I tre Rossi

Rossi è notoriamente il cognome più diffuso in Italia perché accomuna oltre 45.000 famiglie in maggioranza concentrate nel centro-nord della Penisola, dove risulta attestato in 45.72 comuni seguito al secondo posto, ma a discreta distanza, da una sua probabile variante meridionale (Russo) presente soprattutto al sud. Al pari di Smith in Inghilterra e negli Stati Uniti, di Martin in Francia, di Müller in Germania, di Ivanov in Russia ecc. si tratta di un patronimico destinato a designare l’uomo medio, come divenne d’uso corrente soprattutto nel corso del secondo dopoguerra anche in forza del successo di personaggio, “Il Signor Rossi”, inventato nel 1960 dal grande designer Bruno Bozzetto. Secondo Michele Luzzatti, autore di Per la storia dei cognomi ebraici di formazione italiana si tratterebbe di un tipico cognome ebraico, benché ovviamente di estrazione ebraica non siano poi le molte centinaia di migliaia di italiani che lo portano[1].

Chissà come avrebbe reagito, se fosse venuto a conoscenza di questa attribuibilità onomastica, il senatore Alessandro Rossi di Schio, grande imprenditore, uomo politico di primo piano della Destra veneta clerico moderata e attivo alla sua maniera, sino allo scadere dell’Ottocento, anche sui temi dell’emigrazione, ma non alieno da puntate antisemite neppure troppo larvate.

Se devo dire la verità è proprio da lui che avevo preso le mosse, sulle prime, per elaborare il presente intervento rifacendomi a quanto già ne avevo scritto tra il 1971 e il 1979[2] sicché nel titolo, a ben vedere, avrei dovuto parlare di almeno quattro Rossi volendo sempre alludere, tuttavia, soprattutto alle figure di alcuni precisi soggetti, omonimi e quasi coetanei, che si trovarono per qualche tratto affiancati nel partecipare in modo attivo alle iniziative “pubbliche” di governo dei flussi in uscita dall’Italia ‒ sia transoceanici che europei ‒ nella loro fase di maggiore slancio tra la fine dell’Ottocento e la vigilia della Grande guerra.

Abbastanza comprensibile o almeno scusabile spero risulti dunque l’incertezza iniziale sul numero e sulle fisionomie politiche dei Rossi in questione ovvero su quanti di questo cognome ma abbastanza diversi fra loro – come Egisto (Firenze 1852 – Roma 1937), Adolfo (Valdentro di Lendinara 1857 – Buenos Aires 1921) e Luigi (Verona 1867 – Merano 1941)[3] – furono più a fondo coinvolti nell’attività dei primi organismi preposti alla vigilanza e alla “supervisione” dei movimenti emigratori nell’Italia liberale con particolare riguardo per la genesi e per il funzionamento, in età giolittiana, del Commissariato (Cge) scaturito dall’applicazione di una fondamentale legge del 1901 dalle molte implicazioni[4] su cui, a onor del vero, esiste come minimo dal 1983 una discreta serie di studi specie (ma non solo) per iniziativa di studiosi formatisi negli ambienti del Ministero degli Affari Esteri, della Fondazione Brodolini o dell’Università di Lecce (auspici, qui, Ornella Confessore e il compianto Fabio Grassi Orsini) o comunque di esperti di storia amministrativa e di scienze statistiche (Grispo, Santoni, Del Giudice, Pilotti, Marucco, Ostuni, ecc.)[5].

Sia come sia i tre Rossi “privilegiati” in questa sede, oltre al cognome, ebbero in comune svariate esperienze piuttosto eterogenee ritrovandosi però assieme, a un certo punto della loro carriera, in seno appunto al Commissariato dell’emigrazione, ossia in quel luogo a cui non avevano mancato di prestare attenzione sin dagli anni ‘60 e ‘70 del secolo passato, sulla scia di Francesco Coletti[6], anche quasi tutti gli storici della “grande emigrazione” italiana (Dore, Manzotti, De Felice, Sori, Lazzarini, Degli Innocenti e Ciuffoletti ecc.[7]) e successivamente, a maggior ragione, pure coloro che sempre più numerosi, da Francesca Fauri a Domenico Sacco, da Emanuela Primiceri a Michele Pifferi ecc.[8], hanno scelto di esaminare in dettaglio i principali risvolti economici e i più importanti aspetti istituzionali e giuridici della “gestione italiana” di un fenomeno per sua natura sempre difficilissimo da governare come l’emigrazione[9]. Da vent’anni a questa parte, inoltre, anche dando per scontata la curiosa marginalità, perdurante da noi, dei migration studies nell’ambito della ricerca storica nazionale e nello stesso confronto (sovente mancato o privo, per così dire, di “reciprocità”) con le scienze sociali, è un fatto che le indagini degli storici dei movimenti migratori hanno subito svariati ma profondi cambiamenti. A partire dalla decade 1990-2000 essi sono divenuti sempre più sensibili, quanto meno nella storiografia internazionale dove son stati ben descritti e discussi per il versante euroamericano da uno stuolo di agguerriti specialisti (Adam McKeown, Klaus Bade, Donna Gabaccia, Barbara Luthi, Christiane Harzig, Dirck Hoerder, Leo Lucassen, ecc.[10]), ma anche talvolta criticati a ragione (come di recente si è spinto a fare Franck Düvell[11]) pur dopo l’entrata in circolo di proficue categorie concettuali e di nuove griglie interpretative in fatto, ad esempio, di diasporicità o di transnazionalismo[12]. Oltre a inclinare verso una rilettura della mobilità territoriale alla Livi Bacci quale caratteristica ineludibile e di fondo dell’intera vita umana e altresì quale generatrice di nuove realtà demografiche e culturali accomunando i movimenti migratori del presente e del passato, anche tali griglie hanno incoraggiato a ridefinirne le tempistiche, le conseguenze, i contesti temporali e così via.

In tanto fervore di analisi, complicate non poco, in Italia, dagli approcci generici alla storia delle “vecchie” migrazioni attraverso paragoni sommari e innesti esegetici abbastanza spericolati (e cari di norma ai sempre più numerosi cultori dei cosiddetti postcolonial studies), sono a lungo mancate le indagini puntuali sugli apparati di governo e sulle normative messe a confronto con le pratiche emigratorie, anche se si è poi accordato qualche risalto, qua e là, alle biografie di uomini e di donne il cui coinvolgimento negli apparati di servizio, di assistenza o anche di “controllo” delle correnti di emigrazione risultò cruciale e in bilico fra competenze “ministeriali” diverse rivelandosi capace, non di rado, di condizionare almeno in qualche misura i destini di quanti concretamente, di tempo in tempo, vi davano alimento.

Delle loro esperienze professionali, per come s’incrociarono storicamente, vale ancora la pena a mio avviso di occuparsi fosse pure nel modo a prima vista bizzarro che ho scelto di privilegiare qui appigliandomi all’omonimia e però anche a una serie di circostanze fattuali e di molti dati concreti. Si tratta, in tal caso, di vicende, di parabole e di carriere non esattamente ignote ma che al di là di alcune scontate “coincidenze” nell’ambito a noi più familiare della storiografia sull’Italia liberale fra Otto e Novecento e sugli ambienti culturali e politico parlamentari di quel tempo potrebbero essere assoggettate in prima battuta a una verifica puntuale sfruttando in qualche modo persino la teoria matematica “del mondo piccolo” elaborata nel 1967 dallo psicologo statunitense Stanley Milgram secondo il quale tutte le relazioni, anche le più complesse, possono essere collegate tra loro attraverso un percorso costituito da un numero alquanto esiguo di mediazioni. Milgram, nella fattispecie ovvero sulla base di un esperimento da lui fatto con un piccolo gruppo di abitanti del Midwest, richiesti di mettersi in contatto con un interlocutore a loro sconosciuto in Massachussets, era riuscito a dimostrare come ciò sarebbe stato possibile attraverso pochi passaggi (dai cinque ai sette), ciò che determinò il definitivo successo della formula cosiddetta dei “sei gradi di separazione” quale oggi la si conosce e a volte impropriamente si utilizza.

Fossimo vissuti cento quarant’anni addietro avremmo forse potuto inserire tra i mittenti del Midwest chiamati in causa dall’esperimento di Milgram, se non Adolfo Rossi che, immigrato da due anni in America, risultava allora in viaggio, nell’estate del 1881, da New York verso le Montagne Rocciose[13], almeno Egisto Rossi in missione già da vari mesi anche lui negli Stati Uniti[14] e in visita a Boston al poeta Longfellow nel marzo del 1882[15] per conto del suo omonimo patron scledense, il ricco e potente imprenditore laniero, ma soprattutto il leader, in Italia, del fronte protezionista industriale/agrario negli anni più duri della grande crisi cerealicola e della celebre Inchiesta Jacini già così fitta di richiami alla casistica emigratoria nelle nostre campagne.

Egisto, segretario ma non parente di Alessandro, allievo a Firenze di Angelo De Gubernatis e di Giambattista Giuliani, ossia di un linguista poligrafo (bakuniniano in gioventù) e di un dantista insigne dell’ordine dei padri Somaschi[16], non è tuttavia neanche il primo anello di una catena alla base dei discorsi a cui potrò fare solo piccolo spazio in questa sede. Scartando altri omonimi coevi, come lo scienziato anarchico pisano Giovanni Rossi (1866-1943), teorico del libero amore e fondatore della celebre Colonia Cecilia nel Paraná dei primi anni ‘90 dell’Ottocento (dopo gli esperimenti collettivistici di Stagno Lombardo e prima di tornare al suo mestiere di agronomo in Italia nel 1907)[17], si dovrebbero infatti prendere le mosse non solo o non tanto da Alessandro Rossi bensì pure, oltrepassando i limiti della stretta omonimia, dalla figura davvero strategica di Luigi Bodio (Milano 1840 – Roma 1920), una personalità peraltro già ampiamente indagata da Marco Soresina e, per i suoi rapporti con il senatore e industriale di Schio, anche da altri specialisti come Giovanni Favero[18].

