L’epoca della Grande Emigrazione IV° Parte

Gli italiani in Nord America nell’Archivio della Congregazione “de Propaganda Fide” (1893-1908)

Abbiamo già accennato al fatto che l’Archivio storico della Congregazione “de Propaganda Fide” si è enormemente accresciuto nel corso dell’Ottocento. Ciò ha provocato la modifica della sua organizzazione, rimasta immutata sin dal Seicento. A partire dal 1893, tranne la raccolta delle decisioni più importanti (che costituisce la serie degli Acta), tutto il materiale è accorpato nella cosiddetta Nuova Serie. All’interno di essa i documenti, in arrivo e in partenza, sono classificati in numerose rubriche che si possono ripartire in due gruppi. Il primo è costituito dalle rubriche 1-62 che dividono i documenti a seconda dell’argomento; il secondo dalle rubriche 101-161 in cui ad ogni numero corrisponde un’area geografica1. Nel primo capitolo di questa parte del volume abbiamo tracciato un quadro generale sulle fonti di Propaganda relative all’immigrazione italiana nel Nord America e messo in rilievo alcuni dei problemi da esse suscitati. Affrontiamo qui invece alcuni documenti del periodo a cavallo tra fine Ottocento e inizio Novecento, seguendo la ripartizione tematica e geografica dell’archivio stesso, che ci avvicinano con testimonianze dirette al dettaglio della realtà migratoria italiana.

In primo luogo troviamo le già ricordate “lettere di stato”, raccolte nella rubrica 7, cioè i rapporti inviati dagli ex-allievi del Collegio Urbano di Propaganda. Per quanto riguarda il Canada abbiamo alcuni sacerdoti che hanno studiato a Roma e che sfruttano la conoscenza della lingua per accudire gli immigrati. In Nuova Scozia, per esempio, operano fra gli italiani Martin Carroll (Halifax e diocesi), Hugh MacPherson (Antigonish), Daniel Chisholm (North Sydney), Dan MacDonald (Reserve Mines) e Alexander Thompson (Glace Bay). Questi cinque missionari condividono l’opinione, peraltro largamente diffusa tra il clero nordamericano, che gli italiani del Nord siano fedeli devoti, mentre quelli del Sud siano pessimi cattolici traviati dalle società segrete2.

Patrick Francis McSweeny, parroco di Santa Brigida a New York, è un importante informatore statunitense di Propaganda già negli anni precedenti il periodo qui esaminato. In una lettera del 1898 riferisce sulla situazione nella sua parrocchia, dove i circa 1.000 italiani (quasi tutti napoletani) non vanno quasi mai a messa. Per loro McSweeny organizza prediche ambulanti nelle strade dove abitano. Il sacerdote annota che in generale la condizione dei 150.000 italiani cattolici di New York non è buona. La povertà delle parrocchie richiede un contributo finanziario dei fedeli, ma gli italiani non lo vogliono versare. Inoltre mandano i figli alle scuole pubbliche, perché sono gratuite. Infine i protestanti, molto più ricchi dei cattolici, attraggono gli immigrati i quali, già poco attaccati alla Chiesa cattolica, rischiano di perdere definitivamente la fede. Bisognerebbe, conclude McSweeny, che i vescovi dell’Italia del Sud impartissero ai fedeli un’educazione più solida3.

Nel 1907 George Giglinger scrive la sua “lettera di stato” da Kokuk, Iowa, diocesi di Davenport. Egli si è molto dedicato agli italiani ed è aiutato da Romanelli, un sacerdote napoletano, che ha una parrocchia a Des Moines4. A loro parere solo gli italiani delle città abbastanza grosse riescono a formare una comunità tale da ottenere l’erezione di una parrocchia; sarebbe dunque utile che in ogni provincia ecclesiastica ci fosse un sacerdote italiano in grado di visitare i connazionali, il cui numero continua ad aumentare5.

