitato da Stagni a intervenire presso i suoi antichi parrocchiani, fa finta di non saperne niente. Il delegato ingiunge allora agli italiani di Fort William di calmarsi, ma questi non frequentano la loro chiesa per più di due mesi11.

Persino nel nuovo posto Crociata non sa comportarsi meglio. Sempre nel 1914 Angelo Marsala di Timmins racconta al delegato che il prete ha truffato i suoi connazionali. Ha infatti raccolto 400 dollari per la chiesa di Timmins e poi è fuggito a Toronto, lasciando i parrocchiani indebitati con l’Imperial Bank. Stagni rintraccia il colpevole, lo fa venire a Ottawa e gli fa restituire parte del maltolto12, ma alcuni dei debitori non hanno indietro i loro soldi: nel 1917 Nicola Mastrodomenico, di Fort William, scrive al delegato di aver firmato insieme ad altri cinque braccianti delle cambiali per Crociata e di dovere alla banca 1.387 dollari13. Inoltre nel dicembre 1914, quando il sacerdote ha lasciato pure Cobalt, il delegato è avvertito che la Winnipeg Church Good Company Ltd. esige 66 dollari per debiti contratti dal sacerdote14.

Dopo il 1914 Crociata si sposta ad ovest. Nel 1915 scrive a Stagni che lavora nella diocesi di Calgary, dove vi sono più di 3.000 italiani, divisi tra Coleman, Blairmore, Frank, Bellview e lo stesso capoluogo. Per il momento ha visitato le famiglie di Coleman e iniziato a impartire il catechismo. John McNally, il vescovo di Calgary, spiega al delegato che l’opera di Crociata è davvero ingrata. A Coleman i sacerdoti si rifiutano di lavorare tra gli italiani, perché questi sono tutti socialisti. Lo stesso vale per i popolosi insediamenti lungo la ferrovia per la Colombia Britannica. A Calgary al contrario la scuola cattolica per gli italiani fiorisce senza problemi e presto si provvede a costruire anche una chiesa. Alla fine del 1915 Crociata annuncia a Stagni di essere il parroco di Coleman e Blairmore, ma nell’ottobre dell’anno successivo McNally notifica al delegato di aver dovuto rimuovere il sacerdote a causa dei debiti contratti e dei mormorii sui suoi rapporti illeciti con alcune fedeli. Inoltre Crociata ha preso parte a un meeting dell’Esercito della Salvezza. Stagni interviene immediatamente e consiglia al sacerdote di rientrare in Italia, ma questi risponde che in Europa c’è la guerra. Avendo ottenuto una lettera testimoniale dal suo vescovo, va quindi a Victoria, dove vi sono quaranta famiglie italiane da accudire15.

Le peregrinazioni di Crociata sono rocambolesche, ma sono anche il frutto di sue precise responsabilità. Tra le carte della nunziatura in Canada troviamo anche vicende meno spettacolari e più tristi. Talvolta i due elementi della punizione del sacerdote (non sempre giusta) e della povertà della parrocchia, cioè della comunità locale, si combinano, come nella storia di Alfonso De Feo. Questi è un sacerdote di S. Stefano del Sole, diocesi di Avellino, ma ha dismesso la tonaca nel 1903 per sposare Angela Petrella, in stato di avanzata gravidanza. Angela è fidanzata di un cugino di De Feo, emigrato in America per far fortuna. Il sacerdote, a suo dire, la frequenta solamente per consegnarle le lettere del parente. La donna incontra invece di nascosto un altro, poi fuggito nel Nuovo Mondo. In ogni caso, quando Angela non può più nascondere il suo stato, la famiglia ne attribuisce la responsabilità al sacerdote, che la deve sposare col fucile alla schiena.

Dopo il matrimonio De Feo decide di varcare l’Oceano per ritrovare il vero padre del nascituro. Si imbarca quindi con la sposa e uno chaperon, che dorme tra i due per testimoniare la mancata consumazione del matrimonio. Il piano di De Feo riesce e il vero padre è rintracciato a New York. La coppia ottiene il divorzio civile e Angela Petrella si sposa nel 1904 con Pasquale Nero. Nell’agosto di quell’anno De Feo risiede a Revelstoke, nella Colombia Britannica, dove abita con la famiglia di una sorella e vive dando lezioni di musica. Nel gennaio del 1905 chiede di essere riammesso nella chiesa. Di conseguenza il S. Uffizio scrive al delegato di Ottawa per avere informazioni.