Il Bodio, tra i padri fondatori della scienza statistica italiana, intimo amico di Edmondo Mayor des Planches, futuro ambasciatore del Regno negli Stati Uniti, e di Carlo Alberto Pisani Dossi[19] (che li ricorda entrambi nelle sue portentose Note azzurre e che aveva cominciato nel 1881 la propria carriera ministeriale collaborando con lui alla realizzazione del primo censimento degli italiani all’estero, perno e pegno di future imprese statistiche[20]), in assidua relazione con un gran numero di scienziati e di economisti di rilievo internazionale[21], nonché primo Commissario generale dell’emigrazione dal 1901 al 1904, quando si dimise dalla carica venendo sostituito pro tempore per alcuni mesi proprio da Egisto Rossi[22], da giovane era stato molto vicino ai promotori della scuola economica lombardo veneta (Messedaglia, Cossa, Lampertico, Luzzatti ecc.) contrapposti ai liberisti ortodossi di Francesco Ferrara e della Società Adamo Smith di Firenze[23]. Succeduto poco più che trentenne a Pietro Maestri nella guida degli uffici di statistica del Regno, aveva dato impulso alla misurazione “ufficiale” dei flussi emigratori all’indomani del Congresso degli economisti di Milano del 1875, dove i “socialisti della cattedra” nostrani, sempre più scettici sulle capacità autoregolatrici del mercato, si erano spinti a prefigurare alcune modeste forme d’intervento pubblico in economia caldeggiando anche la nascita di una minima legislazione sociale non senza lesinare infine delle patenti di liceità allo stesso protezionismo manifatturiero. Fra i temi messi al centro del dibattito milanese (il lavoro delle donne e dei fanciulli, la promozione del credito e del risparmio popolare ecc.) spiccavano però, forse per la prima volta, lo studio e la tutela dell’emigrazione all’estero che infatti di lì a poco divenne oggetto di speciali attenzioni da parte dei primi “patronati” laici (lombardo-veneti, friulani ecc.) fondati ad hoc dai maggiorenti del moderatismo soprattutto settentrionale e di associazioni scientifiche già d’un certo peso o coinvolte in ambiziosi progetti coloniali come la Società Geografica Italiana[24]. Nei ranghi di questa Bodio aveva favorito l’ingresso del giovane Egisto Rossi autore nel 1892 di una dettagliata analisi Del patronato degli emigranti in Italia e all’estero e poi di rassegne bibliografiche e d’informati articoli su altre peculiarità degli Stati Uniti[25]. Già in precedenza, ad ogni modo, Egisto aveva svolto, per incarico di Alessandro Rossi, alcune ponderose indagini sugli Stati Uniti e sulla concorrenza agricola americana[26] contrappuntate da brevi e amari ritratti dei nostri immigrati a New York, così come lui stesso li aveva visti di persona nel 1882 quando, reduce da una scorribanda in Colorado, anche Adolfo Rossi, che l’avrebbe poi raccontata nel suo best seller autobiografico ripubblicato da Treves nel 1892 ‒ Un italiano in America[27] ‒ aveva ripreso ad occuparsi qui, dov’era approdato nel 1879, della loro sorte in qualità di pubblicista, senza celarne le peripezie e le assai misere condizioni ed anzi scrivendone sovente nel giornale di Carlo Barsotti “Il Progresso Italo Americano”, di cui era stato il primo redattore divenendone man mano redattore capo[28].

Adolfo, quasi un autodidatta cresciuto in Polesine alla scuola laica, democratica e federalista del suo compaesano e maestro Alberto Mario, ne condivideva, sia detto en passant, quasi tutte le passioni politiche, ma come Egisto coltivava anche idee non distanti da quelle che avrebbero caratterizzato poco più tardi l’impegno di acculturazione nazionale degli emigranti da parte della Società Dante Alighieri nel passaggio dalla presidenza di Ruggero Bonghi a quella di Pasquale Villari.

Ormai rientrati entrambi i due Rossi in Italia intorno alla metà degli anni ‘80 mentre, accresciutasi l’influenza di Crispi e del suo entourage tecnico scientifico pilotato da Bodio, si stava affermando da noi, a ridosso dell’emigrazione e quale sua auspicata alternativa, anche una politica coloniale di conquista africana, le loro strade continuarono ancora per un po’ a divergere confermando tuttavia Egisto nel ruolo d’intellettuale d’area protezionista e Adolfo in quello di giornalista d’inchiesta e sovente “d’assalto” (ma di successo: una sorta di Gianantonio Stella di quei tempi[29]) capace d’insediarsi sul finire del secolo ai vertici di grandi quotidiani a propria volta allora in forte ascesa come “La Tribuna” e il “Corriere della sera”. Probabilmente a causa di problemi privati Egisto aveva nel frattempo lasciato Schio per l’America essendosi unito in matrimonio nel 1886 con Alice Seelye, una gentildonna dell’Ohio sua coetanea. A New York dov’era tornato anche per sposarsi rimanendovi poi, in pianta stabile, dal 1895 al 1899, sarebbe presto diventato, dopo Alessandro Oldrini, ma sempre gravitando nell’orbita governativa e diplomatica del Mae[30], il funzionario chiave dell’effimero Ufficio di Informazioni e Protezione per l’Emigrazione italiana sorto allora a Ellis Island[31] e vissuto per assai poco tempo[32], rimanendo sempre in stretto contatto con Alessandro Rossi e continuando a fornirgli, sino alla vigilia della sua scomparsa nel 1898, regolari e dettagliati rapporti sull’andamento dell’emigrazione transoceanica italiana ed europea. Tra il 1895 e il 1896, tuttavia, nei mesi cruciali della prima Guerra d’Africa di cui Adolfo Rossi, dopo la battaglia di Agordat, aveva aspramente criticato, e sia pure dalle pagine di un foglio crispino, la condotta iniziale guadagnandosi anche una clamorosa espulsione dall’Eritrea[33], il senatore di Schio, privo della consulenza preziosa di Egisto pur concorde con il suo africanismo[34], si era imbarcato assieme a Fedele Lampertico, in un infelice esperimento di colonizzazione agraria con emigranti veneti e friulani tosto fallito a Godofelassi sugli altipiani di Keren[35]. Per realizzarlo più o meno come aveva cercato di fare dalle stesse parti un paio di anni prima anche il barone Leopoldo Franchetti[36], il senatore di Schio si era appoggiato all’Associazione Nazionale per soccorrere i Missionari cattolici italiani (ANMI) presieduta dall’egittologo Ernesto Schiaparelli (e i cui archivi solo recentemente sono stati aperti a pochi studiosi, [37], venendo perlustrati in particolare dagli storici delle scuole italiane all’estero)[38].

Fondata nel 1886 a Firenze da un gruppo di esponenti del mondo cattolico “conciliatorista” un anno prima che mons. Scalabrini mettesse mano alla sua congregazione missionaria di S. Carlo (con una cui articolazione d’oltreoceano, la Società San Raffaele di New York, Egisto Rossi sarebbe stato costretto più volte a “confrontarsi”[39]) l’ANMI, senza più sciogliersi, avrebbe poi dato vita nel 1908 ‒ secondo Ugo Guida “come propria emanazione diretta”[40] ‒ a una ulteriore articolazione del fronte missionario tutta dedicata agli immigrati nelle Americhe e nel Levante come l’Italica Gens che affiancando il bollettino scalabriniano “L’emigrato italiano in America” rappresentò in tarda età giolittiana, al tempo del Patto Gentiloni e della Guerra di Libia, un baluardo delle più risolute posizioni clerico nazionaliste[41]. Al momento, tuttavia, l’idea, da essa condivisa con molti altri, di poter risolvere i problemi dell’emigrazione italiana attraverso un maggiore impulso che si sarebbe dovuto dare, in alternativa agli esodi da lavoro senza aggettivi, ai progetti di colonizzazione agricola all’estero trovava discreti favori e positivi riscontri presso le autorità diplomatiche e consolari del Regno persino negli Stati Uniti , dove infatti nacque e in gran parte abortì, ancora a fine Ottocento nell’Arkansas a Sunny Side ‒ rinascendo poi dimidiata a Tontitown ‒ una iniziativa di quel tipo con emigranti veneti, marchigiani ed emiliani[42] “salvati” in extremis dal missionario forlivese Pietro Bandini[43], già principale animatore a New York della ricordata società San Raffaele. Il varo in Italia della legge 31 gennaio 1901 sull’emigrazione caduto a breve distanza dai tentativi di colonizzazione in Eritrea o nell’Arkansas, ma ormai anche a un quarto di secolo dal Congresso milanese degli economisti del 1875, ebbe per relatori in Parlamento da un lato due uomini chiave del moderatismo riformatore d’antan come Luzzatti e Lampertico e da un altro politici dell’Estrema a sufficienza ormai smaliziati come l’ex mazziniano Edoardo Pantano, collega e amico in gioventù di Alberto Mario[44]. Sotto molti punti di vista si trattò di una particolare evoluzione d’intenti e di progetti a lungo coltivati dalle élites liberali il cui emigrazionismo di cornice ormai non confliggeva più con l’assunzione di responsabilità dirette da parte dello Stato nell’assecondare e nell’orientare, ma anche nel “proteggere” l’andamento dei flussi in uscita dall’Italia.