Alcuni ex-allievi del Collegio Urbano si trovano a Buffalo. Nel 1907 L.F. Sharkey fonda la terza parrocchia italiana, Santa Lucia, coadiuvato da padre Petrucco della diocesi di Casale, approfittando del grande favore del vescovo Charles Colton verso gli immigrati italiani che si comportano da ottimi cattolici anche riguardo all’educazione dei figli6. Nel 1909 Joseph Hennessy della chiesa della Madonna del Carmine scrive che nella città risiedono 10.000 italiani e vi sono alcune scuole dirette da francescane frequentate da molti bambini, nonostante la concorrenza delle scuole protestanti. Nella sua attività Hennessy è stato aiutato da due assistenti italiani e ora da un certo Giacomo Carrà di Alessandria; purtroppo la parrocchia è in forte debito e gli italiani sono poveri. Aggiunge che in città c’è una stampa italiana molto attiva contro cui si è spesso dovuto schierare; inoltre ha confutato in un contraddittorio in pubblico alcuni apostati. Gli italiani, conclude Hennessy, non sono buoni cattolici, tuttavia mantengono sempre qualche relazione con la Chiesa e in genere non si fanno protestanti7. A Hennessy succede John McMahon, altro ex-allievo di Propaganda. Nel 1911 questi racconta i due anni e mezzo passati nella parrocchia della Madonna del Carmine, dove ha assistito gli italiani (10.000 adulti e 2.000 bambini) che vivevano in uno stato di grande abiezione materiale e spirituale in un quartiere dominato dal vizio. Con gran sorpresa del vescovo e del sindaco, egli è riuscito a ripulire il quartiere e adesso gli italiani stanno molto bene e sono più religiosi8.

Nel 1914 l’ex-allievo canadese del Collegio Urbano Francis Campbell litiga con il vescovo Thomas Barry di Chatham, New Brunswick, perché questi ha un forte pregiudizio contro i sacerdoti che hanno studiato in Italia: secondo il prelato sono infatti tutti dei “wine drinkers”9. Trasferitosi a Burbank, California, Campbell diviene il confessore di una comunità di suore italiane e assiste venticinque famiglie10.

Nella rubrica 5 è possibile trovare materiale riguardante le controversie tra sacerdoti e laici e tra sacerdoti e vescovi, nonché le petizioni di parrocchiani in difesa del loro sacerdote, le richieste di informazioni su ecclesiastici o di autorizzazioni a partire per le missioni ed anche rapporti tra singoli ecclesiastici e Propaganda. Nel 1893 la colonia italiana di Brooklyn indirizza un appello a Leone XIII in difesa di Serafino De Santi, parroco proveniente da Atena Lucana (Salerno), sostituito dal vescovo Charles McDonnell con un altro italiano, padre Garofalo, che invece non è gradito agli immigrati. Propaganda chiede informazioni al vescovo che prova le attività poco lecite di De Santi: questi, per esempio, ha sollecitato le petizioni popolari in proprio favore ed è anche fraudolentemente riuscito a guadagnarsi l’appoggio di Francesco Satolli, delegato apostolico negli Stati Uniti11.

Nel 1894 abbiamo un dossier sullo scalabriniano Pietro Bandini12. Una lettera anonima da New York lo rappresenta come “triste rifiuto dei gesuiti” dedito ad ogni sorta d’immoralità oltre che alla dissipazione del denaro della sua congregazione. Propaganda, che ha saputo nel 1891 dal vescovo Michael Augustine Corrigan che Bandini è stato espulso dalla Compagnia di Gesù per colpa “contra sextum”, ora raccomanda a Satolli di “tenerlo d’occhio”, anche se nessuna accusa è corredata di prove13. Sempre nel 1894 un altro scalabriniano, Antonio Gibelli di Ventimiglia, missionario presso la parrocchia del Rosario di Cleveland14, chiede di restare negli Stati Uniti all’estinzione del quinquennio dei voti. La richiesta è nettamente avversata da Scalabrini: nelle regole della congregazione è infatti stabilito che un missionario deve tornare in Italia, se rinuncia ai voti. In questo modo si cerca di evitare che un sacerdote “formatosi … il proprio nido” voglia restare in America, “per fini non sempre lodevoli”, fuori dal controllo e dalle mansioni proprie della congregazione. Nel 1895 Gibelli insiste con una lunga petizione respinta da Scalabrini. Nella sua lettera a Propaganda il vescovo dimostra il proprio impegno nel controllo dei missionari: “Mi persuado sempre più Eminenza che, per l’America specialmente, ci vogliono preti santi davvero. Per togliere però i difetti inevitabili in una Istituzione nascente, mi è necessario l’ajuto di cotesta S.C. [Sacra Congregazione] e umilmente lo imploro”15.

