I giornali italo-americani degli Stati Uniti e le elezioni politiche italiane del 1953

Gran parte della stampa italo-americana degli Stati Uniti – fatta eccezione soprattutto per le testate di orientamento radicale come il settimanale filocomunista “L’Unità del Popolo” o quello anarchico “L’Adunata dei Refrattari”2 – si distinse per un tentativo di massiccia ingerenza nelle elezioni politiche italiane del 1948 allo scopo di favorire la vittoria della Democrazia cristiana e dei suoi alleati. Di fronte alla prospettiva di una vittoria del Fronte Popolare, quotidiani e settimanali in lingua italiana si rivolsero ai propri lettori affinché tempestassero parenti e amici rimasti in Italia con appelli a non votare i candidati comunisti e socialisti. Lo scopo dell’operazione fu contribuire ad impedire al Partito comunista di tornare al governo non più in una condizione di coabitazione moderatrice con la Democrazia cristiana, ma in una situazione di sostanziale monopolio dell’esercizio del potere. In molti casi, per sopperire alla perdita della lingua italiana da parte di immigrati di seconda, terza o perfino quarta generazione, i giornali stessi fornirono un facsimile delle lettere che avrebbero dovuto essere spedite in Italia. Questo sforzo per condizionare l’esito elettorale è ben noto ed è stato largamente illustrato non solo da resoconti coevi e studi storiografici, ma anche dalla memorialistica e perfino dalla letteratura3.
Meno conosciuto è, invece, l’intento della stampa italo-americana di riproporre un’analoga campagna cinque anni più tardi, in occasione delle elezioni politiche italiane del 19534. Scopo di questo saggio è quello di documentare la portata di tale iniziativa, ponendo in risalto e spiegando la sua minore incisività rispetto al 1948.
Indette per il 18 aprile, una data che finì per separarle di poche settimane dal colpo di stato comunista in Cecoslovacchia del febbraio precedente, le elezioni politiche italiane del 1948 suscitarono forte apprensione negli Stati Uniti. L’amministrazione del presidente americano Harry S. Truman volle leggervi una sorta di referendum sul collocamento internazionale dell’Italia e intervenne pertanto in maniera sistematica nella campagna elettorale per assicurare la vittoria della coalizione guidata dal democristiano Alcide De Gasperi nel timore che il successo del Fronte Popolare avrebbe portato l’Italia a gravitare nell’orbita del nascente blocco sovietico5.
Le comunità italo-americane non solo assecondarono la strategia anticomunista del governo statunitense, ma addirittura la precorsero riguardo sia all’interesse per la situazione politica italiana sia alla definizione di una delle principali modalità di intervento. Il National Security Council inserì l’Italia tra i paesi “chiave” per la sicurezza degli Stati Uniti in un rapporto del 14 novembre 1947 e decise il proprio sostegno alla campagna di lettere contro il Fronte Popolare per influenzare i votanti italiani – che era già in corso – in un documento del successivo 11 marzo6. Invece, già il 10 novembre 1947, George J. Spatuzza – il leader nazionale dell’Ordine Figli d’Italia in America, l’associazione etnica italo-americana più numerosa e influente degli Stati Uniti – aveva segnalato la funzione vitale dell’Italia per la geopolitica degli Stati Uniti e lanciato il primo appello affinché gli italo-americani inviassero messaggi in Italia per distogliere gli elettori dal votare i candidati della coalizione guidata dal Partito comunista7. L’invito di Spatuzza, formulato quattro giorni prima della originaria delibera del National Security Council sull’importanza dell’Italia, era stato poi ripreso dalla stampa in lingua italiana a partire da un editoriale del “Progresso Italo-Americano” di New York del 19 gennaio 19488.
Al pari delle precedenti elezioni politiche del 1948, anche le consultazioni del 1953 destarono l’apprensione del governo statunitense e causarono una sua analoga ingerenza nella campagna elettorale per determinarne l’esito9. Esse si configuravano, infatti, come un’altra occasione di possibile svolta politica per l’Italia. La recente introduzione di un premio di maggioranza che avrebbe conferito il 65% dei seggi alla Camera alla coalizione che avesse conseguito il 50% dei voti validi più uno, con una legge promossa da De Gasperi e ferocemente osteggiata dal Partito comunista, offriva l’occasione di rafforzare l’alleanza di governo filostatunitense e di stabilizzare la situazione politica del paese nonché di consolidare il collocamento dell’Italia all’interno del blocco occidentale10.
Tra le iniziative prese da Washington, la radio Voce dell’America, uno degli strumenti propagandistici del governo statunitense per l’estero, rinviò la riduzione della durata delle trasmissioni per l’Italia, da mezzora a dieci minuti il giorno, fino a dopo la proclamazione dei risultati elettorali11. L’ambasciatrice statunitense a Roma, Clare Boothe Luce, minacciò la cessazione degli aiuti economici americani all’Italia e la sospensione degli accordi di cooperazione tra i due paesi nel caso di un successo elettorale tanto dei partiti di sinistra quanto dell’estrema destra12. Per risultare più efficace, la sua dichiarazione venne diffusa a distanza di meno di due settimane dallo stanziamento da parte di Washington di una tranche di 22 milioni di dollari, che aveva portato l’ammontare per l’assistenza all’Italia prevista per il 1953 ad un totale di oltre 260 milioni di dollari13. Poiché le possibilità di una vittoria dell’estrema destra erano pressoché nulle, il monito di Luce era riferito soprattutto a comunisti e socialisti.
La stampa italo-americana generalmente difese la legittimità del premio di maggioranza. Per il settimanale di Detroit “La Tribuna Italiana d’America”, la sua validità era attestata, sulla base di un mero riscontro numerico, dal fatto di essere stata “approvata a maggioranza assoluta”, elemento che vanificava le proteste di comunisti e socialisti che avevano abbandonato l’aula al momento del voto in quanto “anche se essi avessero partecipato alla votazione il risultato non sarebbe cambiato” 14. D’altro canto, secondo “Il Progresso Italo-Americano”, il più autorevole e diffuso quotidiano in lingua italiana degli Stati Uniti, il premio di maggioranza era del tutto lecito perché “non favorisce alcun gruppo” e aveva un carattere neutrale che non pregiudicava in alcun modo alle sinistre di poterlo conquistare15. Il giudizio fu condiviso anche dalla “Tribuna Italiana d’America”16. Era, però, la “dannata ipotesi” della potenziale assegnazione dei 65% dei seggi a comunisti e socialisti che, ad avviso di quest’ultimo giornale, sollevava dubbi sulla convenienza politica di una riforma elettorale che poteva favorire l’instaurazione di un regime di stampo sovietico in Italia17.
Inoltre, come era già avvenuto cinque anni prima, anche nel 1953 alcune testate italo-americane incoraggiarono i membri delle Little Italies a farsi nuovamente promotori di una sorta di crociata anticomunista presso i loro familiari e conoscenti che vivevano ancora in Italia. Per esempio, “Il Progresso Italo-Americano” sostenne che

