L’emigrazione dal lazio:il dibattito storiografico

1. Alcuni problemi storiografici1
Come dimostra anche un recente saggio bibliografico di Maria Rosa Protasi, le sintesi sull’emigrazione dal Lazio sono poche, sebbene molti studiosi abbiano accennato sia alle dimensioni generali del fenomeno, sia a quanto attiene alle odierne province di Frosinone e Viterbo2. La mancanza di letteratura specializzata rende un po’ inane la discussione, tanto più che alla mancanza di testi corrisponde una debolezza teorica dei pochi che ci interessano. La maggior parte di questi ultimi sottovaluta infatti il ruolo di Roma oppure si limita al mero computo dell’esodo (non particolarmente rilevante) di romani. Non discute invece di come l’Urbe abbia agito quale magnete immigratorio sin dalla fondazione e abbia risucchiato uomini e donne dalla regione circostante. Tali esperienze qui non ci riguardano, tuttavia non vanno sottaciute perché hanno creato l’abitudine a partire caratteristica di singoli paesi e singole aree laziali.
La mancata rilevazione del rapporto tra regione e metropoli nell’interscambio migratorio impedisce la comprensione della plurisecolarità e multidirezionalità dei flussi dal Lazio. D’altra parte dobbiamo ancora specificare cosa intendiamo con quest’ultimo termine geografico. La regione odierna nasce, come le altre, con l’art. 131 della Costituzione repubblicana e il testo fondatore lascia intendere che le entità regionali sono radicate nella storia nazionale, ma tale asserzione non è suffragata da alcuna evidenza documentaria. Anzi, nel nostro caso specifico, la regione Lazio è storicamente un fantasma, nutrito di richiami classici, ma di fondo frutto della tarda riunione tra territori per secoli appartenuti allo Stato della Chiesa o al Regno di Napoli. Una parte dell’odierna regione non ha dunque più avuto stretti legami con Roma dal medioevo al 1870; un’altra, in particolare alcuni comuni sul confine campano e su quello abruzzese, è stata riunita alle neonate province di Rieti e Frosinone nel 1927, entrando solo allora a far parte del Lazio3. Per quanto riguarda la porzione sempre sotto il dominio pontificio, occorre ricordare come al suo interno non fosse così netto il confine tra gli attuali Lazio e Umbria e come inoltre, per la peculiare commistione di amministrazione civile e religiosa, le ripartizioni diocesane permettessero confusioni con i domini medicei4. Insomma la regione configurata dalla Costituzione ha avuto nel suo passato almeno tre centri cui guardare (Roma, Napoli e Firenze), ha subito l’influenza di economie non sempre collegate fra loro, ha seguito modelli di mobilità caratteristici di aree lontane almeno dal punto di vista politico-amministrativo.
Arrivati a questo punto dobbiamo dunque fronteggiare tre difficoltà: la scarsità della letteratura sulle migrazioni dal Lazio, la sottovalutazione del ruolo di Roma nel costruire la tradizione migratoria di parte della regione odierna, il fatto che storicamente alcuni centri laziali non hanno fatto capo allo stato pontificio per circa un millennio. Sono tre ostacoli non da poco, cui si aggiunge subito un quarto: il mancato studio della funzione di Roma non soltanto come centro di attrazione, ma anche come redistributrice e trampolino delle partenze. Molte città, in particolare quelle portuali come la Genova ricordata da Ferdinando Fasce in questo numero dell’“ Archivio”, sono state nel corso della loro storia uno snodo migratorio: non un mero luogo di partenza e/o di arrivo, bensì pure un luogo di transito e di smistamento dove si arriva per poi ripartire. Per oltre duemila anni la città eterna è stata tappa intermedia di movimenti complessi, che non hanno coinvolto soltanto i laziali (qualsiasi cosa si voglia o si possa definire con questo termine). Il fenomeno è stato particolarmente evidente negli ultimi decenni del Novecento, quando l’aeroporto Leonardo da Vinci ha funzionato da hub per chi veniva dalle sponde meridionali od orientali del Mediterraneo e voleva partire verso le Americhe. Meccanismi analoghi contraddistinguono altri momenti della trimillenaria esistenza romana. Basti pensare al ruolo giocato dai porti sul mare (Ostia) e sul Tevere (la Ripa greca e quella romea) della Roma imperiale e medievale nella redistribuzione di uomini e di merci del Mediterraneo5. Oppure a quei profughi che nel secondo dopoguerra novecentesco hanno utilizzato la metropoli romana come rifugio temporaneo o come trampolino di lancio verso altri continenti grazie all’aiuto del Vaticano o di vari enti internazionale6. O ai polacchi immigrati agli inizi del pontificato di Giovanni Paolo II, fermatisi nella città e nei suoi dintorni giusto il tempo per trovare il denaro e i visti necessari a recarsi in America del Nord7. Infine bisogna tenere conto che per gran parte del secondo Novecento a Roma si sono chiesti e ottenuti i visti d’ingresso in numerosi paesi europei ed extra-europei.
La sommaria comparazione appena tracciata tra gli avvenimenti che hanno caratterizzato la storia migratoria della Roma antica, medievale e contemporanea ci pone un quinto quesito storiografico. I teorici tendono a distinguere tra emigrazioni antiche e moderne (cioè a noi coeve o quasi): come asserisce Ermanno Vitale, le prime sarebbero sostanzialmente movimenti di gruppi coesi e le seconde avrebbero una base individuale o al massimo familiare8. Il lavoro sul campo, cioè tra le carte d’archivio, ci rende meno sicuri che si possa postulare una contrapposizione così netta. Tra antichità e medioevo abbiamo le migrazioni di popoli interi (alcune delle quali studiate sotto la dizione di invasioni barbariche) oppure la fondazione di “colonie” mercantili9. Nel medioevo e nella prima età moderna abbiamo poi la formazione a Roma di “nationes” raggruppate intorno alla propria chiesa: quella dei tedeschi, dei portoghesi, degli spagnoli, dei francesi, dei borgognoni, nonché dei lucchesi, dei genovesi, dei fiorentini, senza poi dimenticare quelle ancora più antiche come S. Spirito in Sassia che assieme al contiguo ospedale di S. Spirito ricorda l’antica “schola Saxonum”, fondata nel 727 d.C. da Ine, re del Wessex10. Tuttavia nell’un caso come nell’altro niente esclude l’arrivo di singoli che a margine della colonia mercantile o del nucleo invasore sono capaci di ricavare un proprio spazio. Viceversa, per quanto riguarda le emigrazioni moderne, quelle che secondo Vitale inizierebbero nel Tre- Quattrocento per continuare sino ai giorni nostri, abbiamo numerosi casi in cui le partenze di singoli o di famiglie s’innestano sull’esodo di vere e proprie comunità che ricostituiscono all’estero gruppi a base cittadina (i sorani oggi molto presenti a livello associativo) o addirittura provinciale (i ciociari). Lontano dalla Penisola abbiamo così non solamente la formazione di un gruppo italiano, ma addirittura di sottogruppi dalla forte coesione interna, ai quali si potrebbero applicare i criteri per lo studio delle “nationes” medievali11.