Dal 1896 al 1898 si accumula a Propaganda un lungo dossier su Michele Karam, sacerdote proveniente dal Patriarcato latino di Gerusalemme, recatosi a Elizabeth, New Jersey, dove si prende cura della comunità italiana. Una semplice richiesta di proroga delle sue facoltà di esercitare il ministero fuori della propria diocesi, fa emergere il turbolento passato di Karam e spinge Venance Wigger, vescovo di Newark, a richiederne l’allontanamento. Prima di recarsi oltreoceano egli ha vissuto per mesi nella diocesi di Cremona, da dove sarebbe partito per l’America insieme alla nipote del parroco presso cui era coadiutore. Da lettere successive della donna e del marito è possibile appurare che, per quanto molto sospetta, la condotta di Karam non è stata così reprensibile come è apparsa a Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona, a Wigger, a Ludovico Piavi, patriarca di Gerusalemme, e anche a Propaganda. Nel frattempo, tuttavia, l’allontanamento del sacerdote suscita la protesta degli italiani di Elizabeth, che mandano una petizione a Leone XIII e una richiesta di farlo tornare, sottoscritta da tutti i membri della parrocchia e indirizzata al delegato apostolico Sebastiano Martinelli. Come in un caso precedentemente esposto, la comunità rifiuta il sostituto, il prete italiano Kamarello [sic], ma non riesce a far tornare Karam. Secondo le ultime notizie che abbiamo, egli è a New York o a Newark senza denaro per far ritorno a Gerusalemme, dove non lo vogliono più, biasimando se stesso per quella richiesta di proroga di facoltà che ha provocato tutti i suoi problemi16.

Il sacerdote Guglielmo Cavallo, di Torino, si reca a trovare il fratello a Coalgate, negli Indian Territories, con un semplice permesso provvisorio del suo vescovo. Dopo qualche mese, all’inizio del 1904, Joe Fassino, notaio pubblico e agente consolare italiano a South McAlester, chiede a Propaganda di far restare Cavallo per la cura spirituale della comunità. Da parte sua, il religioso protesta di esser stato maltrattato da Théophile Meerschaert, vicario apostolico dei Territori Indiani. La Congregazione chiede notizie a quest’ultimo, che spiega di aver illustrato a Cavallo l’impossibilità di aver un posto di sacerdote nel vicariato. Avendo questi minacciato di andare a lavorare in miniera piuttosto che abbandonare i parenti, il vicario lo ha raccomandato a Pietro Scotti, canonico italiano della diocesi di New Orleans17. Cavallo sarebbe rimasto un mese da suo fratello senza mai vedere il prete del luogo e senza mai dire la messa e poi sarebbe andato a New Orleans per qualche settimana senza alcun frutto. Il fratello, sottolinea il vicario, è sposato solo civilmente e ha un figlio non battezzato. A questo punto, Meerschaert ha invitato Cavallo a lasciare il vicariato e gli ha impedito di dire messa, ciò che ne ha provocato la risposta ingiuriosa. Questo caso, cui Propaganda non dà seguito dopo il chiarimento del vicario, mostra come pure per i sacerdoti possa valere il legame familiare. Il missionario, invece di porsi a disposizione dei superiori che lo destinano dove è, secondo loro, più necessario, vuole restare presso i parenti cercando l’appoggio della comunità italiana18.

Nel 1906 Luigi Pozzi propone la fondazione di un ospizio per preti italiani disoccupati a Trenton. A suo parere, il gran numero, in molti luoghi eccedente il necessario, di preti italiani trasferitisi in America, rende auspicabile un’assistenza nei loro confronti. Spesso i vescovi americani non li vedono di buon occhio – e non a torto, ammette il sacerdote – cosicché essi possono cadere nell’apostasia. A questo proposito racconta di avere ospitato un prete italiano che a un certo momento ha destato in lui dei sospetti. Non appena questi se n’è accorto, è fuggito abbandonando i propri bagagli in cui Pozzi ha trovato le prove della sua apostasia: una lettera di Giovanni Battista Fortunato, pastore della prima chiesa presbiteriana italiana di Pittsburgh, con annesso un questionario di adesione all’American Tract Society, un’associazione che si occupa di missioni e propaganda protestante, e il testo di una predica anticattolica fatta dal prete apostata agli italiani di New Orleans. Dopo qualche tempo, questi si fa vivo da New York ringraziando Pozzi per l’ospitalità e richiedendo le proprie valige. Si firma solo col nome, ma confessa di essere un benedettino italiano in rotta con il proprio abate e con tutta la gerarchia cattolica e di star cercando un occupazione presso i protestanti. Pozzi non ha un rifiuto viscerale dell’apostata, anzi ammette che c’è del buono in lui e che la sua decisione dipende in gran parte dallo stato di abbandono sofferto dai religiosi italiani negli Stati Uniti19.