 

Ancora una volta gli occhi del mondo sono rivolti verso l’Italia. Ancora una volta il fato della libertà sarà profondamente e decisamente influenzato dalle storiche elezioni nella terra degli italiani. […] Cinque anni fa, i nostri lettori scrissero una valanga di lettere che aiutò a travolgere i comunisti e i loro soci. […] Quello che i nostri lettori fecero così bene cinque anni fa siamo sicuri che essi potranno fare, anche meglio, oggi. Scriviamo tutti un amichevolmente fervente appello ai nostri amici in Italia per salvaguardare quello che hanno conquistato e procedere da dove essi si stanno adunando per sostenere la coalizione democratica di De Gasperi. […] ciascuno dei nostri lettori ed amici non perda tempo nel rispondere alla chiamata della libera Italia. Inondiamo gli uffici postali di lettere che partano dal profondo dei nostri cuori. Impegniamoci per il più forte voto per il blocco democratico18.

 

Gli fece eco “La Tribuna Italiana d’America”: “Bisogna scrivere ai parenti in Italia pregandoli di votare per i partiti dell’ordine e specialmente per i candidati del partito Democristiano”19. Allo stesso modo, “Il Popolo Italiano” di Filadelfia formulò un invito a esercitare pressioni sull’elettorato italiano a beneficio della democrazia cristiana: “Gli italo-americani che sono interessati alla Madre Patria cerchino di convincere i loro cari dall’altra parte dell’oceano. Non è questione di politica questa. E’ questione di vita o di morte. E noi vogliamo che l’Italia sia amica dell’America”20. Pure il settimanale “La Voce Coloniale” di New Orleans ricordò ai propri lettori che “i commenti contenuti nelle nostre lettere mandate all’estero possono contribuire a smentire le bugiarde affermazioni dei Comunisti che la loro forma di governo rappresenta il paradiso dell’uomo comune”21. In termini analoghi si espresse anche un appello, lanciato dalle colonne di svariati giornali da Edward Corsi, in favore della coalizione che appoggiava il governo De Gasperi: “Quando scrivete ai vostri cari congiunti ed amici oltremare ricordate ad essi la nuova posizione che l’Italia ha oggi nel mondo. Esprimete i vostri sentimenti di fronte ai passi miracolosi che ha fatto l’Italia sotto il regime democratico. Dite loro che voi sperate che il brillante avvenire che si apre all’Italia non sia infranto alle urne il 7 giugno. Dite ad essi di salvaguardare l’Italia democratica che ha rimesso in piedi la Nazione avviandola sulla strada della stabilità”22.
Sulla stessa linea si collocarono altri giornali italo-americani sia esortando i propri lettori a partecipare alla campagna di lettere contro il partito comunista, sia conferendo ampio risalto agli incitamenti lanciati in tal senso da personalità pubbliche di prestigio23. Anche la già ricordata “Voce Coloniale”, come esemplificazione di ciò che i propri lettori dovessero fare, proprio alla vigilia del voto, pubblicò ampi stralci di una lettera che l’ex giudice della Corte Suprema dello stato di New York, Fedinand Pecora, aveva inviato a un suo amico italiano, nella quale veniva auspicata la sconfitta del partito comunista affinché “l’Italia si unisca agli Stati Uniti e ad altri paesi democratici nello stabilire un mondo libero e pacifico”24. Neppure un quindicinale a carattere prevalentemente letterario, “La Follia di New York”, volle far mancare il proprio apporto a questa operazione politica e presentò un esempio di lettera che avrebbe potuto venir spedita in Italia in sostegno dei candidati della coalizione di governo25.
A pochi giorni dalla pubblicazione del suo primo appello, “Il Progresso Italo-Americano” annunciò con orgoglio che

 

la risposta delle benemerite e patriottiche associazioni alla campagna delle lettere in Italia […] ha superato ogni nostra aspettativa. Al nostro ufficio continuano a giungerci telefonate e messaggi che ci annunciano la convocazione di sedute straordinarie per esortare i soci a lavorare indefessamente al successo del movimento che dovrà rendere più sensazionale la vittoria delle forze dell’ordine, della libertà e della democrazia, contro il canagliume che – con la menzogna, la malafede e le minacce – vorrebbero [sic] dare la scalata al potere per distaccare l’Italia dall’America e dalle altre nazioni libere e asservirla al giogo del dispotismo sovietico26.

 

In effetti, stimolati dai giornali etnici delle rispettive città, alla campagna finirono per dare la propria adesione anche esponenti di rilievo delle comunità italo-americane come il sindaco di New York Vincent Impellitteri o il senatore federale del Rhode Island John O. Pastore27. Nondimeno l’impegno profuso dalla stampa italo-americana nel 1953 fu minore di quello di cinque anni prima. La mobilitazione dello stesso “Progresso Italo-Americano” iniziò ad appena un mese e mezzo dalle votazioni rispetto ai tre mesi antecedenti la data delle elezioni del 1948. “Ordine Nuovo”, l’organo delle Gran Loggia della Pennsylvania dell’Ordine Figli d’Italia in America, che aveva invece dato grande rilievo alla campagna del 1948, predilesse i resoconti sulla vita interna dell’organizzazione rispetto alle vicende e alle prospettive politiche italiane nel 1953, anche a stretto ridosso della consultazione elettorale28. Ovviamente una pubblicazione anarchica come “L’Adunata dei Refrattari” criticò come in passato qualsiasi tentativo di indurre gli elettori a recarsi alle urne29. In generale, però, gli appelli ai lettori italo-americani furono comunque meno frequenti e alcuni giornali che si erano impegnati nelle iniziative del 1948, come “La Gazzetta del Massachusetts”, desistettero anche dal solo menzionare gli analoghi progetti cinque anni dopo30. In particolare, il settimanale di Cleveland “L’Araldo” sostenne di essere persuaso che

 

gli italiani ormai abbiano capito dove la democrazia viene rispettata e dove no. Perché quindi dare un’ulteriore arma propagandistica ai comunisti e fare passare la democrazia cristiana come partito asservito agli interessi americani? Sarebbe stato più opportuno che gli italiani d’America avessero scritto ai loro deputati invitandoli a sostenere i diritti italiani per Trieste […]. Sarebbe stato oltremodo utile che le lettere fossero state scritte ai vari senatori e congressmen, chiedendo di rivedere la quota assegnata all’Italia per l’emigrazione. Se ciò fosse stato fatto, gli italiani avrebbero capito più di quanto capiranno con le lettere invitanti a votare per un partito anziché per un altro31.

