L’emigrazione siciliana in Tunisia

È stato utile ricorrere alla lettura di cento testi per scrutare la complessa questione politico-sociale dei quattro Punti Cardinali: italiana, francese, musulmana e ebraica. Quattro popoli che nell’arco di circa un secolo hanno coabitato in Tunisia, che hanno professato quattro culti politico-ideologici spesso tra loro concorrenziali ed edonistici con la velleità di scrivere – ognuno per conto proprio – la “vera storia dei vincitori”. Ma perché gli italiani nelle loro scuole aperte a tutti hanno insegnato anche il francese e l’arabo, mentre nelle scuole francesi non era contemplato l’apprendimento di nessuna altra cultura al di là della propria? […] (E. Tartamella; 2011; p. 5).

La vicenda storica che prende  il nome di “emigrazione siciliana” in Tunisia è assai ricca di studi e documenti. Essa è, ancora oggi, oggetto di vivo dibattito. Tale fenomeno assai complesso ha coinvolto nel corso dei secoli milioni di Siciliani. Le prime comunità italiane che si costituirono in Tunisia agli inizi dell’Ottocento, sul tronco di preesistenti nuclei stabilitisi lì fin dal Medioevo, erano rappresentate da discendenti di antichi dominatori, ex schiavi vittime delle incursioni corsare.

[…] Dopo la seconda metà dell’Ottocento, si è venuta accumulando in Tunisia una presenza demografica italiana di cospicue dimensioni che, agli inizi del XX secolo, contava non meno di 80.000 unità. Si trattò nella grande maggioranza dei casi di un’emigrazione proletaria di origine meridionale (e più ancora siciliana) che sperò di trovare nel paese dell’antica Cartagine quella promozione socio-economica che le era negata in patria. Quel flusso si mantenne imponente sino alla prima guerra mondiale a dispetto di svariate normative, volute dalle autorità francesi, in materia di immigrazione, che comportarono una disciplina degli ingressi [da questo si “giustifica” evidentemente il numero seppur esiguo di immigrati cosiddetti “clandestini”, n.d.A.], meccanismi di espulsione, nonché tentativi di assimilazione […] (D. Melfa; 2012; p. 138).

Ci soffermeremo specificatamente sulla emigrazione siciliana in Tunisia, paese nel quale i miei nonni emigrarono nel 1892, e dove la mia famiglia ha vissuto fino al 1973. Là sono nato. Per capire e conoscere a fondo questo fenomeno, abbiamo consultato centinaia di documenti, fatto ricerche e letto libri.

Citiamo ancora un passaggio del libro di Enzo Tartamella (idem; p. 7-9):

[…] Nel corso dell’Ottocento, il Regno delle Due Sicilie registrò una delle più intense mortificazioni del proprio assetto sociale, politico ed economico […]. In questo assetto sociale già inquietante, scoppiò il colera che provocò morte e desolazione. Nel solo 1837 in Sicilia morirono circa 69.000 persone, il 3,5% della intera popolazione e scoppiarono numerose sommosse antiregime […]. Il segno più evidente di questo regresso fu l’esodo biblico di Siciliani e Calabresi che arrivarono   in Tunisia […]. La “situazione” siciliana all’atto  dell’Unificazione dell’Italia era  la seguente: gli sterminati feudi erano in mano a poche centinaia di aristocratici […]. La Chiesa possedeva circa 230 mila ettari di terra. Le forme di lavoro erano tra le più svariate […].

Censimento del 1861. In Sicilia si contavano 2.392.414 anime. Citiamo al riguardo la celebre frase di Ippolito Nievo pronunciata nella seconda metà del XIX secolo: “Che bel Paese, verde, spopolato, sereno e miserabile!”.  In questo contesto di drammatica e diffusa povertà prende corpo, appunto, la emigrazione biblica.