Le domande cui un saggio sull’emigrazione laziale dovrebbe rispondere sono dunque molte e soprattutto obbligano a riflettere su dettagli, talvolta molto significativi, ai quali la storiografia disponibile non ha sinora prestato attenzione. Per riassumere, i già citati pochi lavori sulla regione Lazio non lasciano dubbi sull’artificialità storico-geografica di quest’ultima e sul fatto che quindi rifletta trend contrastanti per quanto attiene all’emigrazione. Inoltre il già discusso ruolo di Roma non viene acclarato dalla letteratura relativa, spesso di grande qualità ma interessata più agli stranieri che ai laziali. Infine questa letteratura paga il pegno della mancanza di fonti anagrafiche prima del Sacco di Roma, per quanto abilmente rimpiazzate da altra documentazione, per esempio da quella notarile: in effetti sino ai primi registri parrocchiali sappiamo ben poco degli insediamenti d’immigrati nell’Urbe12. Tuttavia anche questo approccio qualitativo lascia intuire che gli abitanti della regione, anzi delle regioni che circondano l’Urbe, gravitano sulla metropoli secondo modalità a volte definitive, a volte temporanee, ma comunque in qualche modo legato alla specializzazione lavorativa. Troviamo infatti traccia di una forte mobilità per quanto riguarda i servi, gli artigiani e le balie ed in alcuni casi sappiamo che si tratta di forza lavoro proveniente da centri oggi compresi nel Lazio13. Viceversa pochi lavori pionieristici mostrano come il collegamento fra Roma e le maggiori nazioni europee faciliti sin dal medioevo emigrazioni specializzate verso alcune grandi città: è il caso per esempio dei mercanti romani e del loro seguito a Londra14.
Per semplificare la discussione, nelle pagine che seguono ci proponiamo di attuare una breve ricognizione della letteratura su quanto accade dal momento in cui comunque dati demografici sono almeno parzialmente ricostruibili e di procedere schedando la storiografia a disposizione e gli spunti da essa suggeriti. L’analisi dei dati archivistici è invece rimandata a una prossima occasione.

2. Dall’età moderna alla seconda guerra mondiale

Per quanto riguarda il periodo fra basso medioevo e prima età moderna, abbiamo un certo numero di studi, alcuni dei quali già citati, sulla presenza di stranieri a Roma15. In qualche caso si ricorda come questi provengano da centri vicini, per esempio: imprenditori e manodopera edilizia da Monte Rotondo e Fiano16; facchini da Amatrice (oggi nella provincia di Rieti, ma allora nel Regno di Napoli) e vignaioli dei Castelli17; ancora vignaioli e ortolani del Reatino18; manodopera senza particolare qualificazione da Tivoli o dalla Ciociaria19; servi e serve di Marino o Ponzano20. L’arrivo di servitù da centri vicini è registrato ancora nell’Ottocento, quando nel contempo non si è spenta la grande mobilità verso le campagne romane21.
Queste informazioni non ci dicono molto sulle partenze dalla regione, se non che essa ben conosce varie forme di mobilità. Per seguire le prime fasi di migrazioni fuori dei territori che oggi compongono il Lazio dobbiamo accontentarci delle scarne notizie sulla diaspora mercantile e sull’esodo durante l’esilio avignonese22. Altre tracce, egualmente esili, ci rivelano sotterranei canali di emigrazione politica: un gruppo familiare, forse proveniente da Gaeta, fugge da Napoli dopo la rivolta di Masaniello e poi prosegue per Parigi; alcuni giacobini si rifugiano in Francia dopo il fallimento della prima Repubblica romana23. La tradizione politica si rafforza nell’Ottocento, quando all’esilio liberamente prescelto si accompagna la deportazione. Nel 1837 sessantadue detenuti delle carceri di Civita Castellana sono inviati in Brasile; più tardi si tenta di raggiungere un accordo con l’Australia per deportarvi altri carcerati e poi si ripiega sugli Stati Uniti24. I più fortunati riescono invece a scappare, a Parigi o a Londra, e da lì denunciano i papi reazionari25. Le riflessioni sulle partenze dall’odierno Lazio aumentano, quando questo è annesso allo stato italiano. Sappiamo adesso, che subito dopo la caduta dello stato pontificio membri del clero o di famiglie agiate, nonché artisti legati alla Curia, fuggono verso l’Australia, ma questo piccolo flusso non attira molta attenzione26. Negli anni ottanta si inizia invece ad accennare ad altre partenze della provincia di Roma e soprattutto si segnala la tendenza migratoria dei comuni allora compresi nella Campania27. L’attenzione al circondario di Sora prosegue agli inizi del secolo successivo, quando tra l’altro si è anche aggiunto l’allarme per le partenze di bambini e adolescenti di entrambi i sessi28. Sulla base di queste inchieste si sviluppa una letteratura critica ancora oggi importante, che bada principalmente alla questione del lavoro minorile, ma che non dimentica il problema dell’esodo dall’attuale Lazio meridionale29. A proposito di quest’ultimo si segnala come a primi movimenti ottocenteschi legati a professioni itineranti e ambulanti30, si siano giustapposti tra il 1876 e il 1899 coloro che richiesero circa 13.000 passaporti per recarsi in vari paesi europei (Francia, Inghilterra, Germania, Svezia e Danimarca).
Sempre secondo gli studiosi, dopo il 1900 aumenta vertiginosamente la richiesta di documenti per l’espatrio (tra il 1900 e il 1913 sono chiesti 73.000 passaporti) e cambiano le mete: dal 1 gennaio 1905 al 20 febbraio 1906 su 5.827 richiedenti l’autorizzazione a partire nel circondario di Sora ben 4.072 vanno negli Stati Uniti. Negli stessi anni i flussi dal circondario di Frosinone, che appartiene alla provincia di Roma, sono diretti sempre verso gli Stati Uniti, ma non disdegnano Argentina e Brasile. Sono coinvolti molti centri del frusinate (Alatri, Anagni, Ceccano, Ferentino, Veroli, Frosinone, e poi Boville Ernica, Monte San Giovanni Campano, Ceprano, Guardino, Collepardo, Patrica) e nascono veri e propri network, che, per esempio, collegano Anagni e Rochester, Patrica e Pittsburgh31. Nel frattempo non spariscono del tutto i movimenti sulla scia degli ambulanti, in particolare verso la Francia e l’Inghilterra. Così Luigi Salazar scrive alla vigilia della prima guerra mondiale che un folto gruppo dei trecento italiani a Dublino viene da Casalattico e si dedica alla vendita di gelati32. Il caso di Casalattico potrebbe segnalare come da alcuni lavori ambulanti si sia passati a occupazioni più stabili (operando comunque nell’ambito di una mini-catena migratoria33). Un qualcosa del genere è forse tentato anche in Francia, ma con minore fortuna, anche per l’attrazione del lavoro nelle vetrerie34. Per la Francia e la Svizzera resta inoltre traccia di spostamenti di manodopera specializzata35.
In merito alle partenze dalle aree più meridionali del Lazio gli studiosi sottolineato come, da un lato, alcune di queste facessero parte della Campania e, dall’altro, come persino il circondario di Frosinone rispondesse alle sollecitazioni del Sud36. Maria Rosa Protasi suggerisce che gli esodi ottocenteschi sono legati alla preesistente tradizione di migrazioni stagionali o comunque temporanee verso l’Europa per comprare casa o terra, oppure per integrare l’economia familiare, mentre dopo il 1900 si parte per la pressione demografica dovuta all’erosione della mortalità37. In questa nuova congiuntura, aggiunge Marco Grispigni, si seguono i flussi meridionali con circa tre anni di ritardo, ma si resta comunque interessati a rientrare il prima possibile e con il massimo di entrata: per questo si scelgono mete oltreoceano, dove sono più alti i salari38.
Per quanto ci è dato di sapere anche la diaspora viterbese segue linee analoghe (micro-mobilità locale, partenze verso l’Europa e infine mete transoceaniche), ma con numeri molto ridotti. Dopo la prima guerra mondiale, le partenze riprendono sia nel viterbese, che nella Ciociaria con le stesse modalità, ma progressivamente la chiusura di alcuni sbocchi migratori obbliga a sostituire la Francia (soprattutto per il viterbese) e l’Inghilterra alle mete transatlantiche39.

