La nascita di un giornale per l’emigrazione: La voce degli italiani in Gran Bretagna (1948-49)

“La voce degli italiani” inizia le pubblicazioni a Londra nel gennaio del 1948 come mensile, per diventare un quindicinale nel 1957. Viene diretto alla sua fondazione da padre D. Valente, sacerdote della società di san Paolo1. Il giornale viene edito dalla società di san Paolo fino al 1963, quando la sua gestione viene affidata ai padri Scalabriniani. Viene pubblicato in formato 21×30 (simile all’attuale AA4) nelle annate 1948-492, per passare poi a un formato più grande. Dal 1968 ha incorporato il periodico “L’italiano”, fondato nel 1950 come organo ufficiale delle Missioni Cattoliche Italiane in Gran Bretagna. La testata aderisce dal 1971 alla Federazione Mondiale della Stampa Italiana all’estero. “La voce degli italiani” viene tuttora stampato a Londra a cura dei missionari Scalabriniani3.
1. Lontano dalla patria, lontano dalla casa
È uno di noi che parla, miei cari italiani; uno di noi lontano dalla patria, lontano dalla casa e dalle persone care, lontano dal cielo e dal sole d’Italia. È un amico, il quale vuole dirvi nella dolce lingua di Dante una parola serena e di conforto, e questa parola ve la dice per mezzo di queste pagine che vogliono essere messaggere di pace in ogni angolo dell’Inghilterra, della Scozia, dell’Irlanda dove c’è un cuore d’Italiano che palpita ancora per questi due amori: Dio e la patria.
La “Voce degli Italiani” si propone appunto questo duplice scopo: conservare vivo l’amore della religione cattolica e conservare integro e fervido l’amore della patria (…).
Viviamo quindi da veri italiani fedeli a Dio e alla Patria. Diamo al paese che ci ospita l’esempio dell’amore fraterno, aiutiamoci a superare le comuni difficoltà.
Il giornale che esce ora vuole anche contribuire a questa opera di aiuto fraterno, vuole portare il conforto e il sorriso in tante anime. Procurerà inoltre tutte quelle informazioni che possono essere utili ai nostri connazionali. Non si occuperà di politica sotto nessun aspetto: la politica ci divide, mentre la religione e l’amore di Patria ci uniscono. Vogliamo formare una famiglia. Se gli italiani aiuteranno il giornale, come siamo sicuri, potrà diventare più grande e più attraente.
Italiani da tanti anni residenti in Inghilterra, spose che ancora vi state abituando alla nuova vita, lavoratori che con molti sacrifici vi affaticate per le famiglie lontane, siamo alle sante feste di Natale; la “Voce degli Italiani” vi porta l’augurio cristiano della pace4.
L’editoriale che compare sulla prima pagina del primo numero della “La voce degli Italiani”, nel gennaio del 1948, è una esplicita dichiarazione di intenti. Il giornale si presenta in bianco e nero, composto da otto pagine. Le quattro parole della testata – “La voce degli Italiani” – sono distribuite su due righe in modo da far risaltare le prime due parole, mentre immediatamente in basso si legge il sottotitolo (“Rivista mensile degli italiani in Gran Bretagna”) e altri dati tecnici (Anno I, n. 1, prezzo 6d.). In basso compare l’editoriale citato Ho cambiato il cielo ma non il cuore e un estratto tratto dalla Pastorale per l’Avvento.
L’articolo con cui prende avvio l’esperienza della “Voce degli italiani” è un piccolo “manifesto”. In poche righe possiamo individuare moltissime informazioni sulle intenzioni culturali, assistenziali e pastorali della redazione e allo stesso tempo abbiamo un quadro particolarmente chiaro delle caratteristiche della comunità italiana in Gran Bretagna agli inizi del 1948.
Il 1948 è effettivamente per la comunità italiana in Gran Bretagna un anno di svolta: è infatti l’anno in cui la quota di italiani che scelgono di raggiungerla passa da poche centinaia a quasi tremila unità, un numero destinato a crescere negli anni successivi. Si avranno tracce di questa trasformazione sulle pagine del giornale nei numeri successivi5. Per ora, l’editoriale appena citato ci apre gli occhi su almeno tre questioni. In primo luogo, le direzioni del messaggio che il giornale propone alla comunità italiana: rinnovare, da un lato, l’amor di patria (con una insistenza che testimonia la difficoltà di comunicare un simile messaggio a persone reduci dalla disastrosa esperienza della guerra e costrette a lasciare il proprio paese) e allo stesso tempo continuare a coltivare e onorare la religione cattolica. In secondo luogo, appare evidente la funzione informativa e “di servizio” che il giornale vuole svolgere nei confronti degli immigrati, ponendosi come punto di riferimento per comunicazioni di ordine pratico ritenute utili alla comunità. Non può non essere sottolineato, infine, l’esplicito richiamo a non occuparsi di politica “sotto nessun aspetto”, presupponendo una nefasta funzione disgregatrice della politica, al contrario di patria e religione che invece funzionerebbero da positivi elementi unificatori. Un richiamo così esplicito a tirarsi fuori dalla discussione politica – peraltro ampiamente smentito fin dai numeri successivi, quando, ad esempio, verranno commentate le elezioni politiche italiane – assume le caratteristiche di una scelta ben precisa, presumibilmente in linea (cercheremo di verificarlo più avanti) con i moralismi pacificatori tipici del partito democristiano saldamente al potere in Italia a partire dal 18 aprile 19486.
Rispetto ai destinatari del messaggio di apertura, la direzione del giornale sembra voler proporre un mezzo di comunicazione adatto alle differenti anime della comunità italiana in Gran Bretagna. Oltre a essere distribuito sull’intero territorio dell’Inghilterra, della Scozia, del Galles e dell’Irlanda, il giornale si vuole rivolgere a tutti gli emigrati italiani, quelli giunti da pochi mesi come quelli residenti nel paese già da tempo. Il messaggio di apertura dichiara questa vocazione nell’ultimo paragrafo, quando suddivide la comunità italiana in tre filoni: i lavoratori appena giunti nel paese, i residenti da più tempo e le donne che, dopo aver sposato soldati inglesi, li hanno seguiti alla fine della guerra.