Le antiche barriere tra liberisti ortodossi e “vincolisti” più e meno risoluti erano state del resto se non abbattute almeno in parte smussate e comunque ripensate, all’alba del ‘900, come emergeva anche dalle discussioni teoriche che ora contrapponevano Benedetto Croce a Vilfredo Pareto[45] (e questi a Francesco Coletti ad esempio “sul valore economico degli emigranti”[46]) oppure come si deduceva, proprio rispetto all’emigrazione e alla necessità di un suo “disciplinamento”, dallo spazio che vi veniva fatto da riviste intransigenti quali il “Giornale degli Economisti” dove l’Associazione economica liberale ‒ in cui sedevano fianco a fianco Bodio, De Viti de Marco, Mazzola, Bosco, Cambray Digny, Catellani, ecc. ‒ interpellava Alessandro Oldrini sulle sue esperienze a New York accanto a Egisto Rossi senza rinunciare del tutto alla critica della gestione pubblica dei fenomeni emigratori con un eccesso di “orpelli burocratici”[47].

Il clima del giolittismo emergente che favoriva l’allineamento alle logiche dei blocchi protetti dallo Stato di molti ambienti liberali e in origine ultra liberisti assieme al riposizionamento dei vecchi socialisti della cattedra o dei loro allievi nei luoghi strategici dell’economia nazionale (si pensi, per tutti, a Bonaldo Stringher dal 1900 alla guida della Banca d’Italia[48]) e alla concomitante ascesa dei ceti professionali revocati in vita dal primo take-off industriale del paese permise tuttavia l’inversione di tendenza legislativa destinata a dischiudere a gruppi seppur ristretti di tecnici e di “esperti” la strada di un funzionariato dinamico e ragionevolmente emigrazionista, ma anche, al tempo stesso, sul serio convinto dell’ineludibilità dei compiti di tutela e di orientamento spettanti in materia allo Stato. Nel cambio di prospettive che dopo l’insediamento di Vittorio Emanuele III si erano del pari aperte ai suoi vertici c’era del resto sufficiente posto per uomini nuovi dislocati in istituti anch’essi nuovi e magari persino nevralgici senza che ciò dovesse per forza ledere gli interessi della dinastia come dimostrò la persistenza di una “riserva regia” sui dicasteri militari e sullo stesso ministero degli affari esteri il quale infatti rimase, dietro le quinte, il vero arbitro di molte situazioni delle quali il Cge appariva, sulla carta, investito. Se quelle riguardanti il contenzioso con le autorità straniere dei paesi d’immigrazione o concernenti le sorti e la tutela dei diritti minacciati o violati degli emigranti furono affrontate con discreto successo da un personale “burocratico” che faceva leva sulle doti di singoli quali i nostri Rossi, è vero anche che le scelte di fondo e più importanti rimasero sempre saldamente nella disponibilità e nelle mani di chi dettava la linea della politica estera come si vide più volte accadere fra il 1903 e il 1909 a ridosso delle scelte di Tommaso Tittoni[49], il quale fu il primo ad avallare e a ribadire, come ministro, l’inossidabile primato della diplomazia e delle sue aristocratiche feluche[50] sul sottostante livello consolare e nella fattispecie anche su quello del tutto inedito degli uomini in forza al Cge.

D’altro canto la sua nascita dipendeva anche da una evidente riorganizzazione delle funzioni dello Stato tesa a superare l’impianto tradizionale dei ministeri e dei loro uffici imperniandosi su istituzioni più agili e meglio in grado di dare una risposta rapida ed efficace ai principali problemi economici e sociali del paese facendo fronte, in quest’ottica, anche all’emergenza rappresentata appunto dall’emigrazione di massa ormai da anni in costante espansione sia sul versante transoceanico che in quello continentale europeo.

Nella forma d’inediti enti pubblici ovvero di più moderne articolazioni governative le diverse espressioni dello “Stato amministrativo” d’età giolittiana ebbero allora nel Commissariato dell’emigrazione una specie di banco di prova principe ed anzi il primo esempio di moderna “agenzia” operativa dotata di organi sussidiari propri (il Consiglio dell’emigrazione, il Fondo per l’emigrazione, le Commissioni arbitrali dell’emigrazione ereditate dalla legge crispina del 1888 e riformate nel 1913 ecc.). Espressamente incaricata, nella fattispecie, di assistere gli emigranti “non soltanto prima e durante il viaggio, ma anche nei luoghi di arrivo”, tale “agenzia” risultò da subito bisognosa, proprio per questo, di un personale adeguato e meno incline ad avallare, a scapito delle realtà fisiologicamente generate dal mercato internazionale della forza lavoro, imprese dissennate sul genere di quelle “coloniali” tentate in USA o con esiti ancor più disastrosi nelle terre africane di diretto (o auspicato) dominio.

Adolfo ed Egisto Rossi, ai quali sull’aprirsi del nuovo secolo la situazione “coloniale” in USA e in Eritrea tanto quanto in Brasile e in Argentina era ben nota, non si facevano più illusioni al riguardo come non ne avevano mai nutrite del resto, specie il secondo, rispetto alla condizione riservata altrove (ad esempio nelle fazendas di caffè pauliste o nelle campagne di varie parti dell’America Latina) ai lavoratori agricoli e ai braccianti italiani. L’ingresso immediato di entrambi nei ranghi del neonato Cge ne offrì subito la riprova a cominciare dalla loro nomina rispettivamente a Commissario (Egisto) e a Ispettore viaggiante (Adolfo) per designazione espressa di Bodio, ma anche per l’appoggio che le loro investiture avevano ottenuto da parte di vari esponenti del mondo politico e parlamentare italiano. A favore della candidatura di Egisto, che tra il 1902 e il 1903 fu subito mandato in missione negli Stati Uniti e a Cuba e poi in Messico e nel Canada, avevano giocato la stima e la simpatia che i conservatori del Nord non potevano non avere nei confronti di chi era stato per molti anni un uomo di fiducia di Alessandro Rossi, mentre dalla parte di Adolfo, inviato a sua volta prima in Brasile nel 1902 (e poi, dal 1904 sino al 1907, più e più volte anche in USA e altrove[51]) si erano schierati non solo molti esponenti dell’area democratica e socialista, bensì pure alcuni leader e intellettuali liberali di gran peso quali Zanardelli, Giolitti e Villari[52] i quali lo preferirono a candidati sui quali gravavano fra l’altro l’ombra e il sospetto di una eccessiva vicinanza a interessi armatoriali precostituiti o all’estero, sbrigativamente e più rozzamente, padronali: in Brasile, per esempio, a quelli dei fazendeiros delle società promotrici dell’immigrazione con cui avevano avuto un po’ troppo a che fare alcuni pubblicisti come il professor Vincenzo Grossi o come il poliedrico Arrigo De Zettiry, altri due potenziali aspiranti al ruolo. Anch’essi, comunque, ebbero in comune, come divulgatori, un’attività a cui il Cge non rimase poi estraneo o del tutto indifferente. Grossi che avrebbe anche scritto nel 1905 una ambiziosa Storia della colonizzazione europea al Brasile e della emigrazione italiana nello Stato di San Paulo, si diceva che fosse stato l’autore, a suo tempo, di una chiacchieratissima Guida pratica dell’emigrante al Chilì (1890), mentre De Zettiry del quale era invece abbastanza acclarata la contiguità in passato con gli ambienti della Sociedade Promodora da Imigração di San Paolo, avrebbe pubblicato nel 1909 proprio per il Cge un Manuale dell’emigrante italiano all’Argentina di “alta divulgazione” e di “ottima qualità” molto elogiato ai giorni nostri da Hermann W. Haller[53] e secondo all’epoca per efficacia solo ai numerosi vademecum d’emigrazione che Bernardino Frescura sin dal 1902 su richiesta di Bodio e di Giovanni De Agostini ebbe a congegnare specialmente sull’Argentina di nuovo in nome e per conto del Cge spesso ricavandone i testi da materiali con i quali nel 1908 si era presentato ad un concorso poi vinto da Antonio Franceschini[54] e di cui si sarebbe pure servito per realizzare un proprio accattivante libro “di traversata”[55]