3. Dopo la seconda guerra mondiale

L’emigrazione dal Lazio nel secondo dopoguerra è stata affrontata dagli studiosi a partire da differenti approcci di ricerca. Possiamo individuare complessivamente cinque percorsi di riferimento. Innanzitutto gli studi sullo spopolamento di alcune aree della regione. In secondo luogo quelli sull’emigrazione da determinate zone del Lazio. In terzo luogo i lavori sull’emigrazione laziale verso aree specifiche. In quarto luogo i saggi su determinati aspetti dell’esperienza migratoria: la dimensione economica e occupazionale, i percorsi di insediamento nelle zone di arrivo, la vita religiosa. In quinto luogo, gli atti di conferenze e convegni di ambito istituzionale dedicati all’emigrazione.

 

Gli studi sullo spopolamento non hanno avuto come obiettivo specifico la ricostruzione dell’emigrazione laziale all’estero ma sono molto utili per capire il contesto in cui si colloca la ripresa dell’emigrazione di massa al termine della seconda guerra mondiale. Le statistiche mostrano con chiarezza che nel periodo 1951-1990 si registra una forte polarizzazione tra aree che subiscono un notevole regresso demografico e aree che incrementano progressivamente il numero di residenti. In particolare nel periodo 1951-1971 sono le province di Viterbo, Rieti e Frosinone a perdere abitanti, mentre Roma e Latina funzionano come centri di attrazione. Soltanto in alcune zone delle provincie in regresso demografico, la situazione si inverte negli anni 1980-1990. È quindi evidente che l’emigrazione ha giocato un ruolo importantissimo nello spopolamento progressivo di alcune provincie40. Entrando più nello specifico, Augusto Ascolani ha ricostruito il progressivo spopolamento dell’area Cassino-Sora, a partire dal 1871. Tra il 1951 e il 1981 gli abitanti dell’area si sono ridotti da 81.388 a 60.325. In particolare, nel periodo 1951-1971 la perdita migratoria ha superato sensibilmente il saldo naturale della popolazione, con cifre sensibilmente superiori al dato più generale riguardante la provincia di Frosinone e a quello ancora più generale riguardante la regione Lazio. Naturalmente, i dati di cui si parla non si riferiscono soltanto all’emigrazione all’estero, ma a tutti i movimenti di popolazione al di fuori della provincia41.
Gli studi sulle aree di partenza hanno riguardato principalmente proprio la provincia di Frosinone, che non a caso risulta la provincia in cui l’emigrazione all’estero continua a rappresentare una scelta di massa sin verso il 1980. Uno degli studi più importanti e completi è dedicato da Adelina Miranda al paese di Casalvieri e in particolare ai suoi abitanti che si sono trasferiti in Francia. Questi, secondo l’autrice, hanno sviluppato nel corso dei decenni un’abitudine alle migrazioni tale da generare in loro un radicato bilocalismo. L’emigrazione da Casalvieri è un dato costante in tutto il secondo dopoguerra e rappresenta – economicamente e culturalmente – una delle caratteristiche principali del paese anche quando si è esaurita come fenomeno di massa42. Il caso di Casalvieri si pone come paradigmatico, soprattutto per quanto riguarda la periodizzazione dell’emigrazione. In provincia di Frosinone infatti lo sviluppo dell’emigrazione nel secondo dopoguerra avviene in continuità con flussi già attivi, iniziati addirittura ai primi del Novecento. Come la cesura del secondo dopoguerra, anche la cesura della metà degli anni settanta– acquisita nel dibattito storiografico come momento di chiusura dell’emigrazione di massa – resta più sfumata nel caso della provincia di Frosinone. Lucio Maciocia, ad esempio, ha studiato gli emigranti provenienti dal comune di San Donato Val Comino residenti in Canada e negli Stati Uniti. La sua ricerca – ricca di dati statistici – ha approfondito l’insieme dei legami tra il paese di origine e le comunità emigrate, approfondendo il contributo che esse possono dare allo sviluppo di San Donato. Emerge, innanzitutto, che l’emigrazione da questo paese è avvenuta in modo marcato negli anni cinquanta, per poi proseguire nei decenni successivi e non interrompersi affatto negli anni settanta: nel triennio 1984-86 il paese presentava ancora un saldo migratorio negativo. Maciocia affronta alcuni nodi fondamentali della dinamica migratoria, come il problema del ritorno al paese di origine e delle esigenze ad esso legate ma anche delle numerose difficoltà che comporta. Il tema dei ritorni – con tutte le sue contraddizioni – è d’altronde particolarmente ricorrente nella bibliografia sulle migrazioni laziali del secondo dopoguerra43.
In effetti la questione è controversa. La ricostruzione del flusso verso l’Australia, iniziato nel 1948, di due paesi in provincia di Latina, Sezze e Sonnino, mostra come esso coincida con altre esperienze del secondo dopoguerra: l’inserimento in progetti collettivi di emigrazione, la selezione al centro di emigrazione di Napoli, la quarantena in Australia nei campi di smistamento, il tasso molto basso di ritorni in patria, l’evoluzione economica da lavoratori dipendenti a lavoratori autonomi44.
Nel dibattito storiografico una questione centrale è rappresentata quindi non soltanto dall’analisi delle emigrazioni, ma anche dalla questione dei ritorni. Brian Reynolds ha ricostruito assieme a Russell King i dettagli dell’emigrazione da Casalattico (Frosinone) in Irlanda. Una comunità, quella di Casalattico, che nel secondo dopoguerra è diventata addirittura maggioritaria nella popolazione italo-irlandese. La sua specificità si può dedurre proprio dalle tipologie del ritorno in patria. Questo infatti non appare dettato da motivazioni materiali, ma dalla scarsa integrazione nel tessuto sociale del paese di arrivo. Il gruppo immigrato è concentrato nel solo settore professionale della ristorazione e soprattutto è egemone nell’insieme della comunità italiana. Iniziati a partire dal quinquennio 1971-1975 (quando il saldo migratorio nel comune è diventato positivo) i ritorni sono caratterizzati da pochi problemi di adattamento, ma anche da scarsa capacità di incidere positivamente sull’economia del paese45.
Sempre sul tema dei ritorni, si segnala uno studio comparato tra la zona di Cassino e quella del Vallo di Diano, in cui a partire da 400 interviste a emigranti rientrati si ricostruiscono i profili sociali delle partenze dalle due zone, riscontrando affinità e divergenze. Una delle differenze più interessanti tra le due aree è relativa alle zone di destinazione delle migrazioni: nella zona di Cassino hanno prevalso i flussi diretti in Europa, nel Vallo di Diano quelli transoceanici46.
Gli studi sulle aree di partenza si sono progressivamente incrociati – a partire dalla seconda metà degli anni settanta – con le ricerche e i progetti di ambito istituzionale. Iniziava appunto in quegli anni la stagione dei ritorni, che ponevano nuove e delicate questioni sociali. Emergeva quindi l’esigenza di approfondire il fenomeno e, parallelamente, l’emigrazione cominciava pure a essere percepita come possibile risorsa per lo sviluppo locale, in un’ottica di integrazione tra comunità emigrate e zone di origine. Con questo duplice obiettivo sono organizzate dal 1980 conferenze regionali e provinciali sull’emigrazione e l’immigrazione: la pubblicazione dei loro atti ci permette di ricostruire brevemente le linee del dibattito politico al riguardo e soprattutto i problemi posti alle istituzioni dai rappresentanti delle comunità emigrate. La legge regionale n. 68 del 1975 aveva pianificato le attività della regione Lazio nel settore, istituendo tra l’altro la Consulta regionale emigrazione e immigrazione, che da allora è diventata la sede istituzionale di riferimento per gli interventi in materia.