Nelle pagine successive alla prima si sviluppano le rubriche e gli interventi che diventeranno poi nel corso degli anni la struttura portante del giornale. A p. 2 non manca il tradizionale appello ai lettori per contribuire economicamente al giornale, una costante dei numeri uno della stampa di emigrazione: sul secondo numero comparirà poi l’elenco dei contributori italiani e inglesi insieme a un sentito ringraziamento per la partecipazione (“il nostro appello ha trovato piena corrispondenza fra i nostri connazionali e anche fra molti inglesi che amano l’Italia e gli Italiani”). Ma torniamo al primo numero, per meglio inquadrare lo stile e l’impostazione del giornale. A p. 2 è riportato il calendario con tutte le ricorrenze religiose, altra costante degli anni successivi. Nella stessa pagina compare un articolo decisamente interessante, intitolato “Chi li ha visti?”, che introduce un tema di drammatica attualità nei primi anni del dopoguerra: l’incerto destino di coloro che, partiti per la guerra, a quasi tre anni dalla sua fine non hanno dato proprie notizie ai familiari7. L’articolo sembra scritto per essere letto dai “dispersi”, affinché mandino proprie informazioni alle rispettive famiglie.
A p. 3 viene descritta la chiesa italiana di S. Pietro a Londra, con varie indicazioni pratiche sui servizi che offre (tra i quali la scuola italiana) e un lungo elenco sulle chiese in cui è possibile confessarsi in italiano. La chiesa italiana rappresentava il centro di quel quartiere di Londra – Clerkenwell – che fin dalla metà dell’Ottocento era definito Little Italy e che ancora negli anni successivi alla seconda guerra mondiale presentava le caratteristiche di una quartiere etnico a forte presenza italiana8. A p. 4 ci sono notizie sull’ambasciatore (Gallarati Scotti, col cui arrivo nell’ottobre 1947 Italia e Gran Bretagna ripristinarono le relazioni diplomatiche) e sul console generale, Vita-Finzi. Sempre a p. 4 compare la rubrica “Il consiglio dell’avvocato”, per anni una delle rubriche fondamentali del giornale. Curato dall’avvocato Pietro del Giudice, questo spazio è riservato a informazioni legali per la comunità italiana: nel primo numero compare una descrizione accurata delle distinzioni nella legge inglese tra domicilio, residenza e cittadinanza, insieme alla descrizione del percorso di acquisizione della nazionalità britannica. La rubrica di Del Giudice rappresenta uno strumento molto qualificato, in un linguaggio tecnico ma accessibile a tutti, per ottenere informazioni fondamentali sulle leggi inglesi e orientarsi con più sicurezza nel panorama amministrativo. A p. 5 viene riportata la presentazione del circolo delle famiglie italo-inglesi, in cui viene dedicata una particolare attenzione alle donne italiane presenti nel paese. L’articolo, cercando di esprimere loro parole di conforto, non manca di riportare un appello anche alle donne in difficoltà: “raccomando di non prendere precipitose decisioni, ma di chiedere prima consiglio e informarsi bene delle leggi giuste di questo Paese, che assistono chi è dalla parte della ragione”, consiglia Donna Nennella Carr Salazar, animatrice e presidentessa del circolo. La rubrica del circolo, in cui l’animatrice risponde alla numerosissima corrispondenza con le lettrici, sarà una costante del giornale.
A p. 6 ci sono i consigli del medico (incentrati prevalentemente sulla necessità di proteggersi dal freddo inglese) e un riquadro sui morti italiani sepolti in Gran Bretagna, con un’attenzione particolare ai militari (circa 520). A p. 7 ci sono altri consigli pratici e legali sulla permanenza degli stranieri in Gran Bretagna, in particolare sui modi legali per entrare nel paese e soggiornarvi. Il giornale si chiude a p. 8, con l’immancabile cruciverba in lingua italiana e la sezione delle curiosità.
Il secondo numero – febbraio 1948 – segue una impostazione simile al primo. Ci sono le rubriche mediche, legali, religiose già citate, ma si aggiungono la pagina delle notizie e corrispondenze dall’Italia e dalla Gran Bretagna e la pagina delle lettere. Introducendo due lettere pubblicate dal giornale, la redazione comunica che dopo il primo numero erano giunte ben 136 lettere di persone che, dopo averlo letto, inviavano complimenti e suggerimenti. Il secondo numero si apre con il saluto al giornale del cardinale Griffin, arcivescovo di Westminster, e con una lettera di ringraziamento per i numerosi complimenti ricevuti a seguito dell’uscita del primo numero. La lettera ricalca lo spirito dell’editoriale con cui il giornale aveva avviato le pubblicazioni:
Avanti, cari connazionali: la fede in Dio, l’amore alla famiglia e al lavoro, furono sempre distintivo del nostro popolo. Con quella fede e quell’amore che furono già dei nostri padri, con l’onestà della vita e con l’aiuto reciproco, noi faremo onore alla patria, e soprattutto meriteremo le benedizioni di Dio.
Particolarmente interessante la sezione legale dedicata alle pratiche per il ritorno in Inghilterra dei prigionieri di guerra italiani già rimpatriati e un articolo dai toni entusiastici dedicato alla proiezione in Inghilterra di tre film italiani (“considerati superiori a qualsiasi altro film proiettato in Gran Bretagna”): si tratta di Roma città aperta, Vivere in pace e Sciuscià (anche se nel successivo numero di ottobre viene sconsigliata la visione di quest’ultimo ai giovani per “l’inserzione di un episodio moralmente sconveniente”). Dal secondo numero in poi compaiono anche pubblicità (in genere di attività economiche gestite da italiani) e annunci di lavoro, mentre si moltiplicano i consigli pratici sul paese ospitante (tra i tanti: “come si scrive una lettera in inglese”). A p. 3 del secondo numero c’è una nota dell’avvocato Del Giudice a proposito dell’istituzione del matrimonio cattolico, con una particolare attenzione ai matrimoni “mixta religio”, a proposito dei quali vengono spiegati divieti e rischi. Il giornale si arricchisce inoltre di notizie da Irlanda e Scozia.
Il terzo numero del giornale sembra confermare il modello emerso dai primi due, con le rubriche ormai avviate e una corrispondenza piuttosto fitta con i lettori. Dalle lettere pubblicate su questo numero possiamo notare che le persone che si rivolgevano per consigli e informazioni alla redazione erano soprattutto donne italiane, a testimonianza delle difficoltà che vivevano in Gran Bretagna sia sul lavoro sia in casa. In questo senso sembra interessante analizzare, oltre alle lettere, anche le risposte del direttore del giornale. Padre Valente sembra orientato a ridimensionare i problemi posti dalle donne, cercando di convincerle a evitare di adottare soluzioni di rottura, come il divorzio o il ritorno in Italia.
