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Gli Italiani in Brasile – II° parte
I prodromi della grande immigrazione (1848-1870)
Nonostante le preoccupazioni di Gaetano Bedini la presenza italiana in Brasile non aumenta tra la fine degli anni quaranta e gli anni sessanta dell’Ottocento, né i pochi immigrati italiani attirano l’attenzione degli evangelizzatori protestanti. Inoltre, negli stessi decenni, l’attività politica dei nostri esuli diminuisce notevolmente nell’impero luso-americano: il baricentro dell’emigrazione politica si sposta infatti verso Buenos Aires e New York.
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L’emigrazione fascista e neofascista nel secondo dopoguerra (1945-1985)
1. Premessa
Fino ad alcuni anni fa in una rassegna sull’emigrazione politica italiana l’inclusione di un saggio dedicato agli espatri dei fascisti dopo il 1945 e al ruolo da essi svolto all’estero, nelle comunità di connazionali, sarebbe probabilmente stata considerata una bizzarria.
Gli italiani in Brasile – I° parte
I primi tentativi
La storia degli italiani in Brasile ha una genesi molto antica, che troppo spesso è tralasciata nelle storie dell’emigrazione. E’ invece importante per quanto ci permette di capire sulle modalità iniziali degli scambi tra due realtà apparentemente assai lontane.
Nel 1587 Ferdinando de’ Medici, già cardinale di Santa Romana Chiesa, succede al fratello Francesco I, morto senza eredi legittimi. Il nuovo granduca di Toscana abbandona lo stato ecclesiale e diviene in poco tempo uno degli uomini più ricchi d’Europa. Nell’arco di qualche anno intreccia una fitta rete di relazioni diplomatiche e commerciali. Appoggia Enrico di Navarra, il futuro Enrico IV di Francia, contro gli spagnoli; segnala ad Elisabetta d’Inghilterra la data di partenza dall’Avana della flotta spagnola, attesa al varco dai corsari della regina; finanzia la guerra contro i turchi dell’imperatore Rodolfo II d’Asburgo; invia emissari allo zar Boris Godunov.
Per una storia politica dell’emigrazione
L’associazionismo tra gli emigrati italiani nell’Europa del secondo dopoguerra1
1. Il contesto
Il fenomeno dell’associazionismo tra i migranti rappresenta uno dei terreni di ricerca più fertili per chi si vuole interrogare sulle relazioni tra le comunità di migranti e i territori in cui si insediano, sui rapporti tra queste comunità e i rispettivi luoghi di partenza e sulle stesse dinamiche interne ai gruppi di migranti2. Ripercorrere l’evoluzione dell’associazionismo emigratorio italiano in Europa negli ultimi sessant’anni significa confrontarsi con alcuni nodi fondamentali di questa emigrazione. Per poter iniziare un simile percorso occorre allora innanzitutto chiarire cosa si intende per emigrazione italiana in Europa nel secondo dopoguerra e quali sono le caratteristiche del fenomeno da mettere maggiormente in evidenza per inquadrare le linee di sviluppo dell’associazionismo.
Appunti sulla rappresentazione filmica degli italiani in Francia
Dans le cinéma, je ne fais pas de différence entre la France et l’Italie
(Valeria Bruni-Tedeschi, “Cahiers du Cinéma”, 578, aprile 2003)
Per una storia politica dell’emigrazione
Emigrazione italiana e antifascismo in esilio
Agli specialisti è ben noto, sin da quando il tema incominciò ad essere oggetto di indagine storiografica al principio degli anni Cinquanta, che il tratto distintivo dell’emigrazione antifascista italiana, subito evidenziato da un’analisi comparativa delle migrazioni politiche novecentesche, è la rilevanza del nesso tra esilio politico e diaspora economica, determinato da due distinti fattori1.
In primo luogo va ricordata la composizione dei flussi in uscita dall’Italia nei primi anni Venti, caratterizzati dalla nutrita presenza di lavoratori la cui decisione di spostarsi all’estero nasceva non solo da ristrettezze economiche patite in Italia, ma anche, e in molti casi soprattutto, dal bisogno di “cambiare aria”, di abbandonare luoghi di residenza nei quali la vita si era fatta rischiosa ed insostenibile a causa degli attacchi dello squadrismo fascista e la possibilità stessa di conservare o trovare un’occupazione era compromessa dalle intimidazioni, dall’emarginazione sociale e dai veri e propri “bandi” con cui i fascisti, divenuti padroni del territorio, colpivano i militanti più in vista, sul piano locale, della sinistra politica e sindacale.