Non meno utile ed efficace di tali vademecum era stato però il rapporto stilato con stile giornalistico su Le condizioni dei coloni italiani nello Stato di San Paolo da Adolfo Rossi e divenuto ben presto, dopo la sua tempestiva pubblicazione nel “Bollettino dell’emigrazione” del 1902, la principale causa dell’ordinanza di Bodio del 26 marzo di quell’anno, poi nota come Decreto Prinetti, con la quale si sospendevano le licenze ai vettori per i viaggi gratuiti ovvero sussidiati al Brasile. Questo genere d’interventi, col passar del tempo, non riguardò più solo l’emigrazione transoceanica diretta negli Stati Uniti e seppure con qualche ritardo portò nel 1911 anche all’istituzione di un “Ufficio dell’emigrazione per i confini di terra” volto a tutelare gli emigranti “temporanei” diretti in Europa. In altre parole si potrebbe dire che alcuni interventi di Adolfo Rossi, il quale si spese pure per illustrare Vantaggi e danni dell’emigrazione nel Mezzogiorno d’Italia[56] tramite le note di un viaggio da lui compiuto in Basilicata e in Calabria nell’ottobre del 1907 (e oggi ripubblicate in volume a cura di Vittorio Cappelli[57]), concorsero con molti altri suoi dello stesso tipo a fornire un supporto e un impulso non da poco ai provvedimenti destinati a qualificare in via generale il Cge quale soggetto capace d’incidere, pur con tutti i suoi limiti, nelle dinamiche economiche e sociali di un tempo in cui l’emigrazione non costituiva più solo la classica valvola di sfogo della forte pressione demografica e dell’endemica povertà dell’area di partenza, bensì una molla importante nello sviluppo del sistema capitalistico internazionale a cui l’Italia si trovava a prender parte erogando in sostanza forza lavoro a buon mercato. L’impostazione liberista ed emigrazionista di fondo che Bodio condivideva con i suoi collaboratori e che rimase in auge anche dopo la sua uscita di scena nel 1904, non si esauriva certo in un peloso laissez faire o nella semplice messa a disposizione d’informazioni agli emigranti al fine di tutelarli rispetto alla pletora di agenti e d’intermediari, di vettori e di arruolatori di manodopera d’ogni specie, ma puntava a difenderli anche all’estero sia vigilando sin dove possibile sulle condizioni di impiego loro fatte o sui contratti di lavoro per gli arruolamenti collettivi, sia cercando, ove necessario, di garantire una difesa legale dei singoli come titolari di diritti. In questo campo, oggi meglio conosciuto grazie alle indagini puntuali di alcuni autori sopra già richiamati e ultimamente anche per merito delle ricostruzioni acute e dettagliate di vari esperti di nuova generazione (da Dolores Freda[58] ad Alessia Maria di Stefano[59] sino ai più giovani studiosi di storia del Diritto medievale e moderno come Gabriele Scotti[60] e Giulia di Giacomo)[61], il ruolo svolto da uomini quali Adolfo ed Egisto Rossi forse in parte sfuma e resta all’apparenza confinato, per così dire, in secondo piano ovvero sullo sfondo cedendo il passo al protagonismo di altri soggetti, come quelli più attivi nel corpo diplomatico e consolare, ma sempre nel quadro di un’azione comune che il Cge riesce a sviluppare anche dopo il 1904 o dopo il 1907, quando a staccarsene sarà Adolfo Rossi incamminatosi, in maniera per certi aspetti impensabile (e infatti contrastata da molti tutori del primato delle feluche ancorché senza successo per merito di Nitti in veste di avvocato) lungo il prestigioso percorso che farà di lui un diplomatico anomalo quasi sempre a contatto con i suoi connazionali emigrati[62], ma ormai come Console di prima classe a Denver nel Colorado della sua irruenta giovinezza e poi di passaggio, tra il 1911 e il 1918, a Marsiglia, a Montréal e ad Asunción prima di approdare in Argentina, a Rosario, e infine, qui in veste di Ministro plenipotenziario del Regno, nel 1919 a Buenos Aires dove morirà due anni più tardi e da dove la sua salma verrà rimpatriata per essere sepolta a Lendinara accanto a quella di Alberto Mario.

Più defilata ma non meno incisiva fu in parallelo l’operosità di Egisto Rossi che continuò a svilupparla partecipando con assiduità alle adunanze del Consiglio dell’emigrazione e comunque sempre partendo dai “piani alti” del Commissariato, da cui del resto non si sarebbe mai allontanato (nemmeno dopo il pensionamento nel 1925 e a maggior ragione dopo essere stato insignito, un anno più tardi, del titolo di Commissario Generale onorario). Egisto rimase al fianco di tutti i Commissari generali compreso Giuseppe De Michelis con cui spartì, oltre all’impegno sociale in favore degli emigranti, una certa simpatia prima per il nazionalismo e poi per il fascismo, evidente soprattutto nei buoni rapporti che instaurò e continuò a mantenere a New York con Agostino De Biasi e con la sua rivista “Il Carroccio” morendo a Roma, carico d’anni, nel 1937.

Una scelta diversa rispetto al movimento fondato da Mussolini e poi rispetto al regime dittatoriale che ne scaturì fu invece pour cause quella fatta dal terzo Rossi, il veronese Luigi che, ministro di Grazia e Giustizia del primo governo Facta nel 1922 (dopo essere stato ministro delle Colonie con Nitti nel 1919), abbandonò forzosamente ogni impegno politico ritirandosi in quell’anno stesso a vita privata per dedicarsi solo ai propri studi di storia del diritto anche se in questo nuovo corso della sua esistenza il primo lavoro a cui mise mano riguardò significativamente, nel 1923, assieme a un saggio sulla riforma del Codice Civile, La tutela del risparmio degli emigranti nel paese di immigrazione.

Di quasi vent’anni più giovane dei suoi omonimi, era nato come si è visto nel 1867, Luigi Rossi aveva fatto il proprio ingresso non ancora quarantenne in Parlamento come liberale conservatore eletto nel Collegio di Verona avendo la meglio nel 1904 sul deputato uscente e leader dei socialisti locali Mario Todeschini divenuto famoso in tutta Italia per l’impegno profuso nel fosco caso dell’Isolina Canuti, la donna fatta a pezzi e gettata in Adige nel 1900 da un ufficiale degli Alpini. Ordinario di diritto costituzionale e docente di economia sociale all’Università di Bologna, Rossi era stato prescelto a sorpresa (anche sua) nel 1908 per succedere nel ruolo di Commissario generale al contrammiraglio Carlo Leone Reinaudi subentrato a propria volta a Luigi Bodio quattro anni prima. La sua nomina, propiziata da Tommaso Tittoni, che già nel recente passato lo aveva apprezzato quale rappresentante della cosiddetta “puntarella” conservatrice, era stata, secondo i giornali del tempo, assolutamente inattesa, benché Rossi facesse parte della maggioranza ministeriale, soprattutto perché le varie candidature delle quali avevano parlato in precedenza le voci di corridoio erano tutte di funzionari del Ministero degli esteri. Già sottosegretario di Stato prima all’Istruzione e poi alla Giustizia nei due effimeri gabinetti Fortis tra il 1905 e il 1906, Rossi, diversamente dei Commissari suoi predecessori, sedeva però in Parlamento e come deputato sarebbe stato in grado, nei voti, “di spiegare e difendere alla Camera la sua opera di Commissario generale, partecipando alle discussioni in tema dì emigrazione, imprimendo alla propria azione un carattere quasi parlamentare, cosicché il reggitore della sorte dell’emigrazione di tante migliaia di connazionali [sarebbe diventato] in qualche modo responsabile anche davanti al Parlamento. Come ex sottosegretario di Stato – si aggiungeva – l’on. Rossi ha acquistato quell’esperienza delle cose di Governo necessaria in chi dirige una amministrazione, che è quasi un dicastero”[63]. La previsione non si rivelò sbagliata perché l’azione del Rossi nei tre anni in cui durò nell’incarico fu in effetti improntata a equilibrio e a efficienza preparando fra l’altro la strada alla revisione della legge del 1901 portata a compimento solo due anni dopo la sua uscita di scena nel 1913. Da giurista avveduto Luigi Rossi intervenne già nel 1910 a più riprese mentre si discutevano, prima con Tittoni e poi con il marchese Di San Giuliano agli Esteri, i nuovi provvedimenti per la tutela degli emigranti in seno alle commissioni arbitrali provinciali le quali avevano il compito d’intervenire in caso di controversie tra gli emigranti e i vettori o gli agenti delle compagnie di navigazione. La sua proposta di riforma di tali organi giurisdizionali che puntava a ridurne il numero concentrandoli nei più importanti porti d’imbarco e a modificarne la composizione, suggeriva l’istituzione di una Commissione centrale arbitrale ossia di un organo di secondo grado competente a giudicare dei ricorsi contro le decisioni delle Commissioni arbitrali anche per correggere l’anomalia di molte sentenze inappellabili pronunciate da una magistratura straordinaria.

Questo e altri provvedimenti venivano caldeggiati nella Relazione sui servizi dell’emigrazione per l’anno 1909-1910 presentata al Ministro degli Affari Esteri dal Rossi nella sua veste di Commissario generale, un documento che merita di essere annoverato fra le cose migliori prodotte dal Cge nei suoi primi dieci anni di vita. Quelli in cui, assieme ad Egisto e ad Adolfo Rossi anche Luigi, così diverso da loro, si adoperò per far sì che l’emigrazione potesse aver luogo liberamente dall’Italia possibilmente rispettando i diritti degli emigranti ma cercando anche di ottenere con il loro concorso il rispetto di una serie di norme condivise perché il fenomeno in cui erano coinvolti potesse svolgersi con vantaggio loro e dell’intero paese rintuzzando così le pretese proibizioniste di chi ne avversava le scelte ovvero per dirla con le parole del monito rivolto ai suoi colleghi deputati dal giurista e pubblicista friulano Giuseppe Solimbergo già nel 1888 e scelto oggi da Alessia Maria Di Stefano per intitolare un suo libro su emigrazione e giustizia: “Non potete impedirla, dovete regolarla”[64].


[1]           In L’Italia dei cognomi: l’antroponimia italiana nel quadro mediterraneo, a cura di Andrea Addobbati, Roberto Bizzocchi e Gregorio Salinero, Pisa, Pisa University Press, 2012, pp, 497-510.

[2]           Emilio Franzina, Alle origini dell’Italia industriale: ideologia e impresa in Alessandro Rossi, “Classe” III, 4 (1971), pp. 179-231, ed Emigrazione, navalismo e politica coloniale in Alessandro Rossi (1868-1898), in Schio e Alessandro Rossi. Imprenditorialità, politica, cultura e paesaggi sociali del secondo Ottocento, a cura di Giovanni Luigi Fontana, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1985, I, pp. 569-621.