Con la questione dei ritorni si poneva innanzitutto il problema della casa. Molti emigranti che rientravano erano proprietari soltanto di terreni, più o meno grandi, dove iniziavano a costruirsi la casa. Questa operazione avveniva, però, in maniera abusiva, con tutte le conseguenze del caso. Inoltre ci si trovava di fronte a una fitta serie di problemi amministrativi legati all’equipollenza dei titoli di studio, al riconoscimento delle pensioni, all’assistenza sanitaria, all’accesso alla formazione. Una delle questioni più delicate era quella della disoccupazione e del reinserimento lavorativo di coloro che tornavano: furono proposte da più parti soluzioni collettive, per esempio la costituzione di cooperative, ma fu difficile realizzarle praticamente47. Altro problema affrontato nelle conferenze è quella delle rimesse, sulle quali emergevano progetti di investimento e ricollocazione, ma anche questi ebbero scarso successo. Studi recenti hanno dimostrato che il Lazio ha progressivamente aumentato il suo peso nella bilancia nazionale delle rimesse degli emigranti, fino a risultare nel 2001 la prima regione a livello nazionale48.
Un settore che ha attirato l’attenzione delle istituzioni è quello dell’imprenditorialità italiana all’estero, spesso originata dalle comunità di emigrazione. In un recente studio della Filef sulle piccole e medie imprese italiane in Francia, Gran Bretagna e Belgio, il Lazio emerge nei tre paesi come la terza regione di provenienza degli imprenditori italiani: l’8,9% delle piccole e medie imprese italiane nei tre paesi considerati è stata aperta da persone provenienti dal Lazio, regione preceduta da Sicilia (22,3%) e Campania (12,8%). Tra i tre, il paese in cui è più forte la presenza di imprenditori di origine laziale è la Francia, dove il 18,5% delle piccole e medie imprese italiane è di proprietà di persone provenienti dal Lazio49. Salvatore Palidda ha messo in evidenza il dinamismo dei ciociari in Francia, soprattutto nei settori dell’edilizia e della ristorazione, sottolineando, però, il loro isolamento rispetto al sistema bancario italiano e francese e al relativo sostegno istituzionale50.
Le potenzialità delle cosiddette “business communities” italiane all’estero nell’ambito dell’economia laziale sono state evidenziate anche in un dossier realizzato dal CeSPI nel 1999. Questo lavoro contiene molti dati statistici ed è un’ottima fonte per approfondire la consistenza economica della presenza laziale nel mondo alla fine degli anni novanta51. Gli studi sulla presenza dei laziali nelle zone di emigrazione non riguardano necessariamente la sola emigrazione dalla loro regione, spesso anzi i laziali sono individuati nel contesto più esteso delle comunità italiane all’estero. Segnaliamo innanzitutto gli studi su Irlanda e Gran Bretagna. Una Power ha ricostruito la storia degli italiani in Irlanda dalla metà dell’Ottocento agli anni ottanta del Novecento e si è soffermata molto – per quanto riguarda il periodo del secondo dopoguerra – sugli emigranti provenienti dalla Val di Comino, ricostruendone soprattutto i percorsi professionali, nella maggior parte dei casi nell’ambito della ristorazione. Non mancano spunti molto interessanti, soprattutto per quanto riguarda gli stretti legami tra l’Irlanda e le zone di provenienza degli emigranti: basti pensare al contribuito degli emigranti alla ricostruzione post-bellica del paese di origine52. Umberto Marin ha evidenziato come l’immigrazione laziale in Gran Bretagna sia stata continua dalla fine dell’Ottocento agli anni settanta del Novecento53. Anche Terri Colpi ha ricordato il contributo del Lazio all’emigrazione italiana in Gran Bretagna, soprattutto in Scozia, dove nel secondo dopoguerra il flusso è proseguito a Edimburgo, ma non a Glasgow, che pure era stata una meta prima della guerra54. Katia Marcantonio ha segnalato che la presenza laziale, in particolare frusinate, sia aumentata progressivamente in Irlanda per entrare in crisi negli anni settanta a causa della concorrenza tra i fish and chips (gestiti da italiani) e i fast-food. A partire dagli anni settanta si registra un decentramento nelle periferie delle comunità italiane: lo stesso Istituto italiano di cultura sorge a Dublino in una zona appena fuori dalla città55. Sandra Chistolini ha messo in evidenza come, a Edimburgo, la comunità italiana di gran lunga più presente sia quella laziale, secondo dati aggiornati al 1982 (44,6% del totale). Tra i laziali la maggioranza proviene dalla provincia di Frosinone (82,9%) e il resto dalla provincia di Roma. Il comune di gran lunga più rappresentato è Picinisco (Frosinone). Nella ricerca sono stati analizzati in profondità – attraverso interviste – le relazioni tra le varie generazioni di donne e i loro rapporti con il paese di origine e il paese di arrivo56.
Restando in Europa, Marie-Claude Blanc-Chaléard ha trovato tracce di immigrazione laziale dopo il 1945 nella città di Parigi e ha ricostruito percorsi migratori da Cassino e dalla Ciociaria in generale. Molto interessante il riferimento a un rapporto redatto nel 1952 dalla Missione cattolica di Parigi, in cui i ciociari vengono definiti come un gruppo “très chrétiens, mais ni instruits, ni cultivés”, a metà strada tra i bergamaschi, definiti credenti praticanti e colti, e i romagnoli, inquadrati come fortemente anticlericali57. Anne Sportiello ha ricostruito feste e tradizioni dei pescatori del Vieux-Port di Marsiglia, utilizzando testimonianze e racconti di immigrati dal Lazio meridionale (Ventotene, Sperlonga, Itri, Formia e Gaeta), che forniscono notizie sull’emigrazione di pescatori avvenuta tra le due guerre e il secondo dopoguerra, in continuità con alcune tradizionali zone di emigrazione analoghe in provincia di Napoli e Salerno58. La presenza di emigrati laziali ha segnato anche la letteratura dei paesi di arrivo. In una antologia sulla letteratura prodotta da italiani in Belgio sono citati Franco Capogrossi, Giovanna Catelli, Pino Caprioli, Tilde Barboni, Pietro Pizzuti, tutti provenienti dal Lazio59.

 

Trasferendosi oltreoceano, Clifford Jansen e Lee La Cavera hanno accorpato le statistiche migratorie sui flussi provenienti dall’Italia e diretti in Canada e Stati Uniti per il periodo 1962-1971, evidenziando che dal Lazio negli anni considerati partono 14.064 persone per il Canada e 10.047 per gli Stati Uniti, cioè il 10,1% degli emigranti italiani in Canada e il 7,3% di quelli diretti negli Stati Uniti, con una forte prevalenza della provincia di Frosinone60. Sempre a proposito del Canada, John Giovanni Fainella ha evidenziato la pluralità delle immigrazioni laziali, mettendo in evidenza una molteplicità di storie di successo e ascesa sociale nel paese di arrivo. La presenza di flussi migratori così differenti tra loro non sarebbe altro che il risultato della diversità dell’origine delle migrazioni stesse61. Una forte presenza laziale è segnalata anche nella comunità italiana di Sarnia-Lambton, in Canada, dove nel 1990 i laziali erano 1.218 su un totale di 2.424 italiani. Iniziata negli anni settanta dell’Ottocento, l’emigrazione nella zona è proseguita costantemente anche dopo la seconda guerra mondiale62.

4. Conclusioni

Dalla bibliografia esistente sull’argomento è emerso innanzitutto che l’emigrazione è stata, in età moderna come in quella contemporanea, una costante importante del territorio che oggi definiamo come appartenente alla regione Lazio. Si è trattato di un fenomeno che ha avuto origini differenti a seconda dei periodi, dei gruppi sociali, delle zone prese in esame. In particolare le diversità sono essenzialmente riconducibili a due percorsi: l’esilio politico e l’emigrazione per ragioni economiche. Il caso del Lazio presenta – a una prima ricognizione storiografica – una certa polarizzazione tra i due percorsi, che risultano essere ben distinti tra loro, al contrario di quanto recenti ricerche hanno dimostrato a proposito dell’emigrazione di massa in generale. D’altronde, la costante dell’emigrazione si accompagna nella regione all’ingombrante presenza di una capitale politica, che soprattutto nei periodi in cui prevale una gestione autoritaria dell’ordine pubblico è difficilmente compatibile con forme estese e organizzate di dissenso radicale e spinge quindi all’emigrazione i suoi oppositori.