 

Anche nel caso dell’“Araldo” si trattava di una testata che si era fatta promotrice della campagna del 1948 – “una lettera”, scriveva allora, “costa solo 15 centesimi e potrebbe guadagnare un voto alla libertà”32 – ma il suo direttore, Igino N. Ceraldi, aveva evidentemente mutato idea alla distanza di cinque anni. Non doveva essere certo stato l’esito dell’iniziativa a indurre il cambiamento di strategia. La pubblicistica coeva, suffragata da parte della storiografia successiva, ha infatti sottolineato il contributo di un milione almeno di messaggi, secondo le stime più contenute, al trionfo della Democrazia cristiana in quanto queste missive sarebbero servite ad arginare l’avanzata della sinistra nelle regioni meridionali, dalle quali proveniva la maggioranza degli italo-americani33. Ceraldi era ben consapevole di tale ruolo. Non a caso, nell’annunciare la sconfitta del Fronte Popolare nel 1948, “L’Araldo” si autocongratulò per “l’opera degli italo-americani” nel determinare il trionfo dei “partiti della democrazia”34.
A provocare la mancata adesione dell’“Araldo” alla mobilitazione del 1953 furono piuttosto le differenti condizioni politiche di quell’anno. Proprio il suo appello agli italo-americani affinché si rivolgessero ai loro deputati e senatori al Congresso contiene elementi che lasciano trasparire tali ragioni. Da tale testo emergono anche indizi per spiegare la motivazione della più generale perdita di intensità, verificatasi tra il 1948 e il 1953, della campagna della stampa italo-americana perché i propri lettori esercitassero pressioni politiche sull’elettorato italiano.
Le incitazioni dei giornali italo-americani nel 1948 furono spesso accompagnate da considerazioni sulla necessità che gli Stati Uniti si facessero promotori presso gli Alleati della seconda guerra mondiale di una serie di concessioni a beneficio dell’Italia che avrebbero contribuito a rafforzare il governo di De Gasperi e a dimostrare l’amicizia di Washington nei confronti della nazione e del suo popolo, smentendo così la propaganda comunista e socialista. Sia “Il Progresso Italo-Americano” sia “Unione”, per esempio, sottolinearono come il carattere punitivo del trattato di pace con l’Italia facesse il gioco del Fronte Popolare nella campagna elettorale35. Allo stesso modo, “Italian Echo” sostenne che la rapida inclusione dell’Italia tra i paesi beneficiari del Piano Marshall avrebbe sottratto voti ai candidati comunisti a vantaggio dei partiti moderati che propugnavano il consolidamento delle relazioni con gli Stati Uniti36. Tali argomentazioni si moltiplicarono dopo il successo della Democrazia cristiana alle urne. In particolare, secondo “Il Progresso Italo-Americano”, la revisione del trattato di pace con l’Italia avrebbe dovuto costituire la contropartita del contributo dato dal suo popolo il 18 aprile 1948 “nell’epica lotta della civiltà contro la barbarie”37. Particolare attenzione ricevette la dichiarazione tripartita del 20 marzo, la nota diplomatica con la quale i governi di Stati Uniti, Regno Unito e Francia avevano proposto la negoziazione di un protocollo al trattato di pace per la restituzione del Territorio libero di Trieste all’Italia in un futuro prossimo38. In un editoriale pubblicato non a caso il giorno dell’anniversario della liberazione dell’Italia dai nazi-fascisti, il proprietario del “Progresso Italo-Americano”, Generoso Pope, affermò che gli impegni presi dall’amministrazione Truman alla vigilia del voto per rafforzare i partiti della coalizione di governo avevano alimentato le speranze degli italiani per il reinserimento del proprio paese nel concerto internazionale e ammonì Washington a non deluderle per non vanificare la disfatta elettorale del Fronte Popolare. A suo giudizio, infatti, “mantenere […] le promesse di ridare Trieste all’Italia, di ammettere l’Italia tra le Nazioni Unite e di gettare sui mucchi di rottami della storia l’iniquo trattato imposto all’Italia per le insistenze della Russia” costituiva il “modo migliore per rafforzare l’Italia democratica e farne un inespugnabile baluardo di democrazia e di pace”39.
Altre testate si associarono per chiedere la revoca delle clausole del trattato di pace che limitavano in modo considerevole il riarmo italiano, per esigere il ritorno di Trieste sotto la sovranità di Roma e per domandare la restituzione all’Italia – sia pure sotto forma di amministrazione fiduciaria per conto delle Nazioni Unite – delle colonie africane conquistate prima dell’avvento del fascismo al potere, affinché i comunisti non si avvalessero del possibile risentimento popolare nei confronti degli Stati Uniti per insediarsi nuovamente al governo malgrado la sconfitta elettorale40. L’invio di aiuti economici all’Italia per consolidare l’esito delle elezioni venne presentato come necessario perfino dall’organo della chiesa italiana presbiteriana di Kansas City, che pure non aveva preso parte alla campagna di lettere contro il Fronte Popolare41.
Tali posizioni furono generalmente condivise dai lettori. Per esempio, Domenico Del Gallo, un invalido della prima guerra mondiale, espresse il desiderio che, “dopo aver fatto il suo dovere votando per la democrazia della destra”, il popolo italiano si vedesse riconosciuti i propri diritti da parte dei vincitori del secondo conflitto mondiale42. In maniera analogo, un certo Salvatore Serrecchia, scrisse alla “Gazzetta del Massachusetts” che, per valorizzare la vittoria della democrazia cristiana e impedire che il Partito comunista si potesse giovare della frustrazione delle rivendicazioni nazionalistiche del popolo italiano per allargare il proprio consenso, sarebbe stato opportuno “restituire all’Italia le colonie africane, l’Eritrea, la Somalia e la Tripolitania, e Trieste e la Venezia Giulia, e Briga che la Francia ha occupata”43. La lettera di un tal Arturo Piemone al “Progresso Italo-Americano” auspicò parimenti che “i recenti risultati delle elezioni politiche dovrebbero essere di sprone alle Potenze vittoriose della guerra per mantenere le promesse fatte di maggiori aiuti all’Italia”44.
La necessità di procedere a fare concessioni all’Italia come strumento privilegiato per combattere il comunismo venne prontamente ripresa dalla stampa italo-americana in occasione delle elezioni del 1953. Tra i fattori di incertezza per l’esito del voto, per esempio, “Il Progresso Italo-Americano” collocò l’esistenza di un gran numero di indecisi e di scontenti che non avrebbero perdonato a De Gasperi di aver creduto alla dichiarazione tripartita su Trieste, un impegno al quale gli Alleati non avevano ancora assolto, nonostante gli oltre cinque anni trascorsi, minando così la fiducia di numerosi italiani nei confronti degli Stati Uniti. L’invito del quotidiano a Washington era pertanto quello di compiere un qualche gesto che facesse presagire la volontà di rendere operativa in tempi brevi la dichiarazione del 1948 per spostare tali elettori nel campo della democrazia cristiana e sottrarli alla tentazione di esprimere un voto di protesta a favore del movimento sociale italiano che avrebbe disperso i loro suffragi e ostacolato il conseguimento del premio di maggioranza da parte della coalizione di governo45. Allo stesso modo, “L’Araldo” ammonì che “la questione di Trieste sarà un grosso calibro nel programma delle destre, le quali potranno togliere altri voti a De Gasperi”46.
Non a caso, la mancata risoluzione della questione di Trieste in senso favorevole alle rivendicazioni di Roma dominò i commenti sull’esito delle elezioni del 1953 per spiegare il fallimento dell’obiettivo del 65% dei seggi alla Camera da parte dei partiti di governo. Con la cospicua eccezione dell’“Unità del Popolo”, che volle leggere nel voto un presunto ripudio della politica filo-atlantica di De Gasperi, la stampa italo-americana concordò generalmente nell’attribuire l’arretramento della Democrazia cristiana alla crescita del consenso per l’estrema destra a causa del continuo rinvio dell’attuazione della dichiarazione tripartita47. Come sostenne Leonida Felletti in un articolo ripreso da numerosi giornali, l’esito del voto era la diretta conseguenza della delusione degli elettori per la politica degli Stati Uniti su Trieste48. Sebbene vi fosse chi – come l’ex propagandista fascista Favonio di Giura – esaltasse i programmi del Partito monarchico e del Movimento sociale per il loro “contenuto di purissima idealità nazionale” che li rendeva “la sola vera antitesi del comunismo”49, i commenti delle testate italo-americane colsero di solito il pretesto del deludente risultato elettorale della Democrazia cristiana per incoraggiare Washington e i suoi alleati a restituire Trieste all’Italia per consolidare la coalizione moderata che continuava a guidare il paese. Per “Il Progresso Italo-Americano”, “è arrivato il momento per le democrazie occidentali e specialmente per il nostro Governo di eliminare al più presto possibile le ingiustizie imposte all’Italia con l’odioso ‘diktat’. Realizzando le legittime aspirazioni del popolo italiano, si rafforzerebbe il suo spirito combattivo, che – alla prossima battaglia – porterebbe inevitabilmente alla vittoria completa”50. Non a caso, i bellicosi toni nazionalistici del discorso programmatico del neopresidente del consiglio italiano, Giuseppe Pella, fornirono un’ulteriore occasione per chiedere l’attuazione della dichiarazione tripartita51. Perfino “L’Unità del Popolo” – approfittando dell’abbandono del campo socialista da parte del leader di Belgrado Tito, maturato oramai da alcuni anni – arrivò a giustificare la mobilitazione dell’esercito italiano al confine con la Jugoslavia52.
Un’altra rivendicazione si aggiunse alla questione di Trieste, intrecciandosi ai commenti sulle elezioni del 1953: la liberalizzazione della legislazione sull’immigrazione. Benché gli Stati Uniti restassero una meta agognata per gli italiani, il loro afflusso era di fatto bloccato dal Johnson-Reed Act del 1924. Tale legge aveva limitato a soli 5.802 il numero di visti d’immigrazione a loro disposizione ogni anno, una quota ulteriormente ridotta a 5.645 dal McCarran-Walter Act del 1952 rispetto ai 32.107 cittadini italiani che avevano presentato domanda di ingresso permanente in quest’ultimo anno53. Anche in questo caso, la stampa italo-americana cercò di fare leva sulla minaccia di una vittoria comunista nelle elezioni del 1953 per indurre il governo statunitense a fare concessioni all’Italia. Fin dall’anno precedente, in riferimento alla mobilitazione del 1948, “L’Araldo” si era lamentato del mancato allargamento della quota riservata all’Italia:

 

Abbiamo inviato centinaia di migliaia di lettere in occasione delle elezioni nel 1948 ed abbiamo aiutato in tal modo la nuova democrazia italiana a disfarsi del pericolo imminente quale poteva essere il comunismo. Abbiamo fatto tante promesse (a dire la verità le hanno fatte i nostri governanti) e non le abbiamo mantenute. Abbiamo fatto capire ai nostri fratelli in Italia che votando per le vere forze democratiche e non per il comunismo, le porte dell’America sarebbero rimaste aperte, perché queste erano le direttive ricevute. Quante di queste promesse sono state mantenute? Nessuna se si tolgono gli aiuti del piano Marshall ed i pacchi contenenti indumenti usati. Queste cose sono oggi l’arma principale dei propagandisti comunisti in Italia e noi dobbiamo smentirli54.

 

Tale argomentazione fu ripresa da “Italian Echo” già in occasione delle elezioni amministrative italiane del 1952. L’anno precedente, l’amministrazione Truman aveva inviato Impellitteri in Italia per preparare il terreno per nuove iniziative propagandistiche anticomuniste55. Ma “Italian Echo” contestò l’opportunità di una nuova campagna di lettere nel 1952 a causa della contraddittorietà della politica statunitense nei confronti dell’Italia. Secondo il settimanale di Providence, la povertà indotta dalla sovrappopolazione costituiva il principale fattore di diffusione del consenso per il partito comunista. Pertanto, alleggerire la pressione demografica del paese, consentendo a un maggior numero di italiani di immigrare negli Stati Uniti, avrebbe rappresentato un antidoto al comunismo più efficace di qualsiasi operazione propagandistica56.
La presentazione al Congresso del Watkins Bill, che avrebbe consentito l’ingresso negli Stati Uniti fuori quota ad alcune decine di migliaia di profughi italiani dai territori che l’Italia aveva perduto dopo la seconda guerra mondiale, nella primavera del 1953 fornì un’ulteriore occasione per patrocinare la causa dell’immigrazione italiana, collegandola alle elezioni politiche. “Il Progresso Italo-Americano”, per esempio, pubblicò un facsimile di lettera da inviare ai membri del Senato in cui l’approvazione del progetto di legge in discussione veniva presentata come una misura per combattere il comunismo57. In maniera ancora più esplicita, “Italian Echo” dichiarò che “l’approvazione del progetto darebbe al governo De Gasperi un sostegno nel momento nel quale ne ha più bisogno in considerazione delle imminenti elezioni”58. Il ritardo nel varo della legge ricorse poi tra le motivazioni addotte per spiegare il mancato raggiungimento del premio di maggioranza da parte della democrazia cristiana in ragione del fatto che De Gasperi si era legato a paese, gli Stati Uniti, che non facevano abbastanza per provvedere all’eccesso di popolazione in Italia59. Venne così ribadito il presunto legame tra lotta al comunismo e ampliamento delle possibilità di immigrare negli Stati Uniti per gli italiani60.
Nei commenti sul voto emerse pure l’intento di impedire che il deludente risultato delle elezioni potesse indurre il governo statunitense a sospendere i programmi di assistenza economica per l’Italia, come ventilato in precedenza dall’ambasciatrice Luce. Per esempio, in risposta a un editoriale del “World Telegram and Sun” che aveva proposto la cancellazione degli aiuti all’Italia “Il Progresso Italo-Americano” osservò che