[3]           Tranne sporadiche eccezioni di cui si dirà via via, solo Adolfo Rossi risulta dei tre sufficientemente studiato anche se soprattutto da parte di suoi conterranei (tra cui Antonio Cappellini, Adolfo Rossi. Memorie biografiche, Lendinara, Il Pilastrello, 1962; Pier Luigi Bagatin, La grande emigrazione e il Polesine di fine Ottocento nella pubblicistica di Adolfo Rossi, in Chiesa e Società nel Polesine di fine Ottocento, a cura di Gianpaolo Romanato, Rovigo, Minelliana, 1991, pp. 215-228; Romanato, L’Italia della vergogna nelle cronache di Adolfo Rossi (1857-1921), Ravenna, Longo Editore, 2010; Il Polesine di Matteotti. Le inchieste giornalistiche di Adolfo Rossi e Jessie White, a cura di Bagatin e Luigi Contegiacomo, Sommacampagna, Casa Museo Giacomo Matteotti e Cierre Edizioni, 2021, pp. 52-210). Pressochè dimenticato Egisto – fatti salvi alcuni articoli e una tesi di laurea (Marta Chiara, Modernismo e territorio. Egisto Rossi e gli Stati Uniti d’America, Tesi di Laurea in Lingue e letterature straniere, Libera Università di Lingue e Comunicazione – Sede di Feltre, a.a. 1997-1998, rel. Francesco Vallerani) – anche Luigi Rossi risulta preso in considerazione quasi soltanto dai suoi concittadini (cfr. Ugo Zannoni, Amore di Verona, Verona, Edizioni di “Vita Veronese”, 1955, pp. 185-186; Vittorino Colombo, Cronache politiche veronesi, 1900-1914, Sommacampagna, Cierre, 2001, ad nomen; Ettore Curi, Rossi Luigi, in Dizionario biografico dei veronesi (secolo XX), a cura di Giuseppe Franco Viviani, Verona, Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere, 2006, I, p. 716) oppure dagli studiosi del primissimo dopoguerra per essere stato, tra il 1919 e il 1921, Ministro delle Colonie con Nitti e con Giolitti (cfr. ad es. Luciano Monzali, Il colonialismo nella politica estera italiana, 1878-1949. Momenti e protagonisti, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 2017, ad nomen).

[4]           Dolores Freda, Governare i migranti: la Legge sull’emigrazione del 1901 e la giurisprudenza del Tribunale di Napoli, Torino, Giappichelli, 2017.

[5]           Si vedano almeno i primi saggi di Maria Rosaria Ostuni: Momenti della «contrastata vita» del Commissariato Generale dell’Emigrazione, in Gli italiani fuori d’Italia. Gli emigrati italiani nei movimenti operai dei paesi d’adozione (1880-1940), a cura di Bruno Bezza, Milano, Franco Angeli, 1983, pp. 101-118, e Leggi e politiche di governo nell’Italia liberale e fascista, in Storia dell’emigrazione italiana, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina, I, Partenze, Roma, Donzelli, 2001, pp. 309-319.

[6]           Andreina De Clementi, La scoperta dell’emigrazione, in La figura e l’opera di Francesco Coletti, a cura di Jean-Guy Prévost e Stefano Spalletti, Milano, Franco Angeli, 2016, pp. 275-286.

[7]           Mattia Vitiello, Le politiche di emigrazione e la costruzione dello Stato unitario italiano, “Percorsi storici”, 1 (2013), http://www.percorsistorici.it/numeri/17-numeri-rivista/numero-1/77-mattia-vitiello-le-politiche-di-emigrazione-e-la-costruzione-dello-stato-unitario-italiano.html.

[8]           Francesca Fauri, Storia economica delle migrazioni italiane, Bologna, Il Mulino, 2015; Domenico Sacco, Istituzioni politiche ed emigrazione. Il Consiglio dell’Emigrazione in età giolittiana (1901-1915), Lecce, Pensa Multimedia, 2017; Emanuela Primiceri, Il Consiglio Superiore dell’Emigrazione: dalla Grande Guerra al regime fascista, 1915-1927, ivi, 2010; Michele Pifferi, Respingere, detenere, espellere: la costruzione del diritto dell’immigrazione tra Otto e Novecento, in La “galera amministrativa” degli stranieri in Gran Bretagna. Un’indagine sul campo, a cura di Mary Bosworth, Napoli, ESI, 2016, pp. 335-362 e Controllo dei confini e politiche di esclusione tra Otto e Novecento, in Il controllo dello straniero. I “campi” dall’Ottocento a oggi, a cura di Id., Eliana Augusti e Antonio M. Morone, Roma, Viella, 2017, pp. 81-103.

[9]           Cfr. ad es. Marco Soresina, Italian emigration policy during the Great Migration Age, 1888-1919. The interaction of emigration and foreign policy, “Journal of Modern Italian Studies”, 21, 5 (2016), pp. 723-746.

[10]          Adam McKeown, Global Migration, 1846-1949, “Journal of World History”, 2 (2004), pp. 155-189, Migration, migration history, history: old paradigms and new perspectives, a cura di Jan and Leo Lucassen, Bern-Berlin, Peter Lang, 2005; Leo Lucassen, Migration and World History. Reaching a New Frontier, “International Review of Social History”, 53 (2007), pp. 89-96; Christiane Harzig, Dirk Hoerder e Donna Gabaccia, What is Migration History, Cambridge, Polity Press, 2009; Klaus Bade, Preface to the German Edition in the The Encyclopedia of European Migration and Minorities: From the Seventeenth Century to the Present, a cura di Id., Pieter C. Emmer, Leo Lucassen & Jochen Oltmer, Cambridge, Cambridge University Press, 2012, pp. XV-XVIII; Barbara Lüthi, Migration and Migration History, Version: 2.0, in Docupedia-Zeitgeschichte, 6.7.2018, http://docupedia.de/zg/Luethi_migration_v2_en_2018.

[11]          Franck Düvell, Quo vadis, Migration Studies? The Quest for a Migratory Epistemology, “Journal of Migration Research”, 1 (2021), pp. 215-241.

[12]          Donna Gabaccia, Juggling Jargons. “Italians Everywhere”, Diaspora or Transnationalism?, “Traverse. Zeitschrift für Geschichte”, 1 (2005), pp. 49-64.

[13]          Grazia Maggi, Adolfo Rossi. Biografia, in Adolfo Rossi, Un italiano in America, Rovigo, Edizioni La Torre, 2000, pp. 19-20.

[14]          Marco Sioli, La città industriale: Egisto Rossi nel Midwest americano, “Storia Urbana”, 105 (2003), pp. 75-91.

[15]          Gli Stati Uniti e la concorrenza americana. Studi di agricoltura, industria e commercio da un recente viaggio di Egisto Rossi, Firenze, Tipografia di G. Barbera, 1884, pp. XIV-XV.

[16]          Le numerose missive scambiate tra il senatore Rossi e il suo omonimo segretario dal 1880 al 1897 (circa 160 quelle di Egisto a riscontro delle molte di Alessandro presenti nei suoi copialettere) si conservano presso la Biblioteca comunale scledense (cfr. l’Inventario dell’Archivio personale del Senatore Alessandro Rossi, 1819-1898, Biblioteca Civica di Schio, 2004) ma furono da me consultate in altra sede nei primi anni ‘80 del secolo scorso, per cui le citerò segnalando soltanto, quando disponibile, la data di spedizione.

[17]          Luisa Betri, Cittadella e Cecilia: due esperimenti di colonia agricola socialista, Milano Edizioni del Gallo, 1971; Rosellina Gosi, Il socialismo utopistico. Giovanni Rossi e la colonia anarchica Cecilia, Milano, Moizzi, 1977; Isabelle Felici, La Cecilia. Histoire d’une communauté anarchique et de son fondateur Giovanni Rossi, Lyon, Atelier de Création Libertaire, 2001.

[18]          Marco Soresina, Conoscere per amministrare: Luigi Bodio. Statistica, economia pubblica amministrazione, Milano, Franco Angeli, 2001; Giovanni Favero, Lo statistico e l’industriale. Carteggio tra Luigi Bodio e Alessandro Rossi (1869-1897), “Annali di Statistica”, Serie X, 19 (1999), e Business Attitudes Toward Statistical Investigation in Late Nineteenth Century Italy: A Wool Industrialist from Reticence to Influence, “Enterprise and Society”, 12 (2011), pp. 265-316.

[19]          Collaboratore fedele di Crispi, Dossi, com’è assai noto, fu anche esponente di spicco della scapigliatura lombarda e scrisse a fine secolo XIX vari e pregevolissimi romanzi, nessuno peraltro del filone “diplomatico” che avrebbe avuto semmai per campione poco più tardi un console come Paulo Brenna e poi non pochi ambasciatori sin oltre la metà del Novecento (cfr. Emilio Franzina, Dall’Arcadia in America. Attività letteraria ed emigrazione transoceanica in Italia (1850-1940), Torino, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, 1996; Stefano Baldi e Pasquale Baldocci, La penna del diplomatico. I libri scritti dai diplomatici italiani dal dopoguerra ad oggi, Milano, Franco Angeli, 2004). Ricordando la sua (sfortunata) parabola politica al ministero degli Esteri, dei rapporti che egli intrattenne con Crispi si sono occupati in molti (Fonzi, Adorno, Duggan ecc.), anche se dopo Enrico Serra, autore di un essenziale profilo Alberto Pisani Dossi diplomatico (Milano, Franco Angeli, 1987), ad averne meglio tratteggiato il profilo indagandone in maniera sistematica tutte le tappe è stato Francesco Lioce in saggi e libri come Uno scrittore scapigliato al servizio dell’Italia crispina, in Carlo Alberto Pisani Dossi scrittore e uomo di Stato, a cura di Id. e Claudio Giovanardi, Napoli, Loffredo, 2012, pp. 209-241 e Dalla colonia facile alla colonia Eritrea. Cultura e ideologia in Carlo Dossi, ivi, 2014.