Dalla nostra rassegna storiografica emerge con continuità che l’emigrazione ha giocato un ruolo fondamentale nella storia economica della regione. Nel corso dei secoli si sono formate tra il Lazio e i paesi di emigrazione numerose catene migratorie, che hanno creato una fitta rete di rapporti economici tra i paesi, le valli e intere provincie del Lazio e le zone in cui gli emigranti si sono via via stabiliti. Questi legami hanno incentivato la ripetizione delle migrazioni e l’afflusso costante nel Lazio di ingenti quantità di rimesse. L’emigrazione laziale è stata d’altronde caratterizzata dalla presenza di una forte specializzazione di mestiere, in alcuni casi già precedente alla partenza per l’estero, in altri casi formatasi “sul campo” nei paesi di destinazione. I dati più recenti sull’afflusso nel Lazio di capitale derivante da rimesse di emigrazione dimostrano che ancora oggi nell’economia della regione hanno un peso importante i rapporti con le comunità residenti all’estero.
La mobilità internazionale della popolazione laziale è comunque un fenomeno che soltanto in parte è riconducibile agli schemi tradizionali del push-pull e alle oscillazioni del mercato del lavoro locale. Esistono nel caso laziale variabili fondamentali, che sono in gran parte addebitabili alla centralità della città di Roma nella storia della regione. La capitale infatti funziona – praticamente per tutto il lungo arco cronologico da noi preso in esame – sia come polo di attrazione per tutta la popolazione della regione, sia come luogo di smistamento per partenze a più lungo raggio, sia infine come crocevia di informazioni, opportunità e passaggi burocratici che precedono l’emigrazione per l’estero. In questo contributo, ci siamo soffermati principalmente sui flussi dei “laziali nel mondo” (per quanto la stessa definizione come già puntualizzato sia di dubbia attendibilità scientifica): il percorso della nostra ricerca è destinato ad allargarsi ulteriormente se nella categoria si facessero rientrare anche quei gruppi che da altre parti dell’Italia e del pianeta hanno risieduto nella regione per poi lasciare il paese. Tra questi si possono annoverare – a titolo di esempio – gli immigrati veneti chiamati per la bonifica dell’agro pontino, i profughi dall’est sistemati nei campi del Lazio meridionale nel secondo dopoguerra, i rifugiati somali giunti a Roma a partire dalla metà degli anni settanta. Una parte di queste comunità, dopo aver vissuto nel Lazio anche per decenni, ha lasciato la regione per dirigersi all’estero.
Il vero problema che si pone per chi voglia ricostruire l’emigrazione di massa dal Lazio è in conclusione l’esiguità dei punti di riferimento bibliografici al riguardo, questione segnalata nell’apertura di questo contributo. L’emigrazione dal Lazio è stata infatti studiata a fondo soltanto in alcuni suoi aspetti particolari, ma del fenomeno nella sua complessità sono state fornite fino ad oggi soltanto poche chiavi di lettura. Ciò che emerge con forza è che restano ancora inesplorate la gran parte delle fonti che potrebbero aiutare la ricerca: dagli archivi dei comuni interessati a quelli delle istituzioni nazionali competenti, dalle fonti a stampa a quelle orali e alla memorialistica.

 

Note
1 Il lavoro è stato pensato congiuntamente, ma Matteo Sanfilippo ha redatto i paragrafi 1 e 2, mentre Michele Colucci è l’autore di quelli 3 e 4.
2 Cfr., da un lato, Roberto Almagià, Lazio, Torino, Utet, 1976 (Le regioni d’Italia), pp. 222- 228; Il Lazio, a cura di Alberto Caracciolo, Torino, Einaudi, 1991 (Storia d’Italia: le regioni dall’unità ad oggi), passim; Marco Grispigni, L’emigrazione transoceanica dal Lazio nel periodo giolittiano, in Il Lazio. Istituzioni e società nell’età contemporanea, a cura della Fondazione Pietro Nenni, II, Roma, Gangemi, [1993], pp. 15-54. Dall’altro, Maria Rosaria Protasi, L’emigrazione ciociara dall’Ottocento al Secondo Dopoguerra. Saggio Bibliografico, “Studi Emigrazione”, 155 (2004), pp. 693-714; Adele Ragonesi, L’emigrazione negli archivi storici dei comuni di Bagnaia e di San Martino al Cimino dal 1870 al 1928, in Emigrazione e storia d’Italia, a cura di Matteo Sanfilippo, Cosenza, Pellegrini Editore, 2003, pp. 91-113.
3 Fabrizia Gurreri, Immagini statistiche del Lazio dall’unificazione nazionale ai nostri giorni, in Il Lazio, a cura di A. Caracciolo, cit., pp. 599-604.
4 Regione Lazio – Coordinamento degli Istituti culturali del Lazio, Atlante storico-politico del Lazio, Roma-Bari, Laterza, 1996.
5 Per l’antichità classica, cfr. Emigrazione e immigrazione nel mondo antico, e Coercizione e mobilità umana nel mondo antico, entrambi a cura di Marta Sordi, Milano, Vita e Pensiero, rispettivamente 1994 e 1995. Per l’attività portuale nel medioevo: Arnold Esch, Navi nel porto di Roma. Esempi di carichi di merci nei registri doganali del Quattrocento, in Medioevo, Mezzogiorno, Mediterraneo. Studi in onore di Mario Del Treppo in occasione del suo settantesimo compleanno, a cura di Gabriella Rossetti e Giovanni Vitolo, Napoli, Liguori-Gisem, 2000, II, pp. 93-103.
6 Matteo Sanfilippo, Archival Evidence on Postwar Italy as a Transit Point for Central and Eastern European Migrants, in Revisiting the National Socialist Legacy. Coming to Terms with Forced Labor, Expropriation, Compensation, and Restitution, a cura di Oliver Rathkolb, Innsburck-Wien-München-Bozen, Kreisky Archiv Studien Verlag, 2002, pp. 241-258. Vedi inoltre Id. – Federica Bertagna, Per una prospettiva comparata dell’emigrazione nazifascista dopo la seconda guerra mondiale, “Studi Emigrazione”, 155 (2004), pp. 527-553.
7 Maria Immacolata Macioti ed Enrico Pugliese, L’esperienza migratoria. Immigrati e rifugiati in Italia, Roma-Bari, Laterza, 2003. Il problema della doppia migrazione (verso Roma e da qui in Nord America) non è stato seguito dagli studiosi, ma ha attirato l’attenzione di scrittori e registi, cfr. il romanzo di Edoardo Albinati Il polacco lavatore di vetri (Milano, Longanesi, 1989: nuova edizione Milano, Mondadori, 1998) e il film che ne ha tratto Peter Del Monte (La ballata dei lavavetri, 1998).
8 Ermanno Vitale, Ius migrandi. Figure di erranti al di qua della cosmopoli, Torino, Bollati Boringhieri, 2004.
9 Antonio Ivan Pini, Le grandi migrazioni umane nell’antichità e nel Medioevo, Firenze, La Nuova Italia, 1969; Walter Pohl, Le origini etniche dell’Europa. Barbari e Romani tra antichità e medioevo, Roma, Viella, 2000.
10 Per menzionare un particolare ben noto: la S. Pietro altomedievale era circondata dalle “Scholae” (centri di carità e ospizi su base “nazionale”) dei sassoni, dei frisoni e dei franchi e il nome stesso del rione Borgo deriva dal germanico Burg (centro abitato).