…sono stanca di fare questa vita e dei maltrattamenti che subisco. Sono decisa a ritornare da mia mamma in Italia….
Cara signora, non si perda di coraggio. Varie altre connazionali si sono trovate nelle stesse difficoltà e con l’aiuto di Dio le hanno superate. (…). Intanto le raccomandiamo di non essere precipitosa, perché dalla parte della ragione si può facilmente passare a quella del torto. Non abbandoni suo marito9.
Anche se è difficile affermarlo con certezza, possiamo immaginare che queste donne appartenessero a due categorie: le cosiddette “sposine di guerra”, che come già ricordato si erano fidanzate in Italia con soldati inglesi durante la guerra e erano poi partite con loro alla fine del conflitto, e donne chiamate a lavorare in Gran Bretagna sulla base degli accordi bilaterali tra i due governi o attraverso il meccanismo della chiamata individuale, che veniva adottato generalmente per assumere personale di servizio domestico. Le loro difficoltà di inserimento in Gran Bretagna rappresentarono una delle prime emergenze sociali all’interno della comunità italiana nei primissimi anni del dopoguerra10.
È molto interessante notare che fin dai primi numeri la sezione dedicata alle corrispondenze e alle notizie internazionali dedica molto spazio a informazioni sull’andamento e le prospettive dell’emigrazione italiana nel mondo: dagli accordi firmati dal governo italiano con altri paesi alle nuove opportunità di viaggio transoceanico alla diffusione di notizie di episodi positivi relativi a italiani residenti all’estero.
A partire dal secondo numero possiamo considerare assestata la struttura del giornale. Nell’annata 1948 sono seguite con una certa attenzione le vicende politiche italiane, alla vigilia del voto del 18 aprile, sul numero di marzo, vengono segnalate le istruzioni su come andare a votare in Italia11. Il numero 3 inoltre mostra quanto il giornale fosse importante come mezzo di comunicazione tra le istituzioni consolari e i residenti italiani: a p. 3 compare una inserzione del consolato generale in cui si chiede a diversi cittadini italiani – con cui non era stato possibile comunicare in altro modo – di mettersi in contatto con gli uffici consolari.
Sul numero di luglio, in prima pagina, viene spiegato il Piano Marshall (“grandiosa iniziativa”), mentre nel numero di settembre viene illustrato con toni enfatici il “Piano Fanfani” sull’assistenza sociale e la costruzione delle case popolari. Il giornale si mostra nel complesso particolarmente sensibile alle iniziative sociali e assistenziali del governo italiano. Ma la prossimità alla cultura e alla propaganda di stampo democristiano evidentemente non sfuggono ai lettori all’interno della comunità italiana, come testimonia questo messaggio che compare sul numero di luglio 1948:
Vi sono ancora italiani che guardano la “Voce” con diffidenza; lo abbiamo già detto chiaro e lo ripetiamo: la “Voce” non ha nessun movente politico; ma solo uno scopo umanitario e sociale12.
Il giornale segue costantemente i nuovi flussi di immigrazione italiana in Gran Bretagna. Nel numero di dicembre 1948, ad esempio, compare un dettagliato articolo sull’arrivo di un contingente di contadini italiani a cui sarebbero stati affidati terreni nelle farms inglesi. L’immigrazione in Gran Bretagna rivolta all’agricoltura, concordata con il governo italiano, è una delle correnti migratorie più originali nel quadro dei flussi migratori italiani nell’Europa del secondo dopoguerra. L’attenzione attribuita dai governi inglesi a questo tipo di immigrazione è da mettere in relazione agli ottimi risultati ottenuti nel settore negli anni di guerra dai prigionieri di guerra italiani, utilizzati nelle campagne inglesi per sostituire i lavoratori locali impegnati al fronte. Alcuni prigionieri di guerra scelsero addirittura di non tornare in patria alla fine della guerra, mantenendo il loro lavoro nelle campagne britanniche.
A proposito dello sviluppo dell’emigrazione italiana, il giornale segue con attenzione la preparazione e l’arrivo delle lavoratrici destinate all’industria tessile. Annunciato attraverso le dichiarazioni del ministro del lavoro italiano Fanfani già nel numero di giugno 1949, l’arrivo viene descritto nel successivo numero di dicembre. Questa corrente emigratoria – che si inseriva nell’insieme dei provvedimenti concordati dai governi britannici con altri governi europei per far fronte alle carenze di manodopera – riveste una grande importanza, perché le circa duemila operaie italiane giunte tra la fine del 1949 e l’inizio del 1950 aprirono un lungo periodo di cooperazione tra i due governi, anticipando anche quelle contraddizioni e quelle tensioni nel loro inserimento sociale che esploderanno negli anni successivi con la diffusione del reclutamento collettivo di italiani in molte industrie britanniche13.
Con il 1949 il giornale aumenta le pagine (da otto a dodici, dal numero di maggio sedici pagine). Nel numero di gennaio viene celebrato un anno di vita della testata e viene inaugurata una rubrica dedicata alle lavoratrici (firmata “amica”) e una sezione dedicata alle notizie sportive dall’Italia.
Praticamente tutti i numeri dell’annata 1949 contengono notizie e informazioni sulla preparazione, in Vaticano, dell’anno santo, il 1950, in occasione del quale il giornale si rese promotore di alcuni pellegrinaggi a Roma. Le notizie tecniche e le informazioni legali sull’immigrazione hanno nel giornale sempre più spazio, anche perché l’immigrazione italiana aumenta di mese in mese. È interessante notare che sul numero di marzo 1949 iniziano a comparire articoli in inglese, “for our english speaking readers”, a testimonianza del fatto che il giornale passava anche per mani non italiane e la redazione cercava di diffondere la lingua inglese nella comunità. Compare anche con più puntualità una “rubrica finanziaria”, dedicata prevalentemente ai problemi di spedizione di denaro in Italia.
Il giornale segue anche le vicende dell’attualità inglese che più possono interessare i lettori italiani. Sul numero di luglio 1948, ad esempio, la rubrica di Del Giudice è interamente dedicata alla nuova legge sulle assicurazioni sociali, definita storica e spiegata nei dettagli anche in base alle esigenze della comunità italiana14.
Non mancano come si è detto le notizie sportive. Oltre a seguire il campionato di calcio italiano e il giro ciclistico d’Italia, il giornale si sofferma molto su due eventi: le olimpiadi a Londra del 1948, seguite con attenzione anche rispetto alle prestazioni degli italiani, e l’incontro amichevole di calcio Inghilterra-Italia del 30 novembre 1949. A proposito di quest’ultima, colpisce l’apparato organizzativo che era stato approntato per far pervenire il maggior numero di italiani a Londra per seguire la partita, non solo dalla Gran Bretagna ma anche dalla Francia.