[20]          Anche il Commissariato e il Consiglio dell’emigrazione sorti in età giolittiana per la regia di Luigi Bodio portarono l’impronta durevole del suo magistero statistico coronato, scomparso lui e avviatasi per una diversa strada la creatura di cui aveva lasciato formalmente la direzione circa vent’anni prima, vedi   la realizzazione nel 1925 del monumentale Annuario statistico della emigrazione italiana dal 1876 al 1925, Roma, CGE, MCMXXVI. Questo volume riassumeva gran parte dei dati accumulatisi “ufficialmente“ sull’emigrazione dalla penisola nell’arco di mezzo secolo e un po’ anche i frutti di uno sforzo compiuto in seno alla scienza e alle istituzioni statistiche in Italia dopo l’unità lungo una linea che andava da Luigi Cossa e Angelo Messedaglia a Rodolfo Benini e a Corrado Gini, ben indagata poi da Silvana Patriarca o, più di recente, da Alberto Baffigi, Fabrizio Bientinesi, Ugo Trivellato ecc. sia per alcuni risvolti teorici (ad es. della statistica come “scienza sociale” cara a Bodio, su cui Giovanni Favero, La statistica fra scienza e amministrazione, in Storia d’Italia, Annali 26, Scienze e cultura dell’Italia unita, a cura di Francesco Cassata e Claudio Pogliano, Torino, Einaudi, 2011, pp. 717-724) sia per i suoi presupposti ed esiti economici, i quali tuttavia non orientarono mai del tutto, o da soli, l’analisi statistica di fenomeni quali quelli migratori passibili di un ricorrente uso, e più spesso abuso, di carattere politico (Emilio Franzina, Il “biometro delle nazioni”. Primi rilevamenti sull’emigrazione, “Quaderni storici”, 45 (1980), pp. 966-1005, e Sandro Rinauro, Le statistiche ufficiali dell’emigrazione italiana tra propaganda politica e inafferrabilità dei flussi, “Quaderni storici”, 134 (2010), pp. 393-418).

[21]          Impressionante la trama dei suoi carteggi (un epistolario secondo Marco Soresina di oltre 30 mila missive) come ebbi modo di constatare anch’io lavorando su quello da lui intrattenuto con Fedele Lampertico tra il 1869 e il 1903 e costituito da 440 lettere (Fedele Lampertico, Carteggi e diari, 1842-1906, I, A-E, a cura di Emilio Franzina, Venezia, Marsilio, 1996, pp. 233-251). In una missiva del 2 aprile 1901 (qui a pp. 250-251) c’è un flash sull’avvio del Cge in cui Bodio ragguaglia il destinatario scrivendogli: “Mio carissimo, sono stato a Napoli tre giorni e ho visto l’area di 11 mila metri quadrati su cui potrà edificarsi il ricovero degli emigranti. Le manderò fra qualche giorno una copia della relazione di Labriola sul ricovero di Amburgo. Vedrà che servizio eccellente fanno i tedeschi […] Qui si fatica enormemente, Bosco è da tre giorni ammalato. Rossi Egisto partirà fra una decina di giorni per New York per sistemare il servizio di protezione degli emigranti coll’ajuto di due società. Pelucchi ci ajuta ancora per i noli […] Rossi Adolfo è già in viaggio per ritornare dal Brasile. Egli ci ha mandato cinque relazioni in forma di diarii, che le manderò in bozze, più una comunicazione riservata ai membri del Consiglio dell’emigrazione”. Sui “diarii” brasiliani di Adolfo si veda infra, mentre per la genesi del Cge cfr. Marco Soresina, Luigi Bodio: carriera e relazioni personali, in Colletti bianchi. Ricerche su impiegati, funzionari e tecnici in Italia fra ‘800 e ‘900, a cura di Id., Milano, Franco Angeli, 1998, pp. 284-298.

[22]          Autore nel 1905 della Quarta relazione annuale sui servizi di emigrazione, presentata al Parlamento in esecuzione della legge 31 gennaio 1901, n. 23, “Bollettino dell’emigrazione”, 14 (1905).

[23]          Ugo Pagallo, La cattedra socialista. Dirittto ed economia alle origini dello Stato sociale in Italia, Napoli, ESI, 1989.

[24]          Cfr. Giancarlo Monina, Il consenso coloniale. Le Società Geografiche e l’Istituto Coloniale italiano (1896-1914), Roma, Carocci, 2002: Daniele Natili, Un programma coloniale. La Società Geografica Italiana e l’origine dell’espansione in Etiopia (1867-1884), Roma, Gangemi, 2008; ma anche Francesco Lioce, Flussi migratori e politica africana: alcune lettere di Pisani Dossi a Luigi Bodio, “Rassegna storica del Risorgimento”, 3 (2008), pp. 379-406.

[25]          Cfr. ad es. Egisto Rossi, La istruzione pubblica negli Stati Uniti, Roma, E. Sinimberghi, 1889, e Dall’America del Nord. Condizioni degl’indiani e cause della loro recente insurrezione, “Rassegna Nazionale”, LVIII (16 marzo 1891), pp. 368-393.

[26]          Oltre al principale già citato in nota 15 si vedano ad es., ancora “commissionate” da Alessandro Rossi, le Nuove notizie sulla concorrenza agraria transatlantica e la Relazione Lampertico per Egisto Rossi con una carta delle zone a pastorizia degli Stati Uniti, Roma, Forzani e Comp. Tipografi Editori, 1886.

[27]          La prima edizione dell’opera risaliva al 1889 ed era comparsa originariamente sotto un altro titolo ossia Nacociù, la Venere americana. Avventure degli emigranti al nuovo mondo presso lo stabilimento tipografico di Edoardo Perino in Roma, cfr. Emilio Franzina, L’immaginario degli emigranti. Miti e raffigurazioni dell’esperienza italiana all’estero fra due secoli, Paese (TV), Pagus Edizioni, 1992, pp. 21-23.

[28]          Data la centralità nella stampa in lingua italiana del Nord America fra Otto e Novecento del “Progresso Italo Americano (su cui si veda ora Bénédicte Deschamps, Histoire de la presse italo-américaine: Du Risorgimento à la Grande Guerre, Paris, L’Harmattan, 2020) occorre ricordare che questo foglio era stato fondato a New York più o meno nel torno di tempo in cui Adolfo Rossi vi era approdato imbattendosi quasi subito nel suo ideatore e gestore ossia il lucchese Carlo Barsotti, un prominente e intraprendente banchista, proprietario di tenements affittati agli immigranti, poi dedito a pratiche non sempre commendevoli di valorizzazione simbolica e statuaria (a scopo di lucro) dei grandi italiani. Non sembra che Adolfo Rossi avesse esattamente o tempestivamente inquadrato il personaggio più incline semmai, come sarebbe rimasto anche dopo il suo rientro in Italia, a valorizzare altri “interlocutori” da lui conosciuti a New York nella redazione del “Progresso” sul tipo del famoso Dario Papa il campione di un nuovo giornalismo “all’americana” nella nostra stampa di fine Ottocento del quale egli era diventato estimatore ed amico (cfr. Adolfo Rossi, Un “americano” a Roma. Lettere di un giornalista a spasso al Direttore dell’ARENA, “Arena di Verona”, 4 marzo 1884, e Dario Papa in America, in Id., Nel paese dei dollari (Tre anni a New York), Milano, Max Kantorowicz Editore, 1893). Considerate le relazioni che vent’anni più tardi Adolfo avrebbe intrattenuto con Egisto Rossi vale la pena di riportare il brano d’una lettera di questi ad Alessandro Rossi (da Firenze, il 10 giugno 1882) nella quale il mittente esprimeva fortissime riserve su Papa e su Barsotti (ma forse, senza nominarlo, anche su Adolfo): “I Dario Papa non mi fanno paura, conosco l’uomo e so chi lo mantiene; egli è collaboratore del Progresso IT. Am. nato da pochi mesi in Nuova York per opera di due individui mezzi locandieri e mezzi banchieri, e su cui pesa in quella città una fama non buona. Il direttore dell’Eco d’Italia, un vecchio venerando [sc. Francesco Secchi de’ Casali] come pure il Cerutti direttore de “L’Unione” mi dissero cose che è bello tacere. Solo mi sorprende che l’autorità di Papa Dario si spacci [dando] un’altra prova della miseria del giornalismo italiano in cui ha più successo chi ha più audacia e ciarlatanismo. Da pochi mesi quel corrispondente è in giro per gli Stati e non ha visitato per ora che due o tre città del Missouri; è da poco tempo in America e credo che non sappia parlare l’inglese. E tuttavia egli osa […] atteggiarsi a giudice e trancia giudizi a fette come il salame…”.

[29]          Su Adolfo Rossi si veda del resto, a margine di una recente mostra a lui dedicata in Rovigo, l’articolo molto partecipe appunto di Gianantonio Stella, Adolfo Rossi cronista. Inchieste e denunce dalla parte dei più umili, “Corriere della Sera”, 23 ottobre 2021.

[30]          E sempre in sintonia con Luigi Bodio di cui cfr., coevo, il saggio Della protezione degli emigranti italiani in America, “Nuova Antologia”, LX, fasc. XXIV (1895), pp. 628-644.

 

[31]          Cfr. Laura Pilotti, L’Ufficio di informazioni e protezione dell’emigrazione italiana di Ellis Island, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 1993.