 

chi rimpiange i tre miliardi e mezzo di dollari che l’America ha speso in Italia, con l’insulso pretesto che non hanno arginato l’espansione del comunismo, non pensa a che cosa sarebbe avvenuto in Italia se l’America non avesse dato la sua mano generosa alle forze democratiche che sono sorte per la difesa della libertà, della civiltà e della democrazia. Probabilmente l’Italia sarebbe oggi un altro satellite dell’Unione Sovietica e le nuove unità militari italiane […] invece di essere gli avamposti dello schieramento occidentale contro la minaccia dei totalitari, sarebbero nelle file di questi ultimi per rendere all’America e agli alleati più difficile e precaria la difesa della sicurezza comune61.

 

L’esigenza del mantenimento degli aiuti statunitensi all’Italia fu ribadita soprattutto dopo che pubblicazioni più influenti del “World Telegram and Sun”, quali il “New York Times”, unirono la propria voce al coro dei perplessi circa l’opportunità di continuare a fornire assistenza a un paese che con il voto del 1953 avrebbe dimostrato di non apprezzare gli sforzi e l’amicizia di Washington62. Perfino l’ambasciatrice Luce divenne bersaglio di critiche perché, secondo “Il Popolo Italiano”, la sua minaccia di sospendere il sostegno economico americano per l’Italia avrebbe minato la fiducia dell’elettorato italiano negli Stati Uniti e causato una perdita di consensi per la Democrazia cristiana in quanto partito che più veniva identificato con la politica di Washington63. Si cercò così di potenziare quell’orientamento dell’opinione pubblica statunitense che vedeva la motivazione principale per continuare l’assistenza all’Italia proprio nella ristretta maggioranza parlamentare della coalizione di De Gasperi dopo il voto di giugno64.
A queste richieste si sommarono anche rivendicazioni di status internazionale per l’Italia. In occasione del vertice delle Bermuda, convocato nel maggio del 1953 per il dicembre successivo allo scopo di concordare la strategia delle potenze occidentali nei confronti dell’Unione Sovietica del dopo Stalin, un auspicato invito all’Italia perché sedesse a fianco di Stati Uniti, Regno Unito e Francia al summit fu presentata come un ulteriore fattore per rafforzare l’appoggio dell’elettorato italiano a De Gasperi e ai suoi alleati. Secondo “Il Progresso Italo-Americano”,

 

L’Italia è nel mezzo di un’aspra e intensa campagna elettorale. Se l’Italia fosse stata invitata, come membro dei Big Four, a partecipare alla conferenza di Bermuda, questo fatto avrebbe arrecato grande prestigio alla causa democratica e grandemente agevolato le opportunità di una decisiva vittoria il 7-8 giugno. Ma l’omissione dell’Italia, il continuo ignorare l’Italia, serve soltanto come un’arma segreta e sinistra dei nemici della democrazia in Italia e altrove. Senza dubbio gli statisti anglo-franco-americani si incontrerebbero a Bermuda con lunghe e melanconiche facce se per un tragico destino dovesse capitare che il blocco democratico perda le elezioni italiane. E allora perché non fare qualcosa per prevenire la catastrofe? Perché non fare in tempo qualche cosa per assicurare il successo della coalizione democratica nelle elezioni italiane e così aiutare le forze della democrazia e della pace ovunque? Non è ancora troppo tardi per agire con logica e giustizia. Si è ancora in tempo per aiutare l’Italia ad assumere il suo giusto posto al tavolo di Bermuda65.

 