Nel 1907 il sacerdote Lancelot Minehan di Toronto presenta un ricorso contro il vescovo Denis O’Connor cui, tra l’altro, imputa un atteggiamento anti-italiano che ha provocato molti danni. La testimonianza del professor C.J. Sacco di Toronto rivela infatti che O’Connor ha impedito, ponendo condizioni impossibili, la costruzione a spese della comunità della chiesa da affidare a un prete italiano; inoltre ha fatto chiudere nel 1906 la scuola italiana aperta sotto la giurisdizione del suo predecessore John Walsh. Il vescovo ha così favorito la diffusione nella colonia italiana del protestantesimo: l’opera di un “rinnegato cattolico italiano” ha infatti riscosso grande successo nella comunità esasperata per l’atteggiamento di O’Connor20.

Come già specificato nel primo capitolo di questa parte, i rapporti di Propaganda con l’istituzione missionaria fondata da Scalabrini per la cura pastorale degli emigranti diminuiscono sensibilmente dopo che la congregazione si è solidamente impiantata. Sino al 1908, tuttavia, Propaganda resta un punto di riferimento per gli scalabriniani: ad essa si rivolgono infatti per le facoltà di missionario apostolico, per la decisione su casi di reclamo e, più in generale, come centro di raccolta di informazioni sull’attività missionaria. Nelle rubriche 8 e 18 troviamo vari documenti al proposito: un rapporto di Scalabrini con richieste di sussidi nel 1898; la richiesta del superiore in Nord America, Giacomo Gambera, della visita di Scalabrini nel 1900; una lista di chiese gestite da scalabriniani nel 1901; richieste di facoltà e sussidi nel 1902, 1903 e 1904; notizie sulla morte del vescovo piacentino nel 1905; varie richieste del suo successore, Domenico Vicentini, al momento della sua partenza per gli Stati Uniti nel 1906. Nel 1908 abbiamo tre grossi gruppi di documenti: un dossier “Collegii di S.Carlo in Piacenza. Regole” che raccoglie il materiale dal 1888 al 1909 sul regolamento degli scalabriniani21; una vertenza su problemi amministrativi a Boston tra lo scalabriniano Paolo Novati e le Suore Apostole del S. Cuore, missionarie italiane (la sede centrale è ad Alessandria) negli anni 1907-19082222, infine un altro dossier “Società S. Raffaele per gli emigranti agli S.[tati] U.[niti] d’A.[merica]” contenente documenti dal 1903 al 190823.

È molto cospicuo, anche se sparso, il materiale contenuto nel dossier sugli italiani che comprende anche numerosi documenti su varie questioni riguardanti gli scalabriniani dal 1893 al 1905. La congregazione scalabriniana è sottoposta a un controllo di Propaganda tramite Corrigan, arcivescovo di New York, e Satolli, delegato apostolico. Dai documenti contenuti nel dossier, Corrigan appare diffidente sulle qualità morali e le capacità operative dei missionari inviati. Nel 1894 il passaggio della chiesa del Preziosissimo Sangue in Baxter Street a New York dagli scalabriniani ai francescani, provoca le dure proteste di Scalabrini. L’arcivescovo convince Propaganda della giustezza del suo operato chiarendo le irregolarità amministrative degli scalabriniani, soprattutto di Felice Morelli. Il dicastero vaticano indirizza a Scalabrini una lettera e lo invita a riconsiderare le accuse a Corrigan, che viene elogiato per “le miti e benevole espressioni […] usate verso chi forse per un eccitamento troppo vivo della fantasia non avea ben ponderato le proprie”24. Nel 1900 troviamo un progetto riguardante il Canada: a seguito di una richiesta, Propaganda invita Scalabrini a inviare un parroco per il centinaio di italiani che si trovano a Victoria nella Colombia Britannica. Non si ha notizia se sia stata portata a compimento questa iniziativa, l’unica, a quanto risulta, destinata al Canada dagli scalabriniani in questo periodo. Nel 1903 il missionario Oreste Alussi chiede denaro per una chiesa a New Haven. Nel 1904 gli italiani di Hartford denunciano gli scalabriniani per questioni finanziarie25. In un altro dossier miscellaneo si trova la relazione manoscritta di Scalabrini sul cattolicesimo nelle due Americhe. In questo testo, datato 4 maggio 1905, il vescovo di Piacenza, traccia, alla vigilia della morte, un bilancio e al contempo propone delle iniziative per la difesa e lo sviluppo del cattolicesimo perorando l’istituzione di un’apposita commissione pontificia26.