11 Cfr. Arnold Esch, Viele Loyalitäten, eine Identität. Italienische Kaufmannskolonien im spätmittelalterlichen Europa, in Id., Zeitalter und Menschenalter. Der Historiker und die Erfahrung vergangener Gegenwart, München, Beck, 1994, pp. 115-133; Comunità forestiere e “nationes” nell’Europa dei secoli XIII-XVI, a cura di Giovanna Petti Balbi, Napoli, Liguori- Gisem, 2001; Donna Gabaccia, Emigranti. Le diaspore degli italiani dal Medioevo a oggi, Torino, Einaudi, 2003.
12 Gli atti privati nel Tardo Medioevo. Fonti per la storia sociale, a cura di Paolo Brezzi ed Egmont Lee, Roma, Istituto di Studi Romani, 1884; Roma capitale (1447-1527), a cura di Sergio Gensini, Pacini Editore, Pisa 1994; Anna Esposito, Un’altra Roma. Minoranze nazionali e comunità ebraiche tra Medioevo e Rinascimento, Roma, Il Calamo, 1995, e Roma e i suoi abitanti, in Roma nel Rinascimento, a cura di Antonio Pinelli, Roma-Bari, Laterza, 2001, pp. 3-47; Manuel Vaquero Piñeiro, Artigiani e botteghe spagnole a Roma nel primo ‘500, “Rivista Storica del Lazio”, 3 (1995), pp. 99-116, La renta y las casas. El patrimonio inmobiliario de Santiago de los Españoles en Roma entre los siglos XV y XVII, Roma, “L’ERMA” di Bretschneider, 1999, e Viaggiatori spagnoli a Roma nel Rinascimento, Pàtron, Bologna 2001; Popolazione e società a Roma dal medioevo all’età contemporanea, a cura di Eugenio Sonnino, Il Calamo, Roma 1998; Eugenio Sonnino, Le anime dei romani: fonti religiose e demografia storica, in Roma, la città del papa, a cura di Luigi Fiorani e Adriano Prosperi, Torino, Einaudi, 2000 (Storia d’Italia, Annali 16), pp. 329-364.
13 Italo Toscani, Le balie ciociare, “Strenna ciociara”, 1965, pp. 117-123; Giorgio Rossi, L’agro di Roma tra ‘500 e ‘800, Condizioni di vita e lavoro, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1985; Angiolina Arru, Il servo. Storia di una carriera nel Settecento, Bologna, Il Mulino, 1995, e Il prezzo della cittadinanza. Strategie di integrazione nella Roma pontificia, “Quaderni storici”, 91 (1996), pp. 157-171.
14 Marco Vendittelli, “In partibus Angliae”. Cittadini romani alla corte inglese nel Duecento: la vicenda di Pietro Saraceno, Roma, Viella, 2001.
15 Oltre a quanto già menzionato, cfr. La città italiana e i luoghi degli stranieri XIV-XVIII secolo, a cura di Donatella Calabi e Paola Lanaro, Roma-Bari, Laterza, 1998; L’Italia delle migrazioni interne, a cura di Angiolina Arru e Franco Ramella, Roma, Donzelli, 2003; e soprattutto i lavori di Giovanni Pizzorusso: I movimenti migratori in Italia in antico regime, in Storia dell’emigrazione italiana, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina, I, Partenze, Roma, Donzelli, 2001, pp. 3-16, e Le migrazioni degli italiani all’interno della Penisola e in Europa in età moderna, in Movilidad y migraciones internas en la Europa latina, a cura di Antonio Eiras Roel e Domingo L. Gonzales Lopo, Santiago de Compostela, Universidad de Santiago de Compostela, 2002, pp. 55-85.
16 Manuel Vaquero Piñeiro, Per la storia di un gruppo imprenditoriale romano in età moderna: la produzione della calce, “Roma moderna e contemporanea”, VI, 3 (1998), pp. 291- 310.
17 Angiolina Arru, Reti locali, reti globali: il credito degli immigrati (secoli XVIII-XIX), in L’Italia delle migrazioni interne, cit., pp. 77-110.
18 Giorgio Rossi, Emigrazione umbra nella campagna romana (XVI-XIX secolo), in Poveri in cammino. Mobilità e assistenza tra Umbria e Roma in età moderna, a cura di Alberto Monticone, Milano, FrancoAngeli, 1993, pp. 170-171.
19 G. Rossi, Emigrazione umbra, cit., p. 174.
20 Angiolina Arru, Uomini e donne al mercato del lavoro servile, in Il lavoro delle donne a cura di Angela Groppi, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 247-268.
21 A. Arru, Uomini e donne, cit.; Giacomina Nenci, Realtà contadine, movimenti contadini, in Il Lazio, a cura di A. Caracciolo, cit., in particolare pp. 171-179.
22 M. Vendittelli, “In partibus Angliae”, cit.; Roma medievale, a cura di André Vauchez, Roma-Bari, Laterza, 2001.
23 Matteo Sanfilippo, Spie e banchieri, soldati e mercanti da Parigi al Mississippi (1650-1750), in Mercanti e viaggiatori per le vie del mondo, a cura di Giovanna Motta, Milano, FrancoAngeli, 2000, pp. 200-214; Anna Maria Rao, Esuli. L’emigrazione politica italiana in Francia (1792-1802), Napoli, Guida Editori, 1992.
24 Guida delle fonti per la storia dell’America latina esistenti in Italia, a cura di Elio Lodolini, Roma, Pubblicazioni degli Archivi di Stato, 1976, pp. 184-185; Id., L’esilio in Brasile dei detenuti politici romani, “Rassegna storica del Risorgimento”, LXV, 2 (1978), pp. 131-171, e Un tentativo di “deportare” in Australia detenuti politici dello stato pontificio (1853), in Italia-Australia 1788-1988, a cura di Romano Ugolini, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1991, pp. 455-469.
25 Raffaele Ciocci, L’inquisition à Rome, en 1841, ou iniquités et cruautés exercées à Rome sur la personne de Raphael Ciocci, Paris, Paulin, 1844.
26 Fabio Baggio, Gli italiani di Brisbane. Storia della collettività italiana dal 1870 al 1940, Quezon City – Brisbane, Scalabrini Migration Center – Rintocchi, 2004, pp. 67-76.
27 Atti della giunta per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, vol. XI, Relazione del commissario marchese Francesco Nobili-Vitelleschi sulla quinta circoscrizione, fasc. I, Province di Roma e di Grosseto, Roma, Forzani e C., 1883; ibid., vol. VII, Relazione del senatore e commendatore Fedele De Siervo, commissario per la III circoscrizione, Roma, Forzani e C., 1882.
28 Atti dell’inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali e nella Sicilia, vol. IV, Campania, t. 1, Relazione del delegato tecnico O. Bordiga, Roma, Tipografia nazionale di Giovanni Bertero, 1909; Raniero Paulucci di Calboli, Lacrime e sorrisi dell’emigrazione italiana, Milano, Mondadori, 1996 (tit. or. Larmes et sourires de l’émigration italienne, Paris, Société d’édition et de publication Felix Juven, 1909).
29 Maria Rosa Protasi, I fanciulli italiani nelle vetrerie francesi: emigrazione e tratta minorile nel circondario di Sora agli inizi del Novecento, “Studi Emigrazione”, 134 (1999), pp. 194- 241, e Al lavoro nelle vetrerie francesi: storie di bambini emigranti di Alvito di fine Ottocento, “Giornale di storia contemporanea”, 1 (2003), pp. 3-32.
30 Chiara Traino Genoino, Suonatori ambulanti nelle province meridionali. Archivi della polizia borbonica e post-unitaria nell’Ottocento, “La ricerca folklorica”, n. 19, 1989, pp. 69-75, ed Emigrazione in Inghilterra, Francia e Germania degli zampognari italiani nella prima metà del XIX secolo, “La critica sociologica”, n. 90-91, 1989, pp. 290-305.