 

[32]          Abbastanza però per mettere in evidenza le sue doti di mediatore e di efficace negoziatore con le autorità statunitensi in un contesto reso assai difficile dalla costante ostilità dei sindacati americani e dei congressmen restrizionisti ma potendo contare in loco su ben pochi appoggi fra cui quello offertogli dal giovane social reformer italo americano Gino Charles Speranza, figlio di un emigrato veronese, sostenitore della causa dei suoi connazionali espatriati durante la Progressive Era (cfr. il suo intervento su L’assistenza degli operai italiani all’estero (America del Nord), negli Atti del secondo Congresso degli italiani all’Estero, 11-20 giugno 1911, I, p. 1, Roma, Tipografia Editrice Nazionale, 1911, pp. 409-447), e tuttavia anche acceso fautore, dopo il Primo conflitto mondiale, di una rigida chiusura di tutti gli sbocchi immigratori così da diventare secondo Aldo E. Salerno “one of the most controversial Italians in American history” (America for Americans Only: Gino C. Speranza and the Immigrant Experience, “Italian Americana”, 2, 1996, pp. 133-147; su di lui si veda altresì Emilio Franzina, Poligrafi, storici e migranti fra l’Italia e il mondo, in Storia d’Italia, Annali 24, Migrazioni, a cura di Paola Corti e Matteo Sanfilippo, Torino, Einaudi, 2009, pp. 202-204). In una lettera al senatore Rossi (da New York, il 12 dicembre 1895) Egisto attribuisce “alla conoscenza della lingua e al [suo] savoir vivre cogli americani del Nord” i successi della propria azione in un posto in cui si trova, scrive, “tutt’altro che su un letto di rose: pensi che devo prendere due volte al giorno la ferrovia e due volte il vaporino per andare e tornare dal mio Ufficio con un freddo e gelo da Siberia. Questo strapazzo ed altre lotte morali cogli speculatori e trafficanti del povero emigrante rendono il mio soggiorno a N.Y. assai più desagreable che non si immaginino costà”. In varie lettere Egisto dà notizia dei suoi tentativi di aiutare emigranti italiani in grave difficoltà e specie alcuni di quelli che essendo originari di Schio segnalava poi per nome e cognome al senatore destinatario. Per l’abilità e la competenza linguistica di Egisto sottoposto allora (ma ancora dieci anni più tardi) agli “interrogatori” delle autorità americane sull’emigrazione italiana di fine Ottocento e intorno al 1910 si vedano invece le sue deposizioni: Testimony of Dr. Egisto Rossi 26 July 1899 nei Reports of the Industrial Commission, Washington, U.S. Government Printing Office, 1901, pp. 154-160, e Statement of Egisto Rossi in Emigration conditions in Europe. United States. Immigration Commission (1907-1910), Washington, U.S. Government Printing Office, 1911, pp. 214-220.

[33]          Luigi Contegiacomo, Adolfo Rossi corrispondente di guerra in Africa (1894-1896), “Terra d’Este”, 24 (2002), pp. 23-44.

[34]          In un post-scriptum della sua lettera citata ad Alessandro Rossi del 12 dicembre 1895 si legge ad es.: “Ho letto con molto interesse quanto mi scrive della colonizzazione di Godofelassi. Ciò le fa molto onore. Peccato che i recenti disastri [probabile riferimento alla drammatica sconfitta subita dalle truppe italiane del maggiore Pietro Toselli all’Amba Alagi] scemino la fiducia in tali imprese. Ma sarà questione di tempo, L’Abissinia tosto o tardi dovrà essere una provincia di Massaua. Se non lo fu prima d’ora si deve alla politica incerta del governo (non di Baratieri) diviso tra le correnti delle economie eccessivamente massaie e i socialisti cosmopoliti fraternizzanti anche con i selvaggi”.

[35]          Su questo episodio poi raramente ricordato in rilievo e talvolta persino rimosso o ignorato dagli specialisti di storia del colonialismo italiano (cfr. tra i più recenti Stefano Pelaggi, Il colonialismo popolare. L’emigrazione e la tentazione espansionistica italiana in America latina, Roma, Nuova Cultura, 2015, ed Enzo Pagura,“Le delizie dell’Eritrea”: ovvero il tentativo fallito di colonizzare l’altipiano eritreo, http://www.storiastoriepn.it/le-delizie-delleritrea-ovvero-il-tentativo-fallito-di-colonizzare-laltipiano-eritreo/) anche perché più di altri “incrocia” la strada dell’emigrazione italiana fra Otto e Novecento si veda Franzina, Emigrazione, navalismo e politica coloniale.

[36]          Federica Guazzini, Leopoldo Franchetti e la questione fondiaria nell’Africa italiana: tra progetti e realizzazioni, in Leopoldo Francheti, la nuova Destra e il modello toscano, a cura di Sandro Rogari, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2019, pp. 117-142, nonché Luigi Di Matteo, Il colonialismo nell’età della Sinistra Storica. Politica coloniale, sviluppo economico ed emigrazione tra storiografia e storiografia economica, “Storia economica”, 3 (2004), pp. 581-597 (poi col titolo Sviluppo economico, emigrazione e colonialismo nell’età della Sinistra storica. Storiografia e prospettive di ricerca, in Alla ricerca delle colonie (1876-1896), a cura di Pier Luigi Ballini e Paolo Pecorari, Venezia, ISVLA, 2007).

[37]          Si vedano i lavori di Ezio Godoli e Anna Nuzzaci, L’associazione nazionale per Soccorrere i Missionari italiani e i suoi Ingegneri: architettura, a cura di Pietro Gaglianò, Firenze, Maschietto Editore, 2009, e ora anche di Paolo Pieraccini, Promozione della lingua e della cultura italiana in Africa e nell’Impero ottomano. Il caso dell’Associazione Nazionale per Soccorrere i Missionari Cattolici Italiani, Venezia-Roma, Marcianum Press, 2021.

[38]          Cfr. Alberto Barausse, Entre religião e pátria: a Italica gens e o desenvolvimento das escolas étnicas e a Lengua Italiana no Brasil meridional nas primeiras décadas do século XX, in Terciane Ângela Luchese et alii, Migrações e História da educação: saberes, práticas e instituicões, um olhar transnancional, Caxias do Sul, Educs, 2021, pp. 133-172.

[39]          Edward C. Stibili, What Can Be Done to Help Them?: The Italian Saint Raphael Society, 1887-1923, New York, Center for Migration Studies, 2003.

[40]          Ugo Guida, Le associazioni e opere cristiane in Italia per l’assistenza degli emigranti, “Rivista Internazionale di Scienze Sociali e Discipline Ausiliarie”, 367 (1923), p. 34.

[41]          Matteo Sanfilippo, “L’emigrato italiano in America”, la congregazione scalabriniana e la grande guerra, “Archivio storico dell’emigrazione italiana”, 13 (2017), pp. 107-112.

[42]          Per le vicende di Sunny Side e di Tontitown, nel corso delle quali molte critiche piovvero sulle autorità diplomatiche italiane (cfr. Francesca Loverci, Il primo ambasciatore italiano a Washington: Saverio Fava, “Clio”, 3 (1977), pp. 256-257) specie da parte di un personaggio avventuroso come il piemontese di Dogliani Celso Moreno (poi rivalutato da Rudolph J. Vecoli e Francesco Durante in Oh Capitano! La vita favolosa di Celso Cesare Moreno in quattro continenti, 1831-1901, Venezia, Marsilio, 2014) esiste dalla fine del secolo scorso una piccola letteratura in inglese (grazie ai lavori di Jeffrey Lewellen, Ernesto Milano e Jeannie Whaine) con cui si sono poi confrontati anche Amoreno Martellini, Fra Sunny Side e la Nueva Marca. Materiali e modelli per una storia dell’emigrazione marchigiana fino alla Grande guerra, Milano, Franco Angeli, 1999, pp. 230-266, e Giorgio Trivelli e Luciano Caleffi, Terra promessa. Il sogno americano degli emigranti di Recoaro e Valli dei Signori alla fine dell’800, Cornedo Vicentino, Medifactory, 2020).

[43]          Su cui si veda Edward C. Stibili, Pietro Bandini: Missionary, Social Worker, Colonizer, 1852-1917, Fayetteville, University of Arkansas, 2017.

[44]          Si vedano Luigi Luzzatti e il suo tempo, cit., pp. 332, 413, 485-491, e Fulvio Conti, L’Italia dei democratici. Sinistra risorgimentale, massoneria e associazionismo fra Otto e Novecento, Milano, Franco Angeli, 2000, ad nomen.

[45]          Vilfredo Pareto, Sul principio economico. Lettera a Benedetto Croce, “Giornale degli Economisti”, febbraio 1901, pp. 131-138, e Benedetto Croce, Sul principio economico. Lettera al professore Vilfredo Pareto, ivi, luglio 1900, pp. 15-26; cfr. Aldo Montesano, Croce e la scienza economica, “Economia politica”, agosto 2003, pp. 201-223. Secondo Riccardo Faucci (Croce e la scienza economica: il dialogo con gli economisti italiani, in Croce filosofo liberale, a cura di Mario Reale, Roma, Luiss University Press, 2004) il dibattito fra i due studiosi ospitato dal “Giornale degli economisti”, rappresenta “la più importante discussione teorica fra un economista e un filosofo mai svoltasi in Italia”.

[46]          Vilfredo Pareto, Il costo della produzione ed il valore economico degli emigranti. (A proposito di un articolo del prof. F. Coletti), “Giornale degli economisti”, aprile 1905, pp. 322-327.

[47]          Associazione economica liberale, seduta del 24 gennaio 1899, “Giornale degli Economisti”, febbraio 1899, pp. 176-185.

[48]          Giuseppe De Lucia Lumeno, Bonaldo Stringher. «Serenità, calma e fermezza». Una storia economica dell’Italia, Firenze – Milano, Go Ware & Guerini e Associati, 2021.