La posizione di De Feo è difficile, perché i suoi superiori, in particolare il vescovo di Avellino, non sono affatto convinti della sua innocenza. Anzi pensano che si sia sbarazzato dell’amante per tornare a usufruire dei vantaggi economici connessi alla cura di una parrocchia. Nel settembre del 1905 gli è concesso di accostarsi ai sacramenti more laicorum, ma per tornare a celebrare la messa è necessario un lungo ritiro spirituale. De Feo fa presente che vive delle proprie lezioni di musica e che non può rinunciarvi, se non ha l’assoluta certezza di essere reintegrato come sacerdote. In una lettera al delegato spiega che “in America chi non lavora non mangia”. Inoltre il cognato è un “eretico formale” e non lo riammetterebbe in casa dopo un ritiro spirituale, anche se De Feo morisse di fame.

Nel 1908 De Feo accetta infine il ritiro e il delegato gli toglie la censura ecclesiastica. Seguono altri mesi di carteggi Revelstoke/Roma/Ottawa, sino a quando Raffaele Merry del Val, il cardinale segretario di stato di Pio X, scrive al delegato Sbarretti per chiedergli di intervenire in favore di De Feo, dato che questi non può rientrare in Italia. Trovare un posto al sacerdote non si rivela un compito facile: nessun vescovo canadese lo vuole, perché tutti temono lo scandalo e le maldicenze, tanto più che la storia è risaputa e che a Revelstoke De Feo non può mettere piede in chiesa, se non vuole essere dileggiato. Soltanto nell’agosto 1909 il vescovo di Victoria, Colombia Britannica, accoglie infine il sacerdote. Nella nuova sede De Feo deve badare a una piccolissima e poverissima colonia italiana. La situazione è tale che il delegato, non molto noto per il suo spirito di carità, gli invia 10 dollari. La posizione del sacerdote sembrerebbe a questo punto consolidata, ma nel settembre del 1910 il vescovo Alexander MacDonald scrive al delegato di averlo dovuto allontanare. Una certa signora King, di famiglia protestante, lo ha infatti accusato di corteggiare la figlia. De Feo afferma che si tratta di una montatura anti-cattolica, ma deve tornare a Revelstoke, dove non gli viene confermato il permesso di celebrare la messa, perché il vescovo non vuole un altro sacerdote di lingua italiana nella diocesi.

Donato Sbarretti, il delegato apostolico a Ottawa, si è intanto recato a Roma, dove manovra per non tornare in Canada. De Feo bombarda di lettere la delegazione e il segretario del delegato riassume mese per mese al suo superiore le lamentele del sacerdote. Sbarretti, nipote di un cardinale, ottiene di restare nella Città Eterna e non si perita di difendere De Feo. Il nuovo delegato Francesco Pellegrino Stagni riceve, prima della partenza per Ottawa, la decisione finale del S. Uffizio. Per Roma lo scandalo di Victoria ha definitivamente compromesso ogni speranza di riabilitare il sacerdote. A De Feo non resta che scrivere un’ultima lettera alla delegazione apostolica, nella quale ringrazia dell’aiuto ricevuto e si lamenta della chiesa che abbandona i suoi figli nel momento del bisogno. Si adatterà a vivere insegnando pianoforte a Revelstoke, dove è riuscito a far arrivare anche i vecchi genitori16.

De Feo non è l’unico che non riceve l’aiuto sperato. Lo stesso accade a Vincenzo Macrì, bracciante calabrese immigrato a Ottawa. Questi, dopo alcuni mesi di residenza in Canada, è avvisato dal sindaco del suo paese che la moglie lo tradisce con un poco di buono. Macrì allora scrive a casa di aver risparmiato il denaro per far venire la sposa e la figlia, ma la prima gli risponde che non ha alcuna intenzione di lasciare l’Italia. Macrì riscrive per farsi mandare la figlia e, dopo una nuova risposta negativa, si fa vivo per la terza volta, avvisando che allora rientrerà. La moglie a questo punto gli comunica che il suo nuovo compagno è un uomo d’onore e che quindi ammazzerà Macrì, se mai questi osasse rimettere piede al paese.