31 Maria Rosa Protasi, Operai e contadini della valle del Liri. Condizioni di vita, famiglia, lavoro (1860-1915), Sora, Centro di Studi Sorani “Vincenzo Patriarca”, 2002.
32 Luigi Salazar, Gli italiani in Irlanda, “Rivista Coloniale”, 12 luglio 1912, pp. 23-25. Studi più recenti mostrano come il gruppo di Casalattico divenga maggioritario in Irlanda: Brian Reynolds, Casalattico and the Italian Community in Ireland, Dublin, UCD – Foundation for Italian Studies, 1993.
33 Russell King e Brian Reynolds, Italiani in Irlanda, note storico-geografiche, “Bollettino della Società geografica italiana”, ser. XI, 7 (1990), pp. 509-529, e Casalattico, Dublin and the fish and chip connection: a classic example of chain migration, “Studi Emigrazione”, 115 (1994), pp. 398-425.
34 Salvatore Palidda, L’émigration italienne en France: l’exemple des groupes régionales italiens en France, “Studi Emigrazione”, 78 (1985), pp. 226-234.
35 Operai specializzati e artigiani muovono dalla valle del Liri verso l’Italia settentrionale (Piemonte e Lombardia), la Francia e la Svizzera: M.R. Protasi, Operai e contadini, cit., p. 101; Alfredo Martini, Biografia di una classe operaia: i cartai della valle del Liri 1824- 1954, Roma, Bulzoni, 1984, p. 85. Sui ciociari a Lione prima e dopo la grande guerra, cfr. Edmond Galasso, Italiens d’hier et d’aujourd’hui. L’histoire d’un peuple d’émigrants: une communauté, une culture, une tradition, Lyon, Impr. du Batîment, 1986, pp. 113 e 118. Sulla sopravvivenza di lavori legati alla tradizione ambulante: Antonio Bevilacqua, Modelli di Gallinaro a Parigi, “Strenna ciociara”, 1965, pp. 219-223.
36 Andreina De Clementi, La prima emigrazione, in La Campania, a cura di Paolo Macry e Pasquale Villani, Torino, Einaudi, 1990 (Storia d’Italia: le regioni dall’unità ad oggi), pp. 371-396, e Di qua e di là dell’oceano. Emigrazione e mercati nel Meridione (1860-1930), Roma, Carocci, 1999; Francesco Martino e Matteo Marini, Famiglie rurali e percorsi di mobilità nel Lazio contemporaneo, in Storia dell’agricoltura in età contemporanea, a cura di Piero Bevilacqua, II, Uomini e classi, Venezia, Marsilio, 1990, pp. 555-595; M. Grispigni, L’emigrazione transoceanica, cit.; M.R. Protasi, Operai e contadini, cit., pp. 243-249.
37 M.R. Protasi, Operai e contadini, cit., p. 83.
38 M. Grispigni, L’emigrazione, cit. Per i dati, si ricordi che nel periodo 1876-1915 partono 204.955 laziali (pari all’1,5% su 14.027.100 di espatri italiani). Tuttavia le partenze registrate sino al 1900 sono 15.830, appena lo 0,5% dei 5.257.830 allora complessivamente espatriati. Dopo il 1900 abbiamo invece 189.125 espatri (2% degli 8.769.680 italiani partiti tra il 1901 e il 1915. Si noti che tra il 1905 e il 1915 abbiamo anche 52.509 rimpatri (2,5% del totale). La stessa tendenza è confermata dai 114.378 espatri (2% del totale) negli anni 1916- 1942 a fronte dei 64.606 rimpatri (3% del totale) nello stesso periodo. Cfr. Luigi Favero e Graziano Tassello, Cent’anni di emigrazione italiana (1876-1976), in Un secolo di emigrazione italiana 1876-1976, a cura di Gianfausto Rosoli, Roma, Centro Studi Emigrazione, 1978, pp. 10-63.
39 A. Ragonesi, L’emigrazione, cit.; Salvatore Palidda, Maurizio Catani e Giovanna Campani, Scaldini, ciociari et reggiani entre indifférence, méfiance, fascisme et antifascisme dans les années 1920, in L’immigration italienne en France dans les années 1920, Paris, CEDEI, 1988, pp. 223-247; Franco Rizzi, Approche prosopographique de l’étude de l’émigration: départ et accueil, ibid.., pp. 143-161; Christiane Roussé, Saint-Priest. Histoire des immigrations italienne et espagnole (1922-1945), Lyon, Editions lyonnaises d’art et d’histoire, 1996.
40 Si veda F. Gurreri, Immagini statistiche, cit., p. 610. Molte statistiche sull’emigrazione laziale sono in AA.VV., Emigrazione italiana oggi. Aspetti regionali dell’emigrazione italiana, “Dossier Europa Emigrazione”, 7-8, 1985, pp. 1-41.
41 Per un quadro sulle origini e lo sviluppo dell’emigrazione dalla provincia di Frosinone dopo la seconda guerra mondiale si vedano: il fondamentale saggio di M.R. Protasi, L’emigrazione ciociara, cit.; Augusto Ascolani, L’area Cassino-Sora, in Ricerche sullo spopolamento in Italia, 1871-1971, a cura di Eugenio Sonnino, Roma, Comitato italiano per lo studio dei problemi della popolazione, 1982; Costantino Jadecola, Mal’aria: il secondo dopoguerra in provincia di Frosinone, Sora, Centro di studi sorani “Vincenzo Patriarca”, 1998; Antonietta Carestia, I movimenti migratori nella provincia di Frosinone, Frosinone, La Tipografica, 1965; Oliviero Casacchia, Luisa Natale e Salvatore Strozza, Migrazioni interne e migrazioni internazionali: il nuovo ruolo del Mezzogiorno, in Mezzogiorno e migrazioni interne, a cura di Corrado Bonifazi, Roma, Istituto di ricerche sulla popolazione del CNR, 1999, pp. 237-272.
42 Adelina Miranda, Pendolari di ieri e pendolari di oggi: storia di un paese di emigranti, L’Harmattan Italia, Torino, 1996. Su Casalvieri si vedano anche Serafino Gino Zincone, Nel mondo dall’Europa alle rotte di Colombo. I casalvierani in viaggio. Emigrati e uomini illustri, Castelliri, Pasquarelli, 1992, e IRPEOS, Possibilità e modalità di sviluppo dei rapporti tra zona d’origine e zona di emigrazione con riferimento alle esperienze degli emigrati di Casalvieri a Parigi, Roma, Regione Lazio, 1989.
43 Lucio Maciocia, Sviluppo dei rapporti tra gli emigrati e la loro terra di origine con lo studio della situazione dei nostri emigranti in Canada e negli Stati Uniti, Comune di San Donato Val di Comino, s.d. Sulle dinamiche economiche locali si vedano anche: Maria Antonietta Belasio, Pontecorvo. L’economia recente e attuale di un’antica “exclave” pontificia, “Bollettino della Società geografica italiana”, fasc. 7-12 (1973), pp. 453-528; Camera di commercio, agricoltura, industria e artigianato di Frosinone, L’economia della provincia, Isola Liri, Tipografia Editrice M. Pisani, 1967; C. Canali De Rossi, Appunti sociologici in tre centri d’emigrazione (S.Giovanni Incarico, Ceccano, Ricigliano), “Genus”, XII, 1-4 (1956), pp. 15-87. Sulla Valle di Comino, cfr. Domenico Celestino, Gallinaro…Venti secoli sulla collina, Casalvieri, Edizioni Centro Studi Cominium, 1980; Renata Marsili, La val di Comino. Note antropogeografiche, “Bollettino della Società geografica italiana”, VI (1965), pp. 553-586; Luciano Caira e Vincenzo Orlandi, Valle di Comino… appena ieri: le immagini della memoria di una comunità, Gaeta, Albatros, 2001.