[49]          Vincenzo G. Pacifici, Tre Presidenti del Consiglio dell’Italia liberale: Giuseppe Zanardelli, Tommaso Tittoni, Alessandro Fortis, Tivoli, Annale del liceo A. Di Savoia, 2012.

[50]          Si vedano, in diversa prospettiva, Ludovico Incisa di Camerana, La diplomazia, in Storia dell’emigrazione italiana, cit., II, Arrivi, pp. 457-481, e Feluche d’Italia. Diplomazia e identità nazionale, a cura di Francesco Perfetti, Firenze, Le Lettere, 2012.

[51]          All’inizio anche al posto di Egisto come successe nel 1904 quando “pur desiderando che un tale compito potesse essere affidato al suo collega Commissario di emigrazione e “già direttore dell’ufficio di patronato degli immigranti italiani a Ellis Island che [aveva fondato] negli Stati Uniti i primi uffici di assistenza degli immigranti nostri dividendone razionalmente il lavoro” gli subentrò per una sua momentanea indisponibilità nell’incarico redigendo poi una indicativa relazione (cfr. Adolfo Rossi, Per la tutela degli italiani negli Stati Uniti. Lettere dell’Ispettore Cav. Adolfo Rossi, scritte al Commissariato dell’emigrazione nel corso di una sua missione negli Stati Uniti dell’America del Nord, “Bollettino dell’emigrazione”, 16, 1904, pp. 3-136). Vale la pena di notare che le prime iniziative di Adolfo ripresero e rilanciarono quelle che già più volte Egisto si era trovato a dover intraprendere per scagionare il governo italiano dall’accusa d’indebita ingerenza nel mercato del lavoro statunitense a sostegno dei suoi migranti (cfr., conservata tra i numerosi ritagli di periodici e quotidiani presenti nelle sue carte in Archivio di Stato a Rovigo Una lettera di Adolfo Rossi in difesa del governo italiano diretta all’americano Cav. Norton. Non è vero che il nostro governo incoraggi l’Emigrazione – Esso non permette neppure che gl’italiani facciano concorrenza di salari agli altri lavoratori, “L’Italia” di San Francisco, 11 marzo 1904)

[52]          Cfr. Soresina, Luigi Bodio: carriera e relazioni personali, cit., p. 292.

[53]          Nel suo libro Tutti in America. Le guide per gli emigranti italiani nel periodo del grande esodo, Firenze, Franco Cesati Editore, 2017.

[54]          Cfr. Emilio Franzina, Archivi e fonti dell’emigrazione veneta, in Emigrazione veneta fra otto e novecento, nr. monografico di “Venetica”, n.s., I (1992), pp.17-42.

[55]          Bernardino Frescura, Sull’Oceano con gli emigranti. Impressioni e ricordi, Genova, Tipografia Marittima, 1908. Frescura (Marostica 1867 – Genova 1925), geografo omonimo ma non parente di Attilio, l’autore nel 1919 del Diario di un imboscato, il primo memoir “dal basso” della Grande guerra italiana, era stato allievo di Giovanni Marinelli e diventò docente universitario a Genova, dove pubblicò nel 1907 I moderni problemi dell’emigrazione italiana. Un anno prima aveva anche intensamente collaborato, come Segretario generale della giuria, alla mostra su Gli Italiani all’Estero di una grande esposizione milanese organizzata dalla sezione locale della Dante Alighieri (cfr. Patrizia Audenino, La Mostra degli italiani all’estero: prove di nazionalismo, in Eadem et alii, Milano e l’Esposizione internazionale del 1906. La rappresentazione della modernità, Milano, Franco Angeli, 2008) pubblicando un volume dallo stesso titolo e intrecciando cordiali rapporti con Adolfo Rossi tra le cui carte (in Archivio di Stato a Rovigo) si conservano varie lettere da lui indirizzategli in quella occasione per sollecitare come gli scriveva da Milano il 30 agosto 1906, “quelle informazioni sicure, precise, indipendenti da qualsiasi considerazione personale sui nostri connazionali dimoranti negli Stati Uniti, che tu mi potresti fornire certamente dopo una dimora così utile e prolungata tra le nostre colonie nordamericane”.

[56]          Note di un viaggio fatto in Basilicata e in Calabria dal R. Commissario dell’emigrazione Adolfo Rossi, Ottobre 1907, “Bollettino dell’emigrazione”, 13 (1908), pp. 3-99.

[57]          Adolfo Rossi, L’emigrazione nel Mezzogiorno d’Italia. Un viaggio-inchiesta in Basilicata e Calabria 1907, a cura di Vittorio Cappelli, Cosenza, Luigi Pellegrini Editore, 2020.

[58]          Tra gli studi di Dolores Freda cfr. in specie La regolamentazione dell’emigrazione in Italia tra Otto e Novecento: una ricerca in corso, “Historia et Ius”, 6 (2014), pp. 1-20; “Trafficanti di carne umana” Gli agenti di emigrazione all’alba del XX secolo, ibid., 8 (2015), pp. 1-23; “Clandestini”: il commercio dell’emigrazione in età liberale, “Forum historiae iuris”, 12 (2018), pp. 1-18; La legislazione sulle migrazioni italiane fino al 1901, “Studi Emigrazione”, 215 (2019), 215, pp. 379-391.

[59]          Alessia Maria Di Stefano, Legislazioni statali, pronunce giudiziarie e iniziative diplomatiche per la tutela dei migranti italiani negli Stati Uniti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento: una ricerca in corso, “Historia et Ius”, 16 (2019), pp. 1-42.

[60]          Gabriele Scotti, Dimensioni dell’emigrazione italiana tra il 1880 e il 1930, “Italian Review of Legal History”, 17 (2017), pp. 1-24.

[61]          Giulia Di Giacomo, Dalla tutela alla disciplina dei migranti: la libertà di emigrazione alla prova della Grande guerra, “Italian Review of Legal History”, 6 (2020), pp. 111-143. Il processo di trasformazione delle regole di uscita e d’ingresso dei migranti nei diversi paesi interessati dal loro andirivieni, che già aveva conosciuto un progressivo, ma limitato incremento in precedenza sotto il profilo dei controlli e delle sanzioni (cfr. Gerard Noiriel, Le creuset français: histoire de l’immigration XIXe-XXe siécle, Paris, Seuil, 1988 e Idem, La tyrannie du national: le droit d’asile en Europe (1793-1993), Paris, Calmann Lévi, 1991; Migration Control in the North Atlantic World. The Evolution of State Practices in Europe and the United States from the French Revolution to the Inter-War Period, a cura di Andreas Fahrmeir, Olivier Faron e Patrick Weil, New York, Bergham Books, 2003; Leo Lucassen, David Feldman e Jochen Oltmer, Immigrant Integration in Western Europe, Then and Now, introduzione a Paths of Integration. Migrants in Western Europe (1880-2004), a cura di Idd., Amsterdam, Amsterdam University Press, 2006, pp. 7-23) subì una forte accelerazione e un drastico inasprimento durante il Primo conflitto mondiale inaugurando nel volgere di pochi anni la stagione restrizionista e dirigista a cui si uniformò in Italia anche il Cge di Giuseppe De Michelis (Primiceri, Il Consiglio Superiore dell’Emigrazione, cit.) decretandone implicitamente l’abolizione reclamata peraltro dalle nuove leadership fasciste (cfr. Migrazioni e fascismo, a cura di Giovanna D’Amico e Manoela Patti, “Meridiana”, 92, 2018) che analogamente provvidero anche a sciogliere, com’è noto, l’Opera Bonomelli (Gianfausto Rosoli e Philip V. Cannistraro, Emigrazione, Chiesa e fascismo. Lo scioglimento dell’Opera Bonomelli (1922-1928), Roma, Studium, 1979).

[62]          Tra le lettere a lui dirette e conservate ora presso l’Archivio di Stato di Rovigo pare significativo che si siano “salvate” in maggior numero quelle di congratulazioni (o di rammarico per la sua partenza in seguito a promozioni e avanzamenti di carriera) inviategli da vari esponenti delle comunità immigratorie italiane dopo le rispettive nomine a Console in diverse sedi americane così come del resto era successo da subito all’indomani della sua prima sortita in veste d’ispettore viaggiante in Brasile stando a quanto gli sciveva il titolare di una officina fabbrile e di falegnameria con annesso mulino italo paulista: “Riguardo al pregiato suo lavoro nella escursione in S. Paulo, le diremo: quelle stesse affermazioni che lei ha scritto sono, se non una parte del vero; lei ha rispettato molto, ha compilato con molta considerazione, non da viaggiante come dicono, ma bensì da uomo pratico di queste terre; e parlando meno di quanto ha scritto, mostrava di simulare il vero; così avessero fatto i primi esploratori che qui sono venuti con treni speciali – musiche, e villeggiati nelle migliori fazendas, per dire (come noi diciamo) si sono venduti ai fazendeiros e alla stampa, chiamando buono il paese, quando, a tempo doveva essere tolta l’immigrazione gratuita” (Famiglia Castellan [Francesco e Giuseppe] da Estação de Baguassú, 25 agosto 1902).

[63]          Un profilo dell’On. Rossi. Egli è il nuovo Commissario Generale per l’Emigrazione, “Italia”, 4 giugno 1908, nr. 131.

[64]          Alessia Maria Di Stefano, “Non potete impedirla, dovete regolarla”. Giustizia ed emigrazione in Italia: l’esperienza delle Commissioni arbitrali provinciali per l’emigrazione 1901-1913, Roma, Historia et Ius, 2020.