Anche i giornali disposti ad accettare l’esclusione dell’Italia dal vertice, ritennero che tale assenza avrebbe indebolito il prestigio di De Gasperi in vista delle elezioni e chiesero, come contropartita, ancora una volta la salvaguardia dei diritti italiani su Trieste66.
Era quest’ultima, in definitiva, la questione che più stava a cuore agli italo-americani nel 1953, come attestato non soltanto dagli editoriali dei loro organi di informazione, ma anche dalle lettere inviate dai lettori alle redazioni dei giornali. Come scrisse un certo Frank D’Erasmo, “noi vogliamo che non si ripeta la crudele beffa degli Alleati che promisero Trieste ed è giusto che quella cambiale sia pagata appieno. Il popolo sovrano non dimentica tanto facilmente i torti e le ingiustizie. Si vuole la sconfitta dei comunisti, ma perché poi non evitare che questi arruffapopoli approfittino dello scontento popolare?”67.
Le parole di D’Erasmo, così come le argomentazioni della stampa italo-americana, rispecchiarono nella sostanza quanto l’ambasciatore italiano a Washington, Alberto Tarchiani, aveva riferito al presidente statunitense Dwight D. Eisenhower in un colloquio sulle divergenze esistenti tra Italia e Stati Uniti all’inizio di maggio. Il principale motivo di contrasto, per Tarchiani, era costituito dalla mancata attuazione della dichiarazione tripartita. Tuttavia, sempre secondo l’ambasciatore, malgrado gli estenuanti ritardi intercorsi per oltre cinque anni, il ritorno di Trieste sotto la sovranità italiana avrebbe permesso a De Gasperi di fronteggiare in modo efficace la fuga di voti moderati verso l’estrema destra oppure la sinistra per rivalsa nei confronti della perdurante ambiguità della posizione statunitense68. In passato, non senza una buona dose di opportunismo anche da parte dei suoi diplomatici che – come Tarchiani – erano più intimamente e spontaneamente anticomunisti, il governo italiano aveva agitato la minaccia del comunismo per strappare concessioni agli Stati Uniti69. Ne costituirono un esempio paradigmatico le pressioni esercitate dal ministro degli esteri Carlo Sforza per indurre Washington a rilasciare la dichiarazione tripartita con Francia e Regno Unito, cogliendo a pretesto la necessità di rafforzare De Gasperi in vista delle elezioni politiche del 194870. A proposito della richiesta di aiuti economici agli Stati Uniti da parte italiana nell’inverno precedente le elezioni del 1948, lo stesso Tarchiani riconobbe che “De Gasperi impiegava lo spauracchio comunista anche ad esclusivo scopo americano”71. Le comunità italo-americane avevano spesso aderito a questa strategia e se ne erano fatte interpreti. Già alla fine del 1947, Spatuzza aveva dato precise istruzioni al lobbista dell’Ordine Figli d’Italia in America a Washington, Leonard Pasqualicchio, di avvalersi dell’enfatizzazione del pericolo del comunismo nelle audizioni del Congresso al fine di sollecitare l’approvazione del Piano Marshall e di chiedere l’inclusione dell’Italia tra i paesi beneficiari72.
Ancora alla vigilia di Natale del 1952, in un incontro privato con il segretario di stato americano designato, John Foster Dulles, Tarchiani dichiarò, a proposito della controversia italo-jugoslava su Trieste, che “De Gasperi può più facilmente riaffermarsi nelle prossime elezioni se tale grave vertenza è onorevolmente chiusa”73. Però, rispetto al 1948, la lista delle domande del governo De Gasperi risultava essersi accorciata in misura considerevole. Nel periodo intercorso, infatti, l’Italia aveva ricevuto 1,387 miliardi di dollari di aiuti attraverso il solo Piano Marshall ed era stata ammessa a fare parte della Nato, malgrado le obiezioni di gran parte dei funzionari del Dipartimento di Stato non addetti alla sezione italiana, con conseguente rimozione delle limitazioni al suo riarmo convenzionale e finanziamenti dagli Stati Uniti per circa 800 milioni di dollari per spese militari tra il 1949 e il 195274. Il governo di Roma era, inoltre, riuscito a farsi assegnare per dieci anni dalle Nazioni Unite l’amministrazione fiduciaria di una delle sue colonie prefasciste, la Somalia, un mandato che aveva rappresentato una sorta di “riabilitazione” dell’Italia in campo internazionale dopo il ventennio della dittatura fascista e la sconfitta nella seconda guerra mondiale75.
In ragione di questi successi, anche il ricorso strumentale all’ipotesi dell’avvento al potere del partito comunista perse di intensità e, di conseguenza, si attenuò pure la mobilitazione degli italo-americani promossa dalla loro stampa etnica per dare sostanza tangibile a tale pericolo e giustificare così la richiesta che gli Stati Uniti attuassero una politica più favorevole all’Italia allo scopo di contribuire a disinnescare quel rischio. Pur nel contesto di un innegabile declino progressivo dei giornali italo-americani nel corso del secondo dopoguerra, che si accentuò proprio a partire dagli anni cinquanta76, fu l’accoglimento di alcune delle rivendicazioni del governo italiano dopo il 1948 a rendere meno incisiva la campagna anticomunista di tali testate nel 1953. Infatti, prima ancora di generare una partecipazione più indolente e meno massiccia da parte della popolazione statunitense di origine italiana, come la mera perdita di influenza della stampa etnica nelle comunità italo-americane avrebbe facilmente potuto spiegare, furono queste stesse pubblicazioni a denotare un minor entusiasmo nel promuovere la crociata anticomunista nel 1953, sebbene il risultato di tali elezioni non avesse suscitato negli Stati Uniti un’apprensione di livello inferiore rispetto all’esito di quelle tenutesi cinque anni prima.

Note

 