A Macrì non rimane che rifarsi una vita e, dato che ormai ha una casa, nonché i soldi per pagare un viaggio dall’Italia al Canada, chiede ai parenti di trovargli un’altra donna. Inizia così a convivere con una ragazza, appena uscita dall’orfanotrofio, alla quale è stata spiegata tutta la faccenda. Sennonché qualcuno fa la spia al parroco degli italiani di Ottawa e nel 1909, l’anno del carteggio con Sbarretti, a Macrì e alla sua convivente è proibito di accostarsi alla comunione. Il poveretto chiede aiuto e consiglio al delegato. D’accordo con la sua convivente, che dichiara di considerare ormai sua moglie, offre persino di ridurre i rapporti sessuali a una volta al mese pur di poter ricevere la comunione. Il delegato si dichiara dispiaciuto, ma non può assolvere Macrì e la sua convivente, a meno che non decidano di separarsi17.

Le lettere di Macrì e De Feo tratteggiano soltanto due storie delle tante incontrate inventariando il fondo della nunziatura in Canada. Si è già accennato ai casi di alcuni sacerdoti, ma anche tra i laici abbondano situazioni pietose. Dal 1904 al 1906 la delegazione riceve continue richieste d’aiuto da A. Rocchi, medico chirurgo, laureatosi alla Sapienza di Roma e giunto nel Québec nel 188418. Questi ha perso la vista e per sette anni non ha potuto esercitare. Poi ha riacquistato, grazie a un’operazione, l’uso dell’occhio sinistro, ma non trova lavoro ed è malato. Nel 1906-1907 la delegazione è più volte sollecitata a intervenire in difesa di Felice Pastò, di Campobasso, incarcerato a Nelson, Colombia Britannica, perché colpevole di avere ucciso per errore un connazionale in una rissa con tre lenoni19.

Ognuna di queste storie ha un suo fascino. In alcuni casi sono infatti simili a un romanzo poliziesco. I documenti rivelano le possibili incongruenze delle deposizioni dei protagonisti. De Feo si dichiara insensibile al fascino muliebre, ma poi è sospettato di aver rapporti con una ragazza di Revelstoke. Pastò dichiara di essere un innocente passante, ma aveva in tasca revolver e coltello a serramanico. In altri gioca l’interesse umano. De Feo vuole tornare a essere un sacerdote, perché solo la chiesa può legittimare la sua esistenza. Rocchi si è sposato con una franco-canadese e i suoi figli fanno la fame. Macrì e la sua convivente decidono di restare insieme, perché non hanno nessun altro, oltre a se stessi. Lei infatti è orfana, lui non può rivedere la famiglia.

Questi squarci di vita sono altrettanti tasselli della storia delle prime comunità italiane in Canada. Di questa storia noi troviamo nei documenti della delegazione apostolica soltanto gli aspetti che si intersecano con l’attività della chiesa. Questa, almeno in quel periodo, costituisce d’altronde il perno della comunità immigrata. Uscire dalla chiesa significa tagliarsi fuori da una dimensione sociale tanto più necessaria, in quanto si è ancora emarginati dalla società canadese. Soltanto pochi, come il cognato di De Feo, rigido anticlericale, o il disperato Macrì, hanno il coraggio di compiere formalmente questo passo.

Note

1Luigi Tomasi, La scuola sociologica di Chicago. 1. La teoria implicita, Milano, FrancoAngeli, 1997; Franco Ramella, I documenti personali e la storia dell’emigrazione. Le lettere americane di Giovanni Battista Vanzetti, contadino cuneese, “Il presente e la storia”, 57 (2000), pp. 95-169; Antonio Gibelli e Fabio Caffarena, Le lettere degli emigranti, in Storia dell’emigrazione italiana, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina, I, Partenze, Roma, Donzelli, 2001, pp. 563-574. Si veda infine la sterminata produzione di Emilio Franzina e in particolare Merica! Merica! Emigrazione e colonizzazione nelle lettere dei contadini veneti e friulani in America Latina 1876-1902, Verona, Cierre Edizioni, 1994, e Una patria straniera. Sogni, viaggi e identità degli italiani all’estero attraverso le fonti popolari scritte, Verona, Cierre Edizioni, 1996.