Le annate 1948-49 risentono ancora del recente dramma della guerra e sulle pagine del giornale non mancano, come abbiamo notato, notizie e informazioni sui prigionieri italiani, sui soldati italiani defunti, sulle vedove di guerra. Una notizia molto importante è riportata sul numero di ottobre 1948: la concessione dello status di vedove di guerra alle mogli degli italiani morti sull’Arandora Star, con una dettagliata spiegazione degli adempimenti burocratici necessari per ottenere la pensione di guerra. La tragedia dell’Arandora Star pesava ancora molto sulla comunità italiana in Gran Bretagna15.
Nel novembre 1948 inizia la rubrica “per i lavoratori”, dedicata a rispondere alle lettere sui problemi del lavoro. Su questo numero ci sono indicazioni sul cambio lira-sterlina, su come spedire denaro all’estero, sulla prima sistemazione in Inghilterra e sui matrimoni per procura.
La rubrica dedicata ai lavoratori contiene, nei numeri di giugno e luglio 1949, molte informazioni sulle attività dei sindacati. Il giornale tende a diffondere una immagine positiva dei sindacati britannici:
Ogni operaio e ogni operaia ha il dovere d’interessarsi dell’azione e del lavoro del suo proprio sindacato, che possa promuovere tutto il bene morale e materiale dei suoi soci16.
I Sindacati tendono a far sviluppare un sentimento di fraternità e di solidarietà fra gli iscritti, assicurar loro il libero esercizio di tutti i diritti civili, proporre e sostenere le lagnanze collettive17.
La necessità di insistere sul rapporto con i sindacati locali derivava dalle frequenti conflittualità che si venivano a creare tra lavoratori stranieri e lavoratori locali, conflittualità che negli anni successivi provocheranno anche forme esplicite di ostracismo da parte delle Trade Unions all’arrivo di lavoratori italiani18.
Dal numero di marzo 1949 alla rubrica per il lavoratori si aggiunge la rubrica per le lavoratrici. A questa rubrica occorre prestare una certa attenzione. Infatti oltre a riportare consigli per risolvere problemi materiali, la rubrica dispensa suggerimenti per superare le frequenti crisi di malinconia, nostalgia, difficoltà di adattamento di cui soffrivano le donne italiane. Quelli che seguono, ad esempio, sono ampi stralci di una Lettera a un’ammalata di malinconia contenuta nella rubrica (maggio 1949) e firmata da una anonima “amica”, che risponde a una lettera pervenuta in redazione:
La malinconia, come il raffreddore, è uno di quei malanni che cominciano col darci un po’ di fastidio, poi un malessere e poi, se non si prendono provvedimenti, ci piombano nei … guai. (…)
Il primo attacco cominciò in un giorno d’inverno: la nebbia avvolgeva la casa, i bambini erano a scuola, la padrona uscita. (…)
Curati e ritorna a essere serena come prima. Prima di tutto scuotiti, guardati attorno, guarda le persone e le cose che ti circondano con occhi nuovi, non velati dalle lacrime del rimpianto, ma lucenti di buona volontà. (…) Poi sorridi. A chi? Ma alla primavera, tanto per cominciare. A questo bel sole, al tepore primaverile, agli alberi in fiore. Sorridi alla padrona, ai bambini, alle amiche, al postino. Perché no? Un bel sorriso di una ragazza italiana lo metterà di buon umore e gli farà passare una giornata migliore. (…)
Scrivimi soprattutto per dirmi che la cura… comincia a farti bene e che ora sei contenta e serena, che sorridi e che sei insomma una vera ragazza italiana, con tutto il brio e l’allegria che ti distinguono19.
La lettera è in sintonia con lo spirito dell’intervento del direttore del giornale – già citato – contenuto nel numero di marzo 1948: incoraggiare le persone puntando sulle individuali risorse di adattamento, cercando di infondere fiducia senza pensare di poter intervenire sulle cause delle difficoltà e delle crisi denunciate dai lettori e dalle lettrici.
Sul numero di giugno 1949 la stessa “amica” arriva a biasimare le donne che chiedono dei salari troppo alti!
Deploro vivamente il contegno di quelle che facendosi forti della situazione domandano salari esagerati, danneggiando così la reputazione delle lavoratrici italiane che sono in generale ben viste20.
A questo proposito è bene ricordare la funzione fondamentale svolta dalla rubrica del circolo delle famiglie italo-inglesi, curata da Donna Nennella Carr Salazar. Sebbene la rubrica facesse parte di un più ampio intervento svolto a fianco delle lavoratrici italiane (il circolo organizzava incontri in tutte le provincie, feste, viaggi, iniziative culturali), l’intento della curatrice sembra simile a quello che muove l’autrice della “rubrica delle lavoratrici”. La Carr Salazar non si limita però a comunicare un semplice messaggio di fiducia alle sue lettrici, entra invece più in profondità nel merito dei problemi. Ecco, ad esempio, la risposta data nel numero di ottobre 1949 alla lettera di una certa Rosina, preoccupata che i figli si sentissero, seguendo la nazionalità del padre, più inglesi che italiani:
Cara Rosina, non si tratta d’ipocrisia, ma di accettare la realtà che, se si possono amare due paesi, di patria ce n’è una sola, e se non realizziamo questo in tempo i nostri figli finiranno per essere dei senza patria. (…) La mia idea è che, avendo deciso di sposare un uomo di altra nazionalità, dobbiamo accettare che i figli abbiano la nazionalità del padre21.
Il 1949 si concludeva con il numero di dicembre, che annuncia un nuovo formato e una nuova veste per l’anno successivo, come celebrazione per il secondo anno vita del giornale.
2. L’ideologia del giornale
“La voce degli italiani” ha svolto senza dubbio una funzione fondamentale all’interno della comunità italiana in Gran Bretagna. Ci siamo soffermati sulle componenti più pratiche della presenza del giornale, è giunto il momento di ragionare in modo più approfondito sulle componenti ideologiche del lavoro della “Voce”.
Non possiamo misurare con precisione quanto il giornale abbia inciso sul rapporto tra gli emigrati e l’Italia e sulla maturazione della comunità italiana in Gran Bretagna, anche in relazione alle dinamiche di inclusione ed esclusione nella società di accoglienza. Possiamo però – attraverso la lettura del giornale – inquadrare quale fosse il suo progetto culturale e quali i suoi legami con ciò che negli stessi anni stava succedendo nella società italiana.