1 La ricerca su cui si basa questo articolo è stata in parte resa possibile da una fellowship del Department of History della Brown University.
2 Vito Magli, Rispondiamo al Supremo Venerabile dell’Ordine Figli d’Italia, “L’Unità del Popolo”, 29 novembre 1947, p. 6; S. Vellucci, La storia non ha insegnato nulla, “L’Adunata dei Refrattari”, 10 aprile 1948, p. 7; Elettori e astensionisti, ivi, 17 aprile 1948, p. 1. Questo aspetto della politica editoriale de “L’Unità del Popolo” è menzionato appena da Gerald Meyer, L’Unità del Popolo: The Voice of Italian-American Communism, 1939-1951, “Italian American Review”, 8, 1 (2001), p. 141.
3 Sylvan Gotshal e Halsey Munson, Letters to Italy, “Common Ground”, 9, 1 (1948), pp. 3-12; C. Edda Martinez e Edward A. Suchman, Letters from America and the 1948 Elections in Italy, “Public Opinion Quarterly”, 14, 1 (1950), pp. 111-125; Ernest E. Rossi, The United States and the 1948 Italian Election, tesi di dottorato, University of Pittsburgh, 1965; Wendy L. Wall, America’s “Best Propagandist”: Italian Americans and the 1948 “Letters to Italy” Campaign, in Cold War Constructions: The Political Culture of United States Imperialism, 1945-1966, a cura di Christian G. Appy, Amherst, University of Massachusetts Press, 2000, pp. 89-109; Eric Salerno, Rossi a Manhattan, Roma, Quiritta, 2001, pp. 106-107; Leonardo Sciascia, La zia d’America (1957), ora nel suo Gli zii di Sicilia, Milano, Adelphi, 1992, pp. 46-48.
4 Per un fugace accenno, cfr. Ernest E. Rossi, Italian Americans and U.S. Relations with Italy in the Cold War, in The United States and Italy. The First Two Hundred Years, a cura di Humbert S. Nelli, Staten Island, NY, American Italian Historical Association, 1977, p. 122.
5 James E. Miller, Taking Off the Gloves: The United States and the Italian Elections of 1948, “Diplomatic History”, 7, 1 (1983), pp. 35-55. Cfr. anche William Colby con Peter Forbath, Honorable Men. My Life in the CIA, New York, Simon and Schuster, 1978, pp. 109-110.
6 Report of the National Security Council on the Position of the United States with Respect to Italy, 14 novembre 1947, Harry S. Truman Library, Independence, MO, Fondo Harry S. Truman, President’s Secretary’s Files, b. 203, f. National Security Council, 2; Foreign Relations of the United States: 1948, III, Western Europe, Washington, DC, U.S. Government Printing Office, 1974, p. 778.
7 Appello agli americani di origine italiana, 10 novembre 1947, Immigration History Research Center, University of Minnesota, Minneapolis, Fondo George J. Spatuzza, b. 5, f. 20; Ernest L. Biagi, The Purple Aster. A History of the Sons of Italy in America, s.l., Veritas Press, 1961, pp. 71-72.
8 Il Progresso propone l’invio di un milione di lettere in Italia per combattere la minaccia del comunismo, “Il Progresso Italo-Americano”, 19 gennaio 1948, p. 1.
9 James E. Miller, Roughhouse Diplomacy – The United States Confronts Italian Communism, 1945-1958, “Storia delle Relazioni Internazionali”, 5, 2 (1989), pp. 303-304; Mario Del Pero, Stati Uniti e “legge truffa”, “Contemporanea”, 6, 3 (2003), pp. 503-518.
10 Maria Serena Piretti, La legge truffa. Il fallimento dell’ingegneria politica, Bologna, Il Mulino, 2003; Gaetano Quagliariello, La legge elettorale del 1953, Bologna, Il Mulino, 2003.
11 ‘Voice’ Cuts Back Global Programs, “New York Times”, 24 maggio 1953, p. 37.
12 Clare Boothe Luce, Address Prepared for Delivery at the American Chamber of Commerce, Milano, 28 maggio 1953, Library of Congress, Washington, DC, Fondo Clare Boothe Luce, b. 686, f. 4.
13 Arnaldo Cortesi, De Gasperi Party Steps Up Campaign, “New York Times”, 27 maggio 1953, p. 13. Sull’impatto della dichiarazione e sul suo contesto, cfr. anche Maria Eleonora Guasconi, L’altra faccia della medaglia. Guerra psicologica e diplomazia sindacale nelle relazioni Italia-Stati Uniti durante la prima fase della guerra fredda, 1947-1955, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1999, pp. 123-124.
14 Vincenzo Toscano, Il Senato italiano ha difeso la Democrazia, “La Tribuna Italiana d’America”, 10 aprile 1953, p. 1.
15 La nuova legge elettorale, “Il Progresso Italo-Americano”, 4 maggio 1953, p. 6.
16 Cesare Tosi, Come avvengono le elezioni in Italia, “La Tribuna Italiana d’America”, 24 aprile 1953, p. 1.
17 L’Aviere, Volo d’orizzonte sulla fase preparatoria delle elezioni, “La Tribuna Italiana d’America”, 22 maggio 1953, p. 1.
18 L’Italia chiama, “Il Progresso Italo-Americano”, 26 aprile 1953, p. 1.
19 Le elezioni del 7 giugno in Italia, “La Tribuna Italiana d’America”, 15 maggio 1953, p. 1.
20 La sola via, “Il Popolo Italiano”, 31 maggio 1953, p. 1.
21 Coloro che fuggono…, “La Voce Coloniale”, 23 maggio 1953, p. 1.
22 Edward Corsi, Il miracolo della nuova Italia, “Il Popolo Italiano”, 21 maggio 1953, p. 1; “La Tribuna Italiana d’America”, 22 maggio 1953, p. 5; “La Voce Coloniale”, 30 maggio 1953, p. 3.
23 Delle prossime elezioni italiane, “Ordine Nuovo”, 2 maggio 1953, p. 1; Italy Faces Another Milestone, “Italian Echo”, 15 maggio 1953, p. 1.
24 Ferdinand Pecora, Una lettera inviata in Italia, “La Voce Coloniale”, 6 giugno 1953, p. 1.
25 Un appello agli elettori d’Italia, “La Follia di New York”, 1 aprile 1953, p. 2.
26 Vive esortazioni ai soci per il successo dei partiti dell’ordine, “Il Progresso Italo-Americano”, 3 maggio 1953, p. 5.
27 Letters to Italy Sought by Mayor, “New York Times”, 29 maggio 1953, p. 5; Sen. Pastore Joins Church in Urging “Stop-Communism” Letters to Italians, “Italian Echo”, 29 maggio 1953, pp. 1, 8.
28 L’Ordine partecipa alla campagna delle lettere, “Ordine Nuovo”, 24 aprile 1948, p. 1; La grande convenzione di Pittsburgh, ivi, 7 giugno 1953, p. 1.
29 Gli anarchici e le elezioni, “L’Adunata dei Refrattari”, 30 maggio 1953, pp. 1-2; Le votazioni, ivi, 6 giugno 1953, p. 1.
30 Campagna di lettere ai cari d’Italia contro il partito “rosso”, “La Gazzetta del Massachusetts”, 13 marzo 1948, p. 1.
31 La campagna di lettere agli italiani, “L’Araldo”, 29 maggio 1953, p. 1.
32 Posta aerea, “L’Araldo”, 19 marzo 1948, p. 1.
33 S. Gotshal e H. Munson, Letters to Italy, cit., p. 11; E. Rossi, The United States and the 1948 Italian Election, cit., pp. 312-313; Antonio Gambino, Storia del Dopoguerra. Dalla Liberazione al potere DC, Bari, Laterza, 1975, pp. 448-449.
34 Italo, Viva l’Italia!, “L’Araldo”, 23 aprile 1948, p. 1.
35 Il colmo della stupidaggine, “Il Progresso Italo-Americano”, 25 gennaio 1948, p. 1; L’Italia in pericolo, “Unione”, 12 marzo 1948, p. 1.
36 American Aid Necessary to Encourage Democratic Rise, “Italian Echo”, 19 marzo 1948, p. 1.
37 La revisione dell’odioso trattato è ormai imperativa, “Il Progresso Italo-Americano”, 24 aprile 1948, p. 1.
