Il contributo di Delia Frigessi Castelnuovo allo studio dell’emigrazione italiana

  1. Il percorso biografico-culturale

Nel ricostruire la biografia di Delia Frigessi colpisce soprattutto l’inscindibile legame tra il percorso di vita, il mai abbandonato impegno civile e la scoperta sia del tema dell’emigrazione sia degli altri oggetti di studio[1]. Triestina di nascita e mitteleuropea di origine, dopo la laurea in Filosofia, a Milano, stabilisce un sodalizio più che decennale con il suo relatore di tesi, Eugenio Garin, e con sua moglie. E da questa esperienza di vita sviluppa il suo primo filone di ricerca sulla cultura italiana. Dopo il trasferimento a Torino, con l’obiettivo mirato di impiegarsi presso Einaudi, simbolo dell’editoria di sinistra[2], pubblicherà presso lo stesso editore il volume sulla cultura italiana del Novecento, al quale farà seguito quello su Cattaneo[3]. Anche nella nuova sede, dove stabilisce duraturi rapporti con noti intellettuali della sinistra subalpina e con il futuro marito, scelte di vita e interessi culturali finiscono per coincidere[4]. Nel 1969, benché “femminista e intransigente comunista”, si trasferisce infatti a Losanna per seguire il marito, il noto storico dell’arte Enrico Castelnuovo[5]. L’arrivo in Svizzera rappresenta la prima svolta che le consentirà di coniugare impegno di militante politica e ricerca sul campo entrando in contatto con gli immigrati italiani[6].

In modo non diverso nasce anche il suo nuovo oggetto di studio. Sarà l’incontro con Michele Risso, impegnato medico a Berna, a stimolare la sua attenzione verso la psichiatria. Un argomento che declina dapprima sui temi legati alla nostalgia nell’emigrazione (nel noto volume a due mani con Risso[7]) e la condurrà poi all’altra sua lunga e ultima ricerca. Tornata a Torino, non solo è tra i fondatori della rivista di rassegna libraria “l’Indice dei libri del mese” e del premio letterario Italo Calvino[8], ma orienta anche le sue indagini psichiatriche su Cesare Lombroso[9].

L’attenzione verso le migrazioni storiche e le nuove immigrazioni resterà tuttavia una costante dei suoi interessi, testimoniata da collaborazioni editoriali nella stessa Svizzera[10], da quella fissa con “il Manifesto”[11], da altre con importanti giornali italiani o stranieri e dall’attività presso “l’Indice”[12].

 

  1. Dalle Colonie libere a Elvezia il tuo governo

Giunta a Losanna con il figlio, ricongiungendosi così con il marito, Delia inizia a collaborare con le Colonie libere, svolgendo un’attività didattica nell’ambito delle 150 ore e occupandosi della preparazione scolastica dei figli degli italiani[13]. È dopo questi contatti, come si è detto, che inizia a raccogliere le testimonianze tra le baracche degli immigrati. Nel clima di accesa ostilità anti italiana, tuttavia, entra presto nel mirino delle autorità elvetiche e di privati cittadini. E verrà perfino minacciata dopo la pubblicazione della recensione al suo libro e dopo un’intervista rilasciata a un giornale di Losanna[14]. Tra le carte personali, oltre alla sua preoccupata lettera al quotidiano[15] (e alla risposta del direttore, che informava la Frigessi di sospendere la pubblicazione delle lettere al giornale, visto il loro tenore ostile[16]), sono conservate decine di cartoline, spedite al suo indirizzo, contenenti insulti anti-italiani e forti critiche alle sue posizioni in difesa dei diritti degli immigrati[17]. Non solo, ma tra le stesse carte si trova anche il verbale dell’udienza seguita alla denuncia formulata dalla Frigessi, spaventata dalle minacce di morte, ricevute perfino al telefono[18].