Aggiungo un ricordo personale. Mio zio Fiore Di Chiara, contadino di El Kef, amava ripetere spesso: ‘a fame ci facìa addiventari ciechi

In questo contesto, bisogna sottolineare che l’Italia era ancora paese smembrato in piccole realtà politiche; la Francia era consapevole della sua forza militare a tal punto che programmò un suo intervento militare in Tunisia. Un passaggio fondamentale per capire il paese nel quale i Siciliani (e non solo  loro) emigrarono è il seguente: negli anni Settanta e Ottanta Khaznadar Mustapha, primo ministro tunisino, fece ricorso a una serie di prestiti (39.346 milioni di franchi presso il Barone d’Erlanger; 27.955.848 franchi con il concorso del comptoir d’Escompte di Parigi). Altre società  e gruppi finanziari francesi furono interessati a quella che viene definita una “manovra di invasione finanziaria”. La manovra più conosciuta fu quella della Societé Batignolles.  Ai prestiti fu applicato l’esorbitante tasso di interesse del 7 per cento.

Gli enormi capitali, tuttavia, non sarebbero stati destinati a fini pubblici, secondo i detrattori del primo ministro: «ne profitent pas au pays mais sont dilapidés au profit des banquiers étrangèrs, de Mustapha Khaznadar et des associés tunisiens [non tornano al Paese, ma sono dilapidati per il profitto dei banchieri stranieri di Mustapha Khaznadar e degli associati tunisini]» (A. Kassal; 2002; p. 18; traduzione mia).

Questo passaggio importante è strettamente legato sia al ruolo del nascente Protettorato –  rivelando la provenienza dei flussi finanziari -, ma sia anche al totale assoggettamento del Bey (con questo titolo si indicò, tra il XVI secolo e fino a tutto il XX secolo, il “signore” di Tunisi. Derivato dal titolo turco-ottomano beg, ossia signore, il termine passò a indicare il responsabile fiscale o militare di una circoscrizione amministrativa di un impero), in un paese abitato per la maggior parte da tribù berbere nomadi e semi-nomadi, sprovviste di qualsiasi mezzo tecnologico e di qualsiasi concezione produttivistica della terra.  La macchinosa preparazione che doveva portare all’occupazione della Tunisia è passata attraverso dolorosi percorsi di totale assoggettamento delle popolazioni indigene, il cui destino era già ampiamente segnato.  A conferma di ciò, ricordiamo i massacri francesi avvenuti nella notte tra il 24 e 25 aprile 1881 e i ripetuti viaggi di Ahmad I ibn Mustafa, nuovo Bey, a Parigi.

Nel XIX secolo in Sicilia i salari dei contadini, degli operai e dei domestici si aggiravano sui 2 tari al giorno; in alcuni territori arrivavano a 3 tari. E si pensi che per  due chili di pane, uno di pasta e un quartuccio di vino ci volevano 2 tari, e dunque si capisce di cosa stiamo parlando.

C’entra tutto questo con la natura della emigrazione siciliana e il ruolo del Protettorato? Noi pensiamo fortemente di sì.

In termini non proprio ortodossi, si potrebbe ipotizzare un “nervosismo” mal celato da parte della Reggenza, al punto da fare ricorso a scelte non proprio di alta diplomazia e di lungimiranza quando si trovava a mettere mano ai censimenti per cancellare numericamente la presenza cospicua degli operosi italiani, i quali, in alcun modo, volevano essere denigrati o sopraffatti. La Francia aveva spietatamente creato il Protettorato per farne una colonia a tutti gli effetti, cioè abitata, posseduta e sfruttata dai propri cittadini; farla diventare, insomma, a tutti i costi una sorta di propria appendice, anche falsificando i dati e la realtà.

Secondo fonti francesi, gli italiani in Tunisia nel 1898 erano 32 mila. I dati dell’anno successivo,  sempre di fonte francese, riportano numeri assai inferiori. Doveva essere proprio una vera ossessione quella dei governanti francesi i quali, infatti, fecero di tutto per accrescere fittiziamente la propria popolazione. Da allora in poi,  i francesi sfruttarono in maniera intensiva questi dati.