Un altro argomento che abbiamo già affrontato è quello dei matrimoni. Fino al 1908 Propaganda funge da tribunale d’appello per dispense o scioglimenti matrimoniali per il Nord America e il materiale è raccolto nella rubrica 39. Il controllo della chiesa sulle nozze dei cattolici italiani negli Stati Uniti è estremamente difficile, ne abbiamo già accennato. Nel 1892 l’episcopato salernitano denuncia la prassi vigente in America, dove gli italiani si sposano senza presentare testimonianze certe sul loro stato di libertà da altri vincoli matrimoniali. Su questa situazione interviene il S. Uffizio disponendo che Propaganda inviti i vescovi nordamericani a più stretti controlli. Questa disposizione tocca nel vivo il problema e suscita risposte interessanti. Per Joseph T. Duhamel, vescovo di Ottawa, il problema non è grave: gli italiani sono emigranti stagionali e non mettono su famiglia. Quando vogliono sposarsi, i preti chiedono informazioni alle parrocchie di origine. Il pericolo tuttavia è che in caso di difficoltà non esitano a farsi sposare dai ministri protestanti. William O’Hara, vescovo di Scranton, incarica della risposta Rosario Nasca, missionario apostolico addetto alla parrocchia locale. Il sacerdote italiano conferma la denuncia dei vescovi salernitani: nella sua parrocchia una dozzina di italiani, pure avendo moglie in Italia, si sono sposati civilmente e dunque vivono in concubinaggio per la chiesa e in bigamia per la legge.

Nasca aggiunge che gli italiani spesso si rivolgono ai preti irlandesi che, non comprendendo la lingua, “chiappano il denaro” e li uniscono in matrimonio senza alcuna indagine. La trascuratezza di questi religiosi è tale che in una loro parrocchia 600 cattolici italiani hanno costituito la Chiesa Evangelica Italiana senza che il parroco si sia opposto. Gli irlandesi considerano gli italiani dei delinquenti ed effettivamente, continua Nasca, sono per la metà avanzi di galera. Il vescovo O’Hara si raccomanda che i vescovi italiani provvedano ad una migliore educazione dei futuri emigrati. Nasca denuncia inoltre lo “sfacciato mercato delle figlie” che vengono vendute dai genitori a uomini sposati (una di venti anni per 80 dollari, una di tredici per 200). Propaganda e il S. Uffizio decidono di intervenire sul versante italiano e il 15 febbraio 1894 ordinano a tutte le curie d’Italia di rilasciare gratuitamente i documenti attestanti la libertà dei futuri coniugi. Successivamente il problema si pone all’inverso: gli emigrati che tornano affermano di essersi sposati in America portando con sé un attestato, ma al momento del matrimonio non hanno avvertito la diocesi d’origine. È quanto denuncia Rocco Cocchia, arcivescovo di Chieti, quando nel 1899 biasima il fatto che in America si presti fede a testimoni i quali, per l’esperienza che lui stesso si è fatto oltreoceano come inviato della Santa Sede27, sono spesso comprati e non si chiedano informazioni in Italia.

Un’altra grossa difficoltà è rappresentata dal matrimonio civile. In due lettere del 1898 Venance Wigger, il vescovo di Newark, spiega che in Italia il matrimonio civile è solo una formalità da confermare in seguito con il matrimonio religioso. In America invece il matrimonio civile tra cattolici consenzienti è valido a tutti gli effetti e tale è considerato dai cattolici di tutte le altre nazionalità. Il fatto che invece gli italiani ritengano veramente valido solo il matrimonio religioso crea due effetti perniciosi: in primo luogo, essi, soprattutto quelli della Bassa Italia che frequentano ben poco le chiese, si sposano in grande maggioranza con il rito civile e poi negano di esser stati consenzienti al momento delle nozze e considerano non valido il matrimonio; inoltre i cattolici di altre nazionalità, che peraltro trovano scandaloso che dei cattolici non si sposino davanti al sacerdote, sono incerti sulla validità dei matrimoni civili. L’esposizione della questione da parte del vescovo non è molto precisa, tanto che egli scrive due volte a Propaganda restando tuttavia abbastanza oscuro. La Congregazione risponde di educare comunque gli italiani a cambiare mentalità e ad uniformarsi agli altri cattolici americani28.