È invece dall’altra sua già citata intervista, rilasciata dopo la traduzione in Svizzera di Elvezia il tuo governo[19], che emergono le informazioni sull’iter di questo libro, accolto con molto interesse sia in Italia che all’estero[20]. Nato come “une sorte de cri de gens qui ne se sentent pas défendus et (…) qu’on n’écoute jamais”[21], Elvezia il tuo governo è stato forse il primo libro a dare la parola agli immigrati italiani in Svizzera e a mettere in luce le contraddizioni della mitica libertà elvetica[22]. Nella sua lunga introduzione l’autrice si ispira infatti alla nota analisi di Lenin, che proprio nella Svizzera aveva colto l’esempio estremo del capitalismo, e a sua volta individua in questo paese un campione ideale di studio. E non solo perché caso esemplare di imperialismo e dominio del capitale finanziario, ma in quanto, con un massimo di presenza straniera, espressione tangibile della forte “divisione e dominazione sociale in un contesto politico-economico specifico”[23].

L’impianto teorico di questo studio risalta nettamente nelle due parti del volume. Nella lunga introduzione e nei commenti alle interviste le categorie marxiane e l’impegno civile si traducono in una scrittura militante dai toni critici sia nei confronti della socio-antropologia ritenuta più conformista sia della sinistra istituzionale e dei sindacati svizzeri. Alle analisi ottimistiche dell’adattamento (l’obiettivo specifico della sua critica è Alberoni)[24] Frigessi oppone che l’emigrazione è decisa “dal padrone e dalla logica del profitto” e non sono quindi le scelte individuali a orientare verso le partenze[25]. L’emigrazione, insomma, nasce dall’alleanza tra le classi dirigenti dei paesi di origine, che espellono i lavoratori eccedenti (e quindi potenziali protagonisti di una conflittualità sociale), e quelle svizzere, che operano discriminazioni e divisioni tra i lavoratori presenti nel paese[26]. La forte carica etico-politica su cui si fonda Elvezia il tuo governo, in definitiva, fa del libro uno degli esempi più coerenti di una certa stagione di studi e di un dibattito storiografico nel quale questa era la lettura dell’emigrazione condivisa da molti intellettuali di matrice gramsciano-marxista[27].

Questa impostazione è altrettanto evidente nell’osservazione partecipata adottata per le interviste, che sono il corpus centrale del volume. E a questo proposito non si può certo trascurare che la sua pubblicazione sia avvenuta proprio nel 1977[28], anno in cui lo stesso Einaudi pubblicava il Mondo dei vinti di Nuto Revelli, e soprattutto pochi anni dopo la pubblicazione del noto scritto in cui Stefano Merli realizzava una nuova lettura della storia del mondo operaio, dando voce ai senza voce con un obiettivo di tipo pragmatico-politico[29]. Questa finalità costituisce anche il nucleo portante della metodologia di Frigessi: la sua problematica, insomma, “si situa piuttosto a livello della situazione e della coscienza sociale e politica degli emigrati nell’ambito della loro appartenenza alla classe operaia europea”[30].

È molto noto come l’uso della fonte orale e la raccolta-trascrizione-lettura delle testimonianze abbiano sollevato, e continuino a sollevare, numerose questioni di ordine teorico-metodologico[31]. Tali interrogativi non sono presenti nelle pagine di Elvezia il tuo governo. Raccolte in varie località del Vaud tra il 1972 e il 1974, le interviste sono realizzate tra gruppi di operai e sono trascritte in modo da conservare il carattere della discussione sui vari temi proposti dalla stessa intervistatrice. Tra questi prevalgono la xenofobia, la divisione dei lavoratori alimentata da legislazione e imprenditori, la debole azione di sindacati e partiti. Ma tra tutti risaltano i quesiti per avere il giudizio degli emigranti sulla soluzione politica del problema emigrazione e sulla possibilità di inserire la loro esperienza nel contesto della lotta di classe[32]. Un capitolo specifico delle interviste è dedicato poi agli stagionali[33], proprio perché, costituendo il soggetto politico più discriminato e penalizzato, per Delia Frigessi sono quelli che offrono le maggiori potenzialità conflittuali[34].

In definitiva, la metodologia, gli obiettivi e i contenuti delle interviste riflettono in pieno il clima di forte polemica ideologica e politica che divideva in quegli anni diversi soggetti della sinistra italiana. Ma allo stesso tempo le interviste costituiscono una delle prime testimonianze della vita sociale, oltre che della coscienza politica degli immigrati italiani in Svizzera. E per questo costituiscono ancora oggi un utile strumento di conoscenza per gli studiosi dell’emigrazione.

 

  1. Emigrazione e malattia mentale

Per illustrare infine genesi e contenuti del volume A mezza parete, si è già accennato al ruolo centrale dell’incontro tra Delia Frigessi e Michele Risso, lo psichiatra che aveva pubblicato, in tedesco, un’ampia casistica raccolta dal 1946 al 1960 tra gli italiani ricoverati negli ospedali psichiatrici della Svizzera tedesca[35]. Ma la scelta di occuparsi della psicopatologia dell’emigrazione è in sintonia anche con la formazione militante della Frigessi e in particolare con l’interesse mostrato in quegli anni da molti intellettuali italiani nei confronti dell’origine sociale della malattia e di quella mentale in particolare. Sono infatti ben note le tendenze che dalla metà degli anni Settanta (sotto l’influenza delle analisi foucaultiane e delle profonde trasformazioni della psichiatria e delle sue cure), hanno indotto alcuni storici italiani a stabilire un fattivo rapporto interdisciplinare con medici e psichiatri[36]. Ciò che rende particolarmente interessante la collaborazione tra Risso e Frigessi, tuttavia, è la precocità dell’interesse verso il rapporto tra malattia mentale ed emigrazione.

Questo tema, come è noto, in Italia troverà spazio e nemmeno troppo, solo in successive e rare indagini di tipo storico sulla salute degli emigranti[37] o in studi basati su singole esperienze medico-sanitarie[38]. Quindi anche in questo caso si può apprezzare il pionierismo di Delia Frigessi nell’individuare un argomento ancora estraneo agli studi sull’emigrazione in Italia.

L’elaborazione dei contenuti del libro è stata il frutto di ampi confronti tra i due autori[39]. Dalla prima risposta epistolare di Risso a Frigessi, fino all’ultima discussione tra i due, si vanno delineando le basi metodologiche e i riferimenti bibliografici forniti alla sua interlocutrice dallo psichiatra di Berna, dotato di una vasta cultura antropologica. Si colgono inoltre le osservazioni critiche a queste letture da parte della studiosa triestina, ancorata a una più ortodossa formazione materialistico-dialettica[40]. Si tratta di posizioni che resteranno sia nelle lettere successive[41], sia nella trascrizione di una lunga discussione verbale, dalla quale si colgono bene le rispettive interpretazioni dell’origine delle “presunte” malattie mentali tra gli emigranti, le reciproche opinioni sull’incidenza dei fattori psicologici e ambientali sulle patologie psichiche, sui rapporti tra immigrati e nativi, sugli atteggiamenti dei medici svizzeri[42]. E affiorano infine le linee portanti della psicopatologia dell’emigrazione che, dopo le varie ipotesi prospettate nei colloqui, prevarranno nella stesura del libro[43].

Il punto di partenza del volume, come è noto, è la lunga discussione sul termine tedesco Heimweh, la “nostalgia malata”, il “mal di paese”. Questo tema – dopo la storia della sua lettura psichiatrica dall’età moderna al XIX secolo, realizzata con una forte critica alle teorie organicistiche – viene declinato dagli autori in stretto rapporto con lo sviluppo delle migrazioni tra tardo Ottocento e secondo dopoguerra. La tesi centrale, anticipata da Risso in una delle lettere[44], è che la psichiatria si affermi in contemporanea con gli esodi di massa. E non solo la “logica della psichiatria e quella dell’emigrazione sono strettamente legate” – scrivono gli autori – ma entrambe sono anche “dipendenti dalla loro funzionalità al mercato del lavoro”[45].

L’apporto più visibile di Delia Frigessi al volume, oltre che nella forte critica ai metodi delle statistiche[46], si riscontra nelle pagine dedicate all’emigrazione postbellica in Europa nelle quali, proprio alla luce dei tragici esiti della malattia mentale degli immigrati, ripropone la dura critica alla socio-antropologia dell’acculturazione[47]. La Svizzera costituisce di nuovo il campione ideale di come la situazione del mercato del lavoro, la posizione assunta in questo dagli immigrati, e la divisione interna al mondo operaio, siano all’origine della stessa malattia mentale. L’esperienza di lutto, che secondo la lettura demartiniana dello psichiatra Risso definisce l’atto stesso di emigrare, nell’analisi di Frigessi comporta una perdita di sé che non può essere superata con la semplice imitazione dello stile di vita della nuova società e con l’abbandono della cultura di origine. Questa perdita di sé, che Delia Frigessi aveva mostrato attraverso le parole sofferte dei tanti immigrati intervistati in Elvezia il tuo governo, nel nuovo libro trova la ben più tragica conclusione nel disturbo psichico. I migranti classificati come malati mentali, in definitiva, sono solo la punta di un iceberg che riverbera il disagio di tutti quelli che debbono lasciare casa e terra di origine[48].

La conclusione di A mezza parete, assieme ai lunghi colloqui preparatori del volume, è quella che esprime appieno la coerenza ideologica e il filo “rosso” che attraversano gli scritti di Delia Frigessi sull’emigrazione.

 

Dopo aver cercato di mostrare, in Elvezia il tuo governo, l’inevitabilità della marxiana alienazione economica del nuovo “esercito di riserva del mercato capitalistico del lavoro”, nel nuovo libro a due mani mette in luce la non meno inevitabile conseguenza dell’alienazione mentale e dell’internamento degli immigrati in strutture segreganti che, a loro volta, secondo la lezione di Foucault, rispecchiano le stesse logiche economiche della società capitalistica.

[1]           La mia ricostruzione, oltre che sui suoi scritti, si basa sulle carte private, donate dagli eredi al Museo di Antropologia criminale Cesare Lombroso dell’Università di Torino (Archivio e biblioteca Delia Frigessi di Rattalma. Da ora in poi Archivio Frigessi). Ho potuto consultare questa fonte, non ancora inventariata, grazie alla cortesia della conservatrice del museo. Mi sono avvalsa inoltre delle interviste del figlio, Guido Castelnuovo (professore ordinario di Storia Medievale all’Università di Avignone), di Giangiacomo Migone (già professore ordinario di Storia dell’America del Nord all’Università Torino), amico di vecchia data e promotore, con lei, della rivista “l’Indice dei libri del mese”. Ringrazio qui la dott.ssa Cristina Cilli, i due testimoni (anche per la cortese lettura e approvazione di questo testo) e la redazione de “l’Indice”.

 

[2]           Guido Castelnuovo, Enrico Castelnuovo à Lausanne: souvenis et relectures, ou “La Gloire de mon père”, in Per Enrico Castelnuovo. Da Losanna le vie della storia dell’arte, a cura di Serena Romano e Michele Tomasi, Roma, Viella, 2017, p. 16.

 

[3]           Leonardo, Hermes, Il Regno, I volume de La cultura italiana del Novecento attraverso le riviste, a cura di Delia Frigessi, Torino, Einaudi 1960; Carlo Cattaneo, Opere scelte, a cura di Delia Castelnuovo Frigessi, 4 voll. Torino, Einaudi, 1972.

 

[4]           Nasce a Trieste nel 1929 e muore a Torino nel 2012. Cfr. Giangiacomo Migone, Delia Frigessi: un intelletto col vento della passione, “L’indice di libri del mese”, XXX, 2 (2013), p. 6.

 

[5]           Intervista a Guido Castelnuovo, Torino, 4 dicembre 2017.

 

[6]           Delia Castelnuovo Frigessi, Elvezia il tuo governo. Operai italiani emigrati in Svizzera, Torino, Einaudi, 1977. Tra gli scritti precedenti cfr. Delia Castelnuovo Frigessi, Colonialismo a domicilio: i lavoratori stranieri in Svizzera, in Emigrazione. Cento anni. 26 milioni, “Il Ponte”, nov-dic. 1974, pp. 1447-1478; Le migrazioni operaie in un dibattito della Seconda internazionale, a cura di Ead., ibidem, pp. 1308-1321.

 

[7]           Delia Castelnuovo Frigessi e Michele Risso, A mezza parete. Emigrazione, nostalgia, malattia mentale, Torino, Einaudi, 1982. Traduzione tedesca: Idd. Emigration und Nostalgia Sozialgeschichte, Theorie und Mythos psychischer Krankheit von Auswanderern, Frankfurt, Cooperative, 1986.

 

[8]           G.G. Migone, Delia Frigessi, cit. p. 6.

 

[9]           Cesare Lombroso, Delitto, genio e follia, scritti scelti a cura di Delia Frigessi, Ferruccio Giacanelli e Luisa Mangoni, Torino, Bollati Boringhieri, 1995; Delia Castelnuovo Frigessi, Cesare Lombroso, Torino, Einaudi, 2003.

 

[10]          È sua, tra l’altro, la prefazione a Katharina Ley, Frauen in der Emigration. Eine soziologische Untersuchung der Lebens- und Arbeitssituation italienischer Frauen in der Schweiz, Frauenfeld und Stuttgart, Verlag Huber, 1979 (Reihe Soziologie in der Schweiz – Collection Sociologie en Suisse, 8).

 

[11]          Cfr., tra gli altri, “il Manifesto” 24 aprile 1982; 23 febbraio 1983; 14 febbraio 1984; 26 gennaio 1988. In questi articoli oltre alla situazione degli italiani in Svizzera, si occupa della nuova immigrazione in Italia, della politica di Israele e del sionismo. Nella sua citata intervista, Migone ha correlato questo ultimo interesse all’origine ebraica della famiglia Frigessi come, almeno in parte, di quella del marito.

 

[12]          Cfr. L’indice 1984-2000, CD, L’indice editore, Torino, 2000. Si veda, tra gli altri, l’intervista di Delia Frigessi a Jean Ziegler, Il crollo del mito elvetico, “l’Indice”, 10 (1997). Cfr. inoltre Archivio Frigessi, Pacchi inviati alla Redazione dell’Indice o al suo indirizzo privato di Torino.

 

[13]          Archivio Frigessi, 20 Questions à Delia Castelnuovo, a cura di Denise Jeanmonod, “Femina” (Lausanne), 24 (6 dicembre 1978), risposta 11 a p. 59.

 

[14]          Archivio Frigessi, busta “24 Heures”. Lettera di Delia Frigessi à la Rédation de “24 Heures” (Lausanne), le 9 Mai 1977.

 

[15]          Ibidem, lettera di Delia Frigessi à la Rédation de “24 Heures”, cit.

 

[16]          Ibidem, lettera del redattore capo di “24 Heures. Le grand quotidien suisse”, s.d.

 

[17]          Ibidem, Les Suisses grâce à nous peuvent porter la Cravatte, “24 Heures”, 5 Avril 1977.

 

[18]          Ibidem, Canton de Vaud. Justice penale. Juge informateur de l’arrondisement de Lausanne. Procès-verbal. Audience 16 Mai 1977. Delia Frigessi e Arnold Balsiger firmano il verbale. Dal controllo di polizia sul suo telefono, era risultato il numero di Balsiger, che verrà però prosciolto in quanto dietro le minacce non risultava un gruppo politico.

 

[19]          Delia Castelnuovo Frigessi, La condition immigrée: les ouvriers italiens en Suisse, Lausanne, Editons d’en bas, 1978, introduzione di Jean Ziegler.

 

[20]          Per motivi di spazio mi limito a segnalare che fu recensito dai maggiori quotidiani italiani, da “Epoca”, da molti giornali e settimanali di partito, da “le Monde” (il 6 dicembre 1978, dopo la traduzione francese) e da vari quotidiani o settimanali svizzeri. Fu inoltre presentato in varie sedi prestigiose. Cfr. Archivio Frigessi, Locandine e ritagli di giornali relativi all’uscita di Elvetia il tuo governo.

 

[21]          Archivio Frigessi, 20 Questions à Delia Castelnuovo, cit., risposta 3.

 

[22]          Per motivi di spazio, tra l’ampia bibliografia, arricchitasi di recente di stimolanti studi, cito solo l’ottima sintesi di Toni Ricciardi, Breve storia dell’emigrazione italiana in Svizzera. Dall’esodo di massa alle nuove mobilità, Roma, Donzelli, 2018.

 

[23]          D. Castelnuovo Frigessi, Elvetia il tuo governo, cit., pp. XI-XII.

 

[24]          Ibidem, p. XVII.

 

[25]          Ibidem, p. 70.

 

[26]          Ibidem, p. LXIV.

 

[27]          Paola Corti, Temi e problemi di storia delle migrazioni italiane, Viterbo, Sette città, 2013; Matteo Sanfilippo, Nuovi problemi di storia delle migrazioni italiane, Viterbo, Sette Città, 2015.

 

[28]          Da segnalare che il libro fu pubblicato nella collana “viola” di Einaudi, la più politica.

 

[29]          Nuto Revelli, Il mondo dei vinti. Testimonianze di vita contadina, 2 voll., Torino, Einaudi, 1977; Stefano Merli, Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale. Il caso italiano (1880-1900), Firenze, La Nuova Italia, 1972.

 

[30]          D. Castelnuovo Frigessi, Elvezia il tuo governo, cit.  p. 72.

 

[31]          Per motivi di spazio mi limito a citare solo alcune tra le recenti riflessioni sulle testimonianze raccolte in Svizzera: Mattia Pelli, Parole di migranti, Storie di vita e lavoro nell’acciaieria svizzera Monteforno, in Migrazioni e lavoro, a cura di Matteo Pasetti e Pietro Pinna, “Storicamente”, 4 (2008), https://storicamente.org/migrazioni-pelli; Paolo Barcella, Per cercare lavoro. Donne e uomini dell’emigrazione italiana in Svizzera, Roma, Donzelli, 2018, pp. 11 e ss.

 

[32]          D. Castelnuovo Frigessi, Elvezia il tuo governo, cit., pp.186-246.

 

[33]          Ibidem, Parte I, cap. IV.

 

[34]          Per queste posizioni Frigessi subirà anche delle critiche. Cfr. la lettera di Dino Pelliccia a “Rinascita”, 22 (3 giugno 1977). Nel n. 19 della stessa rivista era stata pubblicata la recensione di Paolo Cinanni. Archivio Frigessi, Locandine e ritagli di giornali relativi all’uscita di Elvezia il tuo governo.

 

[35]          Archivio Frigessi, 20 Questions à Delia Castelnuovo, cit., risposta 17; Intervista a Guido Castelnuovo, cit.

 

[36]          Si rimanda, per tutti, alla collettanea Malattia e medicina, Annali VII, Storia d’Italia, a cura di Franco Della Peruta, Torino, Einaudi, 1984.

 

[37]          Augusta Molinari, Le navi di Lazzaro. Aspetti sanitari dell’emigrazione transoceanica italia: il viaggio per mare, Milano, Franco Angeli, 1988.

 

[38]          Sergio Mellina, La nostalgia nella valigia. Emigrazione di lavoro e disagio mentale, Venezia, Marsilio, 1987.

 

[39]          Archivio Frigessi, Busta contenente i documenti preparatori di A mezza Parete. Si rimanda alla trascrizione dattiloscritta delle loro discussioni, avvenute tra agosto e ottobre 1979 in preparazione del volume, sia alle lettere inviate da Michele Risso a Delia Frigessi tra il 1978 e il 1981. Risso muore prima dell’uscita del volume nel 1982.

 

[40]          Ibidem, lettera di Risso, Roma 26 maggio 1978.

 

[41]          Ibidem, lettera di Risso, Roma 19 febbraio 1980.

 

[42]          Ibidem, colloquio Delia-Michele, Losanna, 29 Agosto 1979 pp. 6 e ss.

 

[43]          Ibidem, colloquio Delia-Michele, Losanna 1 settembre 1979 p. 12. Per motivi di spazio mi limito solo ad enunciare i temi di colloqui e lettere. In altra sede verranno esposti in modo più analitico i contenuti.

 

[44]          Ibidem, lettera di Risso, Roma 19 febbraio 1980.

 

[45]          D. Castelnuovo Frigessi e M. Risso, A mezza parete, cit., p. 73.

 

[46]          Cfr. il capitolo Le statistiche di Sisifo. Le critiche di Risso al titolo e ai contenuti del testo dattiloscritto sono in Archivio Frigessi, busta cit. Commento al lavoro di Delia.

 

[47]          D. Castelnuovo Frigessi e M. Risso, A mezza parete, cit., p. 184.

 

[48]          Ibidem, p. 212.

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