Nel suo libro “La traversata del deserto” la scrittrice Marinette Pendola racconta: «Definire il numero di questa migrazione è pressoché impossibile poiché i dati furono frequentemente manipolati a fini puramente politici» (2014; p. 114).

Secondo i dati francesi, a cavallo tra i due secoli i Siciliani rappresentano il 70 per cento della presenza italiana e tra loro non mancano gli originari dell’isola di Lampedusa che, insieme a quelli di Pantelleria, trovarono in Hammamet un polo di insediamento privilegiato dove vivono di pesca e diventano proprietari di frutteti e vigneti (IPRIT, maggio 2014).

In questo quadro di massiccio esodo, migliaia di Siciliani, clandestini e non,  emigrarono in Tunisia, molti iniziarono a dedicarsi all’agricoltura prendendo prima terreni in affitto o concordando forme di ripartizione dei prodotti, e poi a comprare pezzettini di terra (F. Atzeni in RIMES; 16 giugno 2011, n. 6; pp. 775-810).

Un esempio per tutti, per capire chi investiva in Tunisia e in quale modo, e quali furono le fonti per tale acquisto. La Famiglia Pandolfo  (non fu la sola) scelse di vendere i propri terreni in Pantelleria e di trasferirsi in Tunisia. Altri Siciliani, di diversi territori, fecero la stessa cosa. I più poveri facevano i braccianti, i mezzadri, i mettatieri e jurnatari e nel corso degli anni, “solo” nel corso di molti anni, acquistarono la proprietà dei terreni. Potrei citare ancora centinaia di casi di famiglie siciliane, e se da un lato l’emigrazione proletaria contadina fu favorita dal Trattato tra la Tunisia e l’Italia del 1868, dall’altro quella operaia si sviluppò dopo il 1870, specialmente nel 1878, richiamata dai forti investimenti in infrastrutture messe in campo dal Protettorato (L. Del Piano; 1965; pp. 85-6).  

In questo quadro, per contrastare la massiccia e minacciosa presenza finanziaria francese, fu creata da parte dei Siciliani, Sardi, Livornesi, Genovesi  quello che venne chiamato il “trust sardo”,anche per sviluppare investimenti in molti settori, oltre che in quello agricolo (G. Tore; 2006;  p. 46).

«Ma perché – come abbiamo già riportato, si domanda Enzo Tartamella –  gli italiani nelle loro scuole aperte hanno insegnato anche il francese e l’arabo, mentre nelle scuole francesi non era contemplato l’apprendimento di nessuna altra cultura al di là della propria?» (idem, p. 5). Non va dimenticato che alla fine del secondo conflitto mondiale, i francesi vietarono addirittura che si svolgesse in Tunisia la famosa processione della Madonna di Trapani.

Le fonti storiche sulle cause della presenza italiana in Tunisia e sul ruolo del Protettorato divergono. Per quanto attiene ai possedimenti agricoli, riprendiamo il testo scritto dal Professor Ahmed Kassal (idem, p. 21; il testo originale è scritto in lingua francese, la traduzione è mia):

Già prima della nascita del Protettorato, società finanziarie francesi avevano acquisito in Tunisia grandi distese di terreno:

  • Societé Marseillaise de Crédit 120.000 ha;
  • Compagnie de Batignoles, che aveva ricevuto l’immenso fondo d’Oued  Zerga, più di 9.000 ha.

Con la firma del Trattato di Bardo (12 maggio 1881) e la Convenzione di Kasserine – Said (8 giugno 1883) migliaia di ettari passano nelle mani dei coloni francesi. Tra le più importanti società finanziarie francesi che  “si creano”  per l’acquisto di terreni in Tunisia:

  • la Societé Foncière de Tunis: 3.500 ha nella Regione di Mornaghia
  • la Societé Immobilière Tunisienne che acquisterà tutti i fondi agricoli di  Mustapha Ben Smail, parente del Bey;
  • la Societé Lyonnaise  che diventa proprietaria di terreni e pianure à Mornagh, nella Media Valle della Medjerda, nella Regione di Sfax.