L’opinione sulla non effettiva validità del matrimonio civile persiste tra gli immigrati italiani. Nel 1903 è denunciato padre Pasquale Di Paola, parroco a Baltimora originario di Cefalù, per aver sposato due italiani, pur sapendo che il marito ha già una moglie in Italia. Il sacerdote si difende e cita le testimonianze rese da due altri emigrati: questi hanno garantito che l’uomo non si è mai sposato, nonostante sia vissuto a lungo in concubinaggio con un’altra donna in Italia. Propaganda ordina un’indagine alla diocesi di Palermo che rivela come l’uomo si sia sposato solo civilmente29. Un altro esempio di questa mentalità è dato dal caso di due giovani italiani di Lyons vicino a Rochester, un contadino e la figlia tredicenne di un birraio occupata in attività agricole, che nel 1902 contraggono un frettoloso matrimonio civile per volere dei genitori della ragazza. Questa cerimonia deve essere successivamente confermata in chiesa, ma nel frattempo i genitori dello sposo si oppongono e la giovane coppia, pur avendo affisso le pubblicazioni presso la parrocchia, non convive, anzi i due divorziano e in seguito si risposano. A un certo punto, però, vogliono regolarizzare la loro posizione davanti alla chiesa, cosicché nel 1907 il vescovo Bernard MacQuaid istruisce una causa di annullamento. Le testimonianze dipingono un quadro vivido della situazione. Dopo la cerimonia, svoltasi in casa della sposa sopra la birreria, l’uomo dichiara di essersi trattenuto dieci minuti e poi “non sapendo che fare” di essersene andato. La donna asserisce che all’epoca riteneva che “un matrimonio senza l’intervento del sacerdote non fosse un vero matrimonio”30.

Nelle rubriche geografiche, la 153 per gli Stati Uniti e la 154 per il Canada, si può rinvenire altro materiale di origine svariata. Per quanto riguarda gli italiani, la rubrica canadese presenta rarissimi documenti, mentre quella statunitense è molto ricca e interessante. I limiti di questo capitolo non consentono di darne conto in modo particolareggiato. Comunque possiamo ricordare che lo spoglio dei volumi delle due rubriche fornisce informazioni su tutte le diocesi e che spesso vi si trova materiale che sarebbe dovuto finire altrove. Abbiamo già menzionato i dossier “Addebiti a carico de’ missionari Piacentini e loro opere. Reclami [degli] Italiani negli Stati Uniti” ed “Emigrati Italiani. Reclami”, nei quali Propaganda ha raccolto i documenti dal 1893 al 1908 relativi alla gestione o alla richiesta delle parrocchie italiane. Quando arriva a Roma un ricorso relativo a tale argomento, Propaganda informa il vescovo, alla decisione del quale solitamente si attiene. Raramente il prelato appoggia le accuse (in genere di immoralità o ubriachezza) contro sacerdoti italiani: queste ultime, d’altronde, nascono spesso da lotte interne alla comunità. A volte le denunce partono da singoli, non di rado donne; altre volte la denuncia consiste in una petizione con raccolta di firme. Nelle stesse forme si presentano gli appelli in favore della permanenza di un parroco che il vescovo ha intenzione di rimuovere. Un esempio notevole è la petizione inviata nel 1907 dagli italiani della Little Italy di New York in favore di Gaspare Dalia, parroco di 35.000 italiani, già spazientiti per dover esercitare il culto in un basement nonostante abbiano contribuito alla costruzione della chiesa della Madonna del Carmine. La richiesta in favore di Dalia è seguita da ben cento pagine di firme per un totale di oltre cinquemila persone. John M. Farley, vescovo di New York, risponde convincendo Propaganda dell’assoluta infondatezza del ricorso, che egli crede ispirato agli italiani da membri della Pia Società delle Missioni (pallottini), e della falsità delle affermazioni dei rimostranti31.

Un altro argomento ricorrente è la diatriba sull’uso americano di richiedere denaro per sedersi in chiesa. A questo costume, invalso da decenni in America nonostante la disapprovazione di Roma, ma totalmente estraneo alla mentalità italiana, gli emigranti, soprattutto se appena arrivati, reagiscono con sorpresa e indignazione32. Nel 1908 Giovanni De Cristofaro di Brooklyn protesta di aver dovuto pagare 10 cents per entrare in chiesa ma solo per assistere alla messa in piedi, benché vi fossero dei banchi liberi. Propaganda scrive al delegato Diomede Falconio ricordando come più volte si sia rivolta ai vescovi in seguito a denunce simili e abbia sempre ricevuto l’assicurazione che la tassa vale solo per sedersi e che l’ingresso è del tutto libero. Falconio risponde confermando che la pratica di questo abuso è generalizzata. In tutte le diocesi l’ingresso alla messa cantata per le grandi solennità costa 10-15 cents e più; nei giorni festivi pure chi non sta seduto paga un contributo pressoché obbligatorio. Anche se c’è sempre una messa completamente libera, questo è un autentico abuso che occorre stroncare con una circolare ai vescovi. Propaganda tuttavia differisce ogni decisione33.