Iniziamo con una constatazione piuttosto semplice. Come già era avvenuto – in modo diverso – negli anni del fascismo, anche dopo la guerra all’interno delle comunità italiane all’estero si riproponevano quei conflitti politici e culturali che avvenivano in Italia. La penetrazione delle due principali correnti politico-culturali (quella cattolica, egemone negli equilibri politici del paese, e quella social-comunista, all’opposizione) aveva un riflesso diretto nei paesi di emigrazione. Si diffondevano quindi associazioni, giornali, organizzazioni assistenziali che rispecchiavano l’una o l’altra ideologia di appartenenza, con alcune significative eccezioni che sfuggono a questa duplice presenza, basti pensare alla duratura sopravvivenza delle reti di mutuo soccorso di ispirazione risorgimentale, ancora forti nel secondo dopoguerra, che andrebbero inquadrate in un’altra tradizione culturale, quella laico-repubblicana.
La “Voce degli italiani” in questo quadro si colloca evidentemente nella corrente cattolica, ma in che modo si articola questa presenza e quali analogie e differenze si possono riscontrare con le strategie politiche e culturali della Democrazia cristiana?
Il mondo dell’emigrazione era pienamente coinvolto dalle strategie di consenso elaborate dal partito cattolico e dal progetto di pedagogia nazionale portato avanti dalla classe dirigente democristiana negli anni dell’immediato dopoguerra. Si trattava di strategie non limitate all’intervento nei paesi in cui gli italiani emigravano, perché era l’intero percorso emigratorio – dalla partenza nelle aree depresse dell’Italia al viaggio degli emigranti al loro eventuale ritorno in patria – ad essere seguito da vicino da strutture che in vario modo erano legate al partito: funzionari del Ministero del lavoro, religiosi, addetti delle ambasciate, esponenti dell’associazionismo cattolico. Era stato d’altronde lo stesso De Gasperi, in un famoso discorso del 1949, a esaltare esplicitamente le opportunità offerte dalla possibilità di emigrare.
Il problema che si pone accostandosi all’analisi del primo decennio di vita del giornale è tuttavia relativo alla qualità di questa strategia, che solo in parte sembra riconducibile ai canoni tradizionali della retorica dell’anticomunismo e del moralismo. L’operazione di consenso tra gli emigranti portata avanti dal giornale infatti si distacca dalla classica ideologia democristiana del periodo perché sembra più orientata a un intervento di tipo pragmatico sulla realtà dell’emigrazione che non a una semplice operazione culturale e ideologica, che d’altra parte avrebbe avuto poca presa su una comunità come quella italiana in Gran Bretagna, molto sensibile alle problematiche sociali con cui quotidianamente doveva convivere e probabilmente meno attenta alle battaglie ideologiche. Possiamo riscontrare tracce di questa tendenza nelle prime annate di pubblicazioni della testata almeno in due ambiti: l’attenzione data dal giornale ai servizi per la comunità italiana e un approccio moderatamente “aperto” alle discussioni culturali.
Analizzando infatti le rubriche e i servizi che forniva la “Voce”, emerge che il primo compito che il giornale si proponeva per attirare l’attenzione dei lettori era la presenza di alcuni strumenti e indicazioni di ordine pratico che potevano migliorare la vita degli immigrati. Il calendario italiano, il cruciverba, i consigli dell’avvocato, le risposte del console, le lezioni di inglese avevano un immediato effetto sui lettori: riducevano le loro difficoltà di inserimento e costituivano una buona occasione di svago.
Le letture consigliate, le recensioni, gli articoli culturali inoltre mostravano qualche apertura interessante difficilmente riscontrabile nei giornali cattolici italiani del periodo. Un elemento importante, in questo senso, è il giudizio lusinghiero che il giornale dà dei film neorealisti, di cui si sottolinea il grande consenso che hanno avuto in Gran Bretagna. La stessa storica condanna del comunismo emessa dal Vaticano il 13 luglio 1949 viene riportata in una colonna a p. 2 del numero di agosto 1949 e non in prima pagina come apertura, come invece ci si aspetterebbe da un mensile orgogliosamente cattolico. Non si vuole certo affermare che la “Voce” non era un giornale anticomunista, ma è bene sottolineare che si trattava probabilmente di un giornale anche anticomunista, in cui convivevano, insieme alla battaglia ideologica contro il comunismo, altre esigenze comunicative.
Da questi brevi spunti si può accennare a una ipotesi storiografica sulle strategie culturali del giornale e dell’èlite della comunità italiana che lo animava. La proposta culturale complessiva che emerge appare moderatamente aperta a un rapporto con i processi di modernizzazione in atto già da diversi decenni in Gran Bretagna, processi che si sarebbero manifestati in forma particolarmente impetuosa anche in Italia a partire dal quinquennio 1958-63, gli anni del “miracolo economico”. La redazione della “Voce” avrebbe insomma compreso che nella Gran Bretagna del secondo dopoguerra sarebbe stato difficile proporre lo stesso modello socio-culturale proposto negli stessi anni in Italia dalla Chiesa cattolica e dalla democrazia cristiana.
Una ulteriore osservazione sui messaggi che veicola il giornale è relativa alla lettura del fenomeno dell’emigrazione. Fin dai primi numeri infatti è chiaro che il giornale si rende protagonista di una iniziativa culturale volta a difendere l’istituzione dell’emigrazione e a sottolinearne gli aspetti positivi. Questa tendenza è verificabile attraverso differenti segnali che emergono dalle pagine del giornale. Innanzitutto, la costante attenzione alle notizie relative all’emigrazione italiana nel mondo, in particolare quelle riguardanti l’apertura di nuovi canali per l’emigrazione italiana, salutati con soddisfazione dalla “Voce”. Gli anni 1948 e 1949 sono gli anni in cui il governo italiano continua a tessere con determinazione la fitta trama di rapporti e di accordi che permetteranno negli anni successivi la partenza di milioni di emigranti22. Il fatto che nelle due annate del giornale la sezione dedicata alle corrispondenze dagli esteri sia così fitta di riferimenti all’emigrazione è rivelatore di una determinata volontà politica e culturale: rendere partecipi gli italiani che erano partiti per la Gran Bretagna di una più ampia consapevolezza sulla diffusione e l’importanza del fenomeno dell’emigrazione. In secondo luogo, l’atteggiamento assunto nelle risposte date dal giornale alle lettere che denunciavano difficoltà e problemi degli emigrati italiani nella società inglese. Pur non sottovalutando le questioni poste dai lettori, la linea del giornale sembra essere quella di convincere i connazionali a “stringere i denti” e abbandonare la prospettiva di un possibile ritorno in Italia, difendendo la scelta dell’emigrazione come la più giusta e conveniente. Credo che la connessione tra la “Voce degli italiani” e la progettualità politica e culturale dei governi democristiani emerga in maniera davvero importante in questa lettura dell’emigrazione. Lo sforzo dei dirigenti democristiani era in fondo simile a quello dei redattori del giornale: dimostrare che l’emigrazione era una risorsa fondamentale e irrinunciabile, anche di fronte alle situazioni drammatiche che gli italiani erano costretti a vivere in molti contesti di emigrazione.
