Per una storia politica dell’emigrazione

Garibaldi, i Garibaldi, i garibaldini e l’emigrazione1

1. Esilio ed emigrazione
Nei primi capitoli di Nostromo, pubblicato nel 1904, Joseph Conrad descrive non soltanto l’ambiente geografico, ma anche i personaggi principali. Tra questi si distingue l’anziano albergatore Giorgio Viola, che determinerà l’esito finale, ma che a noi qui interessa perché è un italiano, anzi un ligure, emigrato in Sud America. Di Viola Conrad sottolinea più volte che è stato un garibaldino e agli inizi del terzo capitolo specifica che era “often called simply the ‘Garibaldino’ (as Mohammendans are called after their prophet)”. Poche righe più sotto spiega il parallelo: “The old republican did not believe in saints, or in prayers, or in what he called ‘priests’ religion”. Liberty and Garibaldi were his divinities”2.

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L’emigrazione siciliana*

Ti lassu Sicilia bedda mia
Iu parru sulu la lingua to,
e partu e vaju assai luntanu
unni si parra sulu amiricanu
(Franco Trincale, Sicilia a Brooklyn, in Lettera al papà lontano, musicassetta Fonola, s.d.)

 

Semo arivati qui in una cità che si chiama Nuova iorca ed è più grande di tutta la Siggilia che fa spavento tanta è la popolazione nelle strate. Uno si perde. Ma cci sono molti nostri paesani che pare di essere a Rabato e si fa tanto di cuore sentendo il nostro linguaggio
(Luigi Capuana, Gli “Americani” di Ràbbato, Torino, Einaudi, 1974, p. 38)

Nell’ultimo ventennio del Novecento l’emigrazione siciliana è stata raccontata in numerose testimonianze letterarie. Essa aveva già avuto riscontro nella letteratura di viaggio o nelle pagine di Pirandello2, nonché aveva da tempo trovato un proprio spazio nella canzone folklorica: si pensi ai versi di Trincale qui posti in epigrafe, nonché a Lu trenu de lu suli, la ballata di Ignazio Buttitta in memoria di Salvatore Scordo sepolto dalle macerie di Marcinelle3. Dopo il 1980, però, sono apparsi quadretti della vita quotidiana dei migranti, che danno voce proprio a questi ultimi4. In particolare nel 1991 è stata pubblicata La spartenza di Tommaso Bordonaro, dirompente diario di un contadino che ripercorre, tra le altre cose, la propria esperienza negli Stati Uniti5. In seguito la voglia di esprimersi in prima persona ha trovato la via del web: così racconti di singoli, talvolta corredati da foto o da altri materiali, sono apparsi da soli o sono stati inseriti nei dibattiti e nelle raccolte storico-documentarie di associazioni quali Sicilia mondo (http://www.siciliamondo.it/).
Agli inizi del Duemila il settore tra memorialistica e letteratura si è arricchito anche di pagine giornalistiche. Non tutte sono scritte da autori siciliani, né tutte sono imperniate sulla presenza siciliana. Tutte, però, ne ricordano qualche aspetto: la fondazione di città nordamericane che si chiamano Palermo, la colonia siciliana di Brooklyn, i siciliani negli Stati Uniti durante gli anni del proibizionismo e del gangsterismo, l’emigrazione illegale di operai e camerieri siciliani verso gli Stati Uniti alla fine del Novecento6. Inoltre è uscito un romanzo in bilico tra invenzione ed esperienza, che descrive giorno dopo giorno un anno di un laureato siciliano emigrato a Padova7.
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La “sorpresa” del Sud America e il voto in Argentina