Nelle rubriche geografiche sono pure rintracciabili i dubbi o le richieste della gerarchia ecclesiastica relativamente all’assistenza degli italiani. Nel 1897 il delegato apostolico Sebastiano Martinelli chiede istruzioni sulla creazione di parrocchie nazionali non delimitate territorialmente, ma destinate alla cura delle singole comunità34. Nel 1908, Fergus McEvay, arcivescovo di Toronto, prende a cuore la sorte degli italiani, contrariamente al suo predecessore O’Connor, e chiede il permesso di contrarre mutui per costruire le loro parrocchie35. Da alcune lettere risalta come una parte della questione sia legata alla distribuzione del clero italiano in Nord America. Mentre a New York gli arcivescovi Corrigan e Farley si lamentano per i troppi sacerdoti italiani senza occupazione, molte comunità protestano per la mancanza di un prete connazionale36. Esiste quindi un problema di organizzazione dell’assistenza pastorale e, d’altronde, nonostante l’apposita fondazione scalabriniana, la cura degli emigranti viene esercitata da molti istituti e congregazioni spesso in concorrenza reciproca. Inoltre il clero secolare contribuisce con un elevato numero di membri, spesso senza autorizzazione valida da parte del vescovo di origine, che accrescono numericamente la presenza ecclesiastica italiana, ma ne rendono anche più difficile la razionalizzazione all’interno delle diocesi. Il già citato Luigi Pozzi di Trenton compendia in modo eccellente le motivazioni che spingono i preti italiani a recarsi in America: “Alcuni sono partiti dall’Italia per miserie proprie, altri per urti avuti col Clero o coi loro Vescovi e Superiori, altri per migliorare la loro posizione o far moneta, altri spinti dalla mania di viaggiare e vedere il mondo, altri perché hanno tutti i loro parenti qua e altri per ragioni più o meno serie, più o meno inconsiderate”37. Anche se non si deve sovrastimare l’impressione che emerge dagli archivi romani, ai quali arrivano soprattutto le proteste e le diatribe della vita delle diocesi, tali querelles devono pur sempre essere prese in considerazione. Si ha così un’immagine conflittuale del clero italiano trapiantato in America sia nei rapporti con la gerarchia, sia in quelli con le comunità italiane.

Note

1Per la definizione del contenuto delle rubriche cfr. Nicholas Kowalsky e Josef Metzler, Inventory of the Historical Archives of the Sacred Congregation for the Evangelization of peoples or “de Propaganda Fide”, Roma, Pontificia Universitas Urbaniana, 1983, pp. 87-90.

2APF, Nuova Serie, vol. 77 (1896), ff. 613-614; vol. 198 (1901), ff. 164-165; vol. 220 (1902), ff. 173-175; vol. 337 (1906), ff. 361-362; vol. 418 (1908), ff. 460-461.

3APF, Nuova Serie, vol. 124 (1898), ff. 279r-280r. Per osservazioni dello stesso religioso in precedenti occasioni, cfr. Maria Laura Vannicelli, L’opera della congregazione di Propaganda fide per gli emigrati italiani negli Stati Uniti (1883-1887), in L’emigrazione calabrese dall’Unità d’Italia a oggi, a cura di Piero Borzomati, Roma, Centro Studi Emigrazione, 1982, pp. 142-143.

4Forse Vittorio Romanelli, sul quale troviamo documenti in APF, Nuova Serie, vol. 99 (1897), ff. 774-783.

5APF, Nuova Serie, vol. 372 (1907), ff. 421-422.

6APF, Nuova Serie, vol. 372 (1907), ff. 77-79.

7APF, Nuova Serie, vol. 370 (1909), ff. 463-465.

8APF, Nuova Serie, vol. 494 (1911), ff. 389-392.

9APF, Nuova Serie, vol. 482 (1910), ff. 419-420.

10APF, Nuova Serie, vol. 538 (1914), ff. 463-466.

11Dossier “De Santi Serafino”. Circa sua espulsione, APF, Nuova Serie, vol. 2 (1893), ff. 668-675.

12Bandini è conosciuto soprattutto come il fondatore di Tontitown nell’Arkansas, una colonia agricola di italiani di cui fu anche sindaco, cfr. Antonio Perotti, La società italiana di fronte alle prime migrazioni di massa, “Studi Emigrazione”, 11-12 (1968), pp. 96-116.

13Dossier “Bandini Rev. P.”, APF, Nuova Serie, vol. 30 (1894), ff. 658-665.

14In precedenza Gibelli ha prestato la sua opera nella parrocchia di Sant’Antonio da Padova a Buffalo.

15Dossier “Gibelli D. Antonio, per abbandonare la Cong[regazio]ne”, APF, Nuova Serie, vol. 52 (1895), ff. 590-609.

16Dossier “Karam Michele”, APF, Nuova Serie, vol. 123 (1898), ff. 137-189. Su Karam, vedi quanto scritto nel primo capitolo di questa parte e Ferdinando Fasce, An Italian American Catholic Parish in the early Twentieth Century. A View from Waterbury Connecticut, “Studi Emigrazione”, 103 (1991), pp. 343-350.