44 Si veda Fausto Orsini, Emigrazione in Australia: un’indagine condotta in due centri del Lazio meridionale, Sezze e Sonnino, in Italia-Australia 1788-1988, a cura di Romano Ugolini, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 1988, pp. 487-490.
45 B. Reynolds, Casalattico, Dublin and the italian community, cit.; R. King e B. Reynolds, Casalattico, cit.; R. King e B. Reynolds, Italiani in Irlanda, cit.; su Casalattico si veda anche Associazione culturale prospettive ’86, Un paese, un’emigrazione, immagini di ieri… prologo per una ricostruzione storico-fotografica dell’emigrazione da Casalattico dall’Unità d’Italia ad oggi, inserto speciale, “La Provincia di Frosinone”, 3-4 (1986). Sul più famoso emigrante di Casalattico, il miliardario Charles Forte, si veda The autobiography of Charles Forte, London, Sidgwich & Jackson, 1986.
46 Gerardo Gallo e Luisa Natale, Il rimpatrio in alcune zone dell’Italia centro-meridionale nell’ultimo periodo: caratteristiche strutturali e processi di mobilità, in Memorie migranti, a cura di Gianfranco Pecchinenda, Ipermedium, Certosa di Padula, 1995, pp. 121-142.
47 Assessorato ai Problemi del Lavoro, Emigrazione immigrazione. Guida pratica per ottenere i benefici della legge regionale n. 48 del 1986, Roma, Regione Lazio, 1988; Mario Malandrucco e Franca Marchioni (a cura di), 1ª Conferenza Provinciale sull’emigrazione e l’immigrazione. Il ruolo e l’iniziativa della Provincia e degli Enti Locali nei confronti dell’emigrazione e della immigrazione nel territorio metropolitano e provincia, Roma, 14 novembre 1986, Regione Lazio-Provincia di Roma; Regione Lazio-Consulta Regionale Emigrazione e Immigrazione, Emigrazione immigrazione. Trattamento di disoccupazione per i lavoratori rimpatriati dalla CEE e dagli altri Paesi. Equipollenza titoli di studio-Assistenza sanitaria, Roma, Regione: notizie utili, 1980; Regione Lazio Giunta Regionale, 1ª Conferenza Regionale dell’emigrazione e dell’immigrazione. Atti del convegno, 20-21-22 marzo 1980, Regione Lazio; Amministrazione Provinciale di Frosinone, Atti della 1ª Conferenza Provinciale per l’Emigrazione e l’Immigrazione, Cassino 12 luglio 1986, Regione Lazio provincia di Roma, 1986; Giammario Maffioletti, Il Lazio nel mondo, “Dossier Europa Emigrazione”, XVII, 5 (1992), pp. 7-8; Provincia di Frosionone, Seconda conferenza provinciale dell’emigrazione, Atina, 17-18 dicembre 2000, Editrice Filef, Roma, 2001.
48 Alberto Colaiacomo, Italia: le rimesse degli immigrati e degli emigrati, “Studi emigrazione”, 148 (2002), pp. 921-930, e Oliviero Forti, Le rimesse degli emigrati italiani: importi, provenienze e destinazioni, “Servizio Migranti”, 6 (1998), pp. 393-397.
49 Filef, Consistenza ed evoluzione del sistema di piccola e media impresa in emigrazione: Francia, Belgio e Regno Unito, numero speciale della rivista “Emigrazione”, 2002.
50 L’imprenditorialità italiana e italo-francese nella circoscrizione consolare di Parigi. Prospettive di sviluppo degli scambi economici italo-francesi, a cura di Salvatore Palidda, Paris, C.I.E.M.I., 1992.
51 Centro Studi di Politica Internazionale, Il sistema economico laziale. Il processo di internazionalizzazione e il possibile ruolo delle “Business Communities” italiane all’estero. Dossier realizzato in occasione della IV Conferenza Regionale dell’Emigrazione, giugno 1999.
52 Una Power, Terra straniera. The story of the Italians in Ireland, Dublin, 1988.
53 Umberto Marin, Gli italiani in Gran Bretagna, Roma, Centro Studi Emigrazione, 1978.
54 Terri Colpi, The Italian Community in Glasgow, “Association of Teachers of Italian Journal”, autunno 1979, pp. 62-75, e La migrazione italiana in Scozia: fatti, fantasia ed il futuro, “Affari sociali internazionali”, 4 (1986), pp. 155-174. Si veda anche Andrew Wilkin, Origin and destination of the early Italo-Scots, “Association of Teachers of Italian Journal”, autunno 1979, pp. 52-61.
55 Katia Marcantonio, L’emigrazione italiana in Irlanda, “Studi Emigrazione”, 129 (1998), pp. 127-35.
56 Sandra Chistolini, Donne Italoscozzesi. Tradizione e cambiamento, Roma, Centro Studi Emigrazione, 1986.
57 Marie-Claude Blanc-Chaléard, Les italiens dans l’est parisien. Une histoire d’intégration, Rome, Collection de l’École française de Rome, Roma, 2000, p. 645. Sull’assistenza religiosa dei laziali, cfr.: Gaetano Squilla, I miei tre viaggi nel Canadà e negli Stati Uniti, Frosinone, Tipografia dell’Abbazia di Casamari, 1969; Aldo Vicini, I diari di viaggio, in Don Gaetano Squilla: contributo alla conoscenza della Diocesi di Sora e del suo territorio, a cura di Luigi Gulia, Sora, Centro di Studi Sorani “V. Patriarca”, 1986; Michele Colagiovanni, Alle origini dell’emigrazione ciociara. Dal diario di Don Federico Simoni, arciprete di Patrica, in visita ai paesani emigrati in America, “Saggi Patricani”, 3 (1986), pp. 63-108. Sulla Francia si vedano anche: A. Bevilacqua, Modelli di Gallinaro, cit.; Salvatore Palidda, L’immigration italienne en France. II – L’exemple de groupes régionales italiens en France, “Studi Emigrazione”, 78 (1985), pp. 226-234, e Rapporto di ricerca sugli originari della valle di Comino, in Le comunità e i gruppi d’immigrati in Francia. Verso un nuovo modello di relazione tra l’emigrazione e le zone di origine, a cura di Giovanna Campani, Roma, Istituto F. Santi, 1982, pp. 33-109.
58 Anne Sportiello, Le pêcheurs du Vieux-Port. Fêtes et traditions de la communauté des pêcheurs de Saint-Jean, Marseille, Laffitte, 1981.
59 Si veda AA.VV., Rital-Littérature. Anthologie de la littérature des italiens de Belgique, Editions du Cerisier, Cuesmes, 1996.
60 Si veda Clifford Jansen e Lee R. Cavera, Italians in Canada, North York, York University, 1981. Sugli Stati Uniti si veda anche Carle C. Zimmerman, American roots in an italian village, “Genus”, XI, 1-4 (1955), pp. 78-139.
61 John (Giovanni) Fainella, Regional Identity in Migration: Laziali Immigrants in Canada, in A Monument for Italian-Canadian Immigrants Regional Migration from Italy to Canada, a cura di Gabriele Scardellato e Manuela Scarci Toronto, Department of Italian Studies, University of Toronto, 1999. Sul Canada si vedano anche: Osvaldo Baldacci, L’incidenza geografico-culturale del gruppo etnico italiano nel contesto urbano di Toronto, Roma, Università di Roma, Istituto di Geografia, Facoltà di Lettere e Filosofia, 1972; John E. Zucchi, Italians in Toronto. Development of a National Identity, 1875-1935, Kingston, McGill-Queen’s University Press, 1988.
62 One by one… Passo dopo passo…History of the Italian Community in Sarnia Lambton, Sarnia, Italo-Canadian cultural club of Sarnia, 1991.