Il voto italiano in America del Sud ha innescato molti dibattiti e speculazioni in questi mesi elettorali. Il risultato al Senato – allineato all’orientamento generale del voto all’estero – è stato subito presentato come la vera sorpresa che apriva al centro-sinistra la possibilità di governare, smontando le previsioni di entrambi i contendenti che vedevano queste terre come riserva naturale di voti della destra. Le comunità italiane in America del Sud non avevano comunque cambiato d’un giorno all’altro bandiera politica, come dimostra il risultato referendario di giugno con il trionfo netto del “si” (in linea, per il resto, con le altre ripartizione estere ad eccezione dell’Europa). Aldilà dei colpi di scena e delle polemiche, i risultati deludenti della lista Tremaglia del 9 aprile dovrebbero servire per sfrattare pregiudizi fortemente radicati in Italia riguardo questo pezzo dell’emigrazione e per cominciare a prendere atto della risorsa potenziale che significa l’esistenza di comunità di connazionali dinamiche e fortemente integrate nei paesi di accoglienza.
Seguendo questo ragionamento, crediamo che qualsiasi analisi futura sugli orientamenti del voto all’estero dovrebbe privilegiare due fattori, da una parte il grado di integrazione degli elettori nei paesi di residenza, dall’altra il carattere e modalità del loro rapporto con l’Italia. Da questo punto di vista il risultato sudamericano nelle elezioni politiche non doveva destare tante sorprese, perché era prevedibile una partecipazione superiore rispetto alle esperienze del CoMiTes, elemento che poteva favorire il centro-sinistra. Più della metà degli aventi diritto (51,81%) ha risposto all’appello, confermando la tendenza registrata in consultazioni precedenti (CoMiTes, referendum) che vede l’America del Sud con indici superiori di partecipazione rispetto al resto delle ripartizioni estere (42,07% per l’estero complessivamente, 38,44% in Europa, 37,30% in America del Nord e Centrale).
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L’emigrazione dal Molise

Fra la fine del Settecento ed i primi decenni dopo l’Unità una profonda trasformazione investe l’assetto socio-economico e territoriale di tutta l’Italia meridionale1. Il fenomeno, oltre che essere letto in un’ottica di lungo periodo, va messo in relazione con le forti dipendenze dai mercati nazionale ed internazionale2, ma soprattutto con l’incapacità del Mezzogiorno a sostituire “ai vecchi stabili rapporti commerciali fondati sulla geografia, rapporti commerciali stabili fondati sull’economia” 3. E’ nel periodo individuato che può essere collocato quel nucleo problematico che alcuni studiosi individuano come il dualismo originario fra Nord e Sud e che pone l’Italia nelle condizioni del late comer4.
Lo squilibrio e la crisi dell’Italia meridionale, nonostante la sua ampiezza, trovano radici essenzialmente nelle particolari condizioni dell’agricoltura. L’attività agricola prevalente nel Molise era la cerealicoltura, quasi una monocultura5, nonostante le bassissime rese dei terreni, in gran parte inadatti, e la mancanza, quasi completa, di rotazioni agrarie6. Le rese per ettaro, tra le più basse del Meridione, e l’eccessiva pressione demografica sulla terra annullavano i già scarsi utili dei contadini affittuari, ma soprattutto dei braccianti7. Tale condizione caratterizzava in particolare le zone montuose, dove la coltura, soprattutto cerealicola, veniva praticata su terreni estremamente frazionati. Sia i contadini affittuari sia i piccoli proprietari non riuscivano nemmeno a ricavarci il minimo di sussistenza8.
Gli aspetti più significativi della crisi meridionale e molisana, pertanto, si possono individuare “nell’espansione incontrollata della cerealicoltura9 e più in generale nell’espansione delle terre messe a coltura a discapito del pascolo e quindi della pastorizia transumante; nella […] crisi dell’economia pastorale […]; nel degrado dei quadri naturali ed ambientali legato alla distruzione dei boschi […] e […] nel rafforzamento dei settori più restii a favorire un processo di ammodernamento delle strutture produttive” 10. Nell’intera regione molisana intervengono quegli elementi di trasformazione degli assetti colturali e produttivi, di mutamento delle forme di utilizzazione del suolo e di applicazione delle tecniche agrarie, di cambiamento delle condizioni di lavoro e vita e di modifica del regime alimentare di gran parte della popolazione11.
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