17Su Scotti, cfr. ASV, Segr. Stato, 1921, rubr. 251, fasc. 16, ff. 67-78.

18APF, Nuova Serie, vol. 267 (1904), ff. 408-420.

19APF, Nuova Serie, vol. 336 (1906), ff. 960-976. Sempre a Trenton troviamo nel 1909 Achille Cremonesi, ministro presbiteriano, che si spaccia per prete cattolico laureato in teologia al Collegio Urbano; il sacerdote italiano di Trenton, Joseph Transerici, chiede informazioni a nome del vescovo a Propaganda, alla quale però Cremonesi è sconosciuto: APF, Nuova Serie, vol. 465 (1909), f. 479.

20APF, Nuova Serie, vol. 370 (1909), ff. 19-35.

21APF, Nuova Serie, vol. 421 (1908), ff. 332-648.

22APF, Nuova Serie, vol. 429 (1908), ff. 159-233.

23APF, Nuova Serie, vol. 429 (1908), ff. 452-490.

24Sul fecondo rapporto di stima e amicizia, ma non privo di divergenze, tra i due vescovi cfr. il cospicuo carteggio pubblicato in Scalabrini e le migrazioni moderne. Scritti e carteggi, a cura di Silvano M. Tomasi e Gianfausto Rosoli, Torino, SEI, 1997, pp. 237-305.

25Dossier “Addebiti a carico de’ missionari Piacentini e loro opere. Reclami [degli] Italiani negli Stati Uniti”, APF, Nuova Serie, vol. 332 (1905), ff. 1-398. Su Alussi abbiamo altri due documenti: nel 1902 chiede un sussidio per la chiesa di St. Joachim di New York, APF, Nuova Serie, vol. 232 (1902), ff. 566-567, e nel 1908 è ancora a New Haven, dove ha affidato l’insegnamento nelle scuole alle Suore e a una associazione di “signorine italiane”, APF, Nuova Serie, vol. 427 (1908), ff. 33-91.

26Dossier “Emigrati italiani. Reclami”, APF, Nuova Serie, vol. 461 (1908), ff. 348-627. Cfr. Mario Francesconi, Un progetto di mons. Scalabrini per l’assistenza religiosa agli emigranti di tutte le nazionalità, “Studi Emigrazione”, 25-26 (1972), pp. 185-203.

27Su Cocchia, si veda Stefano Trinchese, Missione e pastorale: Rocco Cocchia, vescovo nel Mezzogiorno (1830-1900), in Associazione italiana dei professori di Storia della Chiesa, Problemi di storia della Chiesa dalla Restaurazione all’Unità d’Italia, Napoli, Edizioni Dehoniane, 1982, pp. 369-390 con nota bibliografica.

28Dossier “Episcopato S.[tati] U.[niti] Circolare sulla Fede di Stato Libero per gli Italiani”; APF, Nuova Serie, vol. 157 (1899), ff. 192-247.

29APF, Nuova Serie, vol. 254 (1903), ff. 735-749.

30Dossier “Morano Pasquale e Musto Maria. Causa matrim.[oniale]”, APF, Nuova Serie, vol. 437 (1908), ff. 841-842.

31Vedi il già citato dossier “Emigranti Italiani”.

32Il già ricordato McSweeny, evidentemente sensibile al dettame romano, dispensa dunque i parrocchiani italiani dal pagamento della tassa, cfr. supra, nota 3.

33Vedi il già citato dossier “Emigranti Italiani”.

34APF, Nuova Serie, vol. 119 (1897) rubr. 153, ff. 357-363.

35APF, Nuova Serie, vol. 463 (1908) rubr. 154, ff. 518-519.

36La distribuzione geografica dell’assistenza agli italiani risente anche della precedente presenza di missioni destinate all’evangelizzazione degli autoctoni. Questo accade alle missioni della provincia gesuita di Torino, presente già nell’Ottocento con i suoi missionari lungo l’asse delle Montagne Rocciose dall’Alaska alla California. Nel 1903 i gesuiti Cocchi e Chianale chiedono sovvenzioni per l’“Opera della Santa Famiglia per gli Emigranti Italiani” di Spokane nello stato di Washington dove risiedono trenta famiglie italiane con tre o quattrocento operai stagionali, APF, Nuova Serie, vol. 295 (1904), rubr. 153, ff. 162-165 e 331-335.

37APF, Nuova Serie, vol. 336 (1906) rubr. 5, ff. 981-989.