2Caterina Romeo, Narrative tra le due sponde. Memoir d’italiane d’America, Roma, Carocci, 2005. Ma vedi anche Maria Susanna Garroni, Coal Mine, Farm and Quarry Frontiers: The Different Americas of Italian Immigrant Women, “Storia Nordamericana”, 5, 2 (1988), pp. 115-136; Maria Parrino, Breaking the Silence: Autobiographies of Italian Immigrant Women, ibid., pp. 137-158, nonché la traduzione di Marie Hall Ets, Rosa, vita di un’emigrante italiana, prefazione di Rudolph J. Vecoli, note introduttive di Helen Barolini, Cuggiono, Ecoistituto della valle del Ticino, 2003.

3The Memoirs of Giovanni Veltri, a cura di John Potestio, Toronto, The Multicultural History Society/Ontario Heritage Foundation, 1987.

4Bruno Ramirez, Les premiers Italiens de Montréal. L’origine de la Petite Italie du Québec, Montréal, Boréal Express, 1984.

5Gianfausto Rosoli, From the Inside: Popular Autobiography by Italian Immigrants in Canada, in The Italian Diaspora. Migration Across the Globe, a cura di George E. Pozzetta e Bruno Ramirez, Toronto, Multicultural History Society of Ontario, 1992, pp. 175-192; Mauro Peressini, Référents et bricolages identitaires. Histoires de vie d’Italo-Montréalais, «Revue Européenne des Migrations Internationales», 9, 3 (2004), pp. 35-62.

6Vedi il primo capitolo di questa parte e APF, Congressi, America Centrale, vol. 18 (1859-1860), ff. 1276r-1281v, 1468r-1478r, 1517r-1539v, 1606r-1607v.

7Cfr. ASV, DASU, IX, Newark, fasc. 10 (fuga dagli Stati Uniti nel 1893); ASV, ANC, scatole 26, 90, 157 e 183 (attività a Montréal); ASV, LBF, 614, 1110 (relativa alle proteste di Cordasco), 1255, nonché infra, capitolo quinto. Su Cordasco e la Chiesa cattolica, cfr. pure ASV, ANC, scatola 26.

8ASV, ANC, scatola 88, fasc. 39, 181, fasc. 13; ASV, LBF. 1356, 1448, 1455, 1484; ASV, DASU, IX, Santa Fé 21, X, 357, e XVI, 99. Per un altro sacerdote “difficile” attivo tra gli italiani della diocesi di Sault Ste-Marie, vedi i casi del reverendo Gioacchino Martinez: ASV, ANC, scatola 80, fasc. 6, e Archivio del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti e degli Itineranti, Altre posizioni, 1006/17.

9ASV, ANC, scatola 49, fasc. 6.

10ASV, DASU, X, 620.

11ASV, ANC, scatola 80, fasc. 8.

12ASV, ANC, scatola 16, fasc. 25.

13ASV, ANC, scatola 80, fasc. 8.

14ASV, ANC, scatola 80, fasc. 6.

15ASV, ANC, scatola 10, fasc. 5.

16Per la vicenda di De Feo, cfr. ASV, ANC, scatola 98, fasc. 10; scatola 138, fasc. 16/1; scatola 182, fasc. 2. La decisione finale del S. Uffizio è in Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, S. Uffizio, Decreta, 1910, in data 23 febbraio 1910. Per la figura di Sbarretti, cfr. Giovanni Pizzorusso, Un diplomate du Vatican en Amérique: Donato Sbarretti à Washington, La Havane et Ottawa (1893-1910), “Annali Accademici Canadesi”, IX (1993), pp. 5-33.

17ASV, ANC, scatola 39, fasc. 25.

18ASV, ANC, scatola 182, fasc. 1.

19ASV, ANC, scatola 138, fasc. 16/1. Per altri casi di carcerati, cfr. ASV, ANC, scatola 185, fascicoli 8 e 12.