38 Giampaolo Valdevit, La questione di Trieste, 1941-1954. Politica internazionale e contesto locale, Milano, Angeli, 1986, pp. 193-196.
39 Generoso Pope, Storica vittoria per l’umanità, “Il Progresso Italo-Americano”, 25 aprile 1948, p. 1.
40 Il Pioniere, Ora aiutiamola a valorizzare la vittoria, “L’Araldo”, 30 aprile 1948, p. 1; U.S. Aid Must Continue, “Il Popolo Italiano”, 2 maggio 1948, p. 1; Urge Italy Be Given Colonies’ Trusteeship, “OSIA News”, 3, 9 (1948), p. 1; Agostino De Biasi, Strategia anti-americana, “La Gazzetta del Massachusetts”, 25 settembre 1948, p. 3.
41 What Next In Italy?, “Il Messaggero”, 23, 5 (1948), p. 4.
42 Domenico Del Gallo, Diritti e doveri, “Il Progresso Italo-Americano”, 30 aprile 1948, p. 6.
43 Salvatore Serrecchia, Ritornate all’Italia quanto è suo, “La Gazzetta del Massachusetts”, 1 maggio 1948, p. 2.
44 Arturo Piemonte, Maggiori aiuti, “Il Progresso Italo-Americano”, 4 maggio 1948, p. 6.
45 Italo Palermo, Il 7 giugno è alle porte, “Il Progresso Italo-Americano”, 30 maggio 1953, p. 6.
46 Le elezioni in Italia, “L’Araldo”, 8 maggio 1953, p. 1.
47 Gene Stassi, A Balance Sheet on Italy’s Political Crisis, “L’Unità del Popolo”, 12 settembre 1953, p. 8; De Gasperi ottenne 303 seggi su 590 alla Camera, “Il Popolo Italiano”, 11 giugno 1953, p. 1; Cesare Tosi, Il quadro politico italiano dopo le elezioni del 7 giugno, “La Tribuna Italiana d’America”, 19 giugno 1953, p. 1.
48 Leonida Felletti, Le elezioni in Italia e le ingiuste rampogne, “La Tribuna Italiana d’America”, 26 giugno 1953, p. 1; “La Gazzetta del Massachusetts”, 11 luglio 1953, p. 2; “La Voce Coloniale”, 25 luglio 1953, pp. 1, 3.
49 Favonio di Giura, Postille elettorali, “Il Popolo Italiano”, 18 giugno 1953, p. 1. Su di Giura, cfr. Generoso Pope, His Paper and His Politics, Immigration History Research Center, University of Minnesota, Minneapolis, Fondo Albert Cupelli, b. 12, f. Generoso Pope, e Ario Flamma, Italiani di America, New York, Cocce, 1936, pp. 142-43.
50 Ad elezioni finite, “Il Progresso Italo-Americano”, 11 giugno 1953, p. 6.
51 Leonida Felletti, La difesa dei diritti dell’Italia nelle parole del Presidente Pella, “La Voce Coloniale”, 19 settembre 1953, p. 1.
52 La situazione a Trieste, “L’Unità del Popolo”, 5 settembre 1953, p. 1.
53 U.S. Bureau of the Census, Statistical Abstract of the United States, 1966, Washington, DC, U.S. Government Printing Office, 1966, p. 92; President’s Commission on Immigration and Naturalization, Whom We Shall Welcome, New York, Da Capo Press, 19712, pp. 100, 104.
54 L’emigrazione italiana negli S.U., “L’Araldo”, 18 aprile 1952, p. 1.
55 Salvatore J. LaGumina, Mayor Vincent Impellitteri, Anti-Communist Crusader, in Italian Americans and Their Public and Private Life, a cura di Frank J. Cavaioli, Angela Danzi e Salvatore J. LaGumina, Staten Island, NY, American Italian Historical Association, 1993, pp. 175-178.
56 Apprehension for Italy, “Italian Echo”, 16 maggio 1952, p. 1.
57 Esortate i Senatori ad approvare il Bill per l’immigrazione, “Il Progresso Italo-Americano”, 25 maggio 1953, p. 3.
58 Go All Out for the Watkins Bill, “Italian Echo”, 22 maggio 1953, p. 1.
59 “Not by Bread Alone …”, “Il Popolo Italiano”, 14 giugno 1953, p. 1.
60 For the Approval of the Watkins Immigration Bill, “La Tribuna Italiana d’America”, 26 giugno 1953, p. 2.
61 Una ignobile e ingiusta campagna, “Il Progresso Italo-Americano”, 12 giugno 1953, p. 6.
62 William S. Caldwell, Italy’s Vote Examined, “New York Times”, 15 giugno 1953, p. 28; L. Felletti, Le elezioni in Italia, cit.
63 “Not by Bread Alone …”, cit. Sui rapporti, non sempre idilliaci, tra governo statunitense e democrazia cristiana, cfr. Mario Del Pero, L’alleato scomodo. Gli USA e la DC negli anni del centrismo, 1948-1955, Roma, Carocci, 2001.
64 Monthly Survey of American Opinion on International Affairs, 146, giugno 1953, National Archives II, College Park, MD, Fondo Office of Public Opinion Studies, b. 12, f. Monthly Survey 1953.
65 L’Italia a Bermuda, “Il Progresso Italo-Americano”, 31 maggio 1953, p. 6.
66 Basilio Cialdea, I diritti italiani e l’incontro delle Bermude, “La Tribuna Italiana d’America”, 5 giugno 1953, p. 1.
67 Frank D’Erasmo, La voce del popolo, “Il Progresso Italo-Americano”, 12 maggio 1953, p. 6.
68 Memorandum of conversation, Washington, DC, 5 maggio 1953, in President Dwight D. Eisenhower’s Office Files, 1953-1961, II, International Series, edizione su microfilm, Bethesda, MD, University Publications of America, 1990, bobina 19, fotogramma 220 (l’autore ringrazia il Dr. Hans Krabbendam per avergli fornito copia del documento dai fondi del Roosevelt Study Center di Middelburg).
69 Antonio Varsori, Italian Diplomacy and Contrasting Perceptions of American Foreign Policy after World War II (1947-50), “Storia Nordamericana”, 3, 2 (1986), p. 80.
70 Gianluigi Rossi, Trieste e colonie alla vigilia delle elezioni italiane del 18 aprile 1948, “Rivista di Studi Politici Internazionali”, 46, 2 (1979), pp. 225-227.
71 Alberto Tarchiani, Dieci anni tra Roma e Washington, Milano, Mondadori, 1955, p. 138.
72 George J. Spatuzza a Leonard H. Pasqualicchio, Chicago, 30 dicembre 1947, Immigration History Research Center, University of Minnesota, Minneapolis, Fondo Spatuzza, b. 5, f. 21.
73 A. Tarchiani, Dieci anni tra Roma e Washington, cit., p. 227.
74 Ottavio Bariè, The United States, the Western Union and the Inclusion of Italy in the Atlantic Alliance, April-September 1948, “Storia Nordamericana”, 2, 2 (1985), spec. pp. 53, 58-62; E. Timothy Smith, The United States, Italy and NATO, 1947-52, New York, St. Martin’s Press, 1991, pp. 64-93; Federico Romero, Gli Stati Uniti in Italia. Il Piano Marshall e il Patto Atlantico, in Storia dell’Italia repubblicana, I, La costruzione della democrazia. Dalla caduta del fascismo agli anni cinquanta, a cura di Francesco Barbagallo, Torino, Einaudi, 1994, pp. 275-278; Carlo Spagnolo, La stabilizzazione incompiuta. Il piano Marshall in Italia, 1947-1952, Roma, Carocci, 2001.
75 Antonio Varsori, L’Italia nelle relazioni internazionali dal 1943 al 1992, Roma-Bari, Laterza, 1998, p 78. Per gli sviluppi, successivi alla sconfitta del Fronte Popolare, delle complesse trattative diplomatiche che portarono al conferimento del mandato all’Italia, cfr. Angelo del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, IV, Nostalgia delle colonie, Roma-Bari, Laterza, 1984, pp. 39-54.
76 Pietro Russo, The Italian American Periodical Press, 1836-1980, in Italian Americans. New Perspectives in Italian Immigration and Ethnicity, a cura di Lydio F. Tomasi, Staten Island, NY, Center for Migration Studies, 1985, p. 256; Bénédicte Deschamps, Echi d’Italia. La stampa dell’emigrazione, in Storia dell’emigrazione italiana, II, Arrivi, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina, Roma, Donzelli, 2002, p. 331.