Nel 1882 i possedimenti agricoli francesi ammontano a più di 400.000 ha;  quelli italiani a circa 27.500 ha.  Con una media pro capite di 1.000 ha per i francesi e di 30 ha per gli italiani.

 Note bibliografiche:

1) Enzo Tartamella, “Emigranti Anomali. Italiani in Tunisia tra Otto e Novecento”; Maroda Editori, Trapani.

2) Daniela Melfa, “Migrando  a sud. Coloni italiani in Tunisia (1881-1939)”; Aracne, Roma.

3) Ahmed Kassal, “La Colonisation agricole en Tunisie (1881-1956)” in Cahiers del la Mediterranée, marzo 2002, Tunisi).

4) IPRIT-Immigrazione Percorsi di Regolarità in Italia, “Breve storia dell’emigrazione italiana in Tunisia”; Centro Studi e Ricerche IDOS, Roma.

5) Francesco Atzeni in “Italia e Africa del Nord nell’Ottocento”; RIME-Rivista online dell’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea, Cagliari-Milano-Roma.

6) Lorenzo Del Piano, “La penetrazione Italiana in Tunisia (1861-1881)”; CEDAM, Cagliari).

7) Gianfranco Tore, “Il trust sardo-ligure e la valorizzazione dell’economia tunisina”, in G. Marilotti (a cura di) “L’Italia e il Nord Africa”; Carocci, Roma.

Altre fonti consultate:

– Gianni Marilotti, Associazione Culturale Mediterranea Cagliari in “AMMENTU Bollettino Storico e Archivistico del Mediterraneo e delle Americhe” n. 8 gennaio 2016; pp. 40-1; Roma.

– Adrien Salmieri, “Acteurs et theatre d’une épopée: les Italiens et la Tunisie”; Université Paul Valéry, Montpellier III, Litterature Francaise et comparée; presentato nel corso del Master a.u. 2005/2006.

– Alphonse Doria Siculiana, 25 aprile 2015 “Siciliani di Tunisia”, Edizioni Angelo Guerini e Associati spa, Milano novembre 2014; p. 161.

– Relazione dell’Avvocato Alessandro Durando, vice Console alla Goletta, in “Bollettino Consolare, vol. XXIII, 1887”.

– Gaston Loth, “Le peuplement italien en Tunisie et en Algerie”; Paris Libraire A. Colin, 1905; University of Ottawa, Canada.

– Centro Studi SEA, “AMMENTU Bollettino Storico e Archivistico del Mediterraneo e delle Americhe”.

– Comitato della Camera Italiana di Commercio ed Arti, “Gli italiani in Tunisia”.

Link del film completo Bastava una notte, del Professor Emenuel Giliberti: https://www.youtube.com/watch?v=-kFMRQBLMws&feature=youtu.be&fbclid=IwAR059ahLy-BV95wqJbEl-bnc2WCTuN6Iu9o4OZOZ_R8xmi8L26YmVof6d3U

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    By: Antonio Bernardo Farruggia

    Nasce a El Kef in Tunisia, da una famiglia proveniente dalla Sicilia e immigrata in Africa a metà dell’Ottocento. Da alcuni anni è al lavoro per cercare di ricostruire la storia dell’emigrazione siciliana in Tunisia, attraverso fonti orali e scritte di persone nate e vissute lì per poi rientrare in Italia. Attualmente sta lavorando, assieme ad una sua collega tunisina, ad una raccolta di memorie e tra i suoi progetti futuri c’è quello di raccontare un libro che scriverà la storia vera delle migrazioni siciliane in Tunisia.

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