Un ulteriore messaggio che traspare dalle pagine del giornale è relativo all’enfatizzazione dei progressi dell’Italia. Prima i dati della ricostruzione, poi i segnali dell’arrivo di una congiuntura economica favorevole e infine il miracolo economico: le pagine del giornale dedicate all’Italia non mancano di sottolineare con entusiasmo quanto l’Italia stesse cambiando, comunicando fiducia e ottimismo a quegli italiani che si erano lasciati alle spalle un paese povero e, secondo gli auspici del giornale, con la loro partenza avevano contribuito al suo miglioramento23. Da questo punto di vista è importante ricordare che con cadenza annuale le pagine della “Voce” si riempivano di dati e statistiche sulla quantità di rimesse che gli emigranti riversavano sull’Italia.
La ricostruzione viene seguita dal giornale non solo attraverso fonti italiane, ma anche riportando le testimonianze lusinghiere di quegli inglesi che avevano occasione di visitare l’Italia, come ambasciatori, ministri o giornalisti24. In tema di ricostruzione è importante richiamare l’attenzione sui numerosi riferimenti al piano Marshall (con cui si apre, come già segnalato, il numero di luglio 1948 del giornale) e in generale all’impegno profuso dagli alleati per favorire la ripresa dei paesi colpiti dalla guerra, in particolare dell’Italia. A questo proposito, occorre ricordare un particolare importante: il giornale si impegna molto nel promuovere presso i lettori un riavvicinamento tra Italia e Gran Bretagna. L’operazione non era semplice, visto che la propaganda anti-inglese era stata uno dei cavalli di battaglia del regime fascista. “La voce” interviene in questo senso attraverso diversi livelli. Sul piano politico non manca di sottolineare quanto il governo inglese si stesse impegnando per aiutare l’Italia, anche attraverso lo strumento dell’emigrazione. Sul piano culturale propone una serie di articoli che ripercorrono, nelle epoche storiche più diverse, quei segnali e quelle figure in grado di testimoniare la tradizione dei rapporti tra Italia e Gran Bretagna e i loro destini comuni: dall’impero romano alle contaminazioni tra latino e inglese, dalla figura di Gregorio Magno25 a quella di Dante, ritenuto un antesignano di quella unità europea in cui Italia e Gran Bretagna avrebbero stretto ancora di più i propri percorsi.
3. Ricostruire una comunità
Come conclusione a queste considerazioni sui primi due anni di vita della “Voce” occorre richiamare l’attenzione sulla portata innovativa del giornale sul complesso della comunità italiana in Gran Bretagna e sul suo ruolo nel processo di costruzione di una effettiva comunità nazionale di emigrazione.
La caratteristica fondamentale del giornale in questa prima fase delle sue pubblicazioni mi sembra sia da individuare nel pubblico estremamente ampio che si propone di raggiungere e nell’accessibilità del messaggio di cui si rende portatore. Il giornale vuole evidentemente comunicare con tutti gli italiani immigrati nel paese e per questo alterna con disinvoltura registri “alti” e “bassi”, articoli e inchieste su questioni riguardanti la cultura italiana (dall’attualità di Dante alle contaminazioni del latino nella lingua inglese) e pezzi rivolti esplicitamente a persone che hanno a malapena imparato a leggere e a scrivere, ai quali offre consigli pratici relativi alla permanenza in Inghilterra e parole di conforto per le condizioni difficili in cui si trovano.
A monte di questa scelta evidentemente possiamo ipotizzare ragioni di opportunità e progettualità sociale. La redazione del giornale cerca di ridurre al minimo le differenze tra gli italiani residenti in Gran Bretagna e vuole in questo modo contribuire a gettare le basi perché si sviluppi nel paese una comunità unita e compatta attorno a valori considerati universali e validi per tutti: Dio e la patria, come ampiamente ricordato nell’editoriale del 1948 con cui si aprono le pubblicazioni del giornale. Ma quali erano queste differenze in seno alla comunità italiana che potevano rappresentare fonte di divisioni e conflittualità?
Innanzitutto, differenze sociali. Gli italiani della nuova generazione, che cominciavano ad arrivare in Gran Bretagna a migliaia grazie agli accordi di cooperazione tra i rispettivi governi e grazie alle possibilità offerte soprattutto nel campo industriale dal mercato del lavoro britannico, andavano a coprire i posti meno qualificati e si trovavano in condizioni sociali disagiate e precarie. Erano quindi molto diversi dagli immigrati giunti a partire dalla fine dell’Ottocento: ancora negli anni del fascismo questi ultimi avevano saputo trovare spazi adeguati e proficui in settori della piccola e media impresa privata, si pensi soltanto alla ristorazione, e ora guardavano con sospetto e diffidenza i nuovi arrivati. Le piccole ma dinamiche comunità italiane in Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda nei decenni precedenti la seconda guerra mondiale avevano costruito professionalità e forme di imprenditoria molto legate all’immagine dell’Italia, il già ricordato settore della ristorazione e del commercio alimentare può essere a questo proposito considerato paradigmatico di una tendenza che esploderà poi nei primi anni sessanta26. Già la seconda guerra mondiale, col suo carico di conseguenze nefaste sugli immigrati italiani, sia in termini materiali (come l’internamento degli uomini) sia in termini di danno d’immagine (gli italiani considerati nemici di guerra e per questo boicottati e osteggiati) aveva rappresentato un forte elemento di turbamento nella percezione pubblica della comunità italiana. Si aggiungeva alla fine della guerra l’arrivo di migliaia di lavoratori e lavoratrici pronti a sostituire i lavoratori locali nei settori più logoranti e meno qualificati, che – secondo le paure dei “vecchi” immigrati – potevano veicolare agli occhi dell’opinione pubblica britannica una immagine negativa e “stracciona” dell’Italia, che entrava in contrasto con quell’immagine di rispettabilità costruita in precedenza.
Ma le differenze tra le generazioni di immigrati erano dovute anche alle loro diverse provenienze geografiche. La storia dell’emigrazione italiana in Gran Bretagna fino alla seconda guerra mondiale era soprattutto la storia di una emigrazione dalle regioni centro-settentrionali del paese: dal Lazio, dall’Appennino tosco-emiliano, dalla Liguria, dalla Lombardia. Man mano invece che si diffonde la nuova immigrazione del dopoguerra, la percentuale di immigrati da Campania, Molise, Calabria, Puglia e Sicilia diventa via via maggioritaria, fino a superare ampiamente, a partire dai primi anni cinquanta, l’immigrazione proveniente dal centro-nord. Le relazioni tra immigrati settentrionali e meridionali non furono ovunque semplici. La “Voce” in questo senso sembra insistere sempre poco sulle differenti identità geografiche degli italiani, in contrasto con quanto accadeva invece nell’ambito associativo: i circoli e le associazioni di tendenza regionale o addirittura provinciale iniziano a fiorire proprio negli anni successivi alla seconda guerra mondiale.
Oltre alle differenze sociali e geografiche che il giornale tende a rimuovere, è opportuno accennare anche ad alcune differenze culturali tra le generazioni di immigrati. I nuovi immigrati sembravano portatori di una concezione molto pragmatica della loro esperienza migratoria. Per loro era importante accumulare risparmi, inviare le rimesse alle famiglie rimaste in patria e condurre in Gran Bretagna una vita di sacrifici e di lavoro che in una prima fase escludeva addirittura la possibilità di restare nel paese ed era tutta incentrata sulla prospettiva del ritorno in patria. Questa tendenza era dovuta anche alle condizioni con cui venivano ingaggiati dalle aziende britanniche. Ai lavoratori italiani assunti attraverso il meccanismo del “reclutamento collettivo” era proibito portare con sé la famiglia ed erano vincolati per quattro anni a lavorare nell’azienda dalla quale erano stati chiamati, pena l’espulsione. Soltanto dopo i quattro anni previsti dalla legge i lavoratori che sceglievano di non tornare in Italia avevano la possibilità di ampliare lo spettro delle loro relazioni sociali, anche perché è importante ricordare che spesso essi venivano collocati inizialmente in una situazione di isolamento residenziale, in alloggiamenti collettivi gestiti dalle aziende di cui erano dipendenti. L’emigrazione in simili condizioni non poteva essere altro che una opzione economica, i nuovi immigrati avevano poche possibilità di scambio con la popolazione locale e con gli altri italiani già residenti nel paese. Questa concezione utilitaristica dell’emigrazione veniva veicolata già in Italia negli uffici del lavoro e nella propaganda governativa. Ma da questo punto di vista occorre approfondire ulteriormente la questione. Quello che manca infatti nei numeri della “Voce” nel periodo 1948-49 e, soprattutto negli anni successivi, è la testimonianza degli episodi di conflittualità di cui si resero protagonisti i lavoratori italiani immigrati in questi anni27. Si può ragionare sul fatto che questi episodi fossero frutto di una diversa coscienza civile e dei propri diritti rispetto al passato (i nuovi arrivati provenivano da un paese repubblicano, che si era dato una Costituzione “fondata sul lavoro” e non da un regime fascista o da uno Stato liberale sicuramente meno sensibili ai diritti del lavoro) o se l’attenzione alla propria condizione economica derivasse esclusivamente dalle necessità materiali che avevano spinto all’emigrazione. Un dato è comunque certo: la nuova immigrazione mostrava meno interesse al coinvolgimento in associazioni, gruppi, iniziative che avevano come obiettivo la tutela e la riscoperta dell’identità nazionale, magari aderendo con più interesse alle strutture di mutuo soccorso di origine regionale, mostrando anche una maggiore determinazione nella tutela della propria condizione lavorativa28.
Il cammino verso la costruzione di una comunità di emigrazione unita e compatta si scontrava quindi con la realtà frammentata e divisa della comunità stessa e non poteva che diventare sempre più accidentato con le numerose trasformazioni della corrente migratoria italo-britannica che iniziarono a manifestarsi nei primi cinquanta. Il giornale continuerà a perseguire la volontà di unificare socialmente e culturalmente la comunità ma non potrà fare a meno di documentarne, attraverso il suo sviluppo, proprio le numerose differenze presenti al suo interno.

Note

 

1 La consultazione dei numeri del giornale è avvenuta presso l’Archivio Storico Centrale della Società di san Paolo e la biblioteca del Centro Studi Emigrazione di Roma: si ringraziano entrambe le strutture per la grande disponibilità.
2 In questo articolo verranno analizzate esclusivamente le annate 1948-49 del giornale, che si possono considerare unitariamente sia per le successive modifiche del giornale sia per la particolare situazione di transizione della comunità italiana in Gran Bretagna nel biennio considerato.
3 Per le informazioni sulle vicende relative alla proprietà e alla redazione del giornale si veda Umberto Marin, Gli italiani in Gran Bretagna, Roma, Cser, 1978, pp. 131-2.
4 “La voce degli italiani”, gennaio 1948, p. 1.
5 Gli italiani che emigrano in Gran Bretagna – secondo i dati del Ministero degli Esteri – nel 1947 sono appena 365, per diventare 2679 nel 1948 e 6592 nel 1949 (dati tratti da : Ministero degli Affari Esteri, Direzione generale dell’emigrazione e degli affari sociali, Problemi del lavoro italiano all’estero. Relazione per il 1974, Roma 1975). Per informazioni generali sull’emigrazione italiana in Gran Bretagna nel secondo dopoguerra si vedano i testi di U. Marin, Gli italiani, cit., e Terri Colpi, The Italian Factor. The Italian Community in Great Britain, Edinburgh-London, Mainstream Publishing, 1991.
6 Sulla dimensione politica dell’intervento della Voce ha insistito molto Lucio Sponza nel suo Italian Propaganda Abroad. The Case of Surrogate Voice of Italians in Post-War Britain, in The Art of Persuasion. Political Communication in Italy from 1945 to 1990s, a cura di L. Cheles e L. Sponza, Manchester, Manchester University Press, 2001, pp. 62-73. I molti spunti interessanti contenuti nel saggio mi sono stati di grande utilità nella lettura delle annate del giornale.
7 Sui prigionieri di guerra italiani in Gran Bretagna si vedano Lucio Sponza, Divided loyalties: Italians in Britain during the second world war, Bern, Peter Lang, 2000 e Stefano Lotti, Internati e PoW italiani in Gran Bretagna, “Rivista di storia contemporanea”, 17, 1 (1988).
8 È interessante notare che sia la redazione sia la tipografia dove viene stampata “La voce” si trovano inizialmente a Clerkenwell Road. A partire dall’estate 1948 le redazione si sposta a Oxford Street. Sul giornale ci sono molti riferimenti alla zona: inserzioni pubblicitarie di attività italiane, indirizzi di patronati e strutture che prestano assistenza agli emigrati, notizie sulle funzioni religiose. I numeri di luglio 1948 e luglio 1949 non mancano di ricordare l’annuale appuntamento con la processione per le vie del quartiere di Clerkenwell in occasione della Madonna del Carmine, un momento molto importante della vita della comunità italiana a Londra. Su questo rito e la festa che lo accompagna si veda Gaetano Parolin, La processione della Madonna del Carmine e la sagra italiana di Londra. Una lettura antropologica, “Studi Emigrazione” 129, (1997), pp. 99-124. Sulle origini della little Italy londinese si veda invece Lucio Sponza, Italian immigrants in nineteenth-century Britain. Realities and images, Leicester, Leicester Press, 1988.
9 «La voce degli italiani», marzo 1948, p. 2.
10 Si veda in proposito la documentazione presente in Archivio Centrale dello Stato, Ministero del lavoro e della previdenza sociale, direzione generale del collocamento della manodopera div. IX, accordi di emigrazione verso paesi extra-comunitari, busta 466 (emigrazione italiana in Inghilterra: informazioni e notizie). Sono molto numerose, ad esempio, le proteste di lavoratrici che lamentano il mancato rispetto dei contratti di ingaggio.
11 Si veda a questo proposito L. Sponza, Italian propaganda abroad, cit.
12 “La voce degli italiani”, luglio 1948, p. 2.
13 Sul fenomeno del reclutamento collettivo britannico in Europa e degli accordi bilaterali si vedano: James Isaac, British post-war migration, Cambridge, Cambridge press, 1954, Elizabeth Stadulis, The resettlement of displaced persons in the United Kingdom, “Population studies”, V (1951-52); J. A. Tannahill, European Volunteer Workers in Britain, Manchester University Press, Manchester 1958.
14 Nel caso della legge sulle assicurazioni sociali e in altri analoghi il giornale mostra un orientamento favorevole ai i governi laburisti e alle loro riforme in materia di stato sociale e assistenza.
15 Per una ricostruzione complessiva della vicenda dell’Arandora Star si vedano Alfio Bernabei, Esuli ed emigrati italiani nel Regno Unito: 1920-40, Milano, Mursia, 1997 e Maria Serena Balestracci, Arandora Star. Una tragedia dimenticata, Pontremoli, Editrice Il Corriere Apuano, 2002. Sull’internamento degli stranieri in Gran Bretagna durante la seconda guerra mondiale si vedano L. Gillmann e P. Gillmann, Collar the lot. How Britain interned its wartime refugees, London, Quartet Books, 1980 e M. Kochan, Britain’s internees in the second world war, London, Macmillan, 1983.
16 J. McDermott, L’organizzazione sindacale in Gran Bretagna, “La voce degli italiani”, giugno 1949, p. 10.
17 J. McDermott, L’organizzazione sindacale in Gran Bretagna, “La voce degli italiani”, agosto 1949, p. 9.
18 Per la documentazione di uno di questi episodi si rinvia a Michele Colucci, Chiamati, partiti e respinti. Minatori italiani nella Gran Bretagna del II dopoguerra, “Studi emigrazione”, 150 (2003), pp. 329-349.
19 “La voce degli italiani”, maggio 1949, p. 12.
20 “La voce degli italiani”, giugno 1949, p. 10.
21 “La voce degli italiani”, ottobre 1949, p. 5.
22 Un milione di italiani emigrerà nei prossimi anni? titola un breve articolo sul numero di giugno 1949, riferendosi a fonti evidentemente bene informate.
23 Si veda ad esempio l’editoriale di G. Tagliacarne sul numero della “Voce” di agosto 1949, intitolato Il volto dell’Italia.
24 Si veda a questo proposito il resoconto entusiasta dell’onorevole MacMillan a seguito della sua visita in Italia sul numero di febbraio 1949.
25 L’editoriale di apertura del terzo numero del giornale, utilizzando la comune ricorrenza del 12 marzo, associa le celebrazioni per il nono anno di pontificato di Pio XII alle celebrazioni per la festa di san Gregorio Magno, definito «Papa, dottore e apostolo dell’Inghilterra». L’articolo non manca di affermare che «sulla grandezza dell’Inghilterra aleggia quindi lo spirito di un grande papa italiano». Viene invece affidato a un autore destinato poi a diventare molto famoso in Italia, Ruggero Orlando, il compito di definire le affinità culturali tra Italia e Gran Bretagna: Ruggero Orlando, La parentela intellettuale italo-inglese, “La voce degli italiani”, giugno 1949.
26 Lo sviluppo economico della comunità italiana negli anni tra le due guerre mondiali è stato messo particolarmente in evidenza da Terri Colpi, che a proposito del periodo 1920-1939 ha parlato addirittura di «età dell’oro». Questa definizione è stata considerata criticamente da altri autori, come Lucio Sponza, che hanno evidenziato la mancanza di un riscontro sulle fonti di questo tipo di impostazione. Per confrontare i due approcci si vedano: Terri Colpi, The italian factor, p. 196 e Lucio Sponza, recensione di T.Colpi, The italian factor cit., “Studi emigrazione”, 74 (1992).
27 Gli episodi sono documentati in Archivio Centrale dello Stato, cit., busta 467 (emigrazione italiana in Inghilterra: trattative per il contratto tipo, dati statistici e problemi relativi all’emigrazione della manodopera, procedura di emigrazione del “labour permit” statistica, richieste di lavoratori da parte di varie imprese di ferro).
28 Si vedano a questo proposito le considerazioni di Amoreno Martellini relative alle Americhe, in L’emigrazione transoceanica dagli anni quaranta agli anni sessanta, in Storia dell’emigrazione italiana, vol. I, Partenze, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi e Emilio Franzina, Roma, Donzelli, 2001